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Per un futuro senza eserciti

Recensione

Per un futuro senza eserciti

Contro la guerra infinita e la militarizzazione sociale

Libro

Recensione di Laura Tussi

Recensione al Libro – Atti del Convegno antimilitarista tenutosi a Milano edito dal gruppo editoriale ‘Usi – Cit’ e Zero in condotta.

 

Questa riflessione e presa di consapevolezza e di azione collettiva contro la guerra, il militarismo, la violenza, dal titolo “Per un futuro senza eserciti: contro la guerra infinita e la militarizzazione sociale”, risulta e prende forma e consistenza di attivismo e militanza pacifista e nonviolenta, dalla profondità dell’esigenza di non arrendersi alla logica dominante del neoliberismo, dei poteri forti e dell’emergenza di reazione a un’urgenza macabra, atroce e quotidiana di distruzione e di morte. Negli atti di questo convegno editi da Usi- Cit e Zero in condotta si leggono i contributi di singoli, gruppi e organizzazioni nel tentativo sociale e politico, della volontà di capovolgere nella pratica e nel pensiero, la tragica congiuntura e crisi strutturale economica, politica e sociale e di valori attuale. Con gli approfondimenti, le note, i dati elencati dei relatori risulta che la scelta antimilitarista dovrebbe essere essenziale e scontata. Ma da questo studio emerge che risulta paradossalmente difficile e complicato capovolgere e rovesciare e disinnescare i meccanismi sociali del razzismo e i dettami del linguaggio che chiama la guerra ‘pace’, la distruzione ‘democrazia’, le persecuzioni razziali ‘sicurezza’, la povertà e l’umiltà ‘assenza di decoro’.

Questo testo, attraverso le diverse sensibilità intellettuali culturali e di ricerca degli innumerevoli relatori partecipanti, vuole diventare uno strumento, o meglio, una risorsa per  pensare, ripensarsi e approfondire, confrontarsi e dibattere. Infatti risulta inaccettabile spendere e sprecare 64 milioni di euro al giorno per le spese militari: acquisire strumenti di guerra, armi sempre più sofisticate e letali per commettere atti di morte e distruzione significa abituare tutti gli essere umani alla logica del terrore e alla dinamica della sopraffazione. Perché non rientra nella norma di una vita felice vivere in territori dove sono installati ordigni bellici, basi militari, testate nucleari e poi faticare per uno stipendio dignitoso, accettare che si taglino posti di lavoro e si scarichino queste tensioni sugli ultimi della terra, dai migranti ai disabili ai senzatetto.

Dobbiamo provare a diffondere gli atti di questo importante convegno e raccontarli e soprattutto trasformarli in momenti concreti di lotta, per non arrendersi al negativo e al brutto imposto dal potere. Ma al contrario per far diventare la realtà quotidiana il vero mondo che vogliamo, “un altro mondo possibile”, bello e positivo. In questi atti, la federazione anarchica e l’unione sindacale italiana ragionano sul rilancio dell’attività antimilitarista, sulla spesa militare correlata all’industria bellica con le infrastrutture militari, le forze armate in un sistema che ingenera guerre, profughi, immigrazione. Alternativa Libertaria analizza le problematiche connesse alla Nato e alla politica di potenza. La Lega per il disarmo unilaterale denuncia il rischio di una guerra nucleare, attualmente in aumento e annuncia un alto monito di speranza come il trattato Onu del luglio 2017, trattato di proibizione delle armi nucleari varato a New York a palazzo di vetro con 122 nazioni e la società civile organizzata in Ican – Campagna per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari, che è valsa, a tutta questa vasta rete di attivisti per il disarmo nucleare universale, il premio Nobel per la Pace nel 2017.

E ancora le stragi dell’uranio impoverito, che vede l’Adriatico una discarica di bombe inesplose sganciate dagli aerei e gli effetti devastanti e l’uso bellico di questo agente altamente radioattivo.

Inoltre si fa presente che alcuni aerei cacciabombardieri f35 sono di stanza nella base militare di Amendola e sono forniti della stessa dotazione degli Eurofighter.

E ancora ricordiamo la piaga mortifera dei poligoni di tiro, come in Sardegna. E la Sicilia che diviene una piattaforma militare nel centro del Mediterraneo con il tragico excursus di basi militari USA e NATO: la Sicilia che ieri era ponte verso l’Africa e oggi è frontiera della fortezza Europa con vari aspetti nevralgici del militarismo dilagante e della questione migranti. La Sicilia che ha visto ingenti lotte popolari contro la militarizzazione: Augusta, Comiso, Niscemi. Ricordiamo la caratteristica della lotta No Muos, tra solidarietà, incomprensioni, indifferenza. Dunque occorre incrementare le azioni di contrasto e opposizione alle politiche di guerra e di investimenti e spese militari, tutte risorse sottratte alle nostre principali necessità di case, ospedali, asili, scuole, servizi sociali e risulta soprattutto necessario disincentivare la spregiudicata propaganda militarista nelle scuole e nelle università per formare invece le nuove e future generazioni alla salvaguardia e alla tutela dell’ideale umanitario e umanistico più bello e importante: la pace.

 

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Medicina Democratica – Riace. Musica per l’Umanita’

Recensione di Maurizio Marchi

Medicina Democratica – Riace. Musica per l’Umanita’

Maurizio Marchi – Medicina Democratica Livorno scrive sul sito nazionale una recensione a un libro di attivismo per la pace come Riace. Musica per l’Umanità
Medicina Democratica

Riace. Musica per l'Umanità

Mettiamo a disposizione una recensione al libro

“Riace, musica per l’umanità” Autori vari,

a cura di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici
Mimesis Edizioni

http://mimesisedizioni.it/

Sono onorato di scrivere questa recensione, io umile eco-pacifista di provincia . Non una provincia qualsiasi, ma quella di Livorno, che concentra quasi tutte le contraddizioni denunciate dagli autorevoli autori del libro, dalla base USA di Camp Darby, al porto militarizzato di Livorno, alle grandi fabbriche inquinanti e climalteranti di Livorno, Rosignano e Piombino. Il libro “Riace” è agile e profondo allo stesso tempo: ruota intorno alla straordinaria esperienza di accoglienza e integrazione dei migranti a Riace, un paesino della Calabria orientale, già celebre per i famosi “Bronzi”, che testimoniano di antichi rapporti interculturali. Paesino spopolato dall’emigrazione verso nord dei calabresi, e fatto rivivere dai migranti, prevalentemente profughi di guerra, accolti dal sindaco Domenico “Mimmo” Lucano: un’esperienza straordinaria descritta nell’intervista a Mimmo, e proposta dagli altri autori del libro a ricevere il premio Nobel per la pace.
Scrive padre Alex Zanotelli nel suo pezzo “per un’utopia possibile”:
“Ho gioito quando ICAN 1ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace, per il suo impegno contro le armi nucleari. Come credente nel Dio della vita, non posso che essere contrario a questi strumenti di morte che minacciano oggi l’umanità. Lo sono anche come missionario che ha toccato con mano la sofferenza degli impoveriti. Infatti le armi nucleari proteggono un sistema profondamente ingiusto, proteggono il 10% della popolazione mondiale che consuma da sola il 90% dei beni prodotti.
Penso sia significativo legare il Premio Nobel dato a ICAN per la campagna contro le armi nucleari e la campagna per dare il Premio Nobel a Domenico Lucano, sindaco di Riace, il paese dell’accoglienza.
L’umanità ha oggi davanti a sé due gravi minacce,
Mentre l’abolizione delle armi nucleari e una nuova politica di accoglienza, come è stata fatta a Riace, permetterebbero all’umanità di rifiorire.
Per me è chiaro che il primo passo è quello dell’abolizione delle armi nucleari, perché servono a proteggere privilegi.
Le armi atomiche servono a proteggere un sistema mondiale ingiusto che forza 3 miliardi di persone a vivere con due dollari al giorno e 821 milioni a patire la fame. Per cui gli impoveriti sono costretti a migrare.
Le migrazioni oggi non sono un’emergenza, sono strutturali a questo sistema.
Per questo mi auguro che la campagna per il Premio Nobel per la Pace a Lucano abbia successo e che Riace diventi un esempio per tutti, dimostrando che le migrazioni non sono un problema, ma una risorsa per far rivivere questa vecchia Europa.”
Notiamo il termine “Impoveriti” che usa Alex: non poveri, ma impoveriti dalla rapina pluri-secolare da parte dei paesi predatori, essenzialmente l’Europa.
Vittorio Agnoletto, con la consueta lucidità documenta, dopo aver citato Virgilio e Ulisse:” Il diritto di emigrare, afferma il giurista Luigi Ferrajoli, dovrebbe diventare un nuovo principio costituente nell’architettura istituzionale a livello mondiale.
Il diritto di emigrare, il diritto alla libertà di movimento oltre qualunque confine, è antico come la storia dell’umanità; non a caso è stato riaffermato con forza il 10 dicembre del 1948, nella Dichiarazione universale dei diritti umani, che nell’articolo 13 recita: “1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. 2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”. Per poi proseguire con l’articolo 14: “1. Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni…”.
Nel 1966 la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici ribadisce tale diritto nell’art. 12 comma 2: “Ogni individuo è libero di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio”.
Principi ripresi dalla Costituzione italiana all’art. 35, dove afferma che la Repubblica: “Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero”.
Il riferimento al lavoro non è certo casuale; la ricerca di un’occupazione in grado di garantire il proprio mantenimento e quello di tutta la famiglia è la ragione prima che da sempre spinge ad abbandonare la propria terra, innescando fenomeni collettivi destinati a produrre profondi cambiamenti sociali.”
Fabrizio Cracolici e Laura Tussi scrivono: “ Dov’è finita la voglia di contribuire alla realizzazione di un mondo giusto, equo e solidale? Oggi i nostri fratelli fuggono da guerre e da luoghi martoriati dalla nostra sete di potere, dico nostra perché è il ricco e opulento Nord del mondo che sempre più sta sfruttando un Sud del mondo che è in una situazione insostenibile (a dire il vero, anche per la complicità di élites locali succubi e vendute).
Si sta giocando con la vita di esseri umani che l’Occidente tratta come invasori, quando i veri invasori siamo noi, con i nostri eserciti, i nostri capitali, le nostre merci.
Il “cattivismo” di chi dileggia i presunti “buonisti” dilaga continuamente come metodo di distrazione di massa: chi detiene il potere così si garantisce nuovo e rinnovato controllo sulle popolazioni, scagliando contro gli ultimi del mondo i penultimi.”
Qui è evidente la “guerra tra poveri” voluta ed alimentata dai “sovranisti” delle due sponde atlantiche.
Cracolici e Tussi vanno al cuore dei problemi: “Le tre bombe di cui tratta anche il comboniano padre Alex Zanotelli:
– l’attività militare che trova la sua massima espressione nella guerra nucleare;
– la bomba climatica che comporta quotidiani disastri e dissesti climatici per le emissioni eccessive di gas serra;
– la bomba dell’ingiustizia sociale e della disuguaglianza globale dove l’1% dei ricchi detiene risorse pari a quelle controllate dal restante 99% dell’umanità”
E propongono, richiamando Hessel, delle soluzioni:
“Stéphane Hessel, nell’appello scritto con i resistenti francesi nel 1944 e pubblicato nel saggio Indignatevi!, suggerisce delle soluzioni alla crisi economica e di valori che attualmente sta stritolando e destrutturando il pianeta. La soluzione prevede la nazionalizzazione delle banche e delle industrie strategiche con un’economia al servizio delle persone, tramite investimenti pubblici per creare lavoro e per livellare la disuguaglianza globale e sociale per evitare la miseria dei ceti più deboli che ingenera risposte razziste e capri espiatori.”
Oggi la “resistenza” si fa con nuovi strumenti:
“ la rete ICAN e le COP ONU per il clima costituiscono un impegno globale tramite cui costruire una nuova internazionale dei diritti, delle persone, dei popoli, dell’umanità. Infatti la dipendenza dai combustibili fossili e dal nucleare è alla base di un modello sociale predatorio di accumulazione insostenibile che è causa principale di guerre e conflitti nel mondo. Per questo motivo il nostro attivismo, l’impegno di noi “alter-glocalisti” è volto a salvare il clima e la pace, per costruire una conversione ecologica fondata su un nuovo e alternativo modello energetico, decarbonizzato, denuclearizzato, rinnovabile al 100%, ossia pulito, democratico e socialmente giusto.”
Alessandro Marescotti , presidente di Peacelink con sede a Taranto, aggiunge nuove riflessioni e richiami storici fondamentali, ma scende anche in particolari “concreti” su che cosa significhi l’immigrazione sull’economia italiana e europea.
“Anche Mimmo Lucano ha deciso di violare le leggi ingiuste per un principio superiore. È accusato di favoreggiamento e di aver celebrato matrimoni per favorire l’immigrazione clandestina. Anche Valentino 2 era di fatto accusato di favoreggiamento.
A qualcuno non piacerà l’accostamento, ma siamo disobbedienti. Sia san Valentino sia Mimmo Lucano hanno compiuto un gravissimo reato: il “reato di umanità”. Di questo reato noi ci dichiariamo corresponsabili con san Valentino e con Mimmo Lucano. ……
Leggiamo i dati della Banca d’Italia riportati sul report Il contributo della demografia alla crescita economica.
Secondo la Banca d’Italia, senza migranti l’Italia sarebbe in gravissima crisi demografica ed economica, lo dicono i dati, i numeri del report che si trovano in questo mio brano, che a qualcuno risulterà un po’ indigesto.
Gli sviluppi demografici sarebbero stati estremamente penalizzanti per l’Italia se non fosse intervenuto negli ultimi 25 anni un significativo flusso migratorio in entrata. Scrive Enrico Cicchetti: “Particolarmente importante è risultato il contributo dei migranti alla crescita del PIL nel decennio 2001-2011: la crescita cumulata del PIL è stata positiva per il 2,3% mentre sarebbe risultata negativa e pari a -4,4% senza l’immigrazione. Il PIL pro capite senza la componente straniera avrebbe subito nel decennio 2001-2011 un calo del 3%”.
La demografia è centrale nel ragionamento della Banca d’Italia: si calcola che entro il 2041 nemmeno i flussi migratori previsti saranno in grado di invertire la tendenza demografica negativa in corso, per cui avremo molti anziani e pochi giovani, con uno sbilanciamento che sarà letale per l’economia se non arriveranno in nostro soccorso proprio loro: gli immigrati.
Se queste sono le conclusioni a cui sono arrivati i ricercatori della Banca d’Italia, viene da pensare che Mimmo Lucano a Riace abbia fatto esattamente quello che un sensato economista dovrebbe sostenere: l’accoglienza. Per contrastare non solo la disumanità, ma anche il declino economico.”
Anche Moni Ovadia richiama la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “Tutti gli uomini nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. “Questo enunciato – scrive – dovrebbe essere per ogni cittadino democratico il mantra di una fede laica e secolare che abbia al centro l’umanità in quanto tale prima di ogni successiva connotazione. Mimmo Lucano pratica questo mantra come un irrinunciabile strumento di relazione e di amministrazione di una comunità, per questo è riuscito a creare un’integrazione giusta eticamente e funzionalmente. È riuscito a creare un capolavoro di giustizia, mostrando che un altro mondo è possibile hic et nunc (qui ed ora, ndr).
Qual è stata la forza – prosegue Ovadia – che ha permesso a Mimmo Lucano di dare vita a un progetto così importante e vincente? A mio parere una cultura profonda e una consapevolezza che nasce dall’essersi formati al grande pensiero dell’umanesimo marxista e illuminista che ha forgiato le lotte per l’emancipazione e la liberazione degli ultimi, degli oppressi.
Gli uomini come Lucano sono il raggio di luce che fende le nebbie della sottocultura del disprezzo e dell’odio il cui esito ultimo è quello di condurre l’Italia nel marasma del discredito e dell’infamia.”
Parole pesanti quanto misurate ed appropriate che usa Ovadia. Sottolineo che è l’unico che richiama il “grande pensiero dell’umanesimo marxista e illuminista”, nel libro, in un’epoca in cui il pensiero marxista è messo di fatto all’indice.
L’intervista a Mimmo Lucano, il sindaco sospeso di Riace, è un piccolo capolavoro, che vale da solo la lettura del libro:
“Mi sono trovato per una casualità ad accogliere una nave sulle coste di Riace, con dei profughi: da quello sbarco mi sono avvicinato a questi esseri umani. Tanti elementi hanno fatto breccia nella mia sensibilità, per esempio la questione curda e le rivendicazioni politiche, che durano da più di un secolo, di questo popolo senza uno Stato, a cui viene impedito persino di parlare il proprio idioma. …………..
I nostri luoghi sono stati crocevia di scambi, di incontri, di contaminazioni tra culture, tra popoli, tra etnie e questo ci permette di incontrare con soddisfazione e orgoglio e senza pregiudizi le altre persone. …..
Avevo capito che meno le realtà sono contaminate dalla società dei consumi, che tende a far prevalere gli aspetti della materialità, della competizione e dell’egoismo, più sopravvive questo spontaneismo dell’animo. E questo è stato un elemento fondamentale. Nessuno ha mai detto “sono arrivati, ci rubano il lavoro”. L’apertura ci ripagava e nasceva il turismo solidale e nascevano queste attività di artigianato nelle cantine abbandonate dove lavoravano insieme persone del luogo e rifugiati.
…….. se è stato possibile in quel luogo dove si vivono queste condizioni e dimensioni di fortissima precarietà con le emigrazioni, con il latifondismo agrario, con l’emarginazione e la rassegnazione sociale, con le mafie, allora è possibile ovunque. Se è possibile nei luoghi dove si emigra, è possibile ovunque. Allora non ci sono alibi. Perché Riace non è una teoria, è una storia vera. Fatta di persone, uomini, donne, bambini. Di persone che hanno cercato di creare una comunità globale e che hanno dimostrato che la convivenza tra esseri umani che provengono da luoghi diversi e con diverse etnie e religioni è possibile. E che insieme è meglio. È possibile quasi connettere le varie identità e il riscatto dello stato sociale e dello stato umano. Riace ha dimostrato questo. Quindi anche per il futuro bisogna ripartire da quest’idea. È una speranza per l’umanità.
Le conclusioni sono di Alfonso Navarra, sotto il titolo “Il nuovo umanesimo è la nonviolenza efficace”.
“La nonviolenza di cui parlava il partigiano Hessel, e da me condivisa, non era e non è l’ideologia passiva e moraleggiante del “sopportate le ingiustizie e sforzatevi di perdonare i prepotenti”, ma l’intelligenza strategica fondata sulla forza dell’unione popolare.
Il fascismo dei nostri giorni è attrattivo non perché leva il braccio nel saluto romano e nemmeno perché offre ai suoi adepti l’adrenalina di un nuovo squadrismo; bensì perché propone assistenza sociale agli uomini dimenticati, promettendo alle vittime della globalizzazione neoliberista l’illusione dell’appartenenza a comunità omogenee, “identitarie”, frammentate, l’una contro l’altra, armate nella concorrenza reciproca.” Qui Navarra rilancia il rigetto della guerra tra poveri. E propone:
“Dobbiamo costruire una nuova Internazionale dei movimenti alternativi che sospinga le enormi opportunità di liberazione e trasformazione delle campagne ecopacifiste, a partire da quella per la proibizione giuridica delle armi nucleari, primo passo per la loro eliminazione effettiva.
La nonviolenza efficace: questa via in cui i mezzi sono omogenei ai fini è quanto mi permetto ancora di suggerire a chi, alla ricerca di un nuovo umanesimo, ha fame di verità e sete di giustizia.”
Scritto a Livorno, la città dei Quattro mori incatenati dai Medici, banchieri e schiavisti, nel primo giorno di una primavera dimezzata dal Coronavirus 21 marzo 2020

