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LA COP 23 DI BONN RIMETTA SUI BINARI LO SPIRITO DI PARIGI di Alfonso Navarra

L’accordo di Parigi (12 dicembre 2015), su cui pure è imprescindibile lavorare, ha una trappola simile a quella del Trattato di Non Proliferazione: non c’è una scadenza che fissi la DECARBONIZZAZIONE TOTALE dell’economia, cioé l’azzeramento delle emissioni di C02: questo è un grosso risultato della lobby fossile (e nucleare).
Altro punto debole sono i controlli “autocertificati”.
Ed infine non sono chiari i meccanismi del “Fondo verde” che dovrebbe investire dal 2020 al 2025 100 miliardi di dollari l’anno.
Quello che è certo è che gli attuali impegni nazionali autodeterminati faranno aumentare la temperatura a 3,5° C: una catastrofe assoluta.
Ma anche se viene raggiunto l’obiettivo ufficiale dei 2°C siamo praticamente quasi rovinati, come spiega il Rapporto Stern (ex capo economista della Banca Mondiale incaricato dal governo inglese), QUI consultabile nei materiali:
– Diminuzione del 30% della disponibilità di acqua in Africa e nel Mediterraneo.
– Brusca riduzione della resa agricola nelle regioni tropicali.
– 40/60 milioni di persone esposte alla malaria.
– 10 milioni colpite da esondazioni.
– Da 15 a 40% delle specie a rischio di estinzione
– Fusione del ghiaccio della Groenlandia.
– Aumento di livello del mare di 7 metri
– Brusche variazioni nella circolazione atmosferica.
– Rischio di collasso dell’Antartico occidentale.
– Rischio di collasso della circolazione termosalina atlantica.
A Marrakech con la COP 22 del novembre 2016 la sensazione è che le lobby fossili abbiano ripreso ulteriore spazio. Sono un settore produttivo che inneggia retoricamente al libero mercato ma che in realtà, secondo le stesse stime del FMI, percepisce aiuti pubblici, diretti e indiretti per 5.300 miliardi di dollari all’anno, vale a dire il 6,5% del Pil mondiale!
Questo è un aspetto su cui vale la pena insistere: se eliminassimo questa montagna di sussidi impliciti ed espliciti, si stima, le emissioni di gas serra calerebbero del 20%, un passo avanti determinante nella lotta al global warming sulla quale si stanno facendo pochi progressi. Eliminare il vantaggio che carbone, petrolio e gas si prendono a spese di tutti dimezzerebbe anche il numero delle morti premature causate ogni anno dall’inquinamento atmosferico.
Inoltre, eliminando questi aiuti e facendo pagare alle fossili i danni che creano, in molti Paesi si darebbe una spinta determinante alle finanze pubbliche, spingendo gli investimenti in infrastrutture, sanità, lotta alla povertà e Stato sociale.
Infine, togliendo i sussidi a gas, carbone e petrolio le diverse fonti energetiche fossero messe nelle condizioni di competere veramente alla pari, spiegano dal blog del FMI, ci sarebbe molto meno bisogno di incentivi alle rinnovabili, che comunque al momento – pesando per 120miliardi di dollari l’anno a livello mondiale secondo la stima IEA per il 2012 – sono praticamente un’inezia in confronto a quelli delle fossili.
La COP 23 si terrà a Bonn dal 6 al 17 novembre 2017. (Per informazioni su Bonn: http://unfccc.int/meetings/bonn_nov_2017/items/10068.php.) Si è deciso che la presidenza, però, non andrà alla Germania, bensì alle Isole Fiji. Una scelta dal valore altamente simbolico, se si tiene conto del fatto che sono proprio gli “Stati Isola”, gli atolli e le piccole nazioni insulari ad essere più a rischio a causa dei cambiamenti climatici.
Si spera che in quella sede avanzi e si concretizzi la discussione sui finanziamenti di solidarietà dei Paesi più ricchi nei confronti dei Paesi più poveri, che sono anche quelli che più subiscono l’impatto delle catastrofi nazionali.
Anche per questo aspetto possiamo citare lo studio di una istituzione che viene considerata complice degli “straricchi”: la Banca Mondiale. Un suo recente rapporto (scaricabile al link: https://openknowledge.worldbank.org/handle/10986/25335) indica che in tutto il mondo, ogni anno, le catastrofi naturali generano perdite pari a 520 miliardi di dollari e spingono sotto la soglia di povertà, fissata a 1,9 dollari al giorno, circa 26 milioni di persone. Sono cifre esorbitanti, rivelatrici del fatto di quanto le stime della Banca mondiale, in termini economici ed umani, siano nettamente superiori a quelle fornite finora dalle Nazioni Unite. La Banca mondiale si è infatti basata, per il suo studio, non solo sulle perdite materiali, come ad esempio i danni agli edifici e alle infrastrutture, ma ha anche tenuto conto di altre conseguenze dirette sulla popolazione più vulnerabile come ad esempio le difficoltà di accesso alle cure mediche e ad una alimentazione adeguata, l’ interruzione e l’abbandono di un percorso scolastico.
Le catastrofi naturali colpiscono quindi in modo più drammatico le popolazioni più povere, che “subiscono solo l’11 per cento dei danni materiali, ma perdono il 47 percento in termini di benessere”. Il rapporto cita l’esempio dell’uragano Matthew che ha colpito Haiti e gli Stati Uniti lo scorso ottobre : “I danni sono stati valutati in 2 miliardi di dollari ad Haiti e in 7 miliardi negli Stati Uniti. Ma in realtà l’evento è stato decisamente più devastante nell’isola centro-americana.”
Il rapporto mette in evidenza anche le contromisure necessarie per far fronte a tali conseguenze sociali ed umane e conclude : “Pochi eventi climatici estremi minacciano di annullare decenni di progresso contro la povertà”.
L’Europa continua ad incentivare il nucleare ed è soggetta alle direttive Euratom, che recepisce automaticamente.
L’Unione Europea ha definito nell’ottobre del 2014 una Strategia su clima ed energia che prevedeva l’obiettivo vincolante per gli Stati membri di ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra nel territorio dell’Unione di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990, e di contribuire con una quota di almeno 27% di energia rinnovabile e un miglioramento del 27% dell’efficienza energetica. Ma nel 2015 i Paesi dell’Ue hanno consumato sì meno energia, ma non meno fonti fossili: gli sforzi per decarbonizzare i sistemi energetici e i trasporti sono troppo lenti. Secondo i dati Eurostat (del 20 febbraio 2017), è aumentata l’incidenza dell’importazione di combustibili fossili nell’UE che soddisfa il 73% della domanda.
Bene fanno quindi i movimenti di base a mobilitarsi con iniziative internazionali, come è avvenuto l’11 marzo scorso, sesto anniversario di Fukushima, a Fessenheim (centrale nucleare stravecchia, al confine tra Francia e Germania) e Strasburgo, sede del Parlamento europeo.
A livello italiano registriamo invece la proposta di Strategia Energetica Nazionale (SEN) del Ministro Calenda, con la sua pecca di fondo nell’impostazione: separare l’energia dal Piano integrato sul clima.
Quindi il problema che ci si pone a livello governativo non è come decarbonizzare il settore energia, ma come – è una vecchia solfa! – abbassare le bollette a suo dire troppo caricate dagli incentivi alle rinnovabili (quelli alle fossili, 15 miliardi di euro all’anno, non si toccano!) e come evitare che ENEL chiuda le sue vecchie centrali termoelettriche.
In realtà sappiamo che la vera strategia energetica decisa dall’Italia (che coincide con buona parte della politica estera) è quella decisa dalle multinazionali parapubbliche ENI ed ENEL, soprattutto dalla prima.
All’ENI possiamo fare risalire, lo dimostreremo con vari articoli su questo sito, il nostro avventurismo bellico in Libia.
Abbiamo poi la politica PRO-TRIV rinfrancata dal referendum che il movimento non è riuscito a vincere nell’aprile 2016.
Ai No TRIV, spalleggiati dai No TAV, dobbiamo oggi aggiungere i No TAP: i cittadini che protestano a Melendugno contro il gasdotto che dall’Azerbaigian porterà il gas in Puglia, dopo aver attraversato l’Adriatico (TAP sta per Trans Adriatic Pipeline). La molla della ribellione popolare è l’espianto dei 200 circa ulivi secolari nel cantiere dove sarà installato l’impianto che permetterà il passaggio di gas (adesso il Tar del Lazio ha accolto la richiesta di sospensiva degli espianti avanzata dalla Regione Puglia).
E’ importante questo collegamento pratico tra realtà di “opposizione a un modello di sviluppo basato sulla distruzione del territorio e alla speculazione economica ai danni della popolazione”.
Ma non si vede al momento la capacità di formulare e perseguire una strategia realmente alternativa a ciò contro cui ci si oppone.

