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Egidia Beretta Arrigoni: in Viaggio con Vittorio

Intervista a Egidia Beretta madre di Vittorio Arrigoni – Vik Utopia

Egidia Beretta Arrigoni: in Viaggio con Vittorio

“Questo figlio perduto, ma vivo come forse non lo è stato mai, che, come il seme che nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi”

Laura Tussi con Egidia Beretta Arrigoni

Intervista di Laura Tussi a Egidia Beretta madre di Vittorio Arrigoni

 

“Questo figlio perduto, ma vivo come forse non lo è stato mai, che, come il seme che nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi. Eravamo lontani con Vittorio, ma più che mai vicini. Come ora, con la sua presenza viva che ingigantisce di ora in ora, come un vento che da Gaza, dal suo amato Mediterraneo, soffiando impetuoso ci consegni le sue speranze e il suo amore per i senza voce, per i deboli, per gli oppressi, passandoci il testimone.”

 

Bellissime riflessioni: quando le hai scritte?

 

Scrissi di getto queste parole all’indomani del funerale di Vittorio e oggi, nove anni dopo, so che questo seme è fiorito e ha fruttificato.

Quel testimone continua ad andare, passando di mano in mano, di cuore in cuore, come un fiume inarrestabile.

Vittorio è la sorgente; io, solo la portatrice d’acqua che la alimenta.

 

La perdita e la memoria del figlio amato hanno inciso profondamente nella tua esistenza.

 

Questo è diventata la mia vita.

Per questo viaggio, instancabilmente, da nove anni e racconto a chi ha orecchie per ascoltare e cuore per accogliere, la sua, di vita, i sogni e le utopie.

 

Tutto questo deve essere un percorso doloroso, ma che comporta gesti d’amore.

 

Non è mai facile. Prima di ogni incontro, ho bisogno di silenzio e di meditazione. E, alla fine, mi sento svuotata, aliena alla realtà che mi circonda.

Il gesto d’amore che mi ha spinto a scrivere “Il Viaggio di Vittorio”, si ripete quando, partendo da quelle pagine, vado a dispiegare il filo della sua esistenza, dall’infanzia, alla giovinezza, all’età adulta, variegato e multiforme, ma sempre teso alla ricerca del senso del proprio vivere, fino alla raggiunta consapevolezza che solo la ricerca e la lotta per la giustizia, per la pace, sempre dalla parte degli oppressi, dei dimenticati, potevano dare significato al suo essere al mondo.

 

Quali argomenti tratti nel tuo libro “Il Viaggio di Vittorio”?

 

Narro del bambino che scrive di San Francesco e Martin Luther King, del ragazzo che stima Falcone e Borsellino, della grande passione per la musica, la lettura e la scrittura, dei primi Viaggi di volontariato a soccorrere e conoscere genti e luoghi al di fuori, finalmente, dai confini “recinti spinati”, consapevole che, attraversandoli, mettendosi alla prova, scorgerà la meta.

Mostro i suoi video e li riguardo anche io con la trepidazione della prima volta e colgo, attraverso gli occhi di chi guarda e ascolta, la mia stessa empatia ed emozione.

 

Vittorio ha sempre denunciato in forma nonviolenta tutte le ingiustizie e atrocità che accadono a Gaza.

 

Oltre le mie parole, voglio si veda e si ascolti Vittorio, l’esuberanza, la passione che lo muove, gli affanni, la gioia, la sofferenza, le denunce, la testimonianza diretta di quel che ha vissuto in Palestina, in Gaza.

E’ qui che il mio racconto si conclude, dove si è concluso il suo Viaggio.

Nella terra che lo ha accolto come figlio e fratello, là dove la tormentata ricerca del perché esistere ha infine trovato ragione.

Leggo i suoi scritti, che ci immergono in realtà altrimenti sconosciute.

E adempio così un preciso dovere che, sento, Vittorio mi ha affidato.

Non dimenticare mai la Palestina, raccontare, attraverso i suoi anni in Cisgiordania e in Gaza. Questo popolo, oppresso, ma coraggioso, resistente, generoso.

 

Un Viaggio quasi “iniziatico”…

 

In questo mio andare, ho percorso innumerevoli strade, città e piccoli paesi, lungo tutta la penisola, in luoghi i più diversi, biblioteche, parrocchie, centri sociali, culturali, feste Anpi, scuole.

E ogni volta, sento Vittorio presente a sostenermi nel trovare le parole giuste per chi mi ascolta, adulti, giovani, studenti, anche bambini.

Gli sono riconoscente perché, attraverso questi incontri, ho contemplato meraviglie di arte e natura mai visti, sono nate amicizie, soprattutto ho conosciuto un’umanità solidale che non immaginavo, persone generose e accoglienti, felici di incontrare “la mamma di Vik” e onorarlo onorando me.

 

Con questo Vostro Viaggio, riuscite, tu e Vik a cambiare le coscienze…

 

E quando, a posteriori, ricevo testimonianze di come la sua vita abbia cambiato la vita di tanti, specie di giovani, che, sulla sua traccia, stanno compiendo scelte ugualmente importanti, il mio cuore è felice e l’anima piena di gioia.

A chi vuole conoscere meglio e di più Vittorio, suggerisco di visitare il sito www.fondazionevikutopia.org, di leggere soprattutto le pagine del suo ”Gaza Restiamo Umani”, scritte a Gaza durante il massacro di Piombo Fuso, la graphic novel “Guerrilla Radio – la possibile Utopia” di Stefano Piccoli e infine, a chi volesse immergersi nei sogni del piccolo Vik, il racconto “Il bambino che non voleva essere un lupo”, scritto e illustrato da Sabina Antonelli, pubblicato a cura della Fondazione Vittorio Arrigoni “Vik Utopia” Onlus.

 

E’ nata questa importante Fondazione Vik Utopia in memoria di Vittorio

Parlo della Fondazione, nata per onorare la sua memoria e continuare la sua azione di impegno civile a servizio del bene comune, dei diritti umani e della giustizia.

I progetti che abbiamo sostenuto, vanno in questa direzione. Collaborando con diverse Associazioni, che operano in paesi nel mondo dove situazioni difficili di povertà o di discriminazione, colpiscono i più deboli, donne e bambini, seguiamo la strada che Vittorio ha tracciato.

E’ verso i bambini, soprattutto, che va il nostro impegno, consapevoli di quanto essi fossero nel suo cuore.

Continuerò ad andare, quindi, fino a quando avrò voce e forze per testimoniare, e, con Vittorio, annuncerò: “Faremo delle nostre vite poesie, fino a quando libertà non sarà declamata sopra le catene spezzate di tutti i popoli oppressi”.

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La ricerca dell’altro

Favorire e comprendere la diversità

La ricerca dell’altro

I nazionalismi, i regionalismi, i fondamentalismi, i sovranismi, le imprese di purificazione etnica sono processi che generano intolleranza e sfociano in razzismo e in altre ideologie criminali
Laura Tussi29 settembre 2020

L'amore per l'altro

Si potrebbe affermare che attualmente nella società globale e nei rapporti umani e affettivi, il senso dell’alterità, ossia la percezione della vicinanza emotiva e personale, persiste ma al contempo si affievolisce per le molteplici lontananze di cui tutti siamo oggetto con i social e i mezzi di comunicazione. L’attitudine a tollerare, favorire e comprendere la diversità sparisce con l’intolleranza che struttura e incrimina alterità e differenze: i nazionalismi, i regionalismi, i fondamentalismi, i sovranismi, le imprese di purificazione etnica sono processi che generano intolleranza e sfociano in razzismo e in altre ideologie criminali.