Maurizio Marchi – Medicina Democratica Livorno

1) ICAN International Campaign to Abolish Nuclear Weapons, Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, che raccoglie 541 organizzazioni in 103 paesi, e ha ottenuto il premio Nobel per la pace nel 2017.
2) Valentino, cristiano martirizzato nel 270 d.c.

Note: Anche su http://www.medicinademocraticalivorno.it/

Articolo pubblicato da Laura Tussi

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Appello: No arsenali, si ospedali

Coronavirus – Appello

Appello: No arsenali, si ospedali

La proposta dei Disarmisti esigenti, di WILPF Italia e di personalità ispirate dalla cultura della terrestrità e della pace: convertire le spese militari in investimenti per la salute, aderire al Trattato di proibizione delle armi nucleari, ritirarsi dalle guerre neocoloniali in cui siamo coinvolti
Appello: No arsenali, si ospedali

APPELLO

Appello: No arsenali, si ospedali

FIRMA QUI

Coronavirus: emergenza collegata alla distruzione degli habitat, effetto del riscaldamento globale e delle guerre.
Che fare per fronteggiarla?
La proposta dei Disarmisti esigenti, di WILPF Italia e di forze e personalità ispirate dalla cultura della terrestrità e della pace: convertire le spese militari in investimenti per la salute, aderire al Trattato di proibizione delle armi nucleari, ritirarsi dalle guerre neocoloniali in cui siamo coinvolti

Promossa da Disarmisti Esigenti e WILPF Italia (coordinamento politico organizzativo), membri italiani ICAN

Con invito ad aderire, sostenere, diffondere

 

Emergenza coronavirus: è chiaro che “dopo” la crisi in cui siamo tragicamente immersi ben poco resterà come “prima”. E noi, i promotori del presente appello, siamo tra quelli che vorremmo un “dopo” di grande cambiamento in direzione positiva, in cui il “prima” – il malsviluppo dell’accumulazione per il profitto e per la potenza che ci ha condotto alla catastrofe – sia consapevolmente abbandonato.
Questo “dopo” dovrebbe incorporare i valori che, praticati “durante”, ci permetteranno di superare nel miglior modo possibile questo difficile momento: dopo anni di chiusure nazionalistiche, di razzismi, di odi e conflitti armati, un senso di solidarietà tra le persone e tra i popoli; dopo l’attacco a tutto ciò che è statale e le privatizzazioni selvagge, una rivalutazione della sfera pubblica e degli interventi programmati da parte governativa; e soprattutto un inizio di consapevolezza della dipendenza e fragilità umana rispetto alle forze della Natura, che deve tradursi in comportamenti individuali e collettivi sobri e prudenti, di rispetto per tutta la comunità dei viventi. L’ecosistema globale sconvolto reagisce e ci attacca con “nuovi” virus, in attesa di colpi ancora più tremendi che verranno da tempeste, alluvioni, siccità, desertificazione, carestie…
Potremmo ora, edotti dalla drammatica esperienza che stiamo affrontando, finalmente percepire che tutti gli esseri umani, articolati nei vari popoli, sono una unica famiglia che appartiene alla Madre Terra e che, come consigliava Martin Luther King: “Dobbiamo imparare a vivere tutti insieme come fratelli, altrimenti periremo tutti insieme come idioti”.

La componente ecopacifista dell’arcipelago nonviolento, ispirata dai Disarmisti esigenti, e a WILPF Italia, membri della Rete ICAN (Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari), premio Nobel per la pace 2017, sulla base di questi presupposti di convivenza e collaborazione pacifica universale, propone che si inizi la conversione del sistema militare anche per sostenere le spese sanitarie urgenti necessarie per sconfiggere l’epidemia in corso, evitando la catastrofe.
L’apparato militare-industriale-fossile-nucleare è la principale causa delle minacce che incombono sull’umanità tutta: in primis il pericoloso intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica in sinergia con la disuguaglianza economica e l’oppressione le cui vittime sono in crescita esponenziale a partire da donne, bambini e i soggetti fragili.

E’ necessario, allora, che le risorse pubbliche ad esso destinate comincino a essere dirottate verso un serio “Green New Deal”, una conversione ecologica dell’economia, uno stop all’accumulazione illimitata e un focus sui bisogni umani e di salvaguardia dell’ambiente, realizzante la piena occupazione; un ecosviluppo che vede tra i suoi pilastri anche una sanità pubblica messa in grado di fronteggiare emergenze come quella terribile da coronavirus.

Come richiesta urgente per l’Italia, proponiamo in particolare che le spese militari, a partire da quelle incostituzionali degli F35 e dei sistemi d’arma offensivi, siano dirottate subito verso misure sanitarie a beneficio della vita e della salute dei cittadini.

Reiteriamo la richiesta che l’Italia ratifichi il Trattato di proibizione delle armi nucleari, contribuendo alla sua entrata in vigore. E’ mai possibile – non possiamo non chiederci – che una maggioranza al governo che ha votato per questo Trattato al Parlamento europeo poi si sottragga a questo impegno in Italia permettendo che si continuino a buttare soldi per mantenere le bombe atomiche USA in Europa (e sul nostro territorio)?

Nel mondo sono in corso varie guerre con dreammatiche conseguenze umanitarie ed ambientali, di cui tre proprio di fronte al nostro balcone mediterraneo: Siria, Yemen e Libia, questa ultima che vede più direttamente implicata l’Italia, a difesa dell’ENI, in intricatissime partite geopolitiche con il petrolio e le altre risorse energetiche come posta principale.
Dal punto di vista dell’epidemia queste guerre potrebbero essere devastanti, come a suo tempo lo fu la famigerata influenza “spagnola”.
Qui citiamo le parole dell’illustre infettivologo Aldo Morrone, direttore del San Gallicano:
“Se ci fosse una vera volontà di contrasto dell’epidemia bisognerebbe partire da un immediato stop alle guerre, da un immediato riconoscimento del diritto alla mobilità dei migranti e dei rifugiati, in sicurezza. Non è una fissazione pacifista ma una necessità scientifica”.

Ascoltiamo queste parole e decidiamo di ritirarci unilateralmente da queste guerre e di revocare le missioni militari all’estero.
Sosteniamo l’alternativa della difesa civile non armata e nonviolenta promuovendo in particolare i corpi civili e le ambasciate di pace.
Orientiamo fondi pubblici verso la riconversione produttiva della industria bellica verso il settore civile: non bombe e cannoni ma, ad esempio, i ventilatori e le attrezzature mediche di cui abbiamo tutti bisogno.
Ricordiamo il celebre adagio del mai dimenticato Presidente partigiano Sandro Pertini: “Si svuotino gli arsenali di guerra portatori di morte, si colmino i granai sorgenti di vita per milioni di persone che soffrono”.

