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Rivista.eco – Dalla memoria alla terrestrità

Razzismo, ecologia e pace insieme, “L’educazione come arma della pace”

Rivista.eco – Dalla memoria alla terrestrità

Come una ricercatrice sui problemi educativi, lavorando con i Disarmisti esigenti, è pervenuta, partendo dalla “Pedagogia della Resistenza”, ad affrontare i temi intrecciati del razzismo, dell’ecologia e della pace. Educazione alla pace e educazione ecologica sono intrecciate e interdipendenti

Maria Montessori "Educazione come arma della Pace" su Rivista.eco - organo ufficiale della rete mondiale di educazione all'ambiente diretta dal Professor Mario Salomone

In collaborazione con lo storico Fabrizio Cracolici, ANPI (Associazione nazionale partigiani d’Italia) e Alfonso Navarra, portavoce dell’associazione Disarmisti Esigenti oggi, ciascuno con le sue competenze, siamo pervenuti a trattare di Pedagogia della Resistenza e Educazione alla Terrestrità, di formazione e educazione.

In questo ambito, nei nostri libri e nelle nostre pubblicazioni, proponiamo un nuovo percorso di accompagnamento alla formazione e allo sviluppo della conoscenza dei diritti civili e dei diritti inalienabili della persona. La pace con la natura è condizione della giustizia sociale e educazione alla pace e educazione ecologica sono, nella nostra visione, intrecciate e interdipendenti.

Dobbiamo considerare il mondo umano come parte integrante del mondo naturale e una riconciliazione solo tra esseri umani, che prescinda dal ripristino di un rapporto armonico con gli equilibri ecologici, non ha basi per avanzare.

Una pedagogia del futuro, ripartendo dalla scuola

La nostra è una pedagogia del futuro collegata alla nuova cultura della pace del XXI secolo per la quale ricerchiamo, lavoriamo, sperimentiamo.

Insomma, un percorso di sviluppo della democrazia, della cittadinanza attiva, della partecipazione. Per educare all’antifascismo, all’antirazzismo e alla nonviolenza, secondo il monito di Stéphane Hessel, il partigiano autore di “Indignatevi!”,  (“Indignatevi!” è il libro denuncia scritto da Hessel,  partigiano, novantatreenne, sui mali della nostra epoca)

occorre ripartire proprio dall’istituzione scuola. Noi non troviamo altra soluzione, perché la scuola, ancora prima della famiglia, rispecchia il pluralismo e la diversità impliciti nella società.

Pluralismo e diversità che si vengono a manifestare nel processo educativo: nel percorso didattico si scoprono le caratterialità, le criticità, le implicite diversità, le esigenze del singolo studente che mutua e assimila varie istanze e diverse forme di contenuto dal nucleo familiare di origine.

Le leggi razziali nazifasciste del 1938

La scuola, tra l’altro, in un passato che non dobbiamo dimenticare e archiviare, ha subito la discriminazione e l’intolleranza: basti pensare alle leggi razziali nazifasciste del 1938. E la scuola, pur con diversa entità ed intensità, continua ancora a discriminare e a prendere provvedimenti contro i più deboli. Anche il finanziamento pubblico alle scuole private è una forma di discriminazione. La riduzione degli insegnanti di sostegno ai bambini diversamente abili, la negazione della mensa ai meno abbienti sono forme di discriminazione.

I quesiti sono sempre aperti perché auspichiamo una scuola che si apra sempre più alle differenze, agli altri, e non solo da parte degli studenti, ma anche da parte degli insegnanti. Anche il mondo adulto viene messo in discussione nell’ambito e nell’ambiente scuola. Quindi una scuola più aperta. Una scuola che si apra alle implicite esigenze di ciascuno, ai caratteri di cui ognuno è portatore, alle difficoltà implicite che ciascuno presenta. È necessario costruire una scuola senza discriminazione, dove l’altro sia considerato depositario di un’autentica ricchezza da risocializzare e ripartecipare, una ricchezza da condividere nella convivenza del quotidiano secondo un impegno di responsabilità e di indignazione contro tutte le discriminazioni, contro l’intolleranza, il non rispetto e la violazione dei diritti umani.

Una nuova ricchezza sociale partecipativa che vada a incrementare un discorso di civiltà a misura di persona, per una comunità, per un assetto sociale e civile aperto alle differenze, alle divergenze, anche al conflitto, come sostiene il nostro amico Daniele Novara, direttore del Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti. Infatti, il conflitto è implicito nell’educazione. Noi parliamo di nonviolenza, ma con questo concetto non intendiamo un’idea di passività, di remissività, di rassegnazione, di debolezza, di lassismo, di incoerenza, di menefreghismo; intendiamo nonviolenza, in senso stretto, come cooperazione, interdipendenza, interconnessione su quelli che sono i diritti umani.

Le strumentalizzazioni di Mussolini

È quello che già sosteneva la grande pedagogista, Maria Montessori, che fu perseguitata dal fascismo. Mentre in tutt’Italia, in Europa e nel mondo divampava la violenza del secondo conflitto mondiale, la Montessori portava nei suoi convegni messaggi di speranza e di pace per l’intera umanità, a partire dall’infanzia. Inizialmente fu vezzeggiata dal fascismo, perché Mussolini voleva strumentalizzare le sue scuole, ma l’impostazione di pensiero di Maria Montessori contrastava nettamente con l’ideologia fascista e l’indottrinamento del regime; basti pensare ai principi di istruzione su cui si fondavano i dettami fascisti per indottrinare la Gioventù Balilla, basati sull’individualismo, sulla competitività ad oltranza, sul disprezzo, sull’aggressività nei confronti dell’altro.

Disvalori fascisti che, anche secondo Stéphane Hessel, sono attualmente veicolati dai mezzi di comunicazione di massa: come la cultura dell’oblio, il consumismo sempre più esasperato, estetizzante e individualistico, la competizione di tutti contro tutti; in sostanza il pensiero unico, capitalista e neoliberista.

Tornando al concetto di nonviolenza, Maria Montessori ne era promotrice, e il suo celebre motto “L’educazione come arma della pace” è un importante ossimoro per sostenere che tutto si gioca a partire dall’educazione, a partire dalla scuola, per creare contesti di socialità e di solidarietà, per andare oltre le dittature, i totalitarismi, gli sciovinismi, i nazionalismi, proprio per costruire ambienti di pace nel quotidiano.

Il bambino è portatore di pace già nel suo contesto quotidiano, a livello microsociale: e questa è una leva per arrivare, in ultima analisi, a un livello di costruzione della pace universale e globale.

Note: Rivista.eco, organo ufficiale della rete mondiale di educazione all’ambiente, diretta dal Professor Mario Salomone:
https://rivistaeco.it/dalla-memoria-alla-terrestrita-razzismo-ecologia-e-pace-insieme-leducazione-come-arma-della-pace/

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Radio Barrio – Alex Zanotelli con Riace, musica per l’umanità

Su Radio Barrio con Massimo Laganà e Fabio Riganello

Alex Zanotelli con Riace, musica per l’umanità

La Trasmissione “Dieci minuti al Massimo” di Radio Barrio con Massimo Laganà e Fabio Riganello presentano il libro Riace, musica per l’umanità nell’incontro con Alfonso Navarra e Renato Franchi

Su Radio Barrio: Riace, musica per l'umanità

Il libro “Riace, musica per l’umanità”. Mimesis Edizioni. 2020, a cura di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici è agile e profondo allo stesso tempo: ruota intorno alla straordinaria esperienza di accoglienza e integrazione dei migranti a Riace, un paesino della Calabria orientale, un paesino spopolato dall’emigrazione verso nord dei calabresi, e fatto rivivere dai migranti, prevalentemente profughi di guerra, accolti dal sindaco Domenico “Mimmo” Lucano: un’esperienza straordinaria descritta nell’intervista a Mimmo, e proposta dagli altri autori del libro a ricevere il premio Nobel per la pace.