Alcuni gruppi umani non cessano di creare alterità, di costruire e inventare l’altro e perciò di annientarsi perchè, al contrario della differenziazione culturale, questa incessante moltiplicazione sociale e invenzione di un nemico comune è portatrice di morte.

Il senso della diversità ci mette di fronte all’evidenza del senso elaborato dagli altri, individui o collettività.

Il senso di cui si tratta e che viene auspicato e promosso è il senso sociale, cioè l’insieme dei rapporti simbolizzati, istituiti e vissuti tra le persone all’interno di una collettività che questo insieme permette di considerare pluralista e solidale: una solidarietà globale e universale.

Non esiste una società che non abbia definito, in modo più o meno rigoroso una serie di rapporti normali tra generazioni, fratelli, donne e uomini, lignaggi, classi, età, uomini liberi e schiavi, indigeni e stranieri.

Il compito del ricercatore è evidente, in quanto non rimanda in modo specifico a un solo e esclusivo tipo di società e di caratteristica umana, nella cittadinanza che si definisce attiva e globale. Ed è per questa ragione che nell’articolo in questione si situa l’incontro all’incrocio tra i miei riferimenti pedagogici e i miei interessi culturali più generali.

Vorrei interrogarmi, ponendo le premesse per una pedagogia generalizzata sul concetto stesso di alterità, nella sua relatività che è molteplice, in quanto gli altri definiscono e portano a compimento l’altro, la differenza e le diversità implicite nei soggetti, in ogni singola persona, in ogni specifico essere umano.

A proposito di alterità e di senso degli altri, per professione o per scelta volontaria, quanti sono impegnati in un’attività sia sanitaria, sia assistenziale troveranno un sussidio valido e di facile accesso nelle letture sulle scienze sociali e pedagogiche. Con un linguaggio chiaro e conciso, esse accompagnano il lettore lungo il cammino complesso che dall’accoglienza conduce al dialogo costruttivo, indicando gli scopi contro cui spesso naufragano tutti e tanti incontri individuali e di gruppo, ossia indicano i mezzi per evitarli. All’idea espressa in questo articolo contrasta la leggerezza con cui spesso è considerata la dimensione relazionale del mondo dell’assistenza sociale e sanitaria, nella ricerca pedagogica e psicologica.

Professionisti e volontari sono facilmente portati a sottovalutare la necessità di una preparazione all’incontro interpersonale, i primi facendo affidamento sulla propria competenza tecnica, i secondi fidandosi eccessivamente della buona volontà. Le conseguenze di un simile stato di cose non mancano di tradursi in situazioni di disagio che rendono meno umano il servizio all’approccio pedagogico e psicologico utilizzato, che attinge a fonti di sicura fede umanistica e umanitaria, invitando a un approfondimento e alla formazione del dialogo e alla relazione di aiuto.

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Un angelo in cammino per il mondo

Intervista a una amica “nomade”

Un angelo in cammino per il mondo

Il viaggio come esperienza di vita, di impegno, di attivismo. “Sono convinta che il modo migliore per valorizzare questa mia vita sia esplorare il mondo, che sia il paese vicino o l’altro capo del pianeta”.

Intervista a Cristina Bonzagni

Intervista di Laura Tussi a Cristina Bonzagni

Perchè ti definisci nomade?

Sono Cristina Bonzagni, di anni 45, segni particolari emiliana nomade.

Da tanto tempo ormai vivo dove capita, fra un lavoretto precario e l’altro. Il mio obiettivo principale è sempre stato viaggiare. Sono convinta che il modo migliore per valorizzare questa mia vita sia esplorare il mondo, che sia il paese vicino o l’altro capo del pianeta.

Così ho scelto di ribaltare tutto, di non dare troppa importanza al lavoro, di non metterlo al primo posto. Tratto il lavoro (o meglio i lavori) per quello che sono: strumenti per raggiungere i miei obiettivi. Di conseguenza i lunghi studi fatti vengono puntualmente accantonati per fare spazio a qualunque (o quasi) opportunità lavorativa mi capiti lungo la via.

In cosa consiste la felicità per Cristina?

Se qualcuno mi chiedesse che cos’è la felicità, la descriverei come un enorme zaino pronto a partire insieme a me senza destinazione. La felicità è partire. Senza organizzare troppo, solo il minimo indispensabile. Partire ed esplorare la diversità. Diversità di paesaggi, di linguaggi, di tradizioni, di culture. La diversità mi affascina da sempre quanto il decollo di un aereo.

Perchè ti piace viaggiare?

Negli ultimi 20 anni ho trascorso il mio tempo girovagando per l’Italia e per il mondo per motivi di studio prima e di lavoro e piacere poi. Se penso a me vedo una giovane donna con il trolley sempre aperto, con un biglietto sempre pronto, costantemente in partenza e con la mente ed il cuore in attesa di cambiamenti. Mi vedo straniera in tanti luoghi, quasi sempre in viaggio da sola con il mio zaino.

Viaggiare da sola è stata la conquista più importante della mia vita finora. Scoprire di stare benissimo in mia compagnia, di non soffrire di solitudine e di saper affrontare i tanti imprevisti dei viaggi cosiddetti “on the road”, mi ha inevitabilmente aumentato la scarsa autostima, rendendomi più consapevole delle mie potenzialità.

Raccontaci il tuo impegno nel mondo dell’attivismo e del volontariato

Si sa che ogni viaggio autentico arricchisce, aiutando ad apprezzare il valore aggiunto ed inestimabile della Diversità. E a tal proposito posso senz’altro affermare che esista una sorta di “filo rosso” che lega questa passione al mio impegno nel mondo dell’attivismo e del volontariato.

Viaggiando, nasce ed evolve in me un profondo desiderio di partecipazione attiva. Dall’esplorazione e quindi dalla conoscenza, matura la voglia di contribuire in qualche modo a rendere questo mondo un posto migliore.

Ecco allora il mio impegno ambientalista e la professione di educatore ambientale esercitata per tanti anni nelle scuole di ogni ordine e grado e nel contempo l’attivismo sociale per diverse associazioni locali e nazionali.

Cosa intendi per fragilità?

Il mio mondo ruota attorno al volontariato ormai da tanti anni e questo accade per un motivo molto semplice: aiutare gli altri, chi ha bisogno, i più fragili, gli ultimi, mi fa stare bene. Mi rende felice così come viaggiare. Non posso farne a meno.

Descrivi il tuo incontro con Mimmo Lucano

Dopo anni trascorsi fra partenze e attivismo con varie realtà locali arriva però il vero ciclone che mi travolge: l’incontro nel 2018 con Domenico Lucano, ex sindaco di Riace. Una persona di rara autenticità che sa realmente emozionare e coinvolgere chi si pone attentamente in suo ascolto.

Quali sentimenti ti ha suscitato l’incontro con Mimmo Lucano?

E grazie a Mimmo in me scatta una molla che amplifica il desiderio, già presente, di mettermi in gioco, di fare la mia parte.  La sua umanità è contagiosa e i mesi successivi a quel primo incontro mi vedono nella mia Bologna a portare aiuti ai senzatetto trascinandomi appresso per le vie del centro un paio di trolley pieni di vestiti e coperte da distribuire.

Perchè proprio Moria?