Alfonso Navarra www.ilsolediparigi.it

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IL FILORUSSO TRUMP CI PORTERA’ ALLA GUERRA CONTRO LA RUSSIA? di Alfonso Navarra

Il fatto che i Cruise contro l’aeronautica militare di Assad siano partiti da portaerei americane della VI Flotta con comando a Napoli lo mette in rilievo: l’Italia, in una vasta area che dal Medioriente e Nordafrica arriva fino al Mar Nero, è una fondamentale piattaforma di lancio della strategia militare Usa/Nato che coinvolge contraddittoriamente gli appetiti “energetici” degli ex imperi europei.
Gli Stati Uniti e gli alleati europei della Nato sono responsabili di una situazione di conflitto sempre più pericolosa, provocata dal fallimento delle “primavere arabe” (eccetto che in Tunisia) che sta conducendo, con l’intervento determinante di aggressioni militari “esterne”, all’esplosione di Stati a loro tempo costruiti a tavolino da patti coloniali anglo-francesi sulle rovine dell’Impero Ottomano o sulle avventure del colonialismo italiano in Africa (vedi Libia).
La loro azione si innesta su conflitti religiosi millenari (il contrasto sunniti-sciiti) e su più recenti contrasti nazionalistici tra arabi e persiani, etnie arabe e Stati arabi, arabi contro israeliani (derivanti dal sionismo installato in Palestina dall’imperialismo inglese).
I gruppi terroristi come l’ISIS (quest’ultima costituita in gran parte da ex ufficiali dell’esercito di Saddam Hussein dismesso) sono strumentalizzati in parte da potenze straniere (in particolare godono della complicità della Turchia contro i Kurdi e del finanziamento dell’Arabia Saudita e altre monarchie del Golfo) ma la loro ideologia ed il loro progetto politico ha basi indipendenti, così come le Brigate Rosse in Italia, pur con le loro infiltrazioni, non erano una invenzione della CIA ma sostanzialmente autonome.
Ad aumentare ulteriormente il caos conflittuale, pagato duramente e sanguinosamente soprattutto dalle popolazioni civili, si pone l’intervento russo a sostegno del regime di Assad, e volto a sostenere ambizioni oltretutto esagerate da Grande Potenza che però non ha base economica (a parte la produzione di combustibili fossili).
Il ruolo di Putin a fianco dell'”asse sciita” in Medio Oriente non è un ruolo difensivo e di pace (che senso ha una flotta militare russa nel Mediterraneo) ma aggiunge violenza a violenza in un contesto degradato in cui, per così dire, “il più pulito ci ha la rogna”.
Un effetto collaterale dell’attacco missilistico del neopresidente USA Trump è comunque la pietra tombale sulla prospettiva di collaborazione USA e Russia “contro il terrorismo” in Medio Oriente.
L’anomalia Trump sta per essere “digerita” dall’establishment cui pretendeva di opporsi: si veda l’esclusione dal consiglio di sicurezza nazionale dell’ideologo parafascista Steve Bannon.
E’ possibile, insomma, che da una amministrazione accusata di essere “filorussa” possa venire una vera e propria guerra contro la Russia perché le aree in cui Washington e Mosca si fronteggiano direttamente stanno diventando sempre più calde. Si pensi a quello che poteva succedere se, per errore, un Cruise avesse colpito un caccia russo negli hangar di Shayrat!
Noi, “popolo della pace”, non possiamo starcene con le mani in mano mentre infuria la “guerra mondiale a pezzetti” (copyright papa Francesco), aumentando il rischio sottostante di una catastrofica guerra nucleare. Dobbiamo esercitare i nostri diritti costituzionali ed umani, ripudiando la guerra mediante la riproposizione di una soluzione ragionevole: esigendo allo stesso tempo la dissociazione dell’Italia e dell’Europa dall’interventismo militare bellico nel Mediterraneo ed in Medio Oriente; così come dalla deterrenza nucleare NATO.
La poltica di pace deve fondarsi su una grande conversione energetica ed ecologica, che coinvolga gli attori oggi in conflitto nel lavoro comune per attuare l’accordo di Parigi sul clima, quello da cui Trump sta cercando di far recedere gli USA.
Mettiamola ancora sull’ironico: non dimentichiamo che, se continuiamo a pestarci per motivi identitari legati a giochi di piccolo o grande potere, per il controllo di fonti energetiche da cui l’Umanità intera ha deciso ufficialmente di fuoriuscire, il nostro destino sarà, per la scienza ufficiale e non per il mago Otelma, di finire tutti, donne e uomini di qualsiasi colore, religione, nazione, in senso proprio, a mollo!

Alfonso Navarra

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La (nuova) Strategia energetica nazionale del ministro Calenda è un film già visto – di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli

Il governo è al lavoro sulla nuova Strategia energetica nazionale (Sen). Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda (v. audizione 1 marzo in X commissione Senato) ha spiegato che la “vecchia” Sen va aggiornata “a seguito delle profonde trasformazioni economiche e in particolare del mercato energetico occorse negli ultimi quattro anni”. Vorremmo sottolineare “economiche” e “mercato” per cogliere la cultura di chi ha ipocritamente firmato la Convenzione di Parigi sul clima e la scarsa credibilità di tutti i riferimenti al cambiamento strutturale del sistema energetico.

Secondo Calenda la Sen 2017 sarà uno strumento per tre obiettivi:

  • individuare le principali scelte strategiche in campo energetico, in connessione anche ai nuovi obiettivi europei del Clean Energy Package e traguardando obiettivi di sicurezza e economicità;
  • definire le priorità di azione e indirizzare le scelte di allocazione delle risorse nazionali;
  • gestire il ruolo chiave del settore energetico come abilitatore della crescita sostenibile del Paese;

Un primo e non secondario problema è capire che significato possa avere questa nuova strategia. Va ricordato che la “vecchia” nacque per giustificare il ritorno al nucleare e fu l’allora ministro Scajola a inserirla in un decreto legge (112/2008). Fortunatamente, dopo Fukushima e il referendum, tutto si è ridotto a slides coloratissime, che segnalavano la Sen 2013, fondata su tre pilastri: competitività, ambiente, sicurezza.

A ben guardare dal 2013 a oggi nessuno dei tre obiettivi ha fatto passi avanti perché anche se oggi si continua a ripetere che il nostro Paese ha già raggiunto gli obiettivi europei stabiliti per il 2020 (il famoso pacchetto 20-20-20), si tratta di un risultato pregresso: negli ultimi tre anni di passi avanti ne sono stati fatti pochi, anzi nel settore elettrico siamo in ritirata. Basti confrontare la quota di elettricità generata dalle rinnovabili nei primi due mesi di quest’anno con i tre anni precedenti, dal 32,9% siamo scesi al 27,4% (Fonte: Qualenergia.it). La vecchia Sen del resto metteva molta più enfasi sul progetto di fare dell’Italia un hub del gas che sullo sviluppo delle rinnovabili che era sempre citato solo unitamente al termine “sostenibile” inteso in senso economico.