Scrive Alex Zanotelli nel suo pezzo “Per un’utopia possibile”: Ho gioito quando ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace, per il suo impegno contro le armi nucleari. Come credente nel Dio della vita, non posso che essere contrario a questi strumenti di morte che minacciano oggi l’umanità. Lo sono anche come missionario che ha toccato con mano la sofferenza degli impoveriti. Infatti le armi nucleari proteggono un sistema profondamente ingiusto, proteggono il 10% della popolazione mondiale che consuma da sola il 90% dei beni prodotti. Penso sia significativo legare il Premio Nobel dato a ICAN per la campagna contro le armi nucleari e la campagna per dare il Premio Nobel a Domenico Lucano, sindaco di Riace, il paese dell’accoglienza.

Vittorio Agnoletto afferma che il diritto di emigrare (citando Luigi Ferrajoli), dovrebbe diventare un nuovo principio costituente nell’architettura istituzionale a livello mondiale. Il diritto di emigrare, il diritto alla libertà di movimento oltre qualunque confine, è antico come la storia dell’umanità; non a caso è stato riaffermato con forza il 10 dicembre del 1948, nella Dichiarazione universale dei diritti umani. Nel 1966 la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici ribadisce tale diritto. Sono principi ripresi dalla Costituzione italiana all’art. 35.

Fabrizio Cracolici e Laura Tussi vanno al cuore dei problemi:

l’attività militare che trova la sua massima espressione nella guerra nucleare;

la bomba climatica che comporta quotidiani disastri e dissesti climatici per le emissioni eccessive di gas serra;

la bomba dell’ingiustizia sociale e della disuguaglianza globale dove l’1% dei ricchi detiene risorse pari a quelle controllate dal restante 99% dell’umanità.

E propongono, richiamando Hessel, delle soluzioni: Stéphane Hessel, nell’appello scritto con i resistenti francesi nel 1944 e pubblicato nel saggio Indignatevi!, suggerisce delle soluzioni alla crisi economica e di valori che attualmente sta stritolando e destrutturando il pianeta. La soluzione prevede la nazionalizzazione delle banche e delle industrie strategiche con un’economia al servizio delle persone, tramite investimenti pubblici per creare lavoro e per livellare la disuguaglianza globale e sociale per evitare la miseria dei ceti più deboli che ingenera risposte razziste e capri espiatori.

Alessandro Marescotti aggiunge nuove riflessioni e richiami storici fondamentali, ma scende anche in particolari “concreti” su che cosa significhi l’immigrazione sull’economia italiana e europea.

I dati della Banca d’Italia riportati sul report “Il contributo della demografia alla crescita economica” sottolineano che la demografia è centrale: si calcola che entro il 2041 nemmeno i flussi migratori previsti saranno in grado di invertire la tendenza demografica negativa in corso, per cui avremo molti anziani e pochi giovani, con uno sbilanciamento che sarà letale per l’economia se non arriveranno in nostro soccorso proprio loro: gli immigrati.

Anche Moni Ovadia richiama la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: Tutti gli uomini nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Questo enunciato – scrive – dovrebbe essere per ogni cittadino democratico il mantra di una fede laica e secolare che abbia al centro l’umanità in quanto tale prima di ogni successiva connotazione. Mimmo Lucano pratica questo mantra come un irrinunciabile strumento di relazione e di amministrazione di una comunità, per questo è riuscito a creare un’integrazione giusta eticamente e funzionalmente.

L’intervista a Mimmo Lucano, è di concreta attualità: Mi sono trovato per una casualità ad accogliere una nave sulle coste di Riace, con dei profughi: da quello sbarco mi sono avvicinato a questi esseri umani. Tanti elementi hanno fatto breccia nella mia sensibilità, per esempio la questione curda e le rivendicazioni politiche, che durano da più di un secolo, di questo popolo senza uno Stato, a cui viene impedito persino di parlare il proprio idioma.

Le conclusioni sono di Alfonso Navarra ricordano che: La nonviolenza di cui parlava il partigiano Hessel, e da me condivisa, non era e non è l’ideologia passiva e moraleggiante del “sopportate le ingiustizie e sforzatevi di perdonare i prepotenti”, ma l’intelligenza strategica fondata sulla forza dell’unione popolare.

La nonviolenza efficace: questa via in cui i mezzi sono omogenei ai fini è quanto mi permetto ancora di suggerire a chi, alla ricerca di un nuovo umanesimo, ha fame di verità e sete di giustizia.

Note: Trasmissione “Dieci minuti al Massimo” di Radio Barrio con Massimo Laganà e Fabio Riganello:
https://www.mixcloud.com/ilbarrio/dieci-minuti-al-massimo-17-aprile-2021-radio-barrio/

Diretta Facebook:
https://www.facebook.com/libreriailmosaico/videos/433804291110499

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La necessaria transizione energetica e come realizzarla

La necessaria transizione energetica e come realizzarla

di Mario Agostinelli

Incontro con Mimmo Perrotta e Marino Ruzzenenti

 

Energia e vita

Per cominciare, è necessario spiegare perché di questi tempi è così importante riflettere sull’energia. L’energia è una proprietà che consente a un corpo o a un sistema che la possiede di fare lavoro o di dar luogo a trasformazioni energetiche a spese delle sue caratteristiche di partenza. Quando si dispone di maggiori potenze, il lavoro o la trasformazione avvengono a maggiori rapidità. È questa una delle ragioni per cui si è concentrata sulla potenza l’applicazione prevalente e sempre più devastante dell’energia alla trasformazione della natura inerte e soltanto da poco più di un secolo la scienza tratta con sempre maggior preoccupazione del rapporto tra energia e vita, tenendo conto che i cicli naturali si riproducono raggiungendo condizioni di stabilità ed equilibrio con la minore dispersione di energia. Più ancora che di un oggetto di difficile definizione, si tratta di una lente formidabile attraverso cui si può leggere il mondo – dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande – e capire come tutto sia interconnesso in forma di scambi, di relazioni, che ordinano il vivente mentre “disordinano” l’ambiente in cui sopravvive. 

Dalla rivoluzione scientifica del 1600 avevamo tratto la capacità di mettere in relazione quantitativa le grandezze fisiche presenti nel nostro universo, stabilendo leggi matematiche che ritenevamo immutabili e che trasformavano la materia a velocità sempre più elevata, nella presunzione che le risorse cui si applicava il lavoro e l’energia che ottenevamo con la combustione del carbone fossero illimitate. Si profilava e attuava un mondo artificiale sempre più complesso, che circondava le città, le fabbriche, delimitava le campagne e inquinava i fiumi, concentrando sulla produzione e il commercio di manufatti la crescita e la ricchezza delle economie e delle nazioni. È il mondo che Engels scopre nella sua valle di Wuppertal, ormai costipata di manifatture avvolte da nuvole pestifere. Ma è proprio dalla seconda metà dell’800 che nascono i primi studi sistematici e i nuovi modelli per interpretare la vita come fenomeno e valore distinto, irripetibile e fragile, che andava trattato come un insieme e non semplicemente come un “ente” scomponibile o smontabile in parti complementari, giacché il tutto era superiore alla pura somma dei costituenti. L’entrata in campo della vita e delle sue relazioni indissolubili con la natura finì col togliere alle leggi fisiche newtoniane, deterministe, indipendenti dal tempo e dal contesto in cui si applicavano, il primato nel disegnare il nostro futuro e addirittura di stabilire la gerarchia che presiedeva alla politica, consegnando a un approccio interdisciplinare e non più solo specialistico la preoccupazione per la cura, per il benessere, per una giusta sopravvivenza dell’intera biosfera.

Credo che la lettura più straordinaria che sia stata data negli ultimi anni sul rapporto tra energia e vivente sia quella articolata con suggestioni penetranti nella enciclica Laudato Si’. Con essa Francesco ha prodotto una cesura con la concezione meccanicistica e determinista dell’energia ed ha contribuito a spostare il centro della discussione dall’antropocentrismo e dalla geopolitica alla cura della Terra come complesso coerentemente inscindibile. Per la prima volta un religioso – non soltanto cattolico, ma, probabilmente, unico nelle religioni – fa marciare insieme la scienza più avanzata e la religione e non le mette in rapporto gerarchico e nemmeno dialettico tra di loro. Si tratta di una lettura della realtà che ci circonda, che io non mi sarei aspettato, soprattutto da un’esegesi religiosa, anche perché interiorizza un’idea di un tempo che va immancabilmente e colpevolmente a finire, in cui il disordine provocato dall’ultima specie comparsa sul Pianeta può diventare talmente insopprimibile da mettere in discussione la riproduzione della vita. Molta ecologia già percorreva una strada parallela, ma la diffusione del negazionismo climatico non aveva ancora incontrato un pensiero che – come afferma Peter Kammerer – “ha preso le ali”.

