di Mario Agostinelli
Sconfitti sulla responsabilità del brusco cambiamento climatico in corso, i sostenitori dei fossili hanno cambiato spalla al fucile abbandonando carbone e petrolio in prospettiva e rilanciando a tutto campo il gas. Il “minore dei mali” tra i combustibili fossili consentirebbe di sostituire a breve il carbone e di mantenere il monopolio centralizzato delle multinazionali estrattive anche a spese di un incremento incontrollato di guerre sia economiche sia condotte sui campi fuori confine con gli eserciti più devastanti. Che la contesa sul futuro del Pianeta si giochi tra gasdotti e navi metaniere e rinnovabili appare ogni giorno più chiaro. Si sta passando dal negazionismo più bieco alla raffinatezza di “difendere” la possibilità di crescita dei più poveri (che si bombardano quotidianamente ad opera dei più ricchi).
Anes Alic cerca dimostrare sotto il profilo economico le convenienze per i proprietari dei pozzi fossili, detentori allo stesso tempo della rete energetica centralizzata e sostenuti da ingenti finanziamenti pubblici. I prezzi del gas naturale – afferma – sono diminuiti molto più rapidamente di qualsiasi altra fonte di energia. Nel 2018, il gas naturale è costato 1,72 volte in più rispetto al carbone mentre costava 2,2 volte in più solo nel 2014. Questa è la vera ragione per cui il gas naturale sta rapidamente sostituendo il carbone come combustibile preferito per la generazione di elettricità in centrale. La domanda di gas continua a crescere a un ritmo vertiginoso (4,9% nel 2018), mentre la spesa per infrastrutture di grandi dimensioni continua a fluire nel settore (~ $ 360 miliardi nel 2018). Anche i prezzi del Gnl (liquido) sono diminuiti in media del 20% negli ultimi due decenni.
Il punto debole del risveglio del gas sta nelle inevitabili emissioni di CO2, ma il fatto che esse siano il 50% in meno rispetto al carbone e il 30% in meno rispetto al petrolio fa sì che venga sottovalutata una deprecabile e incontrollata crescita dei consumi: il gas finisce così coll’identificarsi con l’ossessione dello sviluppo, cementato in forme tecnologiche fortemente dipendenti e fortemente favorite dall’inerzia del sistema: ovvero il gas rappresenta oggi la reale resistenza al cambiamento.
La rete elettrica degli Stati Uniti, scrive Dan Geraino, è sulla buona strada per diventare molto più pulita già nel 2020. All’11 febbraio 2020, dei 42 Gigawatt di nuova capacità della elettricità da immettere nella rete Usa proveniente dallo a Stato di New York, il 76% proviene già da energia eolica e solare, come si ricava dall’ultima serie di dati provenienti dall’amministrazione dell’Energia Usa.
Si tratta di una quota record, rispetto al 64% della nuova capacità aggiunta nel 2019. E lo sarebbe, nonostante la posizione ostile dell’amministrazione Trump nei confronti delle energie rinnovabili, comprese le tariffe sui pannelli solari importati dalla Cina e il rifiuto di estendere alcuni crediti d’imposta già programmati ai tempi di Obama, come afferma Joshua Rhodes, analista senior di Vibrant Clean Energy.
Ci sono tuttavia due impreviste novità: la prima sta nel fatto che la maggior parte della prevista crescita delle energie rinnovabili quest’anno – 18 Gigawatt – proviene da ben 107 progetti decentrati nei territori e sostitutivi di centrali fossili municipalizzate, i cui sviluppatori hanno iniziato la costruzione in tempo per beneficiare del credito d’imposta federale sulla produzione. La seconda è addirittura più sorprendente: i costi per lo sviluppo di parchi eolici sono diminuiti così tanto da essere le opzioni meno costose, anche senza sovvenzioni. Nientemeno che il Texas dei petrolieri, sorprendentemente, guida la nazione americana nella capacità di energia eolica e sarà anche il leader della nuova capacità eolica prevista nel 2020, con il 32% in totale.