L’Unione Europea ha definito nell’ottobre del 2014 una Strategia su clima ed energia che prevedeva l’obiettivo vincolante per gli Stati membri di ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra nel territorio dell’Unione di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990, e di contribuire con una quota di almeno 27% di energia rinnovabile e un miglioramento del 27% dell’efficienza energetica. Ma nel 2015 i Paesi dell’Ue hanno consumato sì meno energia, ma non meno fonti fossili: gli sforzi per decarbonizzare i sistemi energetici e i trasporti sono troppo lenti. Secondo i dati Eurostat (del 20 febbraio 2017), è aumentata l’incidenza dell’importazione di combustibili fossili nell’UE che soddisfa il 73% della domanda.

Quindi, ridurre le emissioni, aumentare le rinnovabili (altrimenti il primo obiettivo risulta irraggiungibile) e consumare meno energia, ossia fare efficienza dovrebbero essere i tre pilastri della nuova SEN. Relativamente a questo terzo pilastro la Commissione europea nel “Clean Energy package”, un pacchetto di proposte pubblicato novembre 2106, ha previsto un obiettivo legalmente vincolante di risparmio energetico del 30% al 2030, con l’obbligo per gli Stati membri di produrre entro il 1° gennaio 2019 un piano nazionale integrato in materia di energia e clima per il periodo dal 2021 al 2030. Viene naturale pensare che si potrebbe evitare di scrivere una SEN, che al momento non avrebbe alcun “ancoraggio” legislativo, senza alcun passaggio parlamentare, concentrandosi invece sulla preparazione di questo piano su energia e clima.

Calenda ha però esplicitato che intende separare SEN dal Piano integrato energia e clima e di conseguenza la sua posizione rimane legata alla vecchia Sen. Obiettivo primario rimane quindi la competitività che si traduce nel problema dei costi del gas e dell’elettricità in Italia (il secondo è conseguenza del primo essendo il gas a fare il prezzo dell’elettricità in Italia). Riguardo al mix elettrico, Calenda lamenta che abbiamo più rinnovabile (in percentuale) rispetto a Francia e Germania e che questo è costato un onere che pesa sulle bollette elettriche. Un leit motiv che dura da sei anni e che sarebbe bello cessasse almeno per superare la noia.

Calenda in parlamento non ha proferito parola su come proseguire per decarbonizzare il settore energia, al contrario ha lamentato il problema di Enel che chiude centrali termoelettriche (vecchie, va precisato) e come ciò rappresenti un rischio per la sicurezza del sistema elettrico. Nei punti elencati come temi chiave della nuova Sen le rinnovabili sono state messe in contrapposizione con l’efficienza energetica nella ricerca del “mix ottimale per centrare gli obiettivi” (europei). Capitolo a sé per il gas, per la raffinazione e la logistica petrolifera, cui si aggiungono il capitolo liberalizzazione del mercato elettrico (fine della tutela) e la riforma delle regole del mercato elettrico all’ingrosso.

E’ un film già visto: è uno sguardo che non sa alzare la testa per vedere almeno un frammento di futuro ed è uno sguardo che non sa collegare l’energia all’inquinamento e al clima. Usciamo da un inverno in cui i polmoni (almeno di chi abita nella Pianura padana) hanno respirato ossidi di azoto e polveri sottili in quantità esagerata e nelle premesse della Sen non c’è nessun accenno a un possibile piano di rottamazione per i diesel più inquinanti sostenuto da una incentivazione all’auto elettrica. Nessun accenno a una possibile azione combinata per rimuovere l’eternit in cambio di fotovoltaico, o nessuna proposta per rinnovare gli impianti eolici più datati aumentando la generazione a parità di impianti e quindi senza consumo di suolo.

E non scandalizziamoci sempre e soltanto per Trump: in fondo, gli interessi delle lobby da noi si dimostrano sempre vivaci, aggressivi e ben rappresentati.

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IL G7 ENERGIA IGNORA GLI ACCORDI DI PARIGI di Alfonso Navarra

Il 43º vertice del G7, come riunione centrale dei Capi di Stato e di governo, si svolgerà al Palacongressi di Taormina in SiciliaItalia, il 26 e 27 maggio 2017. La riunione sarà guidata dal Presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni. Per la quarta volta consecutiva dopo la sospensione della Russia dal G8 nel marzo 2014 il vertice si terrà nel formato G7 e non G8.

La scelta di Taormina come sede del G7 fu annunciata dall’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi il 4 luglio 2016. Il vertice era inizialmente programmato per svolgersi a Firenze. Tra i motivi del cambio di scelta, Renzi citò le parole di un leader internazionale in occasione di un precedente vertice che con una battuta aveva evidenziato il suo pregiudizio nei confronti della Sicilia additandola come terra di mafia e affermò che quelle parole lo avevano convinto a fissare il G7 proprio in Sicilia. La scelta della Sicilia è stata inoltre motivata dal Governo con la volontà di tener viva l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale e dei leader sulla vicenda delle migrazioni e dei profughi.

Sono attesi a Taormina per la partecipazione: per l’ Italia: Paolo Gentiloni, Presidente del Consiglio; per il Canada: Justin Trudeau, Primo ministro; per il Giappone: Shinzō Abe, Primo Ministro; per la Francia il Presidente Hollande; per la Germania: la cancelliera Angela Merkel; per il Regno Unito: Theresa May, Primo Ministro; per gli Stati Uniti, il neopresidente Donald Trump.

Partecipano anche, per l’Unione Europea: Donald Tusk, Presidente del Consiglio europeo; e Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione UE.


Il summit centrale a Taormina è accompagnato da vertici di settore, secondo il seguente calendario:

Data

Città ospitante

Summit

30-31 marzo 2017 Firenze G7 Ministri della Cultura
9-10 aprile 2017 Roma G7 Ministri dell’Energia
10-11 aprile 2017 Lucca G7 Ministri degli Esteri
11-13 maggio 2017 Bari G7 Ministri delle Finanze
10-11 giugno 2017 Bologna G7 Ministri dell’Ambiente
21-22 giugno 2017 Cagliari G7 Ministri dei Trasporti
26-27 settembre 2017 Torino G7 Ministri dell’Industria
28-29 settembre 2017 Torino G7 Ministri di Scienza e Tecnologia
30 settembre-1 ottobre 2017 Torino G7 Ministri del Lavoro
14-15 ottobre 2017 Bergamo G7 Ministri dell’Agricoltura
5-6 novembre 2017 Milano G7 Ministri della Salute

A Roma il 9-10 aprile si svolgerà il vertice di settore dei Ministri dell’Energia la cui agenda prevede temi quali le nuove rotte del gas e le pipelines per assicurarsi la diversificazione degli approvigionamenti (come la Tap finita nel mirino del Tar del Lazio o il nuovo progetto di gasdotto Eastmed per unire Israele all’Italia entro il 2025), ma anche la cybersicurezza delle reti elettriche e la corsa all’efficienza energetica. Saranno testate le nuove posizioni dell’amministrazione Trump che ha rilanciato il carbone con l’intenzione di “rottamare” le politiche ambientali del predecessore Obama. Forse non è un caso che nel programma ufficiale riportato dal sito – in cui non è indicata la sede dell’incontro quindi presumiamo che sia la sede del Ministero in via Molise, 2 – siano assenti sia l’accordo globale sul clima stipulato a Parigi sia il tema conseguente dello sviluppo delle fonti rinnovabili.