Primi firmatari:

Alex Zanotelli  – Moni Ovadia -Luigi Mosca – Michele Carducci –

Antonella Nappi – Sabina Santovetti –

Tiziano Cardosi – Adriano Ciccioni – Tonino Drago – Giuseppe Farinella – Angelo Gaccione – Renato Napoli – Oliviero Sorbini

Coordinamento politico-organizzativo:

Alfonso Navarra, Fabrizio Cracolici, Laura Tussi – Disarmisti Esigenti, promotori di XR PACE (cell. 0039-340-0736871 email alfonsonavarra@vrgilio.it)

Antonia Sani – Giovanna Pagani – Patrizia Sterpetti – WILPF Italia

*****

«Il virus sia la chance che ci permetta di ritessere ciò che è infranto»

Lorenzo Maria Alvaro intervista Moni Ovadia su VITA

http://www.vita.it/it/interview/2020/03/17/il-virus-sia-la-chance-che-ci-permetta-di-ritessere-cio-che-e-infranto/310/

Per l’intellettuale ebreo l’emergenza sanitaria può essere un’occasione. «È una grande chance perché ci dimostra che dobbiamo fondare il nostro progetto umano sulla fragilità, non sulla forza. Ci può insegnare a porre come perno della costruzione della nostra società, la forza della fragilità»

Sono ormai tre settimane che l’emergenza Covid19 è l’argomento principale di ogni media della terra, Ma mentre prima il virus era una vicenda del lontano Oriente oggi, dopo che l’asia ha di fatto archiviato velocemente l’emergenza, nell’occhio del ciclone c’è l’Occidente. Con l’Europa, oggi il centro dell’emergenza e gli Stati Uniti che lo diventeranno presto. C’è chi però non si limita al conto dei malati o al conteggio dei danni economici. Moni Ovadia, intellettuale italiano di origini ebraiche, che come tutti è chiuso in casa, «lascio andare i pensieri, leggo molto e cerco di guardare al di là del contingente, per afferrare un’orizzonte».

 

Come vede gli italiani in questa situazione?

Molto onestamente sono in genere infastidito dalla retorica patriottarda dei politici. Trovo però che queste manifestazioni da balconi e finstre siano il frutto di una reazione collettiva che cerca di ritrovare il senso di comunità. Quello che però dovremmo ricordare è che in Italia ci sono 12 milioni di evasori. È bello cantare e condividere un momento come questo. È un modo di sentirsi vicini. Ma mi piacerebbe che insieme a questo si attivassi un processo di rimessa in questione di come viviamo, non “al tempo del coronavirus”, ma normalmente. E di conseguenza del senso cui apparteniamo. Oggi il nostro baricentro è lo sfrenato consumismo. Al limite il piagnisteo diffuso quando ci è impossibile esercitarlo. Dobbiamo ritrovare il senso della centralità della vita, della centralità del bene comune, della centralità della comunità sociale umana unica. Mi piacerebbe se si attivasse una profonda riflessione su questo. Sarebbe bello ritrovare il senso della vita, della fratellanza, della solidarietà. Non voglia fare il grillo parlante sia chiaro.

Però lo sta facendo…

Forse è vero (ride). Ma deve essere il fatto che sto facendo un reading dell’Enciclica di Papa Francesco che credo sia un documento che dovrebbe diventare patrimonio comune. Se c’è uno che non crede e che non è cattolico né cristiano sono io, però accidenti bisogna dire che è un’Enciclica prima di tutto sociale e quindi anche coerentemente ecologica. In quel testo noi ritroviamo il senso di quello che è definirsi “esseri umani” e di quel grande cammino verso una società di giustizia sociale che abbiamo intrapreso da migliaia di anni ma che è stato cortocircuitato dall’economia iper liberista che il Pontefice definisce “economia di morte”. È così vero. Basterebbe pensare che il Governo ancora a una volta mette in campo protezioni per tutti tranne che per gli operai della logistica. Ancora una volta la spina dorsale del sistema produttivo, la classe operaia, viene dimenticata in ragione del profitto. È una malattia da cui dobbiamo guarire.

Lei che si è sempre definito di sinistra radicale divulga un’Enciclica papale?

(Ride) Ai miei amici di sinistra quando l’ho letto ho detto: “Fate un po’ come cazzo volete ma io vado a prendere la linea del Vaticano”. La verità è che abbiamo bisogno di meticciato culturale. Non ne usciamo se no facciamo un’alleanza. Come diceva Papa Giovanni XXIII servono “tutti gli uomini di buona volontà”. Senza settarismi. Non è il momento.

Può essere il Coronavirus l’imprevisto che ci dà la chance di rivedere i nostri modelli ed equilibri?

Assolutamente. Prima di tutto però dobbiamo dire che questo virus ha l’aspetto tragico delle morti. Non si può dimenticarlo. Detto questo è una grande chance. Soprattutto perché dimostra che noi dobbiamo fondare il nostro progetto umano sulla fragilità non sulla forza. Ci può insegnare a porre come pivot, come perno, della costruzione della nostra società, la forza della fragilità. Che è solo apparentemente un’ossimoro: se ci riconosciamo fragili evitiamo di cadere vittime dell’arroganza, dell’hubris.

Per citare Vaclav Havel “Il potere dei senza potere”…

Esattamente. Siamo creature fragili e questo virus ce lo sta dimostrando in modo drammatico. Oggi la cosa più sensata è accettarlo. Sarebbe bello, e lo dico in senso laico, che questo obbligo forzato di stare nelle proprie case con le proprie famiglie diventi l’occasione di un ritiro spirituale. Cioè di riflessione sul valore delle relazioni umane e di ciò che è l’autenticità che la vita ci offre che abbiamo barattato con il consumo. Anzi tramutato in consumo.

Ha citato la fragilità, l’hubris, il mondo classico che è la culla di quel pensiero e di questo modo di guardare all’uomo. In questo senso il mondo latino, mediterraneo, può tornare a indicare una strada che si è persa per inseguire una visione più calvinista della vita, sempre più chiara guardando a Boris Johnson e Donald Trump?

Come ebreo approfitto di questa domanda molto giusta per dire che, in termini weberiani, l’unica fede che ha stabilito una relazione tra accumulazione capitalistica e redenzione è cristiana: il calvinismo. Non gli ebrei. Nonostante le barzellette (ride). Mai nel Talmud né nella Torah si troverà un riferimento all’accumulo di danaro come valore. Venendo al punto questa domanda mette il dito in una grande piaga. Tutto ciò che ha formato la civiltà dell’Occidente, del vicino Oriente e attraverso l’Islam anche a parte dell’Oriente è nato tra la Mezzaluna fertile e il Mediterraneo. Ebraismo, grecità, Cristianesimo, Islam. Sono nati in quel magico luogo. Il cristianesimo ha preso una deriva che lo ha portato a perdere i valori originali quando si è occidentalizzato, quando ha smarrito l’elemento della sapienza mediterranea orientale. Oggi l’Occidente cos’è a parte denaro, mercato e questo tipo di idolatrie? Ha una proposta spirituale? No.

L’Occidente ha anche grandi meriti però, o no?

Certamente. L’Occidente ha fatto grandi cose e dobbiamo essere onesti. Come i diritti, l’immensa cultura dei diritti. Ma di quella cultura, a parte i diritti civili che non disturbano il potere vero, non si può allo stesso tempo dire che ha abbandonato quel cammino dei diritti? Addirittura qualche solone ha scritto che a causa dei problemi economici non ce li possiamo più permettere i diritti sociali. Dobbiamo tornare al senso primo, quel cammino di conoscenza. Come diceva Emmanuel Lévinas “la filosofia parla greco. L’etica parla ebraico” e latino per via del contributo decisivo cristiano, dico io. Allora se noi ritroviamo quell’humus orientale, quell’aria desertica e quei venti del Mediterraneo, quel calore che è anche un calore intellettuale e spirituale, possiamo riprendere il cammino di redenzione dell’umanità. Se accettiamo di partire per la tangente occidentalista siamo persi. Teniamo conto che il cristianesimo diventa potere in Occidente. Ecco perché Papa Francesco è odiato dal potere, e anche da metà della sua stessa Chiesa.

In che senso?

Papa Francesco viene dall’altra parte del globo. Ma come chiamiamo le culture del Sud America? Latinoamericane. Perché c’è tutta la radice ispanica, quel clima di cui parlavo. Dove una parte del cristianesimo ha addirittura trovato la sua radice rivoluzionaria con la Teologia della Liberazione con il grande vescovo Hélder Câmara. Ma perfino il vescovo Óscar Romero è stato ucciso, nonostante non fosse un progressista. Il motivo è che difendeva il diritto dei poveri. Câmara diceva: «quando faccio l’elemosina ai poveri mi chiamano santo. Ma quando combatto la povertà mi chiamano comunista». Francesco viene da quel contesto. Quindi tronando al punto: noi europei mediterranei guardando al Medio Oriente, con rispetto invece che con aggressività, possiamo ricominciare un cammino. Ritessere quella parte interrotta per andare avanti. Dobbiamo ritessere l’infranto per poi proseguire.

A proposito della relazione Occidente e Oriente, l’economista Marcello Esposito, sostiene che questa emergenza sancisca il sorpasso orientale nei nostri confronti. È così?

Il problema è l’arroganza dell’Occidente che pensa di poter dare lezioni a tutti. C’è invece un enorme mondo, quello del lontano Oriente, che ha avuto grandissime spiritualità, verso cui noi continuiamo ad avere questo atteggiamento osceno di superiorità. Penso anche alla russofobia americana. Credo si debba piuttosto ridefinire la condizione geopolitica attraverso una pluralità di voci.

L’emergenza coronavirus potrebbe ridare la centralità perduta alla politica rispetto all’economia?

Assolutamente. Ma abbiamo bisogno di ridefinire il concetto di democrazia. Non può voler dire solo andare a votare ogni cinque anni. Questa è una scorza di democrazia. Un guscio vuoto. Per farlo serve ridefinire il senso della politica. Per me i partiti non hanno più senso, guardo ai movimenti. E guardo al Terzo settore, al sociale. Che oggi di fatto sopperisce all’abdicazione dello Stato. Quella è politica. Quella è la politica di cui abbiamo bisogno. Non i partiti. Con nuove forme da inventare. Pensiamo alla deriva della privatizzazione del mondo cominciata con Bill Clinton, tanto adorato dalla cosiddetta sinistra riformista. Bisogna ricordare che “privato” significa anche “tolto”. Cioè privare qualcuno di qualcosa. Abbiamo bisogno piuttosto di “privato sociale”, cioè di un privato che non pensa che cose come la sanità e l’acqua siano delle commodities, cioè beni negoziabili.

Note: Firma la petizione: https://www.petizioni.com/no_arsenali_si_ospedali
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Agenda ONU 2030 – Pace, giustizia e istituzioni solide

Agenda Onu 2030: gli obiettivi del terzo millennio

Pace, giustizia e istituzioni solide

L’Agenda Onu per conservare un mondo come luogo vivibile e cercare di migliorarlo

Agenda ONU 2030, il sedicesimo obiettivo è quello della paceSviluppare, ripensare e elaborare pratiche volte a sostenere un modello più sostenibile per nostra madre terra risulta attualmente sempre più necessario.

Un mezzo è stato dato: Agenda ONU 2030 che si sviluppa in 17 obiettivi fondamentali e che costituisce un punto di partenza affinché ognuno di noi si attivi a livello globale per una società più giusta, equa, sostenibile e fondamentalmente priva di guerre e di ingiustizie.

I primi quindici obiettivi di sviluppo contemplati da Agenda Onu 2030 sono tematici come gli oceani, la terra, l’acqua, le malattie, il lavoro, l’energia.

Gli ultimi due obiettivi, e soprattutto quello sulla pace, ci parlano anche di giustizia e istituzioni solide.

E non è un caso. Perché tutti gli obiettivi che ci impegnano per salvare il pianeta, non possono essere realizzati se non sussistono questi tre concetti chiave: pace, giustizia e istituzioni, tra di loro molto collegati.

I vari sottoobiettivi trattano di ridurre le forme di violenza, di eliminare l’abuso, lo sfruttamento, la tortura contro i bambini. Si parla di accesso alla giustizia per tutti. E quello che per noi è scontato non è scontato in molte altre parti del mondo. Per fare questo, occorrono istituzioni efficaci, istituzioni solide, che possono guidare un governo in un equilibrio di armonia e pace. Si parla di coinvolgere i paesi in via di sviluppo; si parla di rinforzare la cooperazione internazionale, di promuovere e far rispettare le leggi e la politica. Questo è il quadro in cui tutti gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile si devono muovere, a pena di non riuscire a realizzarsi e avvicinarsi.

L’obiettivo pace è promuovere società pacifiche e nonviolente per risolvere le povertà, l’origine delle migrazioni e delle guerre dove i futuri scenari di conflitto saranno per il dominio dell’acqua.

Il significato di pace, senza scadere nella retorica, lo declina saggiamente Norberto Bobbio, il quale sosteneva che la parola pace è sempre in una posizione ancillare rispetto al concetto di guerra. La parola pace è sempre in contrapposizione alla parola guerra. Quando parliamo di pace ci soffermiamo sempre molto sul suo contrario. Quindi l’etimologia di pace deriva dal verbo latino pacere e significa accordarsi, da cui pactum, accordo, patto. In questo obiettivo di Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile sussistono indizi che ci consentono di pensare che si può parlare di pace senza ricorrere alla guerra.

Il termine guerra non appare mai nella declaratoria dell’obiettivo Pace e nemmeno nei dieci sottoobiettivi. I due aggettivi che definiscono la società in pace non rinviano necessariamente alla guerra. I due aggettivi sono le società ‘inclusive’, le istituzioni inclusive che richiamano a società aperte e cooperanti. E l’altro aggettivo è ‘pacifico’ che non significa solo senza guerra, richiamando Norberto Bobbio.