Non riesco più a fermarmi e poco tempo dopo raccolgo indumenti e altri aiuti da portare nel campo profughi di Moria sull’isola greca di Lesbo. Rimango là circa una settimana nel dicembre 2018 e posso dire che rimarrà senza dubbio una delle esperienze più intense della mia vita.

Perchè proprio Riace?

Ma un pezzetto del mio cuore è rimasto nel profondo Sud Italia. E so che devo tornare laggiù.

Allora divento una pendolare che, fra un impegno e l’altro, appena possibile ritorna a Riace. E ogni volta nuove attività, nuove scoperte, nuovi amici. Il legame con il luogo diventa così sempre più saldo.

Ormai sono passati due anni da quel primo incontro con Mimmo Lucano e con la sua Riace.

Due anni davvero ricchi di emozioni e di difficoltà. E adesso vi scrivo dalla mia casa provvisoria di questo piccolo borgo della Locride calabrese. Sto cercando di stabilirmi qui perchè la consapevolezza di aver trovato finalmente il mio posto nel mondo dopo una vita di nomadismo si è rafforzata e si rafforza giorno dopo giorno.

Riace è il luogo del cuore in grado di regalarmi un sorriso ogni mattina nel momento stesso del risveglio ed è qui che sta iniziando con gioia una nuova fase di questa mia vita.

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Noi abbiamo un sogno

Per una nuova educazione

Noi abbiamo un sogno

Vogliamo recuperare l’immaginazione e la creatività di cui abbiamo tanto bisogno a scuola.
Occorre tornare a essere importanti per il futuro di coloro che erediteranno madre terra.
Laura Tussi

La scuola. Questa nostra scuola gerarchizzata che ancora mantiene ruoli inammissibili, autoritari, che derivano dalla realtà di una società afflitta da innumerevoli degenerazioni psichiche.

Questa scuola nella quale l’unica cosa che dobbiamo fare è insegnare a addizionare e sottrarre.

La scuola e i suoi metodi di insegnamento. La Chiesa e i suoi metodi di controllo.

Di sicuro c’è che la scuola è in crisi. Naturalmente è un’opinione personale, sebbene condivisa da molti. E questa crisi è molto più profonda e difficile da gestire di quelle economica, poiché quel che accade alla scuola è un riflesso fedele di quanto sta avvenendo nel nostro mondo. Un mondo diseguale. Ingiusto.

Un mondo nel quale l’individualismo, il materialismo si antepongono a un valore necessario indispensabile: l’umanità. La scuola rimane estranea a tutti questi problemi. È ancorata a una metodologia arcaica e superata nella quale primeggia maggiormente una aberrante burocrazia rispetto a un compito delicato e sempre più sottovalutato: quello di educare. Una scuola disorganizzata che non si degna di rispondere ai bisogni provenienti da un mondo in mutazione plurale, che deve far fronte a problematiche ogni giorno più complesse. Una scuola raffazzonata che compie continue riforme educative senza andare alla radice del problema perché per questo non vi è mai tempo. Una scuola normale?

Nel cosiddetto “villaggio globale” scopriamo che la nostra scuola si guarda allo specchio della società violenta e competitiva. E anche qui i conflitti si risolvono con l’aggressività. E la violenza è implicita in ogni parola che pronunciamo perché è sempre stato così: un modo ereditato dai potenti. È in definitiva una scuola sottomessa all’onnipotente libro di testo, pressante, eccessivo. Il bisogno di offrire ai nostri studenti uno sguardo diverso sul mondo differente da quello che ci mostrano i mezzi di comunicazione: stereotipato e parziale. Cerchiamo il modo tramite cui gli studenti così giovani con i loro anni sono capaci di comprendere quello che risulta incomprensibile: l’ingiustizia sociale, la fame, la distribuzione disuguale della ricchezza, l’impatto dell’uomo e le conseguenze per il pianeta. Attraverso la realtà cerchiamo di collegarli con situazioni differenti per farli sentire speciali.

Vogliamo che siano loro i protagonisti del cambiamento per una volta, attori indispensabili per terminare l’opera. Oltre l’aula è possibile comprendere gli altri, trasmettere umanità. Vogliamo aprire agli studenti le porte del mondo e avvicinare tutta la sua bellezza. Vogliamo recuperare l’immaginazione e la creatività di cui abbiamo tanto bisogno a scuola.

Tornare a essere. Essere importanti per loro, per i nostri figli indifesi di fronte a una società che li considera pregiudizialmente degli idioti, incapaci di discernere tra il giusto e l’ingiusto. Che li soppesa sulla bilancia perché valgono solo per ciò che consumano. I figli e i nostri nipoti che erediteranno madre terra.Ereditare la Terra, costruire una nuova educazione

Questo ci proponiamo. Non possiamo affermare che lo abbiamo realizzato pienamente. Non ci siamo nemmeno sempre sentiti compresi. Non siamo stati capaci di condividere con gli altri il compito. Noi docenti non condividiamo sempre la stessa visione del mondo, ma siamo condannati a imparare a lavorare insieme e è il nostro esame pendente perché tutti facciamo parte della soluzione del problema, famiglia e scuola. Le strutture del sistema scolastico sono troppo radicate e resistono al cambiamento.

Tentando di costruire, finiamo di distruggere perché riproduciamo nelle nostre classi gli stessi schemi che troviamo nella società per finire col soffrire dei suoi stessi mali.

Servirebbero anni per riconoscere tutto ciò che non funziona in questa nostra scuola, quella che indottrina. La scuola del controllo sociale. Un fine così opposto a quello di riuscire a far cambiare ai nostri studenti lo sguardo che hanno sul mondo. Ed è inevitabile concentrarsi più sul cammino che sulla meta. Certamente qualcosa abbiamo ottenuto.

Siamo riusciti a far loro comprendere che esistono realtà distinte e persone diverse. Che siamo differenti. Le nostre diversità. Un qualcosa che non succede tutti i giorni nelle nostre classi: alla fine prima di tutto una persona andrà a far parte dell’universo emozionale dello studente trascinandosi così tanto i suoi difetti quanto le sue generalità.

Ci resta molto cammino da percorrere. E cosa ci importa se non disponiamo di tutte le risorse, di tutte le certezze: siamo nel posto giusto. Una scuola nuova e necessaria e imprescindibile. Tornare a sognare con un percorso differente. Un futuro alternativo.

Un altro mondo è possibile. Noi abbiamo un sogno. Di questo si tratta.

 

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Chiara Castellani: “Pensare al proprio prossimo”

Intervista sulla solidarietà al tempo della pandemia

Chiara Castellani: “Pensare al proprio prossimo”

“O si entra in questa dimensione di voler pensare agli altri e ciascuno di noi entra in questa prospettiva anche di globalizzazione della solidarietà con gli altri, o non riusciremo a salvarci tutti assieme, in questo dovremmo imparare anche dall’Africa”.
Laura Tussi22 settembre 2020

Intervista a Chiara Castellani a cura di Laura Tussi e Fabrizio Cracoliciin collaborazione con Emanuele Cusimano e Paolo Moro

 

 

Il mondo si scopre improvvisamente colpito da un virus che sta letteralmente cambiando il modo di vivere e di concepire la vita della stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta.

Quali pratiche occorre attivare per risolvere a livello planetario e locale emergenze che sempre più coinvolgono l’intera umanità?

 

In pratica sintetizzerei in una sola parola: pensare al proprio prossimo. Perché se le mascherine, come le abbiamo qui in Congo, che sono mascherine esclusivamente chirurgiche, ma confezionate con stoffe che proteggono gli altri ma non te dagli altri, o si entra in questa dimensione di voler pensare agli altri e ciascuno di noi entra in questa prospettiva anche di globalizzazione della solidarietà con gli altri, o non riusciremo a salvarci tutti assieme, in questo dovremmo imparare anche dall’Africa.