Un altro aspetto da prendere in considerazione nella relazione tra energia e vita è quello della giustizia sociale. Sembrerebbero nozioni assai distanti, ma basta per collegarli dare una definizione all’ordine e al disordine che si crea intorno alla vita: “entropia”. Essa è la misura del grado di ordine e di informazione che si può trarre da un corpo; in natura, fatta di tanti corpi isolati nel loro ambiente, l’entropia di [vivente + ambiente] tende irreversibilmente a crescere. Poiché gli esseri viventi sono dotati di un “progetto interno” che mantiene il loro ordine il più elevato possibile, prelevano energia dall’ambiente, creando in tal modo una quantità di scarti, sprechi, rifiuti che fanno crescere il degrado e il disordine complessivo. “Ogni vivente – dice Bertand Russell – è a suo modo un imperialista che cerca di appropriarsi dell’ambiente circostante”. A meno che prevalga una cooperazione, che nel mondo animale e vegetale è assai presente e che la specie umana affronta o rifiuta dandosi regole politiche e sociali. Consumare troppa energia o troppi alimenti o troppi oggetti, e lasciarne privi altri esseri, corrisponde a ridurre potenzialità di vita in base a scelte che prevedono ingiustizia sociale, come accade nel sistema capitalista, che, oltrepassando i limiti naturali, è all’origine anche dell’ingiustizia climatica.

Da solo poco più di cinquanta anni abbiamo consapevolezza di un rapporto tra energia e vita così inquietante quando se ne infrangono i limiti, per due ragioni importanti, che purtroppo non vengono ancora insegnate nelle scuole (non le hanno insegnate neanche a me, che sono un chimico-fisico): la prima riguarda le eccessive potenze (velocità trasformative) con cui si è messa al lavoro da secoli l’energia fossile; la seconda corrisponde alla sottovalutazione dell’innalzamento della temperatura della Terra, che è indice di una crescita della sua energia interna oltre l’equilibrio. 

La prima consapevolezza emerge solo negli anni ’60: prima di allora, si pensava all’energia come un magazzino infinito da cui potessimo trarre infinite risorse, impiegate nella trasformazione della natura in mondo artificiale. Solo dopo la metà del Novecento i primi attenti osservatori si accorgono che la natura si consuma e che alcune materie non sono recuperabili in cicli utili, ma vanno scartate e non c’è energia conveniente per rinnovarle. Nel 1972, il Club di Roma individuò nell’uso esasperato di materie prime la possibile fine della presenza umana sulla terra. E quindi spinse per un atteggiamento sobrio rispetto in particolare ai consumi di materia. L’energia fossile con i suoi effetti climalteranti era presa in considerazione solo per la sua esauribilità. 

La seconda consapevolezza si è fatta strada quando si è estesa la convinzione che la finestra energetica in cui avvengono processi di vita “salubri” è entro i limiti di due-tre gradi al massimo. E la climatologia cominciò ad avvertire, con milioni di dati alla mano raccolti giorno dopo giorno e ad ogni latitudine e longitudine, che se la temperatura media dovesse aumentare oltre 2°C, le catastrofi sarebbero superiori alle disponibilità di prevenirle e l’estinzione della specie avrebbe un orizzonte temporale di poche generazioni. Non era possibile fino ai primi decenni del Novecento, con la relatività e la quantistica ormai affermate, individuare i meccanismi microscopici che spiegano gli scambi di energia tra raggi solari e Terra, per cui si comprende che l’esistenza della vita dipende da un fatto eccezionale: che questo pianeta è circondato da un insieme minuto e differenziato di particelle che vengono colpite dalla radiazione, che con un meccanismo quantistico ne spezza le molecole oppure, nel caso della CO2 o del metano, induce vibrazioni che trasmettono movimento alle altre molecole che stanno attorno e quindi producono calore. E si comprende, infine, che se questi meccanismi microscopici producono disordine irrecuperabile la vita stessa potrebbe estinguersi. Ad esempio, basta un eccesso di CO2 perché le piante non respirino come prima. Si è cominciato quindi a parlare di bilancio di flussi energetici in atmosfera, di assorbimenti negli oceani, di permeabilità dei suoli, di assorbimento delle foreste. Da questo punto di vista è stato decisivo l’osservatorio di Mauna Loa, alle Hawaii, che dalla fine degli anni ’50 misura costantemente la CO2 nell’atmosfera e la temperatura sulla terra. 

Queste due consapevolezze sono molto recenti, storicamente datate e fortemente negate dagli interessi del mondo dell’impresa e delle grandi multinazionali, assecondate da gran parte dei governanti. 

 

La transizione ineludibile

Oggi a livello globale tra le fonti di energia prevale ancora nettamente la quota di fossile: ancora molto carbone e, relativamente in crescita rispetto al carbone, petrolio in forma di benzina e diesel per la mobilità e gas per le forniture elettriche. Il futuro è però sicuramente un futuro di azzeramento delle quote fossili, anche se questa prospettiva sarà frutto di aspri conflitti e di resistenza alle pressioni lobbistiche delle multinazionali attivissime in tutte le sedi internazionali (come l’attività di Eni e Snam a Bruxelles e all’interno del governo italiano denunciate da Re:Common). Sono necessari una serie di accordi internazionali, dopo quello insufficiente di Parigi 2015, con il rispetto dei quali il mix energetico si deve drasticamente spostare dal carbonio per provenire esclusivamente da fonte solare in costante equilibrio con il pianeta terra. Questa è la indicazione “da scolpire sulla pietra” assieme ad una riduzione dei consumi energetici pro capite, allineata in ogni regione del globo. 

Le fonti fossili sono il lavoro fatto per milioni di anni dal sole e conservato all’interno della crosta terrestre o dei mari in forma altamente condensata, quindi con densità energetica (potere calorifico) rilevante. I giacimenti fossili sono il frutto del sequestro sottoterra o nelle rocce o nei mari – e comunque non in atmosfera – di notevoli quantità di anidride carbonica che, senza processi di equilibrio tra aria, rocce, mari e vegetazione, avrebbero reso la vita impossibile. Man mano che questi stati di carbonio in forma di complessi, cioè carbone, gas, petrolio, sono stati sequestrati e sottratti all’atmosfera attraverso processi geologici, è diminuita la quantità di CO2 che sopravviveva in parti per milione nell’aria, fino a raggiungere un equilibrio attorno a 300 parti per milione, che ha consentito la transizione decisiva verso l’evoluzione, in quanto permetteva all’assorbimento di CO2 da parte delle piante l’emissione di ossigeno e, di conseguenza, l’alimentazione della vita attraverso la respirazione. La presenza di una concentrazione di CO2 sostanzialmente costante ha dato origine all’effetto serra, dovuto a una riflessione in atmosfera della radiazione infrarossa, che ha consentito che la temperatura media del pianeta raggiungesse 15°C, da -18°C in assenza di effetto serra. Ora, però, man mano che emettiamo CO2 in eccesso – siamo nel 2021 a oltre 415 parti per milione – rischiamo di far crescere a tal punto l’effetto serra da avere una temperatura media sul pianeta che non è più completamente compatibile con la riproduzione della vita, a cominciare dai tropici  e dai poli.

Si capisce perché occorra tenere sotto terra due terzi di tutto il materiale denso di energia che proviene dal carbonio fossile, sotterrato geologicamente in una successione di miliardi di anni e che la combustione potrebbe invece liberare all’istante. Per questo è indispensabile lo spostamento verso fonti di energia come acqua, vento, sole e in misura meno rilevante geotermia, che non liberano anidride carbonica. L’attenzione così si sposta dal modello di consumo al modello di produzione: non più consumo rapido di energia – non più combustione! un evento che in natura esiste solo come incidente – ma equilibri naturali e ciclo solare secondo tempi biologici di smaltimento delle scorie.