Cosa significa tutto questo? Per chiarire occorre partire dal concetto di conflitto, che fin dall’antichità e da sempre è stato considerato un elemento ineliminabile nei rapporti umani. Il conflitto non sarebbe in contrapposizione alla pace. Il vero problema risiede nella risoluzione del conflitto che può essere violenta o pacifica. La risoluzione violenta: di cui l’espressione più alta e peggiore è la guerra.

Insomma la chiave per la costruzione di una società pacifica si risolverebbe nell’individuazione del mezzo con cui risolvere i conflitti e allora riflettere sulla pace partendo dalla pace, significa convincersi che si devono praticare soluzioni nonviolente dei conflitti. E qui cade il riferimento alla giustizia. Non una giustizia armata – anche la guerra è stata definita spesso una sorta di giustizia – bensì una giustizia trasparente, garantita a tutti, come recita l’obiettivo di Agenda Onu 2030, ossia ‘inclusiva’, cioè che utilizzi mezzi e procedimenti nonviolenti e tra questi il diritto è compreso. Bobbio non a caso parlava di pacifismo giuridico. Ma potrei anche richiamare gli arbitrati, le conciliazioni, le mediazioni e risoluzioni a livello internazionale: tutti strumenti pacifici e nonviolenti per risolvere i conflitti. Occorre essere consapevoli che nella soluzione dei conflitti, quasi mai il torto e la ragione sono tutti da una stessa parte o dall’altra. Dobbiamo sapere che esistono più soluzioni e che tra queste alcune tengono presenti e cercano di combinare le ragioni di entrambe le parti. E sono proprio queste che vanno praticate, per non lasciare sul terreno un vinto o un vincitore.

Fondamentale il contributo delle Nazioni Unite alla costituzione a livello mondiale del diritto alla pace e alla giustizia che dal dopoguerra ha visto ancora un susseguirsi di eventi bellici e sanguinosi.

Le Nazioni Unite, anche se troppo ostacolate da interessi economici di nazioni e potenze, sono comunque riuscite con molti limiti a realizzare grandi momenti di giustizia e di pace come il trattato ONU per il disarmo nucleare universale varato a palazzo di vetro a New York nel 2017 che ha portato per la prima volta l’umanità a munirsi di un mezzo giuridico che dichiari criminale il possesso di ordigni nucleari anche al fine della sola deterrenza.

Sviluppare questi punti e obiettivi per il Terzo Millennio può essere l’inizio di un grande riscatto e sussulto di dignità per l’umanità intera.

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Che fare per fronteggiare l’emergenza sanitaria Covid-19?

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La proposta di realtà e personalità ispirate dalla cultura della Terrestrità e della pace: convertire le spese militari in investimenti per la salute
Laura Tussi19 marzo 2020

Emergenza Coronavirus

Coronavirus: emergenza collegata alla distruzione degli habitat, effetto del riscaldamento globale e delle guerre

Promossa da Alfonso Navarra, Fabrizio Cracolici, Laura Tussi

Con invito ad aderire, sostenere, diffondere

 

Emergenza coronavirus: è chiaro che “dopo” la crisi in cui siamo tragicamente immersi ben poco resterà come “prima”. E noi, i promotori del presente appello, siamo tra quelli che vorremmo un “dopo” di grande cambiamento in direzione positiva, in cui il “prima” – il malsviluppo dell’accumulazione per il profitto e per la potenza che ci ha condotto alla catastrofe – sia consapevolmente abbandonato.
Questo “dopo” dovrebbe incorporare i valori che, praticati “durante”, ci permetteranno di superare nel miglior modo possibile questo difficile momento: dopo anni di chiusure nazionalistiche, di razzismi, di odi e conflitti armati, un senso di solidarietà tra le persone e tra i popoli; dopo l’attacco a tutto ciò che è statale e le privatizzazioni selvagge, una rivalutazione della sfera pubblica e degli interventi programmati da parte governativa; e soprattutto un inizio di consapevolezza della dipendenza e fragilità umana rispetto alle forze della Natura, che deve tradursi in comportamenti individuali e collettivi sobri e prudenti, di rispetto per tutta la comunità dei viventi. L’ecosistema globale sconvolto reagisce e ci attacca con nuovi virus, in attesa di colpi ancora più tremendi che verranno da tempeste, alluvioni, siccità, desertificazione, carestie…
Potremmo ora, edotti dalla drammatica esperienza che stiamo affrontando, finalmente percepire che tutti gli esseri umani, articolati nei vari popoli, sono una unica famiglia che appartiene alla Madre Terra e che, come consigliava Martin Luther King: “Dobbiamo imparare a vivere tutti insieme come fratelli, altrimenti periremo tutti insieme come idioti”.

La componente ecopacifista dell’arcipelago nonviolento, ispirata dai Disarmisti esigenti, membri della Rete ICAN (Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari), premio Nobel per la pace 2017, sulla base di questi presupposti di convivenza e collaborazione pacifica universale, propone che si inizi la conversione del sistema militare anche per sostenere le spese sanitarie urgenti necessarie per sconfiggere l’epidemia in corso, evitando la catastrofe.
L’apparato militare-industriale-fossile-nucleare è la principale causa delle minacce che incombono sull’umanità tutta; minacce tra le quali, aggiungendosi alla disuguaglianza economica e all’oppressione delle donne e dei diversi, si staglia in primo piano l’intreccio pericolosissimo tra minaccia climatica e minaccia nucleare.
E’ necessario, allora, che le risorse pubbliche ad esso destinate comincino a essere dirottate verso un serio “Green New Deal”, una conversione ecologica dell’economia, uno stop all’accumulazione illimitata e un focus sui bisogni umani e di salvaguardia dell’ambiente, realizzante la piena occupazione; un ecosviluppo che vede tra i suoi pilastri anche una sanità pubblica messa in grado di fronteggiare emergenze come quella terribile da coronavirus.

Come richiesta urgente per l’Italia, proponiamo in particolare che le spese militari, a partire da quelle incostituzionali degli F35 e dei sistemi d’arma offensivi, siano dirottate subito verso misure sanitarie a beneficio della vita e della salute dei cittadini.

Reiteriamo la richiesta che l’Italia ratifichi il Trattato di proibizione delle armi nucleari, contribuendo alla sua entrata in vigore. E’ mai possibile – non possiamo non chiederci – che una maggioranza al governo che vota per questo Trattato in Europa poi si sottragga a questo impegno in Italia e permette che si continuino a buttare soldi per mantenere le bombe atomiche americane in Europa (e sul nostro territorio)?

Nel mondo sono in corso varie guerre violente, di cui tre proprio di fronte al nostro balcone mediterraneo: Siria, Yemen e Libia, questa ultima che vede più direttamente implicata l’Italia, a difesa dell’ENI, in intricatissime partite geopolitiche con il petrolio e le altre risorse energetiche come posta principale.
Dal punto di vista dell’epidemia queste guerre potrebbero essere devastanti, come a suo tempo lo fu la famigerata influenza “spagnola”.
Qui citiamo le parole dell’illustre infettivologo Aldo Morrone, direttore del San Gallicano:
“Se ci fosse una vera volontà di contrasto dell’epidemia bisognerebbe partire da un immediato stop alle guerre, da un immediato riconoscimento del diritto alla mobilità dei migranti e dei rifugiati, in sicurezza. Non è una fissazione pacifista ma una necessità scientifica”.

Ascoltiamo queste parole e decidiamo di ritirarci unilateralmente da queste guerre e di revocare le missioni militari all’estero.
Sosteniamo l’alternativa della difesa civile non armata e nonviolenta promuovendo in particolare i corpi civili e le ambasciate di pace.
Orientiamo fondi pubblici verso la riconversione produttiva della industria bellica verso il settore civile: non bombe e cannoni ma, ad esempio, i ventilatori e le attrezzature mediche di cui abbiamo tutti bisogno.
Ricordiamo il celebre adagio del mai dimenticato Presidente partigiano Sandro Pertini: “Si svuotino gli arsenali di guerra portatori di morte, si colmino i granai sorgenti di vita per milioni di persone che soffrono”.

 

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Riflessioni e azioni per nostra Madre Terra

Intervista per un progetto:

Riflessioni e azioni per nostra Madre Terra

L’internazionale della Educazione alla Terrestrità a partire dalla Campagna per l’abolizione delle armi nucleari ICAN
Laura Tussi18 marzo 2020

Progetto Rete Educazione alla Terrestrità

di Fabrizio Cracolici e Laura Tussi,

ANPI sezione Emilio Bacio Capuzzo Nova Milanese (Monza e Brianza)

con l’approvazione di padre Alex Zanotelli

 

La Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari:

ICAN – ha una sua rete in Italia. I Disarmisti Esigenti (www.disarmistiesigenti.org) sono membri di questa rete internazionale che comprende 500 organizzazioni in 100 paesi. La coalizione ha lanciato una proposta in Italia per approfondire ed estendere l’adesione di questa campagna che può ottenere a livello mondiale l’abolizione giuridica delle armi nucleari: un canale video YouTube dal titolo “Siamo tutti premi Nobel per la pace con Ican”.

Si vada su:

https://www.youtube.com/channel/UCFWikKgRr7k21bXHX3GzE9A

 

Una intervista di Alfonso Navarra, portavoce dei Disarmisti esigenti, lancia ora la proposta all’interno di questo canale video dedicato a promuovere ICAN, di una iniziativa molto collegata agli obiettivi e alle finalità della nostra campagna disarmista.

 

Qui trascriviamo il parlato di questa intervista registrata, rinvenibile alla URL:  https://www.youtube.com/watch?v=x1SxjoRDOGc&t=84s

 

“Vogliamo proporre (in questo canale video – ndr) una sezione dedicata all’educazione alla Terrestrità.

Cosa c’entra l’abolizione delle armi nucleari con l’educazione alla terrestrità? Nell’abolizione giuridica delle armi nucleari abbiamo due concetti fondamentali: un rivolgersi a una sfida comune dell’umanità che deve costruire una società di pace attraverso il disarmo; e anche la necessità che questo obiettivo sia riconosciuto all’interno della cornice giuridica internazionale: il diritto internazionale. Quello che Papa Francesco propone come ‘nonviolenza efficace’. La frase di Papa Francesco è “la nonviolenza efficace sono i progressi del diritto internazionale”. Quindi noi eliminiamo una delle principali minacce che pesano sulla testa dell’umanità, cioè la minaccia della guerra nucleare che può scoppiare anche per caso e per errore, attraverso una codificazione del diritto internazionale. Una istanza che libera tutta l’umanità, intesa come insieme, da una minaccia comune. E la libera anche tenendo presente che la minaccia nucleare si intreccia con l’emergenza climatica. L’educazione alla Terrestrità è un nuovo concetto che diamo a questa umanità come famiglia unica. Questa umanità come famiglia unica la vediamo come collegata a un’interconnessione organica con la natura e la madre terra. Quindi Terrestrità. Noi siamo figlie e figli della terra e dell’evoluzione naturale. Da qui lo slogan positivo “Non è la terra, il pianeta, che appartiene all’umanità ma è l’umanità che appartiene alla terra”. E’ un internazionalismo ecologico di tipo nuovo quello che proponiamo che è implicito in quello che porta avanti la campagna per l’abolizione delle armi nucleari. Cioè l’umanità come unica famiglia e parte della natura.

Il fatto che vogliamo che questo concetto sia codificato nel diritto internazionale, che la terra è nostra madre e noi apparteniamo a essa, e non il contrario, significa che anche l’umanità non può essere padrona della terra come bene comune, come proprietà comune e privata, obbliga e impone un diritto, una responsabilità, un dovere all’umanità: il dovere di rispettare l’ecosistema globale e gli ecosistemi particolari. Avere il concetto della Terrestrità, cioè dell’umanità che appartiene alla terra, ha conseguenze pratiche. Ossia fonda culturalmente il dovere dell’umanità di rispettare equilibri ed ecosistemi che hanno una consistenza indipendente e autonoma. È un nostro dovere non alterare questi cicli e equilibri.

Il diritto internazionale deve codificare tutto questo.

Già questo è in nuce. Perché quest’idea non nasce dal nulla, ma è un’idea che cogliamo nello spirito del tempo, nelle lotte di tutti i movimenti alternativi di questi anni: i movimenti ecologisti e ambientalisti, i nuovi movimenti che stanno nascendo sull’onda dell’emergenza climatica. Ma è anche un’idea in nuce in quelle che sono le concezioni, le carte e i trattati che la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite ha approvato.

Vogliamo incardinare nel diritto internazionale un nuovo trattato: il trattato per la proibizione delle armi nucleari che entrerà in vigore quando 50 Stati lo ratificheranno, attualmente siamo a 30 ratifiche.

Ma ci sono tanti altri trattati: la carta della terra, l’agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile, il diritto alla pace, che rientrano in questo spirito che nasce da come la stessa ONU – Organizzazione delle Nazioni Unite ha avuto origine. Figlia del trauma della seconda guerra mondiale, un trauma sanguinosissimo in cui abbiamo visto dove portano i sovranismi e i militarismi concepiti nella loro espressione e concezione più brutale. Da questo trauma, da questi 65 milioni di morti è nata una reazione, sono nati i principi come la dichiarazione universale dei diritti umani, le carte dei diritti sociali e ambientali che possono portare all’idea di un diritto internazionale che fonda una comunità degli Stati che si legittima per il rispetto dei diritti dell’umanità e della natura.