Perché nei mesi in cui la pandemia era particolarmente cruenta, ho ricevuto tantissimi, non solo messaggi, ma espressione di tutti i tipi di solidarietà con il Paese, con l’Italia di viva solidarietà con la mia famiglia. La gente mi mandava, pur essendo povera, quei centesimi che mi servivano per poter chiamare l’Italia. Mi dicevano “ti ho mandato un credito per poter chiamare la tua famiglia”. In Congo si è percepita questa solidarietà globale, invece altrove proprio non riesci a percepirla. Qui in Europa sento che questa solidarietà globale, questo volere essere solidali con i morti del Brasile, con i morti dell’India non è così forte come invece l’ho sentita da parte dei miei fratelli congolesi. O si rientra in questa dimensione di solidarietà globale, o non sapremo approfittare di questa che in fondo è una sfida di salute universale e solidarietà globale. Questo dovrebbe insegnarci sostanzialmente una cosa: o ci si salva tutti o non si salva nessuno. Se invece si utilizza la pandemia, come purtroppo vedo, in certi politici qui in Italia e a livello mondiale, per voler dire il “virus cinese” e voler per forza cercare dei colpevoli e dei corresponsabili, dei capri espiatori, se si vuole per forza trovare i colpevoli di questa pandemia, invece di capire quello che è veramente importante, ossia è la solidarietà globale e mondiale e universale, avremo in fondo perso una grandissima occasione per ristabilire un mondo fondato sulla pace e sulla solidarietà e sulla nonviolenza e si sarà ulteriormente accentuata la bellicosità dei nostri governanti.

 

Come l’umanità deve attivarsi per invertire questa rotta e per ricominciare a costruire una socialità, una convivenza e modelli di solidarietà vicini alle esigenze e necessità di una Madre Terra sempre più in difficoltà?

 

Proprio comprendendo che probabilmente, tra l’altro, la radice di quella epidemia sussiste: è la violenza che abbiamo perpetrato alla nostra Madre Terra. Questi cambiamenti climatici e ambientali hanno fatto in modo che dei virus animali, e non soltanto il covid, ma anche l’Ebola, dei virus che prima erano prettamente del mondo animale, stanno in questo momento contaminando l’uomo. Forse perché si è violato quell’equilibrio uomo e ambiente, che finché rispettavamo la natura, rispettavamo il microclima, non si era alterato.

Stiamo alterando l’equilibrio mondiale. Questo prospetta già adesso, con questa pandemia, una dimensione apocalittica che possiamo invertire soltanto cercando di stabilire nuovi modelli di sviluppo che evitano il surriscaldamento ambientale e climatico e che evitano lo sfruttamento non controllato della natura, del territorio e della Madre Terra.

 

Le spese militari nel mondo aumentano e i servizi sanitari vengono drasticamente ridotti. E ne risentono anche i settori della formazione e della cultura in genere.

Come attivarsi per un’inversione di questa tendenza?

 

Sarebbe sufficiente la volontà politica, ma anche proprio una inversione radicale di rotta. Se avessimo imparato dal covid a praticare una solidarietà globale e mondiale e universale, saremmo più tentati a cambiare rotta di fronte a un virus che ci sta colpendo tutti e in modo indistinto e indiscriminato, ma di cui le vittime sono soprattutto i più poveri e i più deboli: e adesso con l’esempio del Brasile e del Sudafrica e anche dei paesi poveri e già bistrattati da altre epidemie come la malaria, come l’AIDS.

Se entrassimo invece nell’ottica di non voler cercare i colpevoli e i capri espiatori, se usciamo dalla mentalità del “virus cinese”, e capiamo che i cinesi sono stati vittime, le prime vittime come lo siamo stati Tutti noi in questa solidarietà fra gli oppressi, si può invertire questa catastrofe mondiale e si può anche evitare di incidere ulteriormente sulla corsa agli armamenti. Stiamo purtroppo perdendo un’occasione planetaria, per cercare di dirigere l’umanità verso la Pace.

E stiamo invece cercando di costruire sempre nuove guerre, nuovi conflitti e nuove conflittualità che non possono portare ad altro che alla corsa agli armamenti.

 

Come possiamo da questa tragica esperienza trarre nuova energia per affrontare le grandi sfide del Terzo Millennio?

 

Proprio cercando di cogliere questa sfida per la solidarietà globale. Questa sfida e questo insegnamento molto grande dell’epidemia che parla chiaro: o ci si salva tutti o ci ammazziamo tutti. E se invece di saper rispondere a questo appello della solidarietà globale a cui ci chiama la pandemia, noi rispondiamo con conflittualità e con la ricerca di colpevoli e con la ricerca di nuovi conflitti, non solo avremmo perso una grande occasione per la pace nel pianeta, ma avremo ulteriormente aizzato guerre fredde che prima o poi diventeranno calde e se diventano calde diventano nucleari.

 

La cronaca giornaliera ci dà delle indicazioni di giovani soprattutto che sono refrattari all’uso della mascherina e alle regole e non riescono a capire che dobbiamo cambiare modello di vita perché questa pandemia ci condizionerà per molto tempo, se non adottiamo le dovute pratiche preventive. Come possiamo convincere queste persone a seguire le regole?

 

Purtroppo il negazionismo non esiste soltanto per il covid. In Congo sono stata testimone del negazionismo nei confronti dell’AIDS.

Una sindrome inventata.

Quando senti che il rischio di contagio e il rischio di infezione limita la nostra libertà, si può soprattutto avere questo rischio tra i giovani che vorrebbero avere la loro libertà sul piano sessuale, nel caso dell’AIDS, sul piano anche sociale, dove viene imposta la cosiddetta distanza sociale che poi comunque è comprensibile con delle relazioni umane.

Però appunto questa limitazione è sentita come una trappola come addirittura un bavaglio. Ossia “se ci mettono la mascherina è come una museruola”. No, la mascherina non è una museruola. Dobbiamo ritornare al punto di partenza in questa mentalità che la mascherina serve per proteggere l’altro. Devo mettere la mascherina per proteggere gli altri. E se voi ragionate alla stessa maniera, non ci sarà più diffusione del virus. E riusciamo a controbilanciare. Ma se voi dite che la mascherina non serve a niente perché non protegge allora significa che si agisce per egoismo. Un conto è il desiderio di libertà dei giovani, un conto è l’egoismo che si può solo condannare.

Per altruismo dobbiamo indossare la mascherina. Perché dobbiamo avere preoccupazione degli altri e soprattutto i giovani devono avere la preoccupazione per gli anziani, per i loro nonni, per i loro genitori e per tutte le persone che li hanno preceduti nella costruzione di questa società di cui facciamo parte e che è giusto proteggere proprio perché i nostri anziani ci hanno lasciato in fondo questa Madre Terra in eredità.Laura Tussi con Chiara Castellani (a destra)

Parole chiave: castellani chiarachiara castellanicoronavirusspese militari

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E’ morto Virginio Bettini

Era nato a Nova Milanese nel 1942

E’ morto Virginio Bettini

Ha collaborato con Barry Commoner e con lui pubblicò a doppia firma “Ecologia e lotte sociali” nel 1976. Insieme andarono in Vietnam per denunciare i disastri causati dalla diossina lanciata dagli USA nella guerra chimica. E’ stato europarlamentare verde.
Laura Tussi21 settembre 2020

Testimonianza di Maurizio Acerbo

È morto Virginio Bettini, pioniere dell’ecologia, marxista antinucleare.