Un secondo fattore che indica l’ineluttabilità dell’abbandono dei fossili sono i costi, che aumentano costantemente rispetto a quelli delle fonti rinnovabili, che oggi sono più convenienti anche considerate nell’intero ciclo di vita. Certo, dal punto di vista dei costi le fonti fossili hanno – ma potremmo dire avevano – un vantaggio rispetto alle rinnovabili: possono essere trasportate e bruciate anche per un intero anno, mentre le rinnovabili sono intermittenti: dipendono dall’esposizione al sole (quindi solo durante le ore del giorno) o al vento (che tira bene per tre quarti dell’anno nel Baltico, per metà dell’anno nel Mediterraneo…). Questo fino a cinque anni fa faceva pendere la bilancia dei costi verso i fossili. Oggi c’è una novità, che è vista come una soluzione decisiva anche in prospettiva: la possibilità che, attraverso l’idrolisi, l’energia elettrica prodotta in eccesso e non consumata (quando magari c’è vento troppo forte o c’è un sole troppo battente o magari di notte quando l’idroelettrico viene usato come pompaggio) venga invece trasformata in idrogeno, che può essere trasportato o di nuovo riconvertito in energia elettrica. Potremmo dire che una soluzione alla sostituzione definitiva dei fossili è già alla portata anche economica: rinnovabili, in particolare eolico, e accanto a esse un sistema di approvvigionamento che possa essere poi ridistribuito e utilizzato nei momenti in cui non c’è dispacciamento diretto di energia elettrica (idrogeno, pompaggi, batterie).

L’UE in questo Next Generation Plan ha puntato quasi tutto in una direzione di questo tipo.

 

Energia e democrazia

Dal punto di vista delle politiche energetiche, questo spostamento verso le fonti rinnovabili è il colpo più duro che potesse subire la geopolitica mondiale, almeno per come l’abbiamo ereditata dalle due guerre mondiali. Mentre le fonti fossili sono ad alta densità e concentrate anche localmente, le energie rinnovabili sono dappertutto: in un deserto c’è molto sole ma non c’è l’acqua, in un fondovalle c’è molto vento e c’è poco sole, in cima ad un ghiacciaio c’è sia sole che vento che acqua condensata. Insomma, le fonti rinnovabili sono largamente disponibili, sebbene in misure e proporzioni diverse, in quasi tutte le parti del pianeta. Questo è il colpo più duro che potessero subire le corporation minerarie e le multinazionali energetiche che avevano dislocato in spazi territoriali circoscritti le loro licenze e proprietà di derivazione sostanzialmente coloniale, visto che ormai il petrolio o il gas si andavano a cercare con strutture e impianti imponenti perfino tra i ghiacci o in fondo al mare, con costi crescenti e sistemi di trasporto smisurati.

A fronte del loro declino, oggi è in corso una duplice forma di guerra. La prima è di sapore antico, militare: per procurarsi il petrolio e il gas, gli eserciti sono in continua crescita e si contendono i territori con forme di occupazione ad alto dispendio di automazione e controllo a distanza. Si noti che il terzo produttore di CO2 al mondo, se lo considerassimo come uno stato, è il settore delle armi: droni, portaerei, cacciabombardieri, missili puntati, ordigni nucleari sempre allerta su mezzi mobili. Questa enorme mole di energia degradata ora dopo ora, sprecata e irrecuperabile contraddice profondamente la possibilità invece di convivere con un’energia rinnovabile, cioè rigenerabile nei tempi della vita umana o nel susseguirsi di generazioni in tempi storici. Le armi, evidentemente, contraddicono qualsiasi principio di rinnovabilità: in un tempo il più breve possibile scaricano il massimo di energia distruttiva. Non è un caso se questo papa è andato in Iraq, dove c’è una guerra per il petrolio, per l’acqua, per l’accaparramento degli elementi naturali. 

Il secondo tipo di guerra lo stanno conducendo le grandi multinazionali dei fossili, che hanno capito che dal punto di vista economico in un tempo di venti o trent’anni bisogna passare a un mix dove le fonti naturali saranno nettamente superiori rispetto ai fossili e non hanno alcuna intenzione di lasciare il campo senza combattere. Già nel 2019 e nel 2020 nel mondo si sono fatti più investimenti in rinnovabili che in tutti gli altri settori, compreso il nucleare. L’economia sembra prendere un corso diverso: in tal caso le multinazionali provano a ritardarne quanto possibile la trasformazione anche a spese di salute e clima, per poter reindirizzare tutte le riserve finanziarie del mondo fossile, che sono tutt’ora enormi, verso sistemi ancora centralizzati, proprietari, a dimensione non territoriale.

Il sistema delle rinnovabili, al contrario, è territoriale, decentrato, democratico, cooperativo, senza sprechi. Con le fonti idriche, solari ed eoliche si potrebbe organizzare la produzione di energia in autentiche comunità, che siano in comunicazione tra loro attraverso sistemi informatici e usare il criterio della sufficienza – e ce n’è, perché abbiamo una quantità di sole infinitamente superiore a quella che serve per dare vita alla terra e a tutte le forme che la popolano – mentre il resto dell’energia prodotta potrebbe essere distribuita per eliminare la povertà energetica.

Purtroppo, nell’attuale fase di transizione le grandi corporation elettriche o fossili puntano a costruire ancora grandi impianti, di potenza non distribuita, stoccata eventualmente in grandi bacini di gas, idrogeno e acqua di loro proprietà.

A Civitavecchia è in corso uno scontro chiarissimo e con i connotati sopra riportati. La sostituzione della centrale a carbone dell’Enel – a dispetto della cittadinanza e delle sue rappresentanze territoriali – viene prevista con la combustione di gas metano e un tracollo dell’occupazione anche in prospettiva, con un silenzio tombale finora di Governo e Regione. A questa soluzione, deprecata e contrastata anche dai piani di raggiungimento della neutralità climatica approvati dal Parlamento europeo, i movimenti ambientalisti e la mobilitazione dei lavoratori e della popolazione stanno contrapponendo un modello territoriale concretamente perseguibile, con vantaggi tangibili sul piano della salute, dell’occupazione, della cura del territorio. Un sistema eolico galleggiante a distanza nel mare e una rete alimentata da fotovoltaico sull’area del carbonile attuale, assistiti da stoccaggio con idrogeno, alimenterebbero la città e il territorio circostante, estendendo anche alla mobilità e al calore i benefici di un sistema pulito. A Civitavecchia si è palesato uno straordinario esempio di protagonismo del mondo del lavoro, che si è schierato per la transizione energetica: i dipendenti della centrale, appoggiati dalla Uil, dalla Camera del Lavoro, dall’Usb e dai due maggiori comitati contro i fossili della città, hanno già indetto più ore di sciopero contro il progetto sbandierato con una dose di arroganza da altri tempi dalla direzione Enel attraverso la pagina locale del Messaggero.

 

La difficile transizione nei grandi stabilimenti produttivi e il rischio del nucleare

La svolta in corso adesso non ha i tempi che i governanti vorrebbero imporre. Una parte larga della società, compresi gli studenti, si rende conto che può vivere utilizzando di fatto le fonti solari, sebbene nei luoghi di lavoro questa consapevolezza non sia ancora giunta a piena maturazione. 