Non la sovranità assoluta degli Stati, che attualmente è un avversario culturale, come i sovranismi, i Trump, i Johnson, i Putin, gli Erdogan, con i loro slogan negativi ossia prima i russi, prima gli americani, prima gli italiani, prima i turchi eccetera. Questo rappresenta lo Stato visto come elemento fondante della regola dei rapporti internazionali che poi diventa diritto della forza degli Stati.

Noi vogliamo invece una comunità internazionale in cui la forza del diritto prevalga sul diritto della forza e che le organizzazioni politiche siano legittimate perché rispondono, devono regolare e attivare quelli che sono i diritti fondamentali e originali, appunto fondativi e istituenti, i diritti dell’uomo già stabiliti nella dichiarazione del 1948, altri diritti sociali, ambientali e quelli nuovi, i diritti delle nuove generazioni, dell’umanità in quanto unica famiglia e i diritti indipendenti della natura da cui nasce il dovere di rispettare gli equilibri: tutti questi diritti vanno codificati. Quindi la legittimità negli Stati non è assoluta. Gli Stati sono organizzazioni che devono essere al servizio dell’attuazione di queste istanze e devono costituire una comunità armonica. Questo il discorso del progetto della ‘nonviolenza efficace’.

È un progetto che significa un’idea da proporre ai popoli del mondo per combattere la visione subculturale che attualmente rischia di portarci alle esperienze vissute nella seconda guerra mondiale.

E’ proprio con le carte dei diritti, con l’idea della costituzione mondiale dell’ONU, che vogliamo perfezionare partendo da queste campagne, i tanti risultati che ha conquistato la società civile. Dunque vogliamo continuare, con l’impegno che prodighiamo in queste istituzioni.

Personalmente ero alla conferenza del 2017 dell’ONU che ha votato il trattato di proibizione delle armi nucleari e ho partecipato alle varie conferenze Cop sul clima. Quindi siamo la società civile internazionale, ma dobbiamo riuscire a mobilitare sulle emergenze nucleari e climatiche i popoli e la gente comune. Si presenta un grande risveglio di mobilitazione e di coscienza. Stanno nascendo movimenti nuovi, di respiro mondiale come Fridays For Future, Extinction Rebellion; sono movimenti che vogliono esprimere una ribellione contro un sistema che ci sta spingendo verso il baratro. Per questo motivo dobbiamo unire questa modifica, questa trasformazione democratica dell’organizzazione sovranazionale del diritto internazionale con la mobilitazione della gente, dei popoli plurali. E per far questo dobbiamo approfondire i vari elementi e argomenti della cultura della Terrestrità; uno è quello della politica, della democrazia internazionale di pace. Ma poi anche il discorso di come organizzare la conversione ecologica del mondo e come l’economia dobbiamo subordinarla alla conversione ecologica. Un’idea è il Green New Deal. Occorre dare concretezza alla conversione ecologica. Sul sole 24 ore: titoloni sui finanzieri che stanno studiando la svolta dell’economia e del capitalismo verde.

Dobbiamo discutere sull’organizzazione dell’economia, subordinata all’ecologia su bisogni e meccanismi completamente diversi. Poi dobbiamo intervenire sul discorso della cultura, nel senso del rapporto dell’oppressione della donna, e come la donna si collega con la rivoluzione culturale della Terrestrità: il femminismo e l’ecofemminismo.

Infine il discorso sulla pedagogia della Terrestrità, della democrazia cognitiva; come andiamo a controllare gli aspetti critici e problematici dello sviluppo scientifico e tecnologico che possono portare a sbocchi negativi. Si parla di transumano e postumano, cioè di schiavizzazione dell’uomo rispetto a logiche meccaniche e macchiniche e agli algoritmi dell’intelligenza artificiale. Quindi non abbiamo soluzioni, vogliamo costruire una rete in cui queste problematiche siano proposte globali e siano discusse e in cui i vari soggetti costituenti che si occupano dalla memoria del passato fino alla nonviolenza, facciano un salto di qualità e discutano di queste problematiche in tale orizzonte globale che è l’unica alternativa all’egemonia culturale del sovranismo militarista che è organizzato e ha slogan negativi e quindi tutti noi dobbiamo rispondere con la forza delle idee”.

***

Noi dell’ANPI di Nova Milanese, tra i costituenti della coalizione dei Disarmisti esigenti, abbiamo deciso di collaborare con entusiasmo e con un apporto autonomo di competenze e di idee a questo progetto cosi’ bene espresso dall’intevista di Alfonso Navarra, che ne è l’ideatore originario ed il primo sviluppatore.

Ricordiamo che tra i Disarmisti esigenti è stato concordato che  la Rete di Educazione alla Terrestrità intende, come primo passo, contrapponendo valori e idee alla deriva sovranista, militarista e “cattivista”, e coordinandosi con la “Carta della Terra UNESCO”, promuovere e valorizzare esperienze formative ed educative riconducibili al valore di una cittadinanza universale in simbiosi con la Natura.

Dopo aver visionato la nostra presentazione video (vedi link sopra indicato https://www.youtube.com/channel/UCFWikKgRr7k21bXHX3GzE9A) e dopo aver dato l’adesione al nostro progetto, possibilmente con un intervento video registrato da parte vostra, proponiamo che il primo atto in cui voi date corpo alla Rete sia, appunto, quello di collaborare alla sezione TV che, come Disarmisti esigenti, abbiamo aperto su YouTube .

Potreste, in aggiunta al vostro breve intervento motivato di adesione, spedirci del materiale video che avete già pronto sulle problematiche che abbiamo tratteggiato (vedi lettera su www.disarmistiesigenti.org); materiale che, a vostro giudizio, ritenete possa rispondere con taglio didattico alla domanda su come oggi si può essere cittadini del mondo per la pace nella società umana e tra la società umana e la Terra.

In seguito, possiamo e dobbiamo pensare insieme altri passi successivi. Nella consapevolezza che abbiamo da rimboccarci le maniche per aprire il confronto, per offrire varie e plurali declinazioni del progetto della terrestrità e dei percorsi culturali che possano farla crescere: visione comune in grado di orientare la convergenza dei movimenti alternativi al sistema antropocida ed ecocida che ci sta conducendo alla barbarie e verso il baratro.

 

Il nostro contributo originale e specifico di “partigiani dell’ANPI” alla elaborazione culturale implicata dal progetto intende svolgersi lungo due direttrici:

  • la memoria dei movimenti storici che hanno creato le basi culturali in nuce della terrestrità (basterebbe citare Edgar Morin e Stéphane Hessel ed il loro ruolo nella resistenza europea antifascista)
  • L’impegno pedagogico di tipo nuovo che deve rispondere alla domanda: come formare i “cittadini della Terra”?

Vale a dire: come concretizzare la terrestrità in istituzioni e pratiche didattiche nuove? E come influenzare le istituzioni educative attuali perché siano contagiate (in senso buono!) dalla cultura della pace del XXI secolo?

Non abbiamo le risposte gia’ belle e pronte e per questo motivo contatteremo i centri culturali che sentiamo affini e sensibili in questo nostro desiderio di ricerca, di approfondimento, di sperimentazione.

Contattare: coordinamentodisarmisti@gmail.com cell. 340-0736871 www.disarmistiesigenti.org

Note: Nota: Abbiamo telefonato a padre Alex Zanotelli e ci ha riferito la sua totale adesione ai contenuti di questa presentazione ufficiale del Progetto Educazione alla Terrestrità
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Don Andrea Gallo, maestro di vita

Dopo anni dalla sua scomparsa nel 2013, il nostro ricordo è ancora vivo

Don Andrea Gallo, maestro di vita

Incontrare, conoscere e condividere l’impegno e le lotte con il caro Don Andrea Gallo è stato, oltre che una immensa opportunità e responsabilità, un grande insegnamento di vita
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Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

Don Gallo con Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

Il Gallo, come amava farsi chiamare, ha speso l’intera sua esistenza per condurre lotte di giustizia sempre vicino agli ultimi, ai fragili e ai dimenticati di questa atroce e feroce società dove il più debole è spesso calpestato e soccombe.Ricordiamo il giorno in cui l’abbiamo incontrato a Cinisello Balsamo in provincia di Milano durante un evento pubblico nel 2010.

In questa occasione, raccontava la sua meravigliosa esperienza resistenziale e alla fine dell’incontro abbiamo avuto modo di parlargli e proprio da qui è nato tutto. Laura gli ha fatto leggere i suoi scritti sulla nonviolenza e le sue recensioni ai libri sul mitico Fabrizio De André, che il Gallo ha apprezzato moltissimo.

Abbiamo trovato nei suoi occhi e nelle sue parole e nelle sue azioni la forza e l’energia per attivarci su quanto lui ci aveva appena raccontato: la sua lotta come staffetta dei Partigiani nella Resistenza contro il nazifascismo.

Abbiamo chiesto al Gallo di ripetere questo incontro nel nostro paese Nova Milanese. È tutto questo si è avverato come in un sogno.

A Nova Milanese nel 2010 è stato un incontro incredibile, la realizzazione di una nostra piccola grande utopia: abbiamo voluto dare un tributo a una così bella figura invitando suoi compagni di lotta provenienti da diverse parti d’Italia.

L’attore e regista Renato Sarti, il sindacalista Antonio Pizzinato, lo scrittore e giornalista Daniele Biacchessi, il gruppo musicale dei Settegrani, Giulio Cristoffanini uno dei fondatori di Emergency, Diego Parassole storico attore e comico dello Zelig e il Partigiano Deportato Emilio Bacio Capuzzo, anche lui sempre vivo nei nostri cuori.

Teatro pieno e una fila interminabile di persone che hanno voluto incontrare il fratello e padre Gallo perché tutti noi abbiamo bisogno di un padre, un grande padre combattivo, in carne e ossa che non le manda a dire ai prepotenti di turno… e che sappia proteggere da ogni ingiustizia.

Innumerevoli sono stati gli incontri a cui abbiamo avuto la fortuna di presenziare e partecipare attivamente con il Gallo. Ricordiamo quello di Senago, al palazzetto dello sport nel 2012, stracolmo di persone venute a incontrarlo.

Ricordiamo anche il nostro pranzo con il Gallo alla comunità di San Benedetto al Porto di Genova. La bellissima giornata trascorsa assieme. La funzione religiosa sui generis celebrata secondo le giuste e purtroppo disattese direttive del concilio Vaticano secondo dove la parola è stata data agli attivisti provenienti da tutta Italia e poi il pranzo in comunità dove il Gallo ha lungamente parlato dell’esperienza di questa importante realtà solidale: la comunità di San Benedetto al Porto di Genova.

Durante una presentazione in pubblico tenutasi a Novate Milanese, nel marzo 2013 – qualche mese prima della sua scomparsa e nello stesso giorno dell’elezione di Papa Francesco – ricordiamo un simpatico aneddoto.

In quell’occasione era appena stato stampato il calendario delle sue ragazze transessuali e transgender della comunità. Scherzosamente ci diceva e raccomandava di vendere anche qualche libro in meno, ma i calendari, proprio i calendari, di finirli tutti. Altrimenti, al suo rientro, le ragazze lo avrebbero sgridato…

A fine serata, dopo aver venduto tutti i calendari, abbiamo raccontato al Gallo un episodio simpatico: una signora molto anziana ne ha voluti comprare ben cinque da regalare a tutte le sue amiche “nonnine”.

Ogni volta che incontravamo il Gallo era una festa e quando vedeva Fabrizio gli si accendevano gli occhi e diceva sempre: “non ti posso dimenticare. Ti chiami come il mio caro Fabrizio De André”. E questo non poteva che renderci molto felici.

Nell’ultimo incontro avuto con lui, ci ha preso in disparte e stringendoci forte ha detto a me e a Fabrizio “ Siate assieme testimoni di Pace, severi e fermi e mettete il vostro amore al servizio dell’umanità”.

E avrebbe apprezzato moltissimo il nostro impegno per la pace, dove abbiamo impegnato tutte le nostre forze perché Ican – Rete e Campagna internazionale per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari potesse avere seguito in Italia e così via fino ad arrivare nel 2017 al Premio Nobel per la Pace collettivo, destinato alle centinaia di organizzazioni e di attivisti nel mondo e alle associazioni in Italia affiliate alla Rete Ican, tra cui PeaceLink, Disarmisti Esigenti, Wilpf e altre, tutte realtà impegnate per il disarmo nucleare universale e per la pace.

Nel ricordare Don Andrea Gallo in questo articolo, lo ringraziamo per l’indimenticabile ricordo della sua presenza sempre attiva e vivace e pronta nel rispondere a tono alla tracotanza dei potenti di turno e di tutti i poteri forti, “che non ci sono poteri buoni” come dicono i nostri amici anarchici. Perchè lui è angelicamente anarchico. Ora e sempre Resistenza!

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4 marzo 2020

Ester Giuseppina Coppola

Agnese Ginocchio, Testimonial Internazionale per la Pace e la Nonviolenza

Sito web: www.agneseginocchio.it

  1. Quando ha iniziato a scrivere e partecipare a manifestazioni volte alla pace e cosa ti ha spinto in particolare?

Ho iniziato a comporre canzoni sul tema della Pace all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 Settembre 2000. Un evento che mi scosse profondamente e che mi fece rendere conto che non potevo più stare a guardare che il mondo ci cascasse addosso senza tentare di portare un contributo finalizzato al risveglio delle coscienze. N quell’anno composi il brano “Gente del 2000” che mi fece vincere un Premio nazionale a Roma nell’ambito di un concorso per cantautori e successivamente il brano: “C’è un bisogno di cambiare” dove faccio riferimenti proprio a quello che accadde l’11 settembre e riferimenti ad attentati avvenuti nel mondo. La mia scelta definitiva per la Pace senza se e senza ma, invece, avvenne all’ indomarni della partecipazione alla grande mobilitazione mondiale contro la guerra in Iraq. Partecipai alla manifestazione nazionale che si svolse a Roma il 15 Febbraio dell’anno 2003, che vide scendere in piazza ben 3 milioni di persone.