Apprendiamo con grande tristezza che è morto nella sua casa di Nova Milanese Virginio Bettini, pioniere dell’ecologia italiana insieme a Giorgio Nebbia che definiva il suo “vero unico compagno di viaggio”.

Nel 1970 era negli USA con Barry Commoner di cui tradusse in italiano il fondamentale libro “Il cerchio da chiudere” e con lui pubblicò a doppia firma “Ecologia e lotte sociali” nel 1976. Insieme andarono in Vietnam per denunciare i disastri causati dalla guerra chimica USA. Si è sempre definito “commoneriano”.

La sua è stata una vita di studio, ricerca e attivismo.

Dal 1971 al 2012 ha insegnato all’Università di Architettura di Venezia (IUAV), ecologia, analisi e valutazione ambientale ed ecologia del paesaggio. Autore di libri, ricerche e articoli che hanno dato un contributo essenziale all’ambientalismo critico nel nostro paese ha messo il suo sapere al servizio dei movimenti e delle comunità, da Seveso, alla mobilitazione antinucleare, al no tav.

È stato anche parlamentare europeo verde nel 1989. Più tardi si avvicinò a Rifondazione Comunista e fu nostro candidato nel 2001 e partecipò al Forum Ambientalista condividendo la necessità di un approccio #rossoverde anticapitalista.

Avevo preso l’impegno di scrivere la prefazione al suo ultimo lavoro, Ecologia del paesaggio, dedicato alla memoria di Giorgio Nebbia e realizzato con la collaborazione dei suoi amici e concittadini Laura Tussi e Fabrizio Cracolici di Peacelink. Insieme a loro cercheremo di farlo uscire in tempi brevi.

Virginio Bettini, come Rossana Rossanda, si è dichiarato fino alla fine marxista.

Una conferenza su paesaggio bene comune:

Le nuove generazioni che scoprono l’ecologia tramite Fridays For Future Italia faranno bene a riscoprire chi ha fatto la storia dell’ambientalismo in Italia.

 

Testimonianza di Ermete Ferraro

CI HA LASCIATI OGGI VIRGINIO BETTINI

Nato nel 1942, grande studioso ecologista ed illustre docente universitario, autorevole esponente verde in Italia ed anche al Parlamento Europeo, una vita trascorsa nell’impegno ecopacifista. Un grave lutto per il mondo ambientalista, nel quale aveva portato il messaggio eco-sociale di Barry Commoner, e per tutto il movimento ecologista e verde.

 

Testimonianza di Giovanna Baracchi

Triste questa giornata in cui ci lascia Virginio Bettini ex europarlamentare. Conobbi Virginio nel 2018, durante la campagna elettorale in cui prese vita Potere al Popolo. Decidemmo poi di presentare anche il suo libro “Dal paesaggio alla civitas” in collaborazione con Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

L’impronta delle persone conosciute che stanno lasciando questo mondo non si ferma, il vuoto che ognuno di loro sta lasciando è enorme, a noi procedere. Caro Virginio voglio ricordarti battagliero come furono le nostre poche ma accese discussioni, sempre e comunque dalla stessa parte. Un sorriso il tuo che andrà a rimpolpare il mio bagaglio assieme a quanto hai saputo trasmettermi.

 

Testimonianza di Fabrizio Cracolici e Lura Tussi

Caro Virginio,

Vir come volevi che ti chiamassimo io e Laura.
Quanti insegnamenti e quanta voglia di lottare per un mondo migliore ci hai trasmesso.
Cittadino del mondo, ci lasci per l’ultimo viaggio al tuo rientro a Nova Milanese, la tua città natìa.
Abbiamo condiviso con te gioie e tristezze per quello che avviene nel mondo e tu caro fratello e padre ci hai tenuto per mano e ci hai insegnato a non arrenderci, a non chinare mai la testa, perché dopo una sconfitta, per l’umanità c’è sempre una grande conquista.
Severo con i prepotenti e dolce con chi dona se stesso al bene comune.
Se oggi siamo persone migliori, lo dobbiamo a te che ci hai tenuto per mano in questo tempo malvagio.
Un dono è stato incontrarti e ti giuriamo che continueremo la tua lotta per un mondo migliore.
Una lacrima, una carezza e un abbraccio che accoglie caro Vir.
Ti vogliamo bene.
Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

Testimonianza di Alfonso Navarra

Mi ha appena telefonato Laura Tussi che gli era vicina di casa a Nova Milanese. E’ morto Virginio Bettini, forse di infarto, nella sua abitazione, dove viveva solo. Aveva 78 anni. Antinucleare storico, già europarlamentare dei Verdi, allievo di Barry Commoner, stava per pubblicare un libro sulla crisi ecologica e i modi per superarla. L’ultimo suo intervento pubblico e’ stato nell’incontro dei comitati, il 19 settembre a Milano, riuniti presso la Panetteria occupata per organizzare iniziative contro le atomiche tattiche a Ghedi e la corsa al riarmo e alle guerre. Ha parlato in tono appassionato, ma anche con accenti pessimistici, della necessità di dare profondità’ scientifica alla nostra azione sapendo individuare come movimento il terreno di lotta del porre limiti sociali all’invadenza pericolosissima della tecnoscienza.

Laura Tussi e Fabrizio Cracolici con Virginio Bettini (a destra)

Note: Virginio Bettini intervistato per PeaceLink da Alessandro Marescotti e Laura Tussi https://libera.tv/2014/10/08/peacelink-intervista-virginio-bettini/

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Intervista a una giovane attivista per la Palestina: Vane Marinello

Un messaggio di pace, solidarietà e uguaglianza tra esseri umani

Intervista a una giovane attivista per la Palestina: Vane Marinello

“Sono arrivata ad un punto in cui non riuscivo più a stare zitta. Continuavo a pensarci e mi sono detta bisogna cogliere l’opportunità di cambiare qualcosa. Così ho cominciato a studiare, a leggere e informarmi, ad usare i social per comunicare, per far capire e informare le persone.
su PeaceLink: https://www.peacelink.it/ospiti/a/47978.html

L'impegno per la PalestinaQuali motivi ti hanno reso un’attivista per la Palestina?

“Perché lo fai? Come hai iniziato?” Sono mesi che mi rivolgono queste domande; sicuramente e purtroppo non è cosa comune interessarsi a certi argomenti come la Palestina.
Non sono cresciuta con queste idee; in proposito la società odierna non ti dirà mai cosa è successo, non ti racconterà mai la storia com’è andata veramente.

Tu collabori con molte associazioni per la Pace nel mondo e ti occupi di divulgazione sui social; qual è la tua esperienza?