Il programma prevede l’avvio dei lavori alle 19 di domenica 9 aprile con il saluto del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda e una cena di lavoro. La mattinata successiva si articolerà con varie sessioni di lavoro e si concluderà con la conferenza stampa di chiusura nel primo pomeriggio durante la quale sarà diffusa la dichiarazione finale congiunta con le azioni che si vogliono promuovere. Nel pomeriggio di domenica è anche previsto un evento organizzato dalla Fondazione Enel dedicato all’accesso all’energia in Africa al Maxxi di Roma.

Un aspetto che rende il vertice interessante è che sarà la prima occasione di confronto con la nuova amministrazione Usa che sta assumendo posizioni diverse dal recente passato di Obama sui temi energetici:  è prevista infatti la partecipazione del nuovo segretario all’Energia Rick Perry. E’ forte l’interesse a capire quanto da parte USA si intenda cambiare rotta e con che consequenzialità, visto che il nuovo presidente Usa Donald Trump proprio nei giorni scorsi ha firmato un ordine esecutivo per rivedere le norme per la lotta ai cambiamenti climatici: di fatto si va a ribaltare la maggior parte delle politiche a difesa dell’ambiente portate avanti dal suo predecessore. «Con me si mette fine alla guerra al carbone – ha annunciato Trump – Rimetteremo i minatori al lavoro».

E l’Italia? Lo scorso giugno il MISE, ministero dello Sviluppo economico, ha presentato la relazione “La situazione energetica nazionale nel 2015″ volta al monitoraggio e all’aggiornamento della Strategia energetica nazionale (SEN). In quell’occasione i dati hanno riportato che, a livello mondiale, l’offerta di greggio e gas ha esercitato una pressione al ribasso sui prezzi. È proseguita la diffusione delle fonti rinnovabili con un contributo rilevante delle economie emergenti, in particolare della Cina e per la prima volta dopo 10 anni si è ridotto il commercio mondiale di carbone. In Italia, pur permanendo una significativa dipendenza dalle fonti estere, si starebbe assistendo a una transizione verso un sistema energetico più efficiente, autonomo e a minor intensità di carbonio.

Al G7 Energia quindi verrà presentata la nuova SEN che, come specificato dal ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, si declinerà su tre assi: competitività, ambiente e sicurezza. In audizione in Commissione Ambiente alla Camera proprio sulla revisione della Sen, Calenda ha precisato che la nuova Strategia, basandosi su questi tre assi, avrà come conseguenza una crescita economica sostenibile. Un quadro stabile quindi che ha l’obiettivo di favorire gli investimenti e le attività di ricerca e sviluppo in tecnologie innovative. Altro obiettivo è quello di ridurre il gap di costo dell’energia, allineandosi ai prezzi dell’Unione europea, in vista di una migliore competitività italiana. Per le questioni ambientali, Calenda ha anche affermato che si vogliono “raggiungere gli obiettivi ambientali clima-energia al 2010 e al 2030, supportando la mobilità alternativa”.

(Per una analisi critica della SEN si veda l’articolo di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli apparso anche sul blog del “Fatto quotidiano”).

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L’America di Trump recederà dall’accordo sul clima? di Alfonso Navarra

Il nuovo presidente USA Donald Trump, prima e dopo la sua elezione, ha sempre dichiarato pubblicamente che l’accordo globale sul clima stipulato a Parigi, a suo parere, era una “boiata pazzesca”, o giù di lì, nel suo tranciante linguaggio twitteriano. Questo in conseguenza del suo scetticismo sul riscaldamento climatico.

A pochi mesi dal suo insediamento possiamo chiederci: procederà al recesso con la medesima decisione che ha mostrato sulla promessa riguardo al muro con il Messico?

Parrebbe avere imboccato concretamente la strada, visto che  il Nostro ha da poco firmato un ordine esecutivo che cancella parte delle iniziative ambientali adottate dall’amministrazione Obama.

Il documento si chiama “Energy Independence” e conferisce mandato all’Agenzia per la protezione dell’ambiente di procedere per il ritiro e la riformulazione del Clean Power Plan di Obama, diventato legge nell’agosto 2015. Si tratta di un piano nazionale, quello di Obama, volto a ridurre le emissioni di gas serra prodotte dalle centrali elettriche alimentate a carbone. Il piano stanzia alcuni miliardi di dollari di investimenti per finanziare lo sviluppo e la diffusione di fonti di energia pulita (fotovoltaica ed eolica), ridurre il ricorso a fonti di energia responsabili dell’emissione di gas serra e favorire la chiusura di centrali elettriche a carbone. Il piano di Obama è stato pensato per ridurre – entro il 2030 – i livelli di emissioni di gas serra del 32 per cento rispetto a quelli del 2005.

Le posizioni di Trump sul cambiamento climatico e sulle politiche di protezione dell’ambiente potrebbero avere importanti conseguenze anche sull’accordo sul clima di Parigi, concluso nel dicembre 2015 durante la Conferenza mondiale sul clima (nota come Cop21). Si teme, appunto, che Trump possa decidere l’esplicito ritiro degli Stati Uniti dall’accordo della Cop21.

Con l’ordine esecuttivo citato, gli accordi di Parigi rischiano di diventare carta straccia e di perdere ogni effettività. Anche se l’accordo Cop21 non è citato nel provvedimento gli Stati Uniti, tra i principali colpevoli dell’emissione di gas serra, potrebbero disattendere il raggiungimento dell’obiettivo concordato a Parigi nel 2015 con il risultato che non si arriverà a mitigare l’aumento delle temperature globali del Pianeta, ci sarà un’impennata delle emissioni di anidride carbonica e si finirà con il compromettere l’ecosistema globale e quindi, senza esagerare, la sopravvivenza umana.

Il motivo che ha portato Trump a boicottare il piano ecologico di Obama è quello, secondo il presidente, di promuovere l’indipendenza energetica degli Stati Uniti per rilanciare l’industria nazionale del carbone e creare nuovi posti di lavoro in un settore “tradizionale” dell’economia americana. Tuttavia, l’interpretazione prevalente data da alcuni autorevoli economisti è che le politiche di Trump potrebbero non essere adeguate o sufficienti per raggiungere questi obiettivi: in parte perché gli Stati Uniti dipendono già dal carbone e dal gas naturale nazionale, in parte perché i vecchi impianti in cui viene impiegato il carbone useranno in futuro un numero sempre maggiore di macchine e sempre minore di uomini.

L’amministrazione Trump potrebbe incontrare, sul provvedimento approvato, l’opposizione dei singoli Stati. Ad esempio, lo stato di New York e la California hanno già detto che si opporranno alla nuova politica ambientale, mentre quasi 30 Stati hanno adottato delle leggi per migrare gran parte della loro produzione di elettricità dall’uso di combustibili fossili a quello di fonti energetiche più pulite.