2) C’è un’esperienza di una manifestazione che ricorda con particolare piacere?

Nelle manifestazioni a cui ho partecipato sono tante le esperienze avute che a distanza di anni ricordo con nostalgia, quelle che mi hanno dato la possibilità di conoscere da vicino tanti personaggi che hanno fatto della loro vita una scelta per la Pace e la Nonviolenza. Il loro esempio e la loro testimonianza fu determinante per le mie scelte. Tra questi personaggi cito: Gino Strada ( fu proprio uno dei primi che incontrai a Roma alla manifestazione contro la guerra), padre Alex Zanotelli, i missionari comboniani, don Andrea Gallo a Genova. Nella nostra provincia invece il padre vescovo Raffaele Nogaro, dal cui incontro è nata la mia scelta e l’impegno con il Movimento per la Pace. Ed infine tantissimi “volti amici” che porto tutti nel mio cuore, con i quali condivido tutt’ora questo percorso.

3) Nelle scuole secondo lei si dovrebbero studiare di più i testi delle canzoni?

Credo che la scuola essendo organo deputato alla formazione, dovrebbe prestare maggior attenzione ai testi di artisti impegnati che non si limiti al semplice palcoscenico sanremese, ormai divenuto un fenomeno da bar, ma essendo “Magistra vitae” punti nel ricercare l’essenza e dare la possibilità ai giovani discenti di far conoscere tutti quei volti di artisti spesso sconosciuti ai grossi riflettori, che per amore della verità, scelgono tematiche scomode e testi impegnativi finalizzati alla riflessione e alla presa di coscienza. Ciò al fine di una saggia e fruttuosa lezione di didattica della musica alternativa.

4) Il panorama musicale odierno è volto alla pace?

Ahimè, il panorama musicale attuale lascia davvero molto a desiderare. Come già anticipato nella mia precedente, oggi è difficile raccontare la verità quando si è in mano a produttori il cui scopo è solo quello di vendere e di ricavarne profitto. In mano a questi gruppi che intorno alla tua immagine cercano di costruire un personaggio finto, si perde persino la libertà di pensiero e alla fine se vuoi andare avanti devi cedere alle loro regole. A mio avviso, la musica deve radicalmente cambiare per riprendere il suo vero significato. Ringrazio invece i docenti di quelle scuole sparse in Italia dove è stata data la possibilità agli alunni di studiare i testi dei miei brani usati come tesine di esame e materiali di studio per progetti sul tema della Pace, legalità, nonviolenza, ambiente e diritti umani. In ultimo proprio su questo tema vorrei proporre la lettura del libro Riace Musica per l’umanità ( ed.ni Mimesis) edito dai giornalisti e scrittori nonviolenti “ Laura Tussi e Fabrizio Cracolici” nel quale vi è contenuto anche un mio contributo insieme a quello di altri artisti e personaggi impegnati.

5) Qual è l’augurio che auspica alla comunità odierna?

L’augurio che mi sento di affidare alla Comunità odierna è quello di cercare sempre di affermare nelle proprie scelte e stili di vita il valore supremo della convivenza civile pacifica e nonviolenta, di pensare e agire con la parola PACE; di vivere in armonia come fratelli rispettando il prossimo come se stessi e di applicare la norma: “non fare ad altri ciò che non vuoi venga fatto a te”. Impegnarsi per la Pace non è difficile, è questione di scelte. Diventa difficile quando si pensa e si agisce esclusivamente per propri fini personali. Chi invece applicala regola: un occhio al vicino e uno al lontano, è già sulla buona strada. In sintesi: “Pensare e agire non al singolare ma al plurale (non io ma noi), ha afferrato il significato della propria esistenza e già sta lavorando per l’affermazione di un mondo di Pace che tale potrà essere solo se fondato sulla Giustizia e la difesa dei diritti umani per tutti.

6) Sogni nel cassetto.

I miei sogni nel cassetto sono quelli di riuscire un giorno a vedere vivere nel benessere sociale ogni singolo essere umano sulla terra, di non assistere più a scene di violenza, di violazioni di diritti, di non assistere più a scene di bambini che piangono o che desiderano la morte solo perché vivono nell’inferno della fame, della povertà, della malattia, della violenza e della guerra. Il mio sogno, ricordando il grande Martin Luther King che recitava nei suoi sermoni: “Se non impareremo ad amarci e a rispettarci come fratelli moriremo tutti come stolti”( da qui l’ispirazione al mio brano “Gli Uomini veri” ), è quello di vedere gli uomini e le donne di questo pianeta versare non più in una condizione di sofferenza, di umiliazione e di schiavitù, ma di sorridere, di rispettarsi e di abbracciarsi come fratelli e figli dell’unico Dio, il cui nome è Pace!

Shalom Sallam, Peace, Mir, Amani, Aleika, Frieden, Paz, Pax

Intervista pubblicata anche su www.ildialogo.org

Note: Articolo pubblicato da Laura Tussi
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PeaceLink e Unimondo – Intervista a Vittorio Agnoletto

Sono passati quasi vent’anni da Genova 2001

PeaceLink e Unimondo – Intervista a Vittorio Agnoletto

Nella ricorrenza del 18esimo anniversario di Genova 2001, un’intervista a Vittorio Agnoletto medico, docente universitario, portavoce del Genoa Social Forum nel 2001

Sono passati quasi vent’anni da Genova 2001

Unimondo – Intervista a Vittorio Agnoletto

Intervista a Vittorio Agnoletto a cura di Danilo Minisini e Laura Tussi

Nella ricorrenza del 18esimo anniversario di Genova 2001, un’intervista a Vittorio Agnoletto medico, docente universitario, portavoce del Genoa Social Forum nel 2001

 I perchè di Genova 2001 

Nella ricorrenza del 18esimo anniversario di Genova 2001, un’intervista a Vittorio Agnoletto medico, docente universitario, portavoce del Genoa Social Forum nel 2001.

1 -Sono passati quasi vent’anni da Genova 2001. Un momento che ha segnato la vita di molte persone e che ancora oggi, dopo tante analisi politiche, indagini, processi, è una ferita aperta nella storia italiana. Quali sono stati, secondo lei, gli aspetti più significativi di quell’evento? 

Purtroppo quando si parla di Genova 2001, l’attenzione è concentrata solo su quanto accaduto venerdì 20 luglio e sabato 21 luglio, sull’attacco dei carabinieri al corteo delle tutte bianche, l’uccisione di Carlo Giuliani, la tremenda repressione, le violenze perpetrate da parte delle forze dell’ordine, poi l’assalto alla scuola Diaz e le violenze e le torture di Bolzaneto. Ci si dimentica sempre che il Forum di Genova – perché di questo si trattava di un Forum vero e proprio – è iniziato lunedì 16 luglio con una serie di incontri pubblici ai quali hanno partecipato decine di migliaia di persone per la stragrande maggioranza giovani, che venivano non solo dall’Italia, ma da tutta Europa e con delegazioni anche da altri continenti. Questa è stata un’autentica “università a cielo aperto” che riprendeva le modalità e gli stessi contenuti che avevano animato, solo sei mesi prima, a gennaio 2001, il primo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre. Invito, chi è interessato, ad approfondire quelle vicende e a leggere le registrazioni delle assemblee del Forum di Genova, perché ascoltandole si capisce l’attualità dei temi che il movimento sollevava.

Si comprende quanto noi avevamo ragione. Nell’assemblea di apertura, uno dei principali relatori era Walden Bello che era il direttore di Focus on the  Global South, uno dei dirigenti del movimento antiliberista più conosciuto in tutto il continente asiatico e non solo. Walden intervenendo nel Forum di apertura, disse: “Attenzione se continua questo modello di sviluppo, nel giro di pochi anni, noi assisteremo a tali cambiamenti a livello del pianeta che produrranno un forte rischio per la vita di milioni e milioni di persone”. Walden Bello parla nel 2001 prima dello tsunami che travolge una parte del continente indiano e prima che i cambiamenti climatici e il tema dello scioglimento dei ghiacciai e dell’aumento delle temperature diventassero argomenti di discussione quotidiana. Nella stessa assemblea di apertura Susan George, allora presidente di Attac Francia, una delle principali organizzazioni europee, aveva detto: “Attenzione! se prosegue la finanziarizzazione dell’economia, nel giro di pochi anni l’Europa andrà incontro a una crisi economica e sociale senza precedenti”. È esattamente quello che è avvenuto. Tutti i temi oggi di grande attualità che erano già presenti allora.

Per fare un altro esempio, a Genova 2001 abbiamo pesantemente criticato le politiche del Fondo Monetario Internazionale, le politiche di aggiustamento strutturale che avevano messo in ginocchio la grande maggioranza dei paesi dell’Africa Subsahariana. Funzionava così: il Fondo Monetario Internazionale garantiva prestiti ai paesi africani, imponendo loro il taglio delle politiche di sanità pubblica e istruzione pubblica. Questo è stato uno dei temi attraverso cui abbiamo ricevuto la solidarietà di padre Alex Zanotelli e la partecipazione al Forum da parte di tanti missionari. Mai avremmo potuto immaginare che pochi anni dopo, la troika avrebbe applicato esattamente queste politiche anche in Europa, a cominciare dalla Grecia.

Un altro tema che abbiamo sviluppato era la questione della distribuzione delle ricchezze. Allora noi dicevamo: non è possibile che il 20% della popolazione mondiale possieda l’80% delle ricchezze. Oggi, secondo i dati pubblicati da una banca svizzera, la Credit Suisse, risulta che nel 2017 l’8,6% della popolazione possedeva oltre l’85% della ricchezza mondiale. Ciò vuol dire che un numero sempre più ristretto di persone possiede capitali sempre maggiori e che aumenta ulteriormente il numero delle persone più povere. Oggi il 70% della popolazione mondiale possiede il 2,7% della ricchezza del pianeta.

Un altro tema era la campagna contro la vendita delle armi. Anche questo è un tema attualissimo, è sufficiente ricordare che poche settimane fa varie associazioni genovesi hanno bloccato una nave saudita che cercava di trasportare armi e voleva attraccare nel porto di Genova.

Penso che, se si vuole capire quanto avvenuto in questi ultimi 10 anni, per avere chiavi interpretative è utile tornare a quanto noi avevamo detto a Genova. Avevamo capito dove stava andando il mondo, ma chi governava ha fatto finta di non capirlo e la storia è andata come si sa.

2 – Dal 1992 al 2001 lei è stato presidente nazionale della LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS). Ha avuto importanti incarichi presso il ministero della salute e nel 1994 è stato “medico dell’anno” secondo la rivista specializzata “Stampa Medica”. La visibilità che le ha dato l’essere stato il portavoce del Genoa Social Forum, ha in qualche modo determinato cambiamenti nella sua vita professionale? Ha subito ritorsioni a causa delle sue scelte?

Indubbiamente essere stato il portavoce del Genoa Social Forum ha modificato completamente la mia vita e per la verità, non solo essere stato il portavoce, ma l’aver voluto dopo il G8 continuare, senza far sconti a nessuno, ad impegnarmi nella battaglia per ottenere verità giustizia su quanto avvenuto in quei giorni. Da più parti, da molti ambiti politici anche differenti, non solo dalla destra, ma anche da settori della sinistra, subito dopo il G8 e anche negli anni seguenti, mi venne caldamente consigliato di chiudere quel capitolo, non parlarne più e non insistere a chiedere verità e giustizia. Sono andato avanti, fino ad arrivare nel 2011 alla pubblicazione de “L’Eclissi della democrazia. Le verità nascoste sul G8 2001 di Genova”. Questo è il libro scritto insieme a Lorenzo Guadagnucci, una delle vittime della Diaz e con il contributo del Pubblico Ministero nel processo Diaz, Enrico Zucca. Nell’”Eclissi della democrazia” abbiamo raccontato tutto quello che accadde in quei giorni e che conoscevamo sia per il ruolo che avevamo svolto, sia per la possibilità di accedere ad una gran mole di documenti e atti processuali. Abbiamo indicato per nome e cognome i responsabili dei vari e differenti episodi che si erano svolti in quelle giornate e questo ha contribuito a creare una situazione nei nostri confronti di forte isolamento. Isolamento che però era già iniziato i giorni seguenti al G8.

Nei 15 giorni dopo la conclusione del G8, sono stato estromesso dalla Commissione Nazionale AIDS del Ministero della Sanità; sono stato estromesso dalla Commissione per la Lotta alla Droga della Presidenza del Consiglio; ho perso non solo la docenza, ma anche la direzione di corsi di formazione sull’HIV dell’Istituto Superiore della Sanità che dirigevo da anni. Ero responsabile scientifico di vari progetti finanziati dall’Istituto Superiore di Sanità e da fondi pubblici nazionali e di altri progetti di ricerca finanziati dalla Commissione Europea: erano progetti e bandi che avevo vinto con la mia associazione in collaborazione con diverse associazioni ed enti di ricerca; nel giro di pochi mesi ho perso tutto.