Sono nata ad Aosta il 17 marzo del 1994 e mi sono diplomata nel sociale, in scienze sociali. Dopo un’infanzia e un’adolescenza travagliata sono partita per l’estero perché volevo viaggiare. Dall’Egitto alla Turchia dal Vietnam alle Canarie alla Tunisia. Ho conosciuto nazionalità, culture e lingue diverse. Ho iniziato a lavorare come Animatrice e nelle Relazioni pubbliche di vari hotel ma ascoltando lamentele futili per cose inutili 24 ore su 24, ho cominciato a riflettere su cosa è davvero importante nella vita.
Il mio ultimo viaggio nel febbraio del 2020 è stato proprio in Vietnam, con l’associazione “Volunteers for Peace Vietnam”: è un’organizzazione di volontariato senza scopo di lucro fondata nel 2005 con l’obiettivo di promuovere il volontariato come mezzo di scambio culturale ed educativo tra le persone per generare pace e amicizia, e come approccio per affrontare le questioni sociali. La visione di VPV è un mondo di pace, in cui tutte le persone convivono con rispetto reciproco, hanno pari opportunità per svilupparsi al massimo del loro potenziale e hanno rispetto per l’ambiente.
Questo il sito di riferimento: http://www.vpv.vn/
Con un gruppo di ragazz*, per un mese, nella zona di Sapa, abbiamo aiutato a costruire una scuola per le/i bambin delle elementari, vivendo assieme, preparando piatti tipici del posto, giocando con loro.

Perché la Palestina?

La parola Palestina non è mai facile da pronunciare, come non è facile essere donna e parlare di politica. Dicono che una delle cose più importanti per farsi accettare dalla società è di non imporre le tue idee politiche sulla gente. Ce lo inculcano fin da subito. Durante la mia vita, ho sempre sentito gente dire “stanne fuori, non immischiarti in politica e nell’attivismo perché una brava ragazza non impone le sue opinioni sugli altri; una brava ragazza sorride saluta e dice grazie! Una brava ragazza non mette a disagio le/gli altr* con le proprie opinioni”.
Sono arrivata ad un punto in cui non riuscivo più a stare zitta. Continuavo a pensarci e mi sono detta “la prossima volta che hai l’opportunità di cambiare qualcosa devi coglierla, sapendo cosa e chi vuoi rappresentare e che cosa vuoi dire”.
Così ho cominciato a studiare, a leggere e informarmi, ad usare i social per comunicare, un messaggio di pace, solidarietà e uguaglianza tra esseri umani per far capire e informare le persone.
Infatti, non basta dire “sono di destra o di sinistra” per sentito dire, ma occorre farsi una propria opinione politica studiando e leggendo senza farsi influenzare nel pensiero e nelle scelte.

Quali sono stati i tuoi riferimenti più importanti?

Rispetto alla Palestina, sono grata a un amico esperto della materia, che mi ha introdotto nell’argomento perché, come accennavo prima, conoscere la storia moderna della Palestina non è purtroppo una cosa scontata. Mi è bastata una serata di approfondimento e l’ascolto di molte storie per innamorarmi della questione, iniziare a studiare e informarmi.
Il mio primo libro è stato “Gaza. Restiamo Umani” del grande Vittorio Arrigoni (Manifestolibri, 2011) e dopo aver letto un libro così non puoi assolutamente rimanere indifferente. Volevo impegnarmi e dopo qualche ricerca ho contattato la magnifica associazione “Gaza Freestyle Festival” che opera nella Striscia Di Gaza dove ha in costruzione una rampa da skateboard per le/i Gazaw* e d’insegnare varie arti e attività sportive, come fotografia, calcio e altro. Il Covid-19 ha rimandato la mia partenza e nell’attesa di realizzarla mi sto dedicando alla divulgazione, anche nelle piazze, durante le manifestazioni, della questione palestinese.
Sono un’attivista di “Giovani e Palestina” che fa parte dei Giovani Palestinesi d’Italia.
Questo il Link di riferimento: https://www.facebook.com/giovanipalestinesi.italia/
Scrivo ogni tanto degli articoli per la pagina Facebook dei “Giovani palestinesi d’Italia”: un’associazione indipendente di ragazz* palestinesi o di origine palestinese presenti in tutta Italia. Penso che sia importante continuare a parlare della causa palestinese perché in mezzo a tutte le censure noi non molliamo; questa è una cosa che ho imparato dal popolo palestinese, la resilienza nonostante tutto.

Quali sono i tuoi programmi e quelli della tua associazione?

Non sento ancora la necessità di sistemarmi (di lavorare e di avere un lavoro fisso) e di fermarmi in un posto. Mi piace cambiare, conoscere sempre gente nuova e moltiplicare le esperienze.
Sono sicura che, la Palestina un giorno sarà libera, ma nel frattempo dobbiamo continuare a parlarne.
Da quando ho iniziato ad usare i social, per la causa palestinese, ho ricevuto molti messaggi di ringraziamento da chi non la conosceva e che adesso, grazie alle nostre parole, conosce e ne è più cosciente. Non dobbiamo aver paura di parlare e raccontare le cose come stanno. Dobbiamo manifestare e urlare i nostri pensieri. Dobbiamo batterci per la libertà della Palestina perché non c’è cosa più resiliente e meravigliosa del popolo Palestinese. Dobbiamo difendere i giusti livelli di informazione che esistono nella nostra società, dobbiamo parlare di politica. Voglio essere d’aiuto e ringraziare chi mi ha ispirato: voglio essere d’aiuto alla causa palestinese, non stare zitta; battermi, continuare a parlare nonostante mi si chieda di chiudere la bocca ed essere “una brava ragazza”.

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Amore & Resistenza

Recensione al Libro di David Maria Turoldo. Il Resistente

Amore & Resistenza

Piccola recensione ritmica di Renato Franchi  & Gianfranco D’Adda, Musicisti, per il Libro “David Maria Turoldo. Il Resistente” di Guerino Dalola, con prefazione di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

David Maria Turoldo. Il Resistente, Libro di Guerino Dalola con Prefazione di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici. Recensione di Renato Franchi e Gianfranco D'Adda

Storie incredibili, straordinarie, di giustizia, speranza, libertà , amore, paura e coraggio, si incontrano nel leggere le pagine memorabili della resistenza partigiana: ragazzi, donne e uomini di ogni ceto sociale, che indignati e sopraffatti si ribellarono, salendo sulle montagne, lasciando case e affetti, per combattere la crudeltà del fascismo mussoliniano, ignorante e vigliacco, e l’invasore germanico con il suo terrificante e folle nazismo hitleriano, orrendo e feroce !

 

Una stagione di lotta armata per dare la libertà al nostro paese e alle generazioni future !!! Una libertà da cui nacque la nostra Costituzione e la democrazia!

 

In queste vicende che legano con un filo rosso questa straordinaria umanità, con la sua fede, la sua cultura profonda, l’amore per la poesia, la musica e l’incapacità di rimanere inerte di fronte al terrore, il crimine e le atrocità della guerra con le sue vittime, le macerie e il dolore, incontriamo la  figura religiosa ma emblematica e carismatica di  Padre David Maria Turoldo.

 

Un Prete “Resistente”, come cita il titolo del bellissimo e avvincente libro edito da Mimesis, curato da Guerino Dalola, dall’Anpi Franciacorta con la preziosa prefazione di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici e il contributo di importanti testimonianze di persone e amici che lo hanno conosciuto, stimato e apprezzato per il suo impegno sociale anche dopo la stagione della Resistenza!

 

In queste belle pagine, ci troviamo nei passaggi di tempo e di vita di questo sacerdote che scopriamo un po’ ribelle e controcorrente.

 

Siamo di fronte a un sognatore, un poeta, scrittore e autore  di opere saggistiche e letterarie, che senza sparare un colpo di fucile s’impegnò con tutta l’anima e il cuore nella stagione straordinaria della Resistenza.

 

“Resistenza”, parola sacra per Padre Turoldo, come sacro fu il suo cammino, in cui non accettava barbarie e ingiustizie, non definendosi mai Partigiano ma semplicemente “un resistente”.