Certo, non c’è ancora oggi una ricerca avanzata e una tecnologia non solo sperimentale per alimentare con sistemi a fonti rinnovabili alcuni processi produttivi complessi, ad alta temperatura e che richiedono energia molto condensata: acciaierie, cementifici, certi processi chimici. Il caso tipico riguarda le acciaierie di Taranto (io sono di quelli che pensano che l’Ilva andrebbe chiusa al più presto, perché non c’è soluzione per un sistema che non dispone di investimenti e progetti in ricerca di alternative, poiché non si sono prese per tempo le precauzioni per affrontare la transizione). I modelli alternativi per un impianto di quella portata e in condizioni di crisi così impellente non sono ancora all’altezza della sfida. L’idrogeno dovrebbe svolgere un ruolo chiave nella futura decarbonizzazione dell’industria siderurgica e di altre industrie pesanti. Può essere utilizzato come materia prima, combustibile o vettore energetico e stoccaggio e ha molte possibili applicazioni. Di recente la Germania ha adottato il documento “Steel Action Concept” per la decarbonizzazione dell’industria siderurgica tedesca attraverso un aumento dell’utilizzo di energie rinnovabili e l’introduzione dell’idrogeno verde nei processi industriali. Le acciaierie di Lienz in Austria funzionano totalmente a idrogeno, con quattro idrolizzatori; è uno stabilimento davvero notevole e fa un acciaio specialissimo, tuttavia produce solo un quarantesimo di quello dell’Ilva.

Penso che, se consumi e trasporti si convertono a energie rinnovabili e, cosa altrettanto importante, l’agricoltura viene convertita ad agricoltura di vicinanza, senza ricorso ai concimi chimici, allora anche il problema delle grandi produzioni verrà affrontato con uno sforzo maggiore di ricerca e con lo straordinario apporto che può offrire la nuova generazione. 

Temo che in questa fase torni una spinta al nucleare, per i grandi impianti. Il nucleare è non solo peggio dei fossili, ma è ben più devastante e irrimediabile in tempi storici. Basti pensare che il tempo di dimezzamento del plutonio è di 121.400 anni e noi ancora non sappiamo dove mettere le scorie in depositi sicuri. E, ancora, che a Fukushima si continua a versare bario e stronzio radioattivo nel Pacifico per tenere a bada la fusione dei tre reattori avvenuta 10 anni fa. Così come ritengo pericolosa l’affermazione avventata del nuovo ministro per la transizione Cingolani sulla disponibilità a dieci anni della fusione nucleare: un diversivo – temo – per non giocare a fondo il passaggio a multipli di potenza rinnovabile già nei prossimi tre anni. 

Non ci sono soluzioni meramente tecnologiche, se le tecnologie cercano di risolvere i problemi lasciandone inalterata la causa. 

 

Le prospettive dell’Italia

L’Italia tra le nazioni europee ha una particolare caratteristica: possiede una quota di carbone nel suo mix energetico inferiore in genere alla gran parte degli altri paesi, ma non tende a innescare, come accade ad esempio in Germania e Spagna, un processo di crescita di eolico e solare equivalente agli obiettivi a cui tende l’Europa. Eppure, la sua posizione geografica glielo consentirebbe. Negli ultimi anni vi è stato uno stallo: se nel 2007 avevamo il 24,2% di energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili (compreso l’idroelettrico, su cui l’Italia vanta una eredità importante, grazie ai grandi impianti alpini e appenninici), nel 2014 siamo arrivati al 38,6%, ma nel 2019 la quota era scesa al 35,9%. Una vera e propria flessione, con una responsabilità politica. Dal 2011 al 2019 abbiamo mantenuto statica la quantità di energia fornita da vento, sole e acqua, mentre abbiamo aumentato la quota di gas, soprattutto in funzione di stoccaggio nel caso di black-out, lasciando del tutto inattivi i bacini di pompaggio pronti all’occorrenza. La crescita di generazione fotovoltaica in Italia dal 2017 al 2019 è stata un quinto di quella della Germania. Inoltre, soffriamo di un forte disavanzo commerciale riguardo alle “tecnologie verdi”, perché i pannelli fotovoltaici prima prodotti, oggi sono completamente importati.

Nel nostro piano energetico nazionale (PNIEC), per raggiungere l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media al di sotto di 1,5 gradi, noi dovremmo ridurre anno dopo anno della metà le emissioni di CO2, installando almeno 17 GW di rinnovabili, cosa del tutto improbabile se non si sblocca il meccanismo delle autorizzazioni e se il PNIEC rinuncia all’obbiettivo UE del 55% rimanendo fermo al 48%. Un problema tuttora molto acuto è quello dei trasporti: impieghiamo più energia nei trasporti che nell’industria, abbiamo il carico di auto per famiglia più alto in Europa e un parco macchine che mediamente supera i 135 grammi di CO2 di emissione per km. 

Naturalmente una transizione come quella in discussione è fitta di conflitti, ma anche di imbrogli. Il più imbarazzante lo sta gestendo Eni a Ravenna, con il progetto di produrre idrogeno da una centrale a metano con sequestro della CO2 da pompare sottoterra. È un progetto non solo ambientalmente dannoso, data la pericolosità di un giacimento di anidride carbonica, ma anche assurdo, perché l’idrogeno verrebbe a caricarsi dei costi della cattura e della compressione del gas climalterante nelle falde sotterranee. Senza mettere in conto le perdite inevitabili di metano nelle condutture dell’impianto, sotto osservazione per il suo pesante effetto sull’innalzamento della temperatura terrestre. 

Rispetto al governo Draghi e al nuovo ministero per la transizione ecologica non sono ottimista. Lo sarei se le associazioni ambientaliste e le rappresentanze locali avessero voce e potessero partecipare alla formulazione dei PNRR (Piani nazionali di ripresa e resilienza). Ma il fatto che la validazione avvenga attraverso McKinsey significa affidarsi a una cultura che punta esclusivamente all’efficienza in termini di come la valuta l’impresa. E qui non siamo di fronte a una contabilità aziendale e nemmeno a progetti che vengano semplicemente delegati agli accordi che Eni, Enel e Cassa Depositi e Prestiti raggiungono a livello ministeriale, nel silenzio dei cittadini e dei lavoratori. 

Io non credo che il ministro Cingolani possa presumere di avere da solo la cultura sufficiente per affrontare questo passaggio. Occorre svolgere un dibattito pubblico, accessibile e informato, ma di ciò finora non si ha notizia alcuna. Nemmeno a Civitavecchia, dove la transizione energetica è all’ordine del giorno. Penso che, per quanto riguarda l’ecologia integrale, la tecnologia, che spesso diventa tecnocrazia, prenda il problema per la coda anziché per la testa: è il nostro modo di produrre e consumare che va radicalmente cambiato. A Cingolani proporrei di partire da una attenta considerazione della Laudato Si’.

 

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Un canale video per la cultura della pace del XXI secolo

di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

Progetto Memoria e Futuro, Disarmisti Esigenti

Il canale video “Siamo tutti premi Nobel per la pace con ICAN”, promosso dai Disarmisti esigenti, membri italiani di questa rete internazionale, nasce per supportare l’iniziativa antinucleare globale: questo anno ha ottenuto la storica entrata in vigore, il 22 gennaio scorso, del Trattato di proibizione delle armi nucleari! Adesso questo progetto comunicativo si estende e qualifica come intervento culturale ambizioso per promuovere la “Rete per l’educazione alla terrestrità”, con una didattica della memoria proiettata sul futuro della “nonviolenza efficace”

La direttrice esecutiva di ICAN, Beatrice Fihn, nel ricevere il premio Nobel per la pace 2017 dato a ICAN, la campagna internazionale per la proibizione delle armi nucleari (500 associazioni diffuse in 100 Paesi), aveva dichiarato: «È un onore immenso: è un premio importantissimo per tutti coloro che lavorano alla lotta contro le armi nucleari, un tributo ai sopravvissuti di Hiroshima e anche alle vittime dei test nucleari».

Il premio per tutti gli attivisti antinucleari, come lo ha definito Beatrice Fihn, attribuito per aver ottenuto l’adozione da parte ONU del Trattato di proibizione delle armi nucleari, ha dato vita all’idea, lanciata e realizzata dai Disarmisti esigenti, tra i membri ICAN in Italia, di organizzare un canale video su YouTube volto a sostenere l’obiettivo della rete degli attivisti antinucleari e ad allargare e approfondire l’impegno di organizzazioni e cittadini italiani nel perseguirlo.