Sulla politica estera e della difesa abbiamo già visto che l’establishment ha fatto fare retromarcia a Trump imponendo l’esclusione di Steve Bannon (ideologo dell’ultradestra) dal Consiglio di Sicurezza Nazionale. Poi abbiamo appena assistito alla “punizione” di Assad, alleato di Putin, con i raid aerei della notte del 6 aprile. Non è allora da escludere che anche nel settore energetico ci saranno pressioni che, se non renderanno Trump un fervente ambientalista,  faranno però rientrare in binari più ordinari e razionali (il che non significa sempre giusti e accettabili, sia chiaro) il nostro imprevedibile demagogo…

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Andamento anomalo del clima nel mediterraneo da AK notizie

CAMBIAMENTI CLIMATICI
ANDAMENTO ANOMALO DEL CLIMA NEL MEDITERRANEO: UNA SICCITA’ PEGGIORE DEGLI ULTIMI 900 ANNI
di Filippo Mariani
E’ dal 1998 che anno dopo anno si registra, soprattutto nel nord del nostro Paese una continua diminuzione delle precipitazioni, mentre le regioni centro meridionali subiscono a volte le cosiddette “bombe d’acqua” che causano frane, allagamenti e a volte vittime. Studiosi del NOAA e della NASA ha studiato questo fenomeno che interessa il clima del Mediterraneo, incrociando dati storici, studio degli anelli degli alberi, osservazioni satellitari, inquinamento delle superficie dei mari e indagando specificatamente sulle recenti opere dell’uomo ( degli ultimi 200 anni) che vanno dai disboscamenti alla nascita di grandi invasi d’acqua con sbarramenti artificiali. Alla fine lo studio ha dimostrato che quello che sta accadendo nei Paesi del Mediterraneo è la peggiore siccità degli ultimi 900 anni. La mappa della siccità nell’area del Mediterraneo. |NASA/ Goddard Scientific Visualization Studio
Lo studio ha dimostrato che tutta l’area Mediterranea è influenzata da fenomeni atmosferici di portata planetaria e, quindi, dall’andamento della North Atlantic Oscillation e della East Atlantic Pattern, circolazioni atmosferiche che interessano l’Oceano Atlantico e di conseguenza interferiscono con le condizione climatiche di tutto il bacino del Mediterraneo. Oltre a ciò si è aggiunta la correlazione con l’impronta umana soprattutto in Medio Oriente che nell’ultimo secolo ha prodotto vasti disboscamenti, introdotto in agricoltura la monocoltura, aumentati a dismisura spazzi urbani a discapito dell’ambiente naturale, incentivato l’allevamento di capre e deviato corsi d’acqua. Ciò ha facilitato in tutta l’area mediorientale l’arrivo di una pesante siccità, la quale anch’essa ha influenzato e influenza il clima del bacino del Mediterraneo. La situazione si è talmente radicalizzata che nei prossimi anni dovremmo cancellare dalle nostre memorie storiche le stagioni come i nostri nonni ci raccontano, e, quindi, prevedere fenomeni di prolungate siccità e di estremizzazioni meteo in Italia, in particolare sulle regioni meridionali ( nubifragi e bolle di calore). Tutto questo ci obbliga a dotarci di Strategie Nazionali sui Cambiamenti Climatici, creando in ogni città italiana piani di prevenzione e di intervento contro fenomeni climatici avversi. I Paesi del bacino del Mediterraneo che secondo lo studio saranno sempre di più coinvolti in questo cambiamento climatico sono: La Spagna meridionale, la Francia meridionale, tutta l’Itala, la Grecia e la Turchia. L’UE da qualche anno ha invitato tutti gli Stati membri a dotarsi di Piani Nazionali di Adattamento ai Cambiamenti Climatici ( PNA ). Anche l’Italia si è attivata, ma al momento a parole……
Il fiume Po al 17 marzo 2017

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Energia, non solo una partita tra ENI e Enel di Mario Agostinelli

Il nuovo amministratore delegato dell’Enel Francesco Starace, in una audizione al Senato nell’ottobre del 2014 (l’audizione si tenne il 15 ottobre) sostenne che Enel doveva chiudere senza esitazioni ben 25 mila MW di centrali termoelettriche a seguito di un eccesso di offerta di elettricità, il calo dei consumi, l’aumento della generazione rinnovabile. Interessante notare che il suo predecessore, Fulvio Conti, in una audizione in senato, solo due mesi prima (il 26 marzo 2014), non aveva fatto alcun accenno a future dismissioni. Il processo prevede il confronto con tutti i soggetti presenti sui territori interessati. Si profila così la opportunità di un nuovo paradigma per l’energia che comprenda prodotti e servizi per l’efficienza energetica, la gestione intelligente dei consumi e soluzioni per la mobilità sostenibile.

Per Montalto di Castro (3300 MW) e Porto Tolle (2640 MW), due “monumenti” dello sviluppo delle fonti fossili in Italia, sono da tempo aperti i bandi e, con essi, un’occasione importante di decarbonizzazione. Visto il numero di impianti coinvolti non sarebbe fuori luogo una riflessione di livello nazionale, in particolare per considerare i possibili effetti sull’occupazione.

Il piano Futur-e rappresenta una “provocazione” che il governo non ha ancora osato proporre a livello nazionale. Si pensi alla Sen varata dall’ex ministro Passera focalizzata sul gas e pure alle indicazioni dell’attuale ministro Calenda rilasciate prima della bocciatura del referendum costituzionale, assai poco orientate allo sviluppo delle rinnovabili.

Sono anni che il nostro Paese si trova in una situazione di fragilità delle reti e sovracapacità produttiva, con un numero di centrali termoelettriche sovradimensionato, frutto degli effetti del cosiddetto decreto “Sblocca Centrali” del 2002, per cui nell’arco di un decennio (2003/2012), sono stati autorizzati cicli combinati a gas per oltre 30GW.

Il piano di chiusura di 25 mila megawatt di centrali a olio combustibile, carbone e gas va nella direzione di migliorare il quadro elettrico nazionale, chiudendo impianti obsoleti, poco efficienti. e con output nocivi e sollecitando un aggiornamento della rete che sostenga la produzione distribuita e consenta lo stoccaggio. Ridurre l’inquinamento dell’aria di cui si parla molto – in particolare nel bacino della pianura Padana – in questo inverno scarso di precipitazioni significa ridurre progressivamente la combustione in tutti i settori, compreso quello della generazione elettrica.

Vista la novità della posizione Enel e a fronte della chiusura di 25 mila MW di termoelettrico, abbiamo – anche sul piano temporale – la straordinaria occasione di esigere e co-progettare adesso la contropartita rilanciando la generazione da rinnovabili, la valorizzazione dei bilanci e dei piani energetici territoriali, l’efficienza degli edifici e la rivoluzione del sistema della mobilità. A quanto trapela dalle stanze ministeriali, non sembra che questo sia l’approccio con cui il Governo e il ministro Calenda, ispirati dal miraggio Eni di fare del Pese l’hub europeo del gas, intendano varare la Sen, Strategia Energetica Nazionale.

Enel invece chiude impianti improduttivi, perché è più redditizia la gestione delle reti e delle vendite; quindi la capacità installata termo (in Italia e fuori) continuerà a ridursi e si prevede che scenda a 36,5 GW nel 2019: gli scenari della compagnia prevedono ricavi da nuove attività legate alla vendita di dispositivi per l’efficienza energetica, alla mobilità elettrica e a nuovi servizi ancora da definire. Proprio sulla mobilità elettrica il governo è fortemente latitante e sembra ignorare i benefici effetti sulla qualità dell’aria nei centri urbani.

Tornando alle centrali del progetto Futur-e, riteniamo che si debba chiedere una partecipazione attiva ma non per evitarne la chiusura ma per trovare, nei vari territori, soluzioni che siano compatibili con una politica di creazione di posti di lavoro e di miglioramento ambientale. Vanno evitate soluzioni speculative che prevedano nuove colate di cemento, va studiato ogni singolo territorio per scoprirne le risorse e sostituire impianti inquinanti con imprese capaci di coniugare lavoro e risorse naturali. E’ tempo di porsi su posizioni innovative e non di mera difesa del passato. Il quadro dell’energia è cambiato e servono attori che possano confrontarsi con imprese e governo con una visione ampia a sufficienza da contenere occupazione, benessere ambientale per l’intera popolazione e riqualificazione della politica industriale.