 

Comportamento coerente intriso di pensiero culturale e sociale molto profondo, che nella lacrima di Dio lo contraddistinse per tutta la sua vita, con non pochi ostacoli da superare.

 

Alcuni momenti difficili, come la sua posizione controcorrente sul voto contro l’abrogazione della legge sul divorzio ne sono una testimonianza concreta e emblematica!

 

Straordinario il suo pensiero evangelico… così riassunto è ricordato nel libro …“ i principi religiosi non possono essere imposti a chi non crede: la religione va proposta e spiegata. Non imposta con una legge”.

 

E così il suo tentativo, nella stagione del terrorismo e degli anni di piombo, di avviare una trattativa con le brigate rosse per la liberazione di Aldo Moro, presidente della democrazia cristiana, azione che gli fu impedita e bloccata dalle gerarchie superiori.

 

Tra i tanti citiamo questi episodi significativi, che delineano la coerenza e la saggezza sociale, politica e religiosa di David Maria Turoldo.

 

Prima di continuare ad addentrarci oltre, ci teniamo scrupolosamente a precisare il fatto che io, Renato Franchi e Gianfranco D’Adda, siamo musicisti da una vita e non è il nostro mestiere scrivere recensioni di libri, in particolare come questo, che tratta un tema importante….siamo più avvezzi e allenati ovviamente a scrivere e comporre canzoni e testi e musiche e ritmi.

 

Ma quando Laura Tussi ci chiese e ci propose di scrivere il nostro pensiero, una breve recensione sul libro e sulla figura di Turoldo, ci sentimmo onorati, ma anche preoccupati di non riuscire nel compito prezioso che ci veniva affidato.

 

Ora ringraziamo Laura e Fabrizio per averci spronato a farlo, perché come a volte succede, qualcosa fa accendere la luce nella stanza buia e illumina gli occhi che si mettono a viaggiare e vanno oltre l’apparenza oggettiva delle difficoltà, e così è avvenuto questa volta, ed eccoci qui, con le nostre riflessioni nate dopo aver letto il libro!!

 

La lampadina, la luce, il lampione si accesero quando arrivammo a pagina 19  del testo, davanti agli occhi apparve una poesia, tra le tante scritte da padre Turoldo nel 1947, dedicata alla città di Milano, ancora ferita e sconvolta dagli avvenimenti bellici.

Il titolo, a nostro giudizio, e il contenuto poetico e sincero di quelle parole scritte con il cuore ancora sanguinante e addolorato ci hanno colpito profondamente.

 

Ecco alcuni frammenti del testo:

 

“Mia Povera Patria”

 

Parole,inerti, macerie

brandelli di esistenza disamorate,

panorama del mio paese …..

 

E i poeti non hanno più canti

non un messaggio di gioia

nessuno una speranza

 

E non più alberi

sulle nostre strade disperate …

 

Le vie non hanno più linee

gli archi sono cemento

 

e dentro le case

ognuno è solo con la sua diffidenza …

 

giorni che non sono che polvere

agli orli delle macerie

 

Questa non è più una città!

 

Fummo letteralmente folgorati da quelle parole immense, piene d’amore, sgomento e dolore, ma anche di un desiderio di rinascita, di vita! Pensieri che ci riportano direttamente ai nostri giorni, al tempo che viviamo, ai problemi sociali che stiamo attraversando!

 

Così si è accesa la scintilla per me e Gianfranco che ci ha portato a trovare la strada e il coraggio di scrivere questa breve recensione.

 

Con le parole di questa  poesia ci siamo trovati catapultati lì, sulle montagne, con gli occhi gonfi di paura a vivere la nostra Resistenza con Padre Turoldo, scalzi, senza un fucile, senza una pistola, una mitragliatrice, senza un colpo da sparare, un nemico da abbattere, ma soltanto una penna, un computer e così siamo salpati nell’oceano, sul vascello e nelle scarpe di questo prete ribelle e resistente, che come si racconta nel libro, le indossò per la prima volta a tredici anni.

 

La nostra barca del pensiero approda così ai giorni nostri alla riva di una canzone che sembra scritta da Padre Turoldo; la celeberrima “Povera Patria” di una toccante e dolorosa invettiva del maestro Franco Battiato, altra figura importante del panorama culturale e musicale italiano con cui si è collaborato attraverso Gianfranco che ha suonato in tanti suoi album e in un centinaio di live.

 

Povera patria (F. Battiato)

 

Povera patria

schiacciata dagli abusi del potere

 

Di gente infame

che non sa cos’è il pudore

 

Si credono potenti

e gli va bene quello che fanno

e tutto gli appartiene

 

Tra i governanti quanti perfetti e inutili buffoni

Questo paese è devastato dal dolore

Ma non vi danno un po’ di dispiacere

Quei corpi in terra senza più calore?

 

Non cambierà, non cambierà

No, cambierà, forse cambierà

 

Ma come scusare le iene

negli stadi e quelle dei giornali?

Nel fango affonda lo stivale dei maiali

Me ne vergogno un poco e mi fa male

Vedere un uomo come un animale

 

Non cambierà, non…

 

Pur  con temporalità e condizioni sociali diverse, si avverte una micidiale analogia e similitudine tra la dolorosa descrizione di Battiato di una patria alla deriva, che necessita di un freno al cinismo, di un cambiamento e di una svolta per evitare di precipitare nel baratro della distruzione sociale!

 

Anche qui però con la speranza sempre accesa che la primavera anche se tarda ad arrivare, prima o poi arriverà.

 

Come nella poesia di Turoldo, che fotografa una realtà di distruzione che richiede un bisogno e una forte volontà di ricostruire dalle macerie… anche, come la primavera di Battiato, prima o poi doveva arrivare!!

 

Questo per noi è un collegamento diretto del pensiero di chi non accetta e lotta contro le ingiustizie, ben descritto nel libro.

 

Canzoni, poesia , arte, cultura, valori profondi che accomunano  il pensiero dei pacifisti e degli antifascisti!!

 

Nelle belle pagine di questa pubblicazione in memoria di Padre Turoldo, nelle storie e nei racconti resistenti, troviamo i valori del cammino di questo sacerdote, così come altre figure di vari ceti sociali, dell’umanesimo contadino, del mondo ecclesiastico, che lo hanno visto protagonista sui sentieri  della straordinaria stagione della Resistenza partigiana … e non solo …assunti con coerenza, senza se e senza ma.

 

Il libro descrive con preziosi dettagli molte situazioni in cui Padre Turoldo si impegnò a costruire con tenacia, caparbietà e determinazione i suoi ideali di giustizia, il più delle volte combattendo contro l’ottusità e la prepotenza delle gerarchie e del potere!

 

Potremmo dire che in quelle scarpe indossate per la prima volta a 13 anni e in quella poesia sono racchiusi i valori dell’antifascismo, del pacifismo, che lo videro forte e determinato negli anni della guerra del golfo in Iraq, della nonviolenza, dei ragazzi di Nomadelfia di Don Zeno Santini, nel rispetto e nella lotta contro le ingiustizie e le diseguaglianze, per il mondo del lavoro, degli umili e degli sfruttati, delle fasce più fragili e deboli della società, e per l’immenso dolore per i morti durante la guerra e nei campi di concentramento nazifascisti, la sua passione per l’arte, la conoscenza, la musica e la cultura.