Testimonianze, tra gli altri, di Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Luigi Ciotti, Vittorio Agnoletto

Intervistato sul canale YouTube “Siamo tutti Premi Nobel per la Pace con ICAN” (https://youtu.be/c7a70PSjh3g) da Fabrizio Cracolici e Laura Tussi, Mario Salomone, direttore di “.eco” e segretario generale WEEC International, parla di ambiente, pace e disarmo con Alfonso Navarra, Portavoce dei Disarmisti Esigenti, e Giuseppe Farinella, Direttore della rivista “Il Sole di Parigi”.

Nel canale ospitiamo le dichiarazioni di personalità italiane a favore di ICAN: citiamo, tra gli altri Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Luigi Ciotti, Vittorio Agnoletto e inseriamo le “conversazioni disarmiste”. Queste conversazioni sono incontri di approfondimento con il portavoce Alfonso Navarra ed esperti come Luigi Mosca, fisico nucleare, già direttore del Laboratorio sotterraneo di Modane.

Affrontiamo la situazione e le prospettive del disarmo nel mondo, cercando di offrire elementi conoscitivi e analitici seri e fondati, seguendo il percorso che dovrà condurci dall’abolizione giuridica all’eliminazione effettiva degli ordigni nucleari, dopo l’effettiva entrata in vigore del Trattato, il 22 gennaio di quest’anno, allo scattare della 50esima ratifica dell’Honduras.

Una piattaforma in espansione

Ora, in coerenza con la definizione che identifica la «nonviolenza efficace con i progressi del diritto internazionale» (dovuta a Papa Francesco che parafrasa Gandhi), questo canale si sta estendendo e qualificando come strumento di lavoro culturale, come piattaforma web rivolta alle scuole in primis, al mondo complesso dei formatori e dell’attivismo sensibile al tema dell’educazione alla pace, ponendosi come strumento della costruzione di una “Rete per l’educazione alla terrestrità”, collegata alla iniziativa della “Carta della Terra”, fatta propria dall’UNESCO (il segretariato internazionale è presso l’Università della pace ONU in Costarica).

La “Terrestrità” è un termine che diventa quasi un neologismo nell’interpretazione innovativa attribuitagli da Alfonso Navarra, il portavoce dei Disarmisti esigenti, nonviolento “storico”, attuale segretario della Lega per il Disarmo unilaterale fondata dallo scrittore Carlo Cassola.

“Terrestrità” potrebbe apparire come l’aggiornamento scientifico di una concezione ancestrale mitologica: la specie umana appartiene alla Terra, e non è il contrario, non può arrogarsi di essere “padrona” della Natura.

Il diritto e i diritti prevalgano sulla forza

L’innovazione sta nel mettere insieme internazionalismo sociale (sfruttati e oppressi di tutti i Paesi unitevi!), responsabilità comune verso l’unico ecosistema planetario, ed infine ordinamento internazionale come affermazione della forza del diritto e dei diritti a livello mondiale, che deve prevalere sul diritto della forza armata e la sovranità assoluta degli Stati nazionali.

La terrestrità è, in sostanza, cittadinanza globale, ma nutrita di coscienza ecologica con la volontà di trasformare le istituzioni e il diritto internazionale riconoscendo i diritti dell’Umanità e i diritti della Natura.

La prospettiva di questo salto culturale, che si affianca alla attività politica in senso stretto, ma alla ricerca delle ragioni e dell’impegno politico quotidiano, è quella di diventare una web TV con vari canali tematici.

C’è anche la musica di impegno civile

In questi temi comprendiamo anche il modello universale e sociale di Riace esportabile in tutto il mondo. Inoltre sono predisposti materiali e archivi storici dalla fondazione Massimo Sani, uno dei più grandi registi di storia contemporanea che ha collaborato moltissimo con la Rai, fino al progetto “Per non dimenticare” sulla deportazione politica con oltre 220 videotestimonianze di deportati civili per motivazioni politiche nei campi di concentramento e di sterminio nazifascisti e un archivio su Genova 2001, che comprende materiali video sul movimento altermondialista in opposizione al summit del G8 svoltosi a Genova nel 2001, in collaborazione con Vittorio Agnoletto.

Abbiamo anche una sezione “Musica di impegno civile”, con cantautori per la pace e un archivio di pedagogia della memoria con centinaia di articoli pedagogici, libri, scritti e eventi e locandine di eventi delle innumerevoli presentazioni in pubblico dei libri prodotti, soprattutto con Mimesis Edizioni.

Memoria e futuro

Sono previsti anche corsi di formazione di didattica della memoria. E qui possiamo agganciare, in ultimo ma non da ultimo, il progetto Memoria e futuro, che si ricollega alla Rete per l’educazione alla terrestrità quale suo pilastro tematico.

Nel nostro progetto faremo confluire la parte vitale dell’esperienza del progetto “Per non dimenticare”, un importante archivio di materiale di testimonianze e di documentazione sulla memoria della deportazione politica – dovuto anche al lavoro decennale di Fabrizio Cracolici con la collaborazione della sottoscritta – e intendiamo ribadire la collaborazione con gli ambienti ANPI che continueranno a rappresentare un circuito importante per i nostri incontri culturali in pubblico.

Uno strumento scientifico e culturale che promuoverà la Rete di educazione alla cultura della “Terrestrità” è il libro “Memoria e futuro”, Mimesis Edizioni.

In questo libro, di cui gli autori sono Alfonso Navarra, Fabrizio Cracolici e Laura Tussi, e che contiene il saggio dello scienziato Luigi Mosca “Il lungo cammino dell’Umanità per uscire dalla barbarie”, si sottolinea l’antifascismo sociale come punto importante della cultura della terrestrità.

Una coscienza ecologica planetaria

L’antifascismo sociale è tutt’uno con l’internazionalismo per un’umanità unica che deve e ha l’obbligo di salvaguardare e tutelare la specie vivente e la “Madre Terra” in base a una coscienza ecologica planetaria.

Questi punti, lo ripetiamo, devono essere riconosciuti, e in parte già lo sono, dal diritto internazionale che coincide con la nostra prospettiva e visione di nonviolenza efficace: i progressi del diritto internazionale contro il sovranismo assoluto degli Stati.

Un principio già contenuto nell’articolo 11 della Costituzione italiana che afferma: “(l’Italia) consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.

Tutte queste premesse e spunti e argomenti rientrano nel grande lavoro e percorso della pace del XXI secolo di cui il Trattato ONU di Proibizioni per le Armi Nucleari e le COP per il clima – gli accordi di Parigi per la decarbonizzazione entro il 2050 – sono solo un tassello, insieme alle Costituzioni Nazionali nate dalla lotta al nazifascismo e alla dichiarazione universale dei diritti umani, alla Carta della terra e l’Agenda Onu 2030.

Con lo sguardo a un futuro possibile

Il progetto Memoria e Futuro, all’interno della Rete per l’educazione alla “Terrestrità”, è formalmente un “settore” dell’associazione Kronos Pro Natura, la quale fa appunto parte della coalizione dei Disarmisti Esigenti. A Kronos fa capo anche il bollettino telematico Il Sole di Parigi, diretto da Giuseppe Farinella, che si propone come strumento dell’osservatorio sull’attuazione degli accordi internazionali sul clima globale.

La missione di Memoria e futuro, consiste nella condivisione e nella valorizzazione del grande patrimonio inestimabile della memoria della resistenza al nazifascismo con uno sguardo rivolto a un futuro possibile, a “un altro mondo possibile”: all’insegna della Terrestrità collegata e correlata ai temi della pace, dell’ambiente e della giustizia sociale.

Canale video “Siamo tutti Premi Nobel per la Pace con Ican”: CLICCA QUI

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La violenza non è il mio destino: il posto delle parole

Il posto delle parole diretto da Livio Partiti presenta:

La violenza non è il mio destino: il posto delle parole

Tiziana Di Ruscio, bambina, ragazza e adesso donna e madre. La sua storia di vita, narrata in questo libro di drammatica verità, è un susseguirsi di eventi di violenza psicologica, fisica, sessuale che accomuna molte donne nel mondo e nella storia dell’umanità

Il posto delle parole intervista Tiziana Di Ruscio autrice del Libro La violenza non è il mio destino, Mimesis Edizioni

Il posto delle parole diretto da Livio Partiti presenta:

Tiziana Di Ruscio vive la violenza in un incubo tra vita e speranza, tra disagio e volontà di riscatto. Il riscatto dato dall’essere riuscita a denunciare. E soprattutto una emancipazione, una liberazione morale nello scrivere questo fondamentale libello per la sua esistenza.