Vi sono contemporaneamente state anche forti ricadute sulla LILA, l’associazione di cui ero presidente: ci sono stati tagliati molti fondi e parecchi enti pubblici non hanno più voluto collaborare con la LILA. Quello che mi sorprese allora fu che non si trattava solo delle amministrazioni governate dalla destra, ma anche delle amministrazioni governate dal centrosinistra. Ricordo che nell’autunno 2001 avevo organizzato con la LILA, insieme alla regione Toscana, un grande convegno internazionale sui temi dell’AIDS. Dovevano partecipare personalità provenienti da tutto il mondo per parlare dei temi inerenti la lotta all’HIV. La regione Toscana ci ha fatto sapere che se io fossi stato presente non si sarebbe fatto il convegno. Io allora ero il presidente della LILA e avevo organizzato tutto. Per salvare l’attività della LILA fui costretto a dimettermi un po’ di mesi prima della scadenza del mio mandato, per permettere la sopravvivenza dell’associazione.

In quei mesi molte delle collaborazioni lavorative che avevo sono state bruscamente interrotte. Sono stato praticamente estromesso da tutto.  È il prezzo che in questo Paese si paga se si vuole condurre una battaglia di verità e giustizia scontrandosi con il potere, il potere vero.  A fianco di quello che è avvenuto in ambito lavorativo, ho subito diverse forme di minacce. La situazione era molto complicata perché le intimidazioni, in questo caso, non mi arrivavano certo dalla mafia.  Le minacce si sono riproposte in modo altrettanto pesante nel 2010 quando ho cominciato a scrivere il libro che è uscito nel 2011 in occasione del decennale; le ho raccolte e raccontate proprio in un’appendice di quel volume.

È indubbio che quanto avvenuto ha contribuito radicalmente a cambiare la mia vita. È stata una forma di ostracismo che purtroppo non ha avuto solo il volto delle istituzioni dominate del centro destra. D’altra parte, nel libro che abbiamo pubblicato, abbiamo attribuito a ciascuno le sue responsabilità ed è innegabile che negli eventi di Genova abbiano avuto grandi responsabilità anche personaggi che devono la loro carriera al centrosinistra e che a tale schieramento politico facevano riferimento. Non abbiamo scritto un libro a tesi precostituite, ma un libro dove a ciascuno abbiamo attribuito le responsabilità che gli competevano, ovviamente quelle che eravamo stati in grado di individuare, senza fare alcuna eccezione.

3 – Dopo Genova 2001, lo smarrimento si è impadronito di molte persone, molti giovani soprattutto che hanno sperimentato il volto feroce dello Stato.  Quel volto feroce che, anche oggi si manifesta verso le persone più deboli e indifese. Lei pensa che l’azione nonviolenta che comincia a manifestarsi, soprattutto in forma spontanea, possa diventare contagiosa ed essere motivo di speranza?

Si è parlato molto delle forme di repressione di piazza utilizzate per stroncare il movimento del 2001. Si è parlato forse poco, perché tanti sono i responsabili, dell’operazione repressiva mediatica che è stata attuata e che ha teso a delegittimare quel movimento che, non dimentichiamolo, è stato enorme. Solo per fare qualche esempio, in un paio di mesi avevamo raccolto 150.000 firme per ottenere l’attuazione della Tobin Tax, cioè la tassazione sulle transazioni finanziarie speculative. Quindi un movimento molto forte che stava crescendo in Italia e in tutta Europa; oltre a reprimerlo è stato anche delegittimato. Il tentativo è stato quello di descrivere il Genoa Social Forum come una organizzazione sovversiva.

Quando questi attacchi si susseguono per settimane e per mesi un certo risultato lo ottengono. Su un punto fondamentale. La forza del Genoa Social Forum era stata la sua capacità di raccogliere attorno a una piattaforma unica 1015 associazioni italiane e 171 associazioni internazionali di quasi 50 Paesi sparsi in tutto il mondo, e far sì che, oltre a una piattaforma condivisa, queste associazioni fossero capaci di darsi anche un punto di riferimento unico, cioè un consiglio che le rappresentava tutte. Io ero il portavoce, ma c’era un consiglio di diciotto persone scelte di comune accordo da tutte le realtà che avevano aderito al GSF. E quella è stata la nostra forza, il GSF veramente andava dai missionari, agli scout ai centri sociali; eravamo in grado di trasmettere gli stessi contenuti parlando diversi linguaggi che rompevano gli steccati, rompevano le barriere. Prima del G8 la rivista Famiglia Cristiana, che allora era il settimanale letto da centinaia di migliaia di persone, aveva riportato in varie occasioni i temi che ci stavano a cuore; inoltre andava a verificare quale fosse l’opinione degli italiani verso le nostre battaglie ad esempio la lotta per la pace, e si scopriva come la maggioranza dei cittadini italiani fossero con noi.

Uno dei primi risultati che la repressione mediatica, unita a quella di piazza, ha prodotto è stata la rottura dell’unità del movimento. Molte associazioni del mondo cattolico e parecchie di quelle impegnate nel mondo del welfare e dell’assistenza a un certo punto si chiedevano: “Noi che passiamo la nostra giornata ad assistere i malati, a costruire case-alloggio, ad attivare progetti di assistenza domiciliare, gruppi di auto aiuto ecc. ecc. se continuiamo a essere descritti come sovversivi non riusciamo più a fare le nostre attività, perdiamo tutti i nostri contatti, perdiamo i nostri rapporti e consensi”. E allora molte associazioni hanno pensato di tornare a agire unicamente nel proprio specifico.

Prima del G8, centinaia di associazioni avevano ognuna una propria maglia e poi si è deciso di indossare anche la maglia del Genoa Social Forum, cioè qualcosa che ci teneva insieme e uniti. Di fronte alla repressione, ognuno si è tolto quella maglia ed è tornato a occuparsi della sua particolare mission. E questo ha portato alla perdita di forza e di capacità di incidere del movimento.

Ma non dimentichiamoci che il movimento non perde la sua forza immediatamente dopo il G8. L’energia propulsiva del movimento dura fino al 15 febbraio 2003, giornata nella quale si assiste, in tutto il mondo, alle grandi manifestazioni contro la guerra. La giornata di lotta viene lanciata dal movimento italiano durante il Forum Sociale Europeo nel novembre 2002. Sono milioni e milioni le persone che manifestano in tutto il mondo. Al punto che il New York Times esce col famoso titolo “È nata la seconda superpotenza” che sarebbe il movimento pacifista contrapposto alla superpotenza degli Stati Uniti. Un fatto simile   non era mai accaduto nella storia dell’umanità. Ma noi non siamo stati in grado di fermare la guerra e l’attacco americano all’Iraq.

Prima della giornata di mobilitazione mondiale, abbiamo organizzato anche una delegazione a Baghdad con rappresentanti del movimento che provenivano da diverse parti del mondo proponendoci come una sorta di scudi umani per impedire che si scatenasse la guerra.

Ma il conflitto si sviluppa lo stesso; gli Stati Uniti iniziano i bombardamenti sull’Iraq. A quel punto, con un movimento diviso e frantumato, non riusciamo a riconvertire il nostro obiettivo finalizzato a bloccare la guerra, in una serie di obiettivi più piccoli, ma inerenti lo stesso tema; non siamo ad esempio stati capaci di avviare un’ampia campagna in grado di boicottare le molte industrie coinvolte, a vario titolo, nell’attività bellica. In Europa meridionale non vi è una tradizione di lotta nella quale i cittadini si vivono come consumatori, non vi è la consapevolezza di quanto, collettivamente, possiamo pesare sul mercato. Quindi lo scoppio della guerra nel 2003 viene vissuto come una sconfitta di fronte alla quale ci sentiamo impotenti. Era il periodo in cui, in Italia, non c’era paese che non avesse esposte ai balconi le bandiere per la pace. In particolare il coinvolgimento del mondo cattolico era enorme. Non abbiamo avuto la capacità di trovare altri obiettivi unificanti, anche perché continuavamo a dover rispondere nei tribunali agli attacchi repressivi e questo ci sottraeva attenzione e energia. I governi di quegli anni e il sistema politico, hanno fatto di tutto per trasferire il confronto con il movimento solo sul terreno repressivo, ignorando completamente i nostri contenuti e rifiutando qualunque contradditorio sul merito delle nostre proposte.

Su un aspetto dobbiamo fare autocritica, riconoscere un nostro errore: non siamo stati capaci di trasformare la nostra corretta analisi delle conseguenze della globalizzazione liberista in esempi concreti in grado di impattare la realtà quotidiana dei ceti popolari; molti che ascoltavano con interesse le nostre proposte sullo scenario “globale” si sono trovati soli qualche anno dopo di fronte alla crisi. Le nostre analisi non si concretizzavano in proposte semplici e comprensibili da tutti per affrontare la mancanza di lavoro, l’aumento del costo della vita ecc. Incolpare i migranti delle proprie difficoltà è risultato molto più semplice e consolatorio in assenza di messaggi differenti, antitetici, ma altrettanto semplici e facilmente comprensibili. Nonostante questo credo che i nostri contenuti non siano andati persi e come spesso accade nella storia dei movimenti, si sono sviluppati attraverso delle modalità carsiche, non visibili e quando qualcosa è carsico, non lo vedi in superficie, perché scorre non in un grande fiume, ma in tanti piccoli rivoli. Quella sensibilità si è diffusa.

Da qualche mese assistiamo alle manifestazioni di giovani sui cambiamenti climatici. Ho partecipato a queste manifestazioni e ho parlato con i ragazzi e mi sono fatto l’idea che, pur nella loro non conoscenza di quanto avvenuto a Genova 2001, molti di quei contenuti sono alla base del loro movimento. Quando i giovani dicono che abbiamo un solo pianeta, quando dicono che se non fermiamo questo modello di sviluppo non vi è futuro per nessuno, non è molto distante da quanto noi dicevamo a Genova e sintetizzavamo nello slogan: un altro mondo è possibile. Oggi le ragazze e i ragazzi in piazza ci dicono che non solo un altro mondo è possibile ma anche necessario; non ne abbiamo un altro di riserva.

Noi criticavamo questo modello di sviluppo per le tragiche conseguenze che ne sarebbero derivate; purtroppo è accaduto quello che avevamo previsto.  Questi ragazzi si muovono in una società che è il prodotto di quello che noi denunciavamo e che è anche la conseguenza della nostra sconfitta ad opera dei poteri che sostengono il modello neoliberista. Certamente i nostri contenuti vengono declinati da questa nuova generazione in un modo differente.

Tra il 2001, Genova, Porto Alegre e le manifestazioni di Friday for Future vi sono stati anche nel “nostro campo” alcuni importanti eventi che hanno certamente costruito lo scenario e lo sfondo allo sviluppo di un movimento verso il quale Greta ha funzionato da innesco. Mi limito a citarne due: il referendum in difesa dell’acqua pubblica che ha contribuito a diffondere il senso dei Beni Comuni, l’importanza degli elementi fondanti dell’esistenza umana: acqua e terra; la predicazione di papa Francesco che, mentre sulle tematiche di genere  appare non discostarsi dalla classica rigida dottrina della Chiesa, risulta particolarmente innovativa in campo sociale, in particolare con la Laudato sì che ha contribuito non poco a favorire lo sviluppo di un’ecologia sociale qui e ora, non a caso don Luigi Ciotti si riferisce all’enciclica chiamandola Laudato sì, Laudato qui.

Saranno i giovani, in autonomia a trovare le strade attraverso le quali sviluppare il movimento sui cambiamenti climatici, noi dobbiamo rispettare le loro scelte e al massimo limitarci a mettere a loro disposizione qualche riflessione proveniente dalla nostra esperienza.

Penso, ad esempio, che tale movimento dovrà crescere ancora nella consapevolezza che una parte consistente del conflitto è tra il basso e l’alto, tra poveri e ricchi; i cambiamenti climatici sono certamente frutto di comportamenti individuali, di come ognuno di noi vive dentro la società dei consumi, ma anche di scelte strategiche globali da parte di chi detiene il potere, sono anch’essi espressione di un’enorme conflitto sociale che attraversa tutto il pianeta ed anche in questo caso i primi a pagarne il prezzo saranno i più deboli.  Questo ci rimanda ancora una volta al termine glocal: legare il globale e il locale. D’altra parte vi è sempre un passaggio di staffetta tra i movimenti. Il movimento del 2001 a sua volta risentiva delle tematiche dei movimenti dei decenni precedenti. Proprio sulla base dell’esperienza passata, mi permetto di fornire loro un suggerimento: state attenti; non durerà a lungo l’appoggio della grande maggioranza dei media mainstream.Appena voi giovani passerete da una denuncia generale dei cambiamenti climatici a individuare specifiche responsabilità, appena deciderete di fare dei presidi contro la società che sta a Milano e che costruisce dighe in Etiopia e in Turchia, provocando la modifica del tragitto dei fiumi e obbligando centinaia di migliaia di persone ad abbandonare la loro terra e ad emigrare in condizioni di povertà, appena andrete a denunciare le politiche dell’Enel e dell’Eni, allora diventerete meno simpatici alla grande stampa.

E allora cominceranno a criticarvi e tenteranno di dividervi e di provocarvi. Questo è sempre stato l’atteggiamento del potere.