 

David Maria Turoldo, il Resistente, un libro da tenere con amore sul cuore… e anche se Padre David non amava definirsi Partigiano, ma solo Resistente, io e Gianfranco gli diciamo: tranquillo padre .. non temere … questo comunque è un libro Partigiano. Tu sei un Partigiano, perché racconti le tue scelte, il tuo coraggio, il tuo amore per la gente, perché come dice De Gregori nella sua bella canzone… sempre e per sempre da questa parte ci ritroveremo … la parte che, come hai fatto tu, si batte contro le ingiustizie per rendere migliore il mondo e la vita!!

 

Ciao Resistente

 

Renato Franchi – Musicista/Cantautore

Gianfranco D’Adda – Musicista/Batterista

 

Grazie a Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

 

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Per un’educazione trasformatrice

Per formare le nuove generazioni alla cittadinanza attiva e globale e planetaria è necessaria la formazione di educatori che siano animati non da una cultura della trincea e dell’arroccamento, ma da una cultura degli avamposti e dunque del rischio, del cambiamento e della trasformazione.

Per una scuola trasformatrice

In questo articolo mi metterò a comunicare alcuni pensieri sulla trasformazione, sul contesto mediatico, sul clima di paura e di insicurezza che produce il fatalismo e il fanatismo che impediscono il cambiamento, sempre nell’ambito del diritto costituzionale e internazionale.Il concetto di trasformazione è l’intuizione più originale che è contenuta nel curriculum Oxfam, poiché nel rapporto all’UNESCO della commissione internazionale per l’educazione del XXI secolo, presieduta da Jacques Delors, quel concetto non esisteva: si parlava di imparare a conoscere e a far vivere, a fare, a essere, ma non si faceva riferimento alla necessità di imparare a trasformare come pilastro fondamentale della nuova educazione.

Ora però diventa importante per l’educatore avere la consapevolezza che la vera trasformazione inizia sempre da se stessi e che soltanto chi è già nel nuovo nella sua mente sarà capace di innovare.

Quanti di noi per esempio sono già usciti dal Novecento e si impegnano ad abitare nel XXI secolo con il proprio pensiero e con le idee? quanti cioè hanno già compiuto questo trasloco culturale che somiglia tanto a una vera migrazione cognitiva? e quanti invece sono ancora prigionieri delle vecchie e stantie ideologie del passato (fascismo e nazismo) e delle falsità della contemporaneità?

L’educatore crede in una trasformazione.

È colui che provvede a un aggiornamento continuo, dotandosi di anticorpi cognitivi e che possiede forza e parole generatrici.

Ogni considerazione che possiamo ancora fare in merito alla necessità di trasformare la realtà deve oggi tener conto del nuovo contesto mediatico.

Voglio dire che i media e i mainstream convenzionali non sono soltanto mezzi di informazione che collegano il mondo con nuove forme di potere, influenzando i cittadini che vivono nel contesto globale e planetario. Tanti segnali ci portano a ritenere che nei nostri paesi si sta passando da una democrazia rappresentativa a una democrazia ed opinione in cui nessuno rappresenta più nessuno e si diffonde la crisi sia dei partiti politici e dei sindacati, sia delle associazioni e dei movimenti. In questa situazione di disgregazione sociale e di sfarinamento, i singoli individui sono in balia dei media e del potere.

Per catturare il consenso dei cittadini, i politici si servono di sondaggi d’opinione trasformando in questo modo la democrazia in mediocrazia. E questo che si intende dire oggi quando si parla di populismo mediatico e di regime mediocratico. Evidente che in tale contesto l’educazione diventa un’impresa difficile, quasi impossibile. Ha ragione Postman quando osserva che la scuola ha senso soltanto se riesce a svolgere un’azione di contropotere, decostruendo e ricostruendo le idee, fornendo ai giovani la possibilità di scegliere tra un pensiero allineato e conformista e un pensiero libero e divergente. Esempi di divergenza sulla de-globalizzazione (Walden Bello) rispetto alla globalizzazione. La decrescita (Serge Latouche) rispetto allo sviluppo. La cultura del dono (gruppo del Mauss) rispetto alla competitività del mercato. Non è facile dunque dare concretezza all’obiettivo della trasformazione perché oltre il condizionamento dei media vi è quello provocato dal clima di paura e di insicurezza che danneggia e genera sfiducia nel cambiamento e ingenera spirito di rassegnazione. Oggi gli educatori devono capire che la paura non è solo una categoria psicologica, ma una vera categoria politica.

Questo significa che la scuola dovrebbe interessarsi di più del codice delle emozioni e dell’educazione dei sentimenti perché come scrive il biologo cileno Maturana ciò che spinge le donne e gli uomini a agire non è la ragione, ma le emozioni. Non basta allora soltanto una mente razionale e cognitiva, ma occorre fare ricorso alla molla sentimentale ed emotiva delle passioni.

Ecco perché diventa importante trasformare nei giovani la capacità di empowerment e di resilienza rafforzando i nessi di immaginario della speranza, facendo conoscere esperienze di protagonisti positivi e l’autosviluppo dei più poveri e delle donne.

Avviandomi a concludere, se vogliamo dare vita a un’educazione trasformatrice dobbiamo innanzitutto partire da noi stessi e realizzare quella riforma di pensiero che secondo Edgar Morin ci consente di entrare con la testa nel XXI secolo, liberandoci dalle vetero – ideologie del ‘900 e avviando una nuova ecologia della mente. Essere cittadini liberi e capaci di futuro nella nostra società mediatizzata significa concepire la scuola e l’educazione come luogo di contropotere e baluardo di libertà per riaccendere il motore del cambiamento e aprire una nuova strategia di speranza che ci consente di uscire dal tempo delle passioni tristi.

È importante dedicare più attenzione alla sfera delle emozioni, dei sentimenti e delle relazioni. Gli educatori devono tornare ad essere dei soggetti sociali e culturalmente eversivi perché l’educazione rafforza sempre nei cittadini il senso della possibilità in contrasto con ogni determinismo. Un educatore in quanto insegnante non può mai accettare di essere considerato un impiegato o un funzionario. Per formare le nuove generazioni alla cittadinanza attiva e globale e planetaria è necessaria la formazione di educatori che siano animati non da una cultura della trincea e dell’arroccamento, ma da una cultura degli avamposti e dunque del rischio, del cambiamento e della trasformazione, nella nostra società complessa, sempre nell’ambito del diritto costituzionale e internazionale.

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    E’ necessario mandare i bambini al nido per farli essere più “preparati”? In una società arrivista, capitalista e frenetica, anche i bambini devono “stare al passo” degli adulti. La tradizione pedagogica non violenta e “illichiana” possono invece aiutarci a mettere al centro i bambini.
    15 agosto 2020 – Linda Maggiori
  • L'Antifascismo di padre in figlia

    PACE
    Patrizia Mainardi si racconta

    L’Antifascismo di padre in figlia

    “Mobilitarsi significa agire, partecipare, manifestare e rivendicare il rispetto delle fondamentali esigenze della convivenza sociale”. Intervista alla Presidente Anpi Salsomaggiore Terme, figlia di Anteo, il Partigiano “Canto”.
    6 agosto 2020 – Laura Tussi
  • E' tempo di pensare

    PACE
    Un brano musicale in un video

    E’ tempo di pensare

    Pubblicato su internet il video che accompagna il brano della cantautrice e attivista per la Pace Agnese Ginocchio dal titolo: “E’ tempo di pensare”. Il brano è stato composto durante il periodo di quarantena. Nel video, il fotogramma che richiama il libro “Riace. Musica per l’Umanità”
    30 luglio 2020 – Laura Tussi