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Due minuti a mezzanotte di Emilio Molinari

Il 30 Gennaio del 2017, le lancette dell’Orologio dell’Apocalisse del bollettino degli scienziati nucleari, dei quali ben 16 premi Nobel, sono state spostate a due minuti dalla Mezzanotte.
La mezzanotte è l’ora dell’Apocalisse e gli indicatori per spostare le lancette sono: “la guerra nucleare e i mutamenti climatici…che dovrebbero stare in cima ai pensieri dei leader politici che governano il mondo…”
Ora una cosa è certa: questi problemi stanno in cima ai pensieri del Papa e capovolti, stanno in cima a quelli di Trump che non li ignora, non li evita, ma li prende di petto.
Le sue dichiarazioni di riarmo, anche nucleare e annullamento dell’accordo di Parigi sul riscaldamento globale, hanno spostato di un minuto le lancette dell’orologio apocalittico.
54 miliardi di dollari in armamenti e 1.000 miliardi per un nuovo programma nucleare. (Interesserà anche le basi di Ghedi e di Aviano).Vedremo di quanto si sposteranno le lancette per le dichiarazioni del segretario di stato Tillerson a proposito della Corea del Nord: “la pazienza di Washington si è esaurita….non si esclude l’opzione militare”.
La promessa o l’illusione per gli americani, sono i posti di lavoro per la riapertura delle miniere di carbone, e 28.000 dal ritiro del veto posto da Obama, ai due oleodotti Keyston e Dakota Access.
Senza Trump e anche se tutti rispettassero gli impegni presi a Parigi, sarebbe sempre da criticare l’inesistenza dei leader mondiali democratici e di sinistra, come pure la nostra facilità di “distrarre” la nostra attenzione su altre questioni.
Con Obama la produzione di petrolio negli USA era cresciuta da 7,2Mbg a 12,4 Mbg e moltiplicate le trivellazioni dei pozzi.
Dal 2014 il consumo mondiale di petrolio è salito a 94,6 Mbg/g (milioni di barili al giorno) con un aumento di 1,8Mbg. La Germania, per sostituire il nucleare è tornata massicciamente al carbone, così il Giappone. In Italia l’uso del carbone l’avevamo bloccato con le lotte negli anni ’80. In compenso Renzi ha dato via libera alle trivellazioni in terra e in mare. Nel Mantovano si progetta di far passare l’autostrada del gas (anche il metano è un combustibile fossile) attraversando zone terremotate, di pregio turistico e alimentare. Lo stesso avviene lungo la dorsale sismica degli Appennini, dove si aspettano ancora gli aiuti e invece arriva un bel tubo.
A2A la multiutility di Milano e Brescia ha pensato bene di fare una centrale a carbone nel Montenegro e portare l’energia elettrica in Italia. Renzi ha fatto subito una legge per diminuire le tasse all’energia importata.
Non c’è da stare allegri.
Il rapporto Stern spiega che l’aumento di due gradi, livello a cui si intende stabilizzare la temperatura del pianeta sono comunque un disastro :
 Diminuzione del 30% della disponibilità di acqua in Africa e nel Mediterraneo.
 Brusca riduzione della resa agricola nelle regioni tropicali.
 40/60 milioni di persone esposte alla malaria.
 10 milioni colpite da esondazioni.
 Da 15 a 40% delle specie a rischio di estinzione
 Fusioone del ghiaccio della Groenlandia.
 Aumento di livello del mare di 7 metri
 Brusche variazioni nella circolazione atmosferica.
 Rischio di collasso dell’Antartico occidentale.
 Rischio di collasso della circolazione termosalina atlantica.
E’ questa la verità?
Oppure lo sono i fallimenti e gli imbrogli che ci siamo raccontati?
Ricordate? Nel 1992, 25 anni fa, a Rio fu lanciato lo Sviluppo Sostenibile.
Ma a fine settembre del 2014, per la prima volta scoprimmo che avevamo consumato tutte le risorse annue a nostra disposizione e che intaccavamo quelle degli anni a venire; nel 2016e le abbiamo finite già l’8 agosto. Alla faccia dello sviluppo sostenibile.
E ricordiamo l’altro corno della contraddizione dell’Apocalisse.
Nel 2000, mentre si definivano gli obiettivi del Millenium 2000 – 2015, contro la povertà, la fame e la mancanza d’acqua potabile, in quel momento si stimava che 300 persone possedessero una ricchezza pari a quella della metà della popolazione più povera.
Nel 2015, gli obiettivi del millennio erano più o meno falliti e il numero dei possessori della ricchezza era sceso a 62. 62 persone da una parte e 3,7 miliardi dall’altra, con la stessa ricchezza. Oggi i 62 sono diventati 8. Si fronteggiano sui piatti della bilancia 8 persone contro tre o 4 miliardi.
Chiarissimo per il suo cinismo è il Rapporto del Pentagono del 2004.
 le prossime guerre saranno combattute per questioni di sopravvivenza. Nei prossimi 20 anni diventerà evidente un calo significativo dalla capacità del pianeta di sostenere l’attuale popolazione.
 Milioni di persone moriranno per guerre e per fame fino a ridurre la popolazione totale a una quantità sostenibile ( una versione rovesciata della sostenibilità).
 Le zone ricche come USA ed Europa diventeranno “fortezze virtuali” per impedire l’ingresso di milioni di migranti, scacciati dalle terre sommerse o non più in grado di coltivare per mancanza di acqua. Le ondate di profughi sulle barche creeranno problemi significativi.
 I governi che non sapranno garantire le risorse fondamentali e difendere i propri confini, sono destinati ad essere travolti dal caos e dal terrorismo.
E’ vero tutto ciò? Se è così, mi preoccupa non tanto Trump
ma la “distrazione” del popolo democratico, della sinistra europea, dei sindacati, dei tanti civilissimi movimenti, che rimandano l’immagine di un popolo che “balla mentre il Titanic affonda”. Balla, celebra la sua felicità, parla di sé, si appassiona per la sua civiltà, odia il “tamarro” Tramp come odiava il “tamarro” Berlusconi, ma…. soprattutto è schifato per l’ignoranza del popolo che li elegge.
Un popolo che ha sua volta odia loro e la sinistra.
Una forbice che si divarica sempre di più e non solo elettoralmente.
Ecco, Trump ha parlato a questo popolo gli ha offerto posti di lavoro e uno straccio di lavori di pubblica utilità, mentre la sinistra offre “voucher e unioni civili….liberismo economico e libertà individuali” modellando le priorità del proprio popolo.
Guerra mondiale, mutamenti climatici, nuova e drammatica universalità della nuova condizione di classe sono la verità del nostro tempo e non stanno in cima ai pensieri e al dibattito dei partiti di Sinistra in formazione. Non c’è in loro lo sforzo di produrre una Nuova Rivoluzione (anche questa parola la pronuncia solo il Papa) che saldi la riconversione ambientale dell’economia con la riconversione sociale dell’economia.
Lavoro e Beni Comuni sono nel mercato globale in perenne contraddizione.
Ritrovare la verità. Altrimenti ci viene addosso comunque e ci travolge tutti. Chi la narrerà ai lavoratori, ai pensionati, ai giovani? Chi ha narrato loro che il benessere occidentale e il welfare, sono sì il risultato di una storia di lotte che vanno difese con le unghie e con i denti, ma anche dall’aver ignorato i limiti della Casa comune, la rapina delle risorse dei paesi del Sud del mondo e la schiavitù imposta ai loro popoli?
Chi la narrerà ai lavoratori complici e vittime dei veleni, dell’inquinamento, del cibo spazzatura, dei rifiuti tossici fatti sparire?
Chi discuterà con loro le possibili e graduali alternative?
Negli USA qualcosa di nuovo nella direzione della riconversione integrale con Bernie Sanders si muove, in Europa averla ignorata ha più o meno portato al fallimento Syriza e Podemos. In Italia… meglio lasciar perdere.
Io sono di una generazione che la verità, anche quando era scomoda, la si andava a dire davanti ai cancelli dell’Acna di Cengio, di Paderno Dugnano, alla raffineria di Pero e fin dentro gli uffici della Centrale di Caorso.
Sono di una generazione che ha visto nascere le esperienze e le denunce dei “lavoratori verdi”. Mi vanto di averli avuti come amici. Ho visto all’opera il grande Luigi Mara e il suo gruppo di Castellanza. Ho conosciuto Aristide Brunelli a Caorso che mi informava del più piccolo incidente e a poco a poco costruiva consenso tra i suoi stessi compagni. Ho visto la sfida volontaristica di Casarolli e dei compagni di DP alla Breda che in nome della PACE fermarono per 15 giorni e 15 notti l’uscita dei generatori di vapore destinati ad una centrale nucleare in Iran, costruendo un muro davanti ai cancelli.
Sono di una generazione che pensa che anche i NO sono un programma e premessa per i SI.
Una generazione che con i NO ha vinto: fermando il carbone a Tavazzano e a Bastida Pancarana, il nucleare, le discariche dei rifiuti urbani e la privatizzazione dell’acqua, affermando le fonti alternative, la raccolta differenziata e il diritto all’acqua.
Non mi convincono le buone pratiche che ci riportano ai comportamenti individuali, o quelle che ai problemi determinati dalla tecnologia rispondono con soluzioni tecnologiche che spostano solo il problema. Oppure quelli che alla grande crisi idrica contrappongono i riduttori di flusso al rubinetto e la purificazione delle acque. Non credo alle grandi opere che spostano l’acqua da un paese all’altro e al degrado alimentare, contrappongono l’eccellenza alimentare, al problema energetico le lampadine a basso consumo e le auto elettriche, ecc….
Alla drammaticità della situazione si risponde soprattutto con movimenti collettivi e con proposte alternative che agiscono sulla politica e le istituzioni. Sbilanciamoci ha fatto una serie di documentate proposte alternative per un New Deal italiano.
Oggi si possono aggiungere alcune scelte da attuare subito.
Fermare i metanodotti, ma ricostruire le zone terremotate.
Fermare le trivellazioni e le operazioni di A2A, ma solarizzare le città in modo pubblico, decentrato, democratico e partecipato.
Fermare i progetti TAV, ma riparare la rete idrica italiana e riconsegnarla ai comuni. Fermare il ponte sullo stretto, ma riparare ponti e scuole che cadono a pezzi.
Fermare l’imbroglio di EXPO che continua con Human Tecnopole,
imbroglio dal momento che si parla di centinaia di milioni ricevuti da EXPO e di 21 milioni di avanzo, che in realtà sono 21 milioni restati in cassa. E gli altri ? Imbroglio che continua con il progetto di fare dell’area un polo della ricerca genetica nell’alimentazione e nella sanità. Che vuol dire OGM – trattamento delle malattie attraverso la manipolazione genetica. Ignorando che il 70% delle malattie è riconducibile all’inquinamento: dell’aria e dell’acqua e di ciò che mangiamo.
Oltre tutto è una ricerca pagata dal pubblico e governata dal privato.
150 milioni dati a un ente di diritto privato convenzionato con IBM alla quale verranno consegnate tutte le informazioni sanitarie di 60 milioni di italiani. Molto meglio fare invece dell’area un centro dei diritti al cibo, all’acqua e all’energia pulita.
Da dove cominciare? Si potrebbe mettere fine alla frammentarietà dei nostri impegni, creando ponti tra culture e fedi diverse, facendo convergere tutte le nostre forze su alcuni obiettivi, piantandola anche con gli integralismi laici.
Si potrebbe ripartire dalla questione delle questioni: la PACE su cui si formarono migliaia di giovani di sinistra. Chi parla ha fatte tutte le manifestazioni, era in piazza quando a Milano morì Ardizzone per la libertà di Cuba, sempre per il Viet Nam, contro i missili a Comiso, contro l’invasione dell’Iraq, i bombardamenti sulla Bosnia e la Serbia….Ripartire dalla PACE ci può ridare di nuovo un senso dell’impegno e delle parole compagno…fratello.
Emilio Molinari.
19/3/2017