Prima blandire, tentando di incorporare una parte delle richieste e di far deviare il percorso del movimento. Per esempio vi diranno che dovete prendervela con i paesi del sud del mondo, come la Cina e l’India. Invece, le politiche ambientali devono essere cambiate ovunque, certamente anche in Cina e in India, ma è fuor di dubbio che il potere, quello vero, per ora si trova ancora in gran parte nell’emisfero nord-occidentale del pianeta. Se il movimento per il clima avrà la capacità di individuare obiettivi concreti, dovrà fare i conti con i tentativi da parte del potere di dividerlo, di reprimerlo e dovrà capire che il suo più grande patrimonio è la capacità di restare unito. Unito e globale.

4 – In questi anni molti di noi, che facciamo parte di associazioni e movimenti, guardiamo con preoccupazione e spesso con sconcerto a ciò che capita nell’ambito della sinistra italiana. Sembra che anziché impegnarsi per la costruzione di obiettivi comuni e occuparsi della sempre più difficile situazione delle persone fragili, ci sia la sottolineatura della propria identità, delle proprie scelte, di un narcisismo che sembra essere sempre presente, di una litigiosità continua. È un’analisi troppo pessimistica?

Potrei non aggiungere nulla e semplicemente sottoscrivere il contenuto della domanda. Sono totalmente d’accordo. In questi anni abbiamo assistito a una resistenza importante di centinaia, di migliaia di associazioni, collettivi, piccoli gruppi che sul loro territorio e sui loro temi specifici, hanno opposto una resistenza quotidiana agli attacchi del neoliberismo. È evidente che prima di tutto si parla della questione dei migranti. Il simbolo è Riace, ma oltre a Riace sussistono centinaia di esperienze altrettanto interessanti di solidarietà e difesa dei diritti umani di coloro che arrivano da un altro Paese. Pensiamo a tutte le associazioni che in questi anni hanno lavorato sui temi ambientali, dalla vicenda Pfas in Veneto all’ILVA a Taranto fino alle tragedie, alle frane e alle alluvioni che hanno coinvolto il centro e sud Italia; pensiamo alle tante mobilitazioni, alle denunce e alle segnalazioni da parte di gruppi, collettivi e comitati.

Pensiamo alla quantità enorme di associazioni che lavorano nell’assistenza sociale e sanitaria, o ai collettivi che lottano per migliorare condizioni di lavoro inaccettabili ad esempio tra i riders o nel campo della logistica. Questa è la sinistra sociale, è a costoro che dobbiamo la resistenza ai vari governi più o meno di destra, ma tutti con politiche di destra, che si sono succeduti.

Questa sinistra sociale è stata finora e lo è ancora oggi, assolutamente orfana di una rappresentanza politica e credo che le ragioni principali siano quelle contenute nella domanda. Penso che la sconfitta più grande, oltre a quella politica, sia stata la sconfitta culturale. Un filo – non rosso – unisce Craxi, Berlusconi e Renzi. È un filo, prima che politico, culturale, di distruzione di tutti quei valori che simbolicamente e fattivamente sono contenuti nella Costituzione. Hanno lavorato per distruggere il valore dell’agire collettivo; nel tentativo di cancellare l’idea che dalla crisi e dalle situazioni di difficoltà si esce uniti, insieme e non pestando i piedi al proprio vicino più povero.

Un filone culturale che si è alimentato con la nascita delle televisioni private e da come sono nate, cioè con la subcultura del disimpegno, del “mi faccio i fatti mie”, del “posso emergere unicamente sulle spalle di chi mi sta intorno”. Questa subcultura ha dilagato dappertutto e credo abbia purtroppo raggiunto anche settori della sinistra e quando si perde la speranza, si finisce anche per non credere più che l’azione collettiva possa cambiare il mondo; allora ognuno guarda solo a sé stesso e a mio parere questo è avvenuto alle formazioni della sinistra e anche a diversi dirigenti della sinistra: una logica individuale, individualista e superidentitaria. La forza di una sinistra diffusa esiste in Italia e non è vero che è tutto azzerato. Non vi è stata l’umiltà di costruire dal basso un soggetto politico unificante di sinistra. Questo è avvenuto anche non tenendo fede ai nostri stessi valori. Come possiamo, quando ci confrontiamo e ci scontriamo con la destra, parlare di tolleranza, di valorizzazione delle diversità e avere al contrario una storia fortemente divisiva della sinistra politica? Quello che predichiamo dobbiamo essere i primi a realizzarlo.

La speranza non è mai morta, anche perché è un dovere storico ricostruire un soggetto a sinistra. Deve essere un soggetto plurale, unito da obiettivi concreti e fondato sulla partecipazione collettiva, sul protagonismo di gruppi locali. Senza questo non si riuscirà a costruire nulla. Le condizioni sociali oggettive per poter costruire la sinistra ci sono. Il neoliberismo ha fallito e le soluzioni della destra sovranista hanno un tempo limitato perché fondate su delle promesse che non verranno mantenute. L’operazione della destra sovranista, tipica di tutti i regimi populisti di destra, è semplice: ottenere i voti dei ceti popolari per politiche che vanno contro i loro stessi interessi.

Che senso ha che i più deboli, i più poveri, votino un partito che propone la Flat Tax e che in pratica propone di non far pagare le tasse ai ricchi?

Fin dalla nascita della Repubblica, come previsto dalla Costituzione, era stabilita una precisa progressività delle tasse in relazione ai redditi.

Per un po’ la destra può annebbiare la vista dei ceti popolari, facendo loro credere che il nemico sia il migrante; ma quando non ci sono soldi per pagare l’affitto, per arrivare a fine mese e contemporaneamente le tasse sono state abbassate ai più ricchi, qualche dubbio, qualche conflitto si aprirà nel fronte populista di destra. E allora l’opportunità per la costruzione di un soggetto di sinistra sarà ancora più evidente. Ma oggi siamo in presenza di un forte deficit soggettivo della sinistra politica e nulla fa pensare che sia facilmente superabile senza un ricambio generazionale e una forte innovazione culturale.

5 – Lei è stato parlamentare europeo dal 2004 al 2009 e in seguito, nel 2010, candidato alla presidenza della Regione Lombardia. Poi, nel 2015 ha fondato, insieme ad Emilio Molinari e Piero Basso, l’associazione “Costituzione Beni Comuni”. Questa scelta di “uscire” dall’ambito istituzionale da cosa è stata motivata? Quali sono gli ambiti di cui si occupa l’associazione?

Questa scelta è stata motivata dalla convinzione che l’incidenza sul piano istituzionale oggi è molto più limitata che nel passato perché, come ormai si sa, molte delle decisioni non vengono prese all’interno delle istituzioni elettive, ma sono assunte in ambiti internazionali che sfuggono a qualunque controllo democratico come ad esempio: la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’ Organizzazione Mondiale del Commercio, varie istituzioni dell’ Unione Europea fra le quali la BCE e i grandi fondi finanziari, solo per fare alcuni esempi.

È evidente che il ruolo istituzionale oggi è molto meno efficace rispetto al passato, anche se rimane un ruolo importante da dove, almeno parzialmente, si può ancora incidere

Inoltre penso che ora la cosa fondamentale sia ripartire dal basso, per costruire consapevolezza, coscienza collettiva e che una sinistra non può essere ricostruita a prescindere dalla centralità dei ceti popolari. Noi non possiamo pensare di costruire una sinistra ‘per’ qualcuno, noi dobbiamo costruire una sinistra ‘con’ qualcuno. Non può essere una sinistra che mette insieme un po’ di intellettuali convinti di essere chiamati loro a fare il bene dei ceti popolari, di quelli che hanno un lavoro precario, di quelli che sono disoccupati, di quelli che hanno un lavoro a chiamata, di quelli che non possono sopravvivere con una pensione da fame.

Prima di tutto perché si possa costruire una sinistra deve esserci il protagonismo di questi soggetti fondato su autonomi processi di autoorganizzazione. Questa opera si compie, iniziando dal sociale. Faccio parte ancora di coloro che pensano che il politico sia un prolungamento del sociale e non il contrario.

Una rappresentanza politica a sinistra se non ha gambe sociali non riesce ad avere nessuna incidenza. Per questo ho scelto in questi anni di dare la priorità alla lotta sociale e alla battaglia culturale.

6 – Secondo la sua esperienza e guardando alla realtà odierna, su quali temi le realtà attente alla solidarietà e alla costruzione di umanità dovrebbero oggi maggiormente impegnarsi?

La mia risposta è molto banale in questo caso. Penso che si debba ripartire dalle condizioni materiali. Raramente ci sono state diversità così enormi nei redditi all’interno dello stesso Paese tra i più ricchi e i più poveri. In tutto il mondo occidentale noi stiamo andando verso la cancellazione delle conquiste che sono avvenute nella seconda metà del XX secolo. Penso all’istruzione di massa, al servizio sanitario nazionale, al Welfare, alle pensioni e quindi bisogna cominciare di nuovo da salute, casa, lavoro. I bisogni materiali. Altrimenti si può parlare molto, ma con la pancia vuota non si va da nessuna parte. Però tutto questo non può essere fatto con le modalità passate.

E sottolineo due aspetti. Penso che sia importante che nella società continuino a esserci dei corpi intermedi. Non condivido l’idea che l’unico rapporto con le istituzioni si fondi su un rapporto diretto tra il singolo cittadino e lo Stato, magari giocato sul computer. Va benissimo l’attività dei social, ma la nostra Costituzione è ancora attuale anche in questo e prevede forme sociali di organizzazione collettiva che sono i corpi intermedi della società. Corpi sociali intermedi sono per esempio i sindacati, i patronati, l’Arci, le grandi organizzazioni che si battono per la salute, i quali fanno sì che il singolo cittadino non resti isolato con il suo problema davanti allo Stato. Una delle difficoltà a sinistra è l’incapacità di ricostruire strutture collettive, che siano capaci di rappresentare la società attuale.

Facciamo un esempio. Ci sono ancora i sindacati, ma si occupano del personale dipendente sostanzialmente con contratti a tempo indeterminato e poco altro. E non riescono, non sono stati capaci di interagire con quella massa enorme di persone che sono fuori da quel mercato del lavoro, con contratti a tempo determinato, contratti a chiamata, contratti a ore, che passano da un stage all’altro, che passano da un corso di formazione all’altro, lavoro nero eccetera… Però la maggioranza delle nuove generazioni ha questo tipo di lavoro, non un contratto a tempo indeterminato. E allora costruire delle realtà collettive, delle strutture intermedie che rappresentano queste persone significa cambiare paradigma. Non possiamo pensare che il modello sindacale ottocento-novecentesco possa coprire la molteplicità di lavori ed i diversi tipi di contratti che esistono oggi o addirittura l’assenza di contratti.

Penso alla necessità di camere del lavoro territoriali, sociali, radicate sul territorio. È necessario un salto culturale. Per esempio, è necessario ricollocare la stessa categoria dei diritti, che devono essere sempre più pensati come diritti universali propri della condizione umana e non più collegati unicamente alla condizione lavorativa. Nel novecento è stata una grande conquista per le donne lavoratrici il diritto alla gravidanza, ma oggi questo diritto deve essere sancito giuridicamente non solo per le donne che hanno un lavoro a tempo indeterminato, ma anche perle tante che si trovano in altre condizioni lavorative e deve essere ampliato e tutelato anche da provvedimenti quali ad es. quelli relativi alla paternità obbligatoria che incentivino   anche   pratiche di equità di genere.

Qualunque donna, che vive nella nostra società, deve avere la possibilità, se lo desidera, di poter procreare senza rischiare economicamente la propria vita e il proprio percorso professionale.

Un altro aspetto da sottolineare è che oggi qualunque riflessione sulla trasformazione delle nostre condizioni di vita non può prescindere dal pensare globalmente; oggi una decisione assunta in un fondo finanziario a Londra, piuttosto che a New York, può cambiare la vita di un contadino che lavora nelle campagne attorno a Napoli. Dobbiamo avere una visione globale, anche per impedire che ci spingano a lottare gli uni contro gli altri.

Un giorno, quando ero al Parlamento Europeo, giunse la notizia del rischio di chiusura di alcune acciaierie italiane; stesi un comunicato stampa e chiesi ai miei colleghi delle altre forze di sinistra presenti in Parlamento di firmarlo e sostenerlo. Mi risposero con un forte imbarazzo; la chiusura delle fabbriche italiane garantiva la sopravvivenza delle acciaierie situate nei loro Paesi.

È la logica del capitale che contrappone gli uni agli altri. Ecco perché è necessario un pensiero globale. Ma i sindacati non sono stati in grado di fare questo salto; nei fatti i sindacati europei esistono come sigla. Come capacità reale di costruire vertenze europee sono a un livello molto basso.

Sono convinto che sia possibile cambiare con l’impegno collettivo, la realtà attuale. Non è illusorio. Ma necessitiamo di paradigmi interpretativi molto diversi rispetto a quelli del passato.

Danilo Minisini e Laura Tussi da Peacelink.it

Rassegna Stampa:

 

Radio popolare:

https://www.peacelink.it/pace/a/46718.html

 

Unimondo:

https://www.unimondo.org/Notizie/I-perche-di-Genova-2001-186902

 

PeaceLink:

https://www.peacelink.it/pace/a/46653.html

 

Pressenza:

https://www.pressenza.com/it/2019/07/i-perche-di-genova-2001/

 

Sito di Vittorio Agnoletto:

https://www.vittorioagnoletto.it/2019/07/15/i-perche-di-genova-2001/

 

AgoraVOX:
https://www.agoravox.it/I-perche-di-Genova-2001-Intervista.html

 

La Bottega del Barbieri:

http://www.labottegadelbarbieri.org/i-perche-di-genova-2001/

 

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