L’introduzione di Rita Trinchieri pone in evidenza la prima legge del 1996 che riconosce la violenza sessuale come reato contro la persona.

La prefazione di Laura Tussi e la postfazione di Fabrizio Cracolici denunciano l’atto della violenza sessuale tra le mura domestiche.

Le illustrazioni di Giulio Peranzoni, Mauro Biani e Francesca Quintilio rappresentano, in una cornice di verità narrativa, la sconcertante realtà. Inoltre conclude il racconto, il parere dell’esperta, la psicologa Mizar Specchio

 

La violenza non è il mio destino, Mimesis Edizioni

 

Prefazione di Laura Tussi

 

“Tiziana Di Ruscio, bambina, ragazza e adesso donna e madre.

La sua storia di vita, narrata in questo libro di drammatica verità, rasenta però l’incredibile e l’indicibile.

È un susseguirsi di eventi di violenza sia psicologica sia fisica sia sessuale che accomuna molte donne nel mondo e nella storia dell’umanità.

Donne che diventano succubi del potere e della violenza perpetrati dal sistema patriarcale, maschilista, misogino.

La prima legge innovativa sulla violenza sessuale è la numero 66 del febbraio 1996 dopo anni di lotte nell’ambito della tutela delle donne, come riporta nella sua introduzione l’amica Rita Trinchieri.

Rita, in stretta collaborazione con Tiziana, ha fondato l’associazione contro la violenza di genere “Il nastro rosa” e insieme con la ferma testimonianza, la forza della verità, la legge dell’amore propongono questa terribile narrazione, che rasenta l’inverosimile, in varie scuole per sviscerare e raccontare l’accaduto, senza preamboli, pudori, reticenze anche alle nuove generazioni.

Il titolo del libro è “La violenza non è il mio destino” .

Un titolo fortemente vissuto dall’autrice che subisce la violenza come un “baratro” esistenziale, un annientamento della vita, un annullamento della sua dignità e identità di donna.

Tiziana vive un nuovo “destino” una rinascita, dopo aver preso la sua vita in mano, dopo essersi riappropriata di se stessa, in seguito alla denuncia alle autorità e, scrivendo questo suo libro, denuncia i misfatti di violenza sessuale e fisica perpetrati e subiti da parte del marito. ‘Violenza’ e ‘Destino’ sono i due vissuti, i due archetipi ambivalenti e nettamente contrastanti che Tiziana descrive molto bene in questo racconto autobiografico…”

 

Postfazione di Fabrizio Cracolici

 

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Costituzione Italiana Art. 3

 

Ma che società è questa?

Una società da sempre basata sulla forza maschile e la sottomissione femminile.

L’uomo va alla guerra, la donna cresce figli per mandarli alla guerra.

Così è sempre stato e il sistema patriarcale non intende in nessun modo cambiare.

Leggi importanti sono state scritte a tutela della donna, ma il problema di fondo rimane, perché sono leggi troppo spesso pensate per cambiare tutto senza cambiare niente.

Prendiamo ad esempio le famose quote rosa. Stabilire per legge un minimo sindacale di rappresentanza femminile significa che comunque la quota maschile rimane predominante ma con la connotazione del politicamente corretto.

Ancora oggi esistono palesi disuguaglianze per esempio sul posto di lavoro, mansioni manuali e sottopagate alle donne e ruoli di responsabilità lautamente remunerati a uomini.

Che fare?

Come mutare radicalmente questo stato di cose?

È qui che tutti noi, assieme dobbiamo lavorare per costruire un tessuto sociale sano, capace di ripensarsi, una società equa, dove donna e uomo possano assieme sradicare completamente quel patriarcalismo e maschilismo che da troppo tempo è alla base di regole più o meno scritte che devono cambiare.

Tiziana, oltre ad aver avuto il coraggio di denunciare l’orrore che ha subito, senza romanzarlo, nella sua narrazione trasmette un grande insegnamento di vita: tenacemente bisogna riappropriarsi di ciò che naturalmente dovrebbe essere un diritto, il diritto alla felicità…” continua.

Note: La violenza non è il mio destino intervista su “Il posto delle parole”
https://ilpostodelleparole.it/libri/tiziana-di-ruscio-la-violenza-non-e-il-mio-destino/

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La Rivista Tempi di Fraternità nella sezione Disarmo nucleare presenta:

Tempi di Fraternità – Il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari

Il TPAN è valso il Premio Nobel per la Pace a ICAN – Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari nel 2017: uno dei tanti tasselli del lavoro e del percorso per la pace del XXI secolo, il diritto alla pace

Per l'educazione alla pace a partire dal disarmo nucleare

Il 22 gennaio 2021 è entrato in vigore a livello mondiale il TPAN – Trattato ONU di Proibizione delle Armi Nucleari – che è valso il Premio Nobel per la Pace a ICAN (Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari) nel 2017: uno dei tanti tasselli del lavoro e del percorso per la pace del XXI secolo – il diritto alla pace – insieme alle Costituzioni nate dalla Resistenza al nazifascismo, insieme alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, alle Carte della terra, alle Cop per il clima, all’Agenda Onu 2030 e così via.

Il trattato, per entrare in vigore, richiedeva la ratifica

da parte di almeno 50 Paesi. E il cinquantesimo Paese,

l’Honduras, lo ha ratificato il 24 ottobre 2020!

È illegale quindi, per i paesi che lo hanno firmato, consentire qualsiasi dislocazione, installazione o diffusione di armi nucleari o di altri dispositivi esplosivi nucleari sul proprio territorio o in qualsiasi luogo sotto la propria giurisdizione, e rafforza la posizione internazionale contro le armi nucleari, perché si tratta del primo strumento legale che le vieta esplicitamente.

Si è dato così corso alla storica approvazione del trattato da parte dell’Assemblea generale Onu, avvenuta il 7 luglio 2017. In quella occasione una larga maggioranza di Paesi (122) votò a favore, mentre si oppose una minoranza costituita dai nove Paesi dotati di armi nucleari e dai loro alleati, tra cui l’Italia. È urgente oggi che la prepotenza di una minoranza di Paesi sia sottoposta alla volontà espressa dalla maggioranza e si affermi finalmente la Democrazia, sia in ambito ONU che nel mondo.

Il percorso del diritto rispetto al trattato di proibizione

delle armi nucleari è collegato al ruolo delle convenzioni di Ginevra che prevedono, tra l’altro, l’obbligo di prendere le precauzioni necessarie per limitare il più possibile gli effetti di un attacco bellico sulla popolazione civile. I civili in guerra quindi sono sacri, altrimenti si commette un crimine di guerra, un crimine contro l’umanità.

In vari periodi sono state abolite le armi biologiche,

chimiche, le mine antiuomo, ma le armi nucleari,

chissà perché, non sono mai state messe al bando. Finalmente il TPAN le dichiara illegali, perché sono armi indiscriminate, come quelle prima indicate.

Ci viene raccontato che, nonostante il numero notevole di ordigni custoditi nei depositi nucleari e i giganteschi investimenti in nuove e più “efficaci” tecnologie, un attacco nucleare, grazie alla dissuasione attraverso la minaccia della reciproca distruzione totale, è impossibile.

Ma in realtà potrebbe non essere così.

Il 26 settembre 1983, i dispositivi di difesa della allora

Unione Sovietica segnalarono un attacco missilistico

da parte degli Stati Uniti: «Missili termonucleari americani in arrivo. Colpiranno il territorio dell’Unione Sovietica fra 25/30 minuti». La procedura prevedeva di informare immediatamente i superiori. Petrov era un analista, riteneva che il messaggio fosse un errore del sistema: non informò i superiori. Nessun missile colpì l’Unione Sovietica: il sistema era stato ingannato da riflessi di luce sulle nuvole.

Petrov ricevette un richiamo, e perse la promozione a

colonnello, ma il suo gesto di disobbedienza aveva evitato una possibile tragedia nucleare.