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EDITORIALE DI ALFONSO NAVARRA

DAL SOLE DELL’AVVENIRE AL SOLE DI PARIGI

Con Alex Zanotelli e Luigi Mosca il sottoscritto ha elaborato la teoria delle “tre bombe globali” che avremmo, da cittadini succubi e disattenti, lasciato attivare da chi comanda il mondo e che prima o poi ci faranno saltare in aria se non provvediamo a disinnescarle: ci riferiamo alla “bomba nucleare”, alla “bomba ecologica”, ed infine alla “bomba della diseguaglianza”.
Più volte abbiamo spiegato nei nostri interventi che l’attività dei sistemi militari, dell’economia accumulativa e del consumismo sfrenato possono creare delle crisi propriamente mortifere per la massima parte del genere umano, ed abbiamo persino individuato una logica scala di priorità, definita dal numero di morti per estensioni temporali che la deflagrazione delle “bombe” sopra citate può innescare. La precedenza va al disinnesco attraverso il disarmo della bomba atomica, che può uccidere subito, in qualsiasi momento, tutti i 7 miliardi che siamo, grazie ad un conflitto che può deflagrare per caso, per errore, per sabotaggio; poi viene la bomba ecologica, che, ad es. con il riscaldamento climatico, il cuore dell’interesse della presente pubblicazione, può sopprimere la totalità delle vite in 100 anni; infine c’è la bomba finanziaria da neutralizzare, che può fare collassare le società con sofferenze generalizzate e perdite massicce, in senso letteralmente fisico, di moltitudini umane.
Con la finanziarizzazione, imperniata su Wall Street come principale piazza finanziaria e sul dollaro come mezzo di pagamento internazionale, l’1% di straricchi (in realtà le 10.000 persone fisiche contate dal compianto Luciano Gallino) ha messo su una “megamacchina” che funziona come un’aspirapolvere della ricchezza verso questa élite parassitaria. Dall’economia di coloro che lavorano sui beni e sui servizi reali risucchia valore ed infine titoli di proprietà l’appropriazione rentier di chi gioca con azioni e valori monetari, numeri che identificano prezzi (tutta la realtà viene ridotta a quantità che ignora la qualità).
I conflitti in corso, sociali, religiosi, culturali, etnici, territoriali, interstatuali, se consideriamo la centralità del parametro della sopravvivenza generale, sono oggettivamente meno importanti, anche se dominano la scena mediatica e delle preoccupazioni pubbliche: ma fungono da micce che possono portare all’esplosione catastrofica, addirittura cataclismatica, delle “bombe” globali.
Secondo noi, che ci ispiriamo alla nonviolenza – lo abbiamo già accennato – il concetto più importante, che va oltre l’esclusivismo dei gruppi particolari (per quanto ampi possano essere), è l’attribuzione della priorità assoluta alle persone e all’insieme della famiglia umana, a partire dal rispetto della vita, delle vite di tutti.
Noi però non dovremmo rinviare al «Sole dell’avvenire», come facevano le ideologie ottocentesche che hanno dominato anche il novecento; il concetto di priorità dell’umanità va proposto nel presente: l’umanità, quella che c’è adesso, quella che concretamente lavora, soffre e spera oggi, è l’oggetto e lo scopo del nostro attivismo nella congiuntura attuale. Di qui lo slogan: “Prima l’umanità, prima le persone”, che ovviamente si contrappone agli individualismi assolutistici, agli “identarismi” particolaristici e ai “sovranismi” di ogni colore. E si contrappone soprattutto alla nuova ideologia in formazione tra le altissime sfere, quella tecnocratica del “post-umano” che affida alla “tecnologia della potenza” il sogno dell’avvento di una nuova sorta di esseri, immortali e superperformanti, frutto dell’incrocio, poggiante sull’infrastruttura della Rete, di ingegneria genetica, robotica ed intelligenza artificiale.
Il “Sole dell’avvenire” di allora diventa oggi il “Sole di Parigi” con riferimento esplicito alla
mobilitazione contro ciascuna delle tre “bombe” da parte della cittadinanza attiva internazionale, che sta ottenendo oggi dei risultati “storici” nel diritto internazionale, cioè nella nonviolenza efficace secondo le stesse parole di Papa Bergoglio.
Le conquiste miliari di questa mobilitazione sono due:
1) l’accordo di Parigi, del 12 dicembre 2015, che mette praticamente fuori legge, nella prospettiva di qualche decennio, i combustibili fossili;
2) il percorso istituzionale avviato al di fuori del Trattato di Non Proliferazione da parte degli Stati non nucleari che arriverà a mettere fuori legge gli ordigni “atomici”, forse già nella stessa Conferenza ONU che si aprirà il 27 marzo p.v. a New York.
Questa rivista, che è strumento delle competenze e dei movimenti che si sono battuti per tali risultati, vigilerà perché non restino sulla carta ma promuovano la conversione energetica (il modello rinnovabile al 100%) ed ecologica della società in alternativa alla barbarie ed al baratro in cui rischiamo di precipitare.

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Contributo Carla Maria Baroni

SCALARE MILANO:  Visioni  Urbanistica  Finanza  Beni comuni   –    Convegno   7/3/2017

             Contributo di  MARIA CARLA BARONI   Partito Comunista Italiano  Lombardia

 

        A me pare che la politica urbanistica del Comune di Milano sia schizofrenica, dissociata : recentemente si sono avviate le procedure per la revisione del Piano di Governo del Territorio, mentre un po’ di mesi fa si era già deciso di scorporare dal PGT tutta la sua polpa – il riuso e la riqualificazione degli ex scali ferroviari, così come il Comune aveva accettato supinamente la decisione di un rettore di spostare a Rho una parte consistente di Città Studi e prima ancora lo spostamento dell’Istituto dei Tumori e del Neurologico Besta  a Sesto San Giovanni con la discussa operazione della Città della Salute, svuotando quasi completamente di funzioni il Municipio 3, popoloso quanto la città di Brescia.

        Se si porterà a termine la procedura separata dell’Accordo di Programma tra Comune e FS Sistemi Urbani , il PGT rimarrà un guscio sostanzialmente vuoto, a cui rimarrà da decidere solo il riuso delle ex caserme.

        Con l’AdP sugli scali si contraddice il nome e lo spirito di ciò che dovrebbe essere un PGT, il principale atto di un Comune: “governo del territorio” significa che le proposte strategiche dovrebbero essere indicate dal Comune e che le decisioni finali devono essere prese dopo aver coinvolto in un reale processo partecipativo pubblico tutti gli attori del territorio: non basta una fase di ascolto.

        Ci viene detto che è urgente decidere sugli ex scali: ma queste aree sono inutilizzate da molti molti anni e quindi non c’è alcuna ragione oggettiva che impedisca di aspettare i tempi di una normale revisione del PGT. Non è certo nell’interesse della città e della cittadinanza tutta questa fretta, ma esclusivamente nell’interesse di FS Sistemi Urbani, che ambisce a quotarsi in Borsa dopo aver acquisito la possibilità di edificare sostanziose volumetrie.

        Si pone anche il problema della proprietà delle aree: dato e non concesso che tale proprietà sia privata dal punto di vista strettamente giuridico, nella sostanza tale proprietà è pubblica, in quanto le aree erano state assegnate dal Comune per svolgervi una fondamentale funzione pubblica quale è quella della mobilità su ferro.

        E qui entra in gioco il fatto che la riqualificazione degli scali deve servire anche per migliorare la mobilità di persone e merci nel nodo di Milano, che ha una valenza ben oltre lo stesso ambito metropolitano; deve servire in primo luogo i lavoratori e le lavoratrici che convergono giornalmente su Milano, migliorando la loro qualità della vita di pendolari e portando via via all’ abbandono dell’auto privata da parte di chi compie sempre lo stesso percorso giornaliero    , a vantaggio della qualità dell’aria e della salute pubblica.

        Emerge così che nel percorso verso l’AdP manca non solo la cittadinanza attiva, che non basta ascoltare: manca anche, se non soprattutto, la Città Metropolitana di Milano, che ha come compito primario “la cura dello sviluppo del territorio metropolitano” .

        Attenzione alle parole: “cura dello sviluppo” significa voler approdare alla qualità del territorio in tutti i suoi aspetti.

        Si dice talora che la Città Metropolitana come livello di governo viene ignorata perché di fatto  non ha potere, né autorità, né risorse. Ma da chi e da che cosa dipende tutto ciò? Quali interessi vengono avvantaggiati dalla sostanziale negazione del ruolo della C.M.M.?

        A me pare evidente che questa negazione risponde alla stessa logica volta alla distruzione del territorio come bene collettivo irriproducibile che aveva portato allo svuotamento delle Province in quanto titolari dell’unico strumento di pianificazione territoriale complessiva di area vasta esistente nel nostro Paese, e cioè del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale.

        Eviscerare gli ex scali dal Piano Territoriale Metropolitano (rafforzato sulla carta rispetto al precedente P.T.C.P.), di cui è iniziata l’elaborazione, e dalla revisione del P.G.T. di Milano significa privilegiare gli interessi  – finanziari? immobiliari? – di un unico soggetto che è solo formalmente privato in quanto ha la forma giuridica di una società di diritto privato.

        Arrivando ora al contenuto del riuso e dalla riqualificazione degli ex scali propongo di insediare nei due più estesi – Farini e Romana – centri di ricerca su produzioni industriali e su nuovi materiali compatibili con l’ambiente e con la salute, per ottenere una pluralità di risultati: 1) dare un contributo all’intero Paese mettendo a punto prodotti e processi produttivi che non facciano ammalare e morire, che non distruggano aria, acque, suolo e cibo; 2) creare il primo passo per la reindustrializzazione dell’area metropolitana milanese che traduca in produzioni ecosostenibili quanto messo a punto nei centri di ricerca; 3)  creare in una prima fase posti di lavoro altamente qualificati e duraturi per i nostri migliori talenti, ora costretti a fuggire all’estero subito dopo la laurea e per richiamare qualcuno già espatriato, e creare in una seconda fase molti posti di lavoro, anch’essi qualificati,  in  produzioni innovative in grado di competere sul mercato internazionale del lavoro; 4) contribuire a qualificare Milano come città della ricerca e della scienza anche in ambito internazionale, dando lustro alle sue istituzioni – Comune e Città Metropolitana – e alle sue università.

        Durante l’ascolto della cittadinanza attiva del Municipio 5 era emersa anche la proposta di insediare nello scalo Romana, data anche la sua contiguità con il Parco Agricolo Sud Milano, di un centro di ricerca sull’agricoltura e l’alimentazione, utilizzando una parte del relativo suolo: condivido questa proposta, purchè prima la bonifica del terreno sia fatta a regola d’arte.   

        Ovviamente tutto ciò richiede consistenti fondi pubblici, da sottrarre a investimenti insensati e/o controproducenti, che invece vanno per la maggiore.

        Per quando si passerà alla fase progettuale avanzo una proposta che riprende una lunghissima tradizione, dalle agorà della Magna Grecia alle piazze medioevali, rinascimentali, moderne, e talora contemporanee, così caratteristiche delle nostre città: organizzare gli edifici che comunque si costruiranno in tutti gli scali intorno a una piazza centrale bella e pedonale – meglio se rotonda, dalla forma accogliente – , che contempli anche la presenza di servizi pubblici, sedi istituzionali, luoghi di aggregazione e partecipazione, per dare ai cittadini e alle cittadine il senso di appartenenza a una collettività.

        La maggior parte delle attuali piazze di Milano sono rotatorie intorno a cui circolano flussi ininterrotti di auto: perché allora non ne introduciamo alcune nuove riprendendo l’antica e mai interrotta tradizione della piazza italiana come centro della politica, e cioè della vita aggregata?