La partita però non è vinta: occorrerà ora mobilitarsi

per pretendere l’attuazione del trattato anche per quei

Paesi, che in fondo sono i Paesi che detengono le armi

atomiche, ben consapevoli che il nucleare insieme a tutti gli armamenti muovono interessi politici ed economici enormi. E chi muove questi interessi non starà a guardare e a subire ciò che il trattato imporrebbe.

Le associazioni del mondo pacifista, felici per il risultato ottenuto anche grazie allo sforzo della società civile italiana e internazionale, si stanno già impegnando affinché il numero degli Stati aderenti al Trattato possa aumentare, a partire dall’Italia.

E queste istanze vanno promosse nelle scuole di ogni

ordine e grado. L’educazione alla pace deve essere inserita nell’educazione civica – sono previste 33 ore annue – partendo dal fatto che in una democrazia le regole evitano la guerra; con le regole il conflitto viene gestito e non degenera nella legge del più forte. Educazione civica e educazione alla pace includono tematiche con punti in comune. In realtà l’educazione alla pace all’interno dell’educazione civica promuove la cittadinanza attiva e la nonviolenza. L’ONU definisce l’educazione al disarmo come una disciplina che va promossa nelle scuole. Importante nell’educazione al disarmo è la cittadinanza digitale che ha molta attinenza con la cittadinanza attiva per poter attuare con determinazione le varie campagne informative e per imparare a distinguere le notizie vere da quelle false.

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Renoir: un viaggio intorno all’amore

Recensione al libro Renoir

Renoir: un viaggio intorno all’amore

Il nuovo avvincente libro di Massimo Laganà, narra accattivanti racconti di donne e uomini che emozionano, perché in essi trapelano le nevrosi del quotidiano. Nei vari racconti pone in risalto l’amore e la passione facendo emergere la condizione umana in tutte le sue sfaccettature psicologiche.

Renoir, il nuovo avvincente libro di Massimo Laganà, narra accattivanti racconti di donne e uomini che emozionano, perché in essi trapelano le nevrosi del quotidiano, le nevrosi di sempre: così dalla narrazione articolata nei vari racconti si evince la condizione umana in tutti i suoi risvolti e in tutte le sfaccettature psicologiche.

Il libro è introdotto dalla prefazione di Gabriella Kuruvilla e riporta le sapienti note dell’editore Morellini.

Renoir: nove storie con uno stile brillante che sviscerano i colori dell’animo umano, con cui l’autore dipinge geografie e tipologie delle tappe dell’esistenza come un abile ed esperto pittore, che pone in risalto amore e passione.

Il cuore dei protagonisti è segnato da addii e abbandoni, in rapporti affannati tra figli e genitori e poi ancora tra amanti mai amati, sospesi in viaggi e transizioni d’infinito. Personaggi che scoprono momenti di sospensione e pausa dell’umano, della vita, che ormai colma e satura di desideri, scopre quanto sia fondamentale il sentimento ultimo della felicità: il più importante.Recensione di Laura Tussi a Renoir, Libro di Massimo Laganà

In questa controversa mappa dei sentimenti, l’autore, Massimo Laganà, conduce il lettore con l’entusiasmo del cuore da Milano alla Sicilia, in un susseguirsi di vicende che racchiudono l’intimità del sentire umano e che coinvolgono il lettore nel trovare in se stesso e nell’altro da sé un proprio simile.

I dettagli sottili della narrazione, l’intimità del racconto si affollano e i confini umani si dissolvono e così, dalle crepe del reale, di una realtà commovente, si sprigiona l’anelito incessante e universale di un’umanità sospesa nell’infinito delle molteplici esistenze, degli amori inesausti, degli affetti sottesi nell’intimità dei gesti.

Nell’eterno.

Laganà sceglie per i suoi racconti luoghi suggestivi e inconsueti per iniziare a narrare le sue storie di sentimenti, persone, affetti. Di stati d’animo che comunque sempre riportano alla felicità. Sentimenti e condizioni umane che sempre conducono alla bellezza e all’amore.

La profondità psicologica dei testi è una scelta stilistica che permette a colui che legge di immedesimarsi nell’io dei protagonisti. Le storie, i sentimenti, gli umori, i pensieri che l’autore racconta, rivolgendosi a personaggi in parte vicini a lui e contemporaneamente lontani e irraggiungibili rappresentano la verità dell’umano.

Il linguaggio di Massimo Laganà assume energia e forza dalla tipica narrazione dei luoghi in cui è ambientata ciascuna storia.

E così permette l’immedesimazione in ciascuno dei personaggi come se fossero varie sfaccettature e interpretazioni di un unico attore, di un solo uomo o uomo solo.

Le storie raccontate trasportano il lettore in un giro dell’Italia da sud a nord, ma soprattutto in un percorso profondo intorno all’essere umano.

Intorno all’uomo.

Intorno all’amore.

Note: Massimo Laganà: Giornalista e scrittore, lavora per il settimanale Oggi, dove ha anche un blog, che si chiama L’informazione dilaga. https://www.morellinieditore.it/autore-massimo-lagana-162190.html 
Libro Renoir:
https://www.lafeltrinelli.it/libri/massimo-lagana/renoir/9788862988346

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    20 febbraio 2021 – Laura Tussi
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Evento con Padre Alex Zanotelli

“Riace. Musica per l’umanità”. Un nuovo umanesimo integrale contro ogni legge ingiusta.

17 aprile 2021 ore 17:30

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La vicenda di Riace ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica alcuni interrogativi che, in un periodo come quello che stiamo vivendo, non possono più essere ignorati. Le leggi devono essere sempre rispettate, anche quando ingiuste, oppure la disobbedienza civile può ancora incidere sulla nostra società? Riace e il suo sindaco hanno offerto un modello di convivenza pacifica e plurale, oltre che virtuosa per il territorio.
Ne parliamo con i curatori del volume, Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, e alcune delle figure che, negli ultimi anni, si sono contraddistinte per il loro impegno civile, padre Alex Zanotelli e Alfonso Navarra. Musica di Resistenza di Renato Franchi.

 

Il ricavato del libro Riace, Musica per l’Umanità sarà devoluto al progetto in aiuto dei bambini farfalla di Gaza

#riace #mimmolucano #integrazione #immigrazione #mimesiseditore #resistenza

Per maggiori informazioni: evento su Facebook

 

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No euromissili Si ospedali – 7 aprile 2021

La dichiarazione da noi sottoscritta, che sarà letta dal palco a Buchel durante la marcia di Pasqua

No euromissili Si ospedali – 7 aprile 2021

7 aprile: giornata mondiale onu della salute.
NO euromissili SI ospedali – solidarieta’ con buchel, la nuova comiso.
In dialogo con papa Francesco (“il nucleare è immorale!”), usciamo dalla pandemia della guerra contro la natura e quindi delle guerre fratricide tra gli umani

No euromissili SI Ospedali: appello

Quella che segue, è la dichiarazione da noi sottoscritta (ed eventualmente da altri che volessero aggiungersi), che sarà letta dal palco a Buchel durante la marcia di Pasqua

 

Quella che segue, è la dichiarazione da noi sottoscritta  (ed eventualmente da altri che volessero aggiungersi), che sarà letta dal palco a Buchel durante la marcia di Pasqua.
Per aderire: alfiononuke@gmail.com
7 APRILE: GIORNATA MONDIALE ONU DELLA SALUTE
NO EUROMISSILI – SI OSPEDALI – SOLIDARIETA’ CON BUCHEL, LA NUOVA COMISO
IN DIALOGO CON PAPA FRANCESCO (“IL NUCLEARE E’ IMMORALE!”), USCIAMO DALLA PANDEMIA DELLA GUERRA CONTRO LA NATURA (E QUINDI DELLE GUERRE FRATRICIDE TRA I GLI UMANI)
In occasione della Giornata mondiale della salute proclamata dall’ONU ribadiamo, in dialogo ideale con il Papa, quanto abbiamo già proposto con il nostro appello NO ARSENALI SI OSPEDALI (si vada online al link: https://www.petizioni.com/no_arsenali_si_ospedaliApre in una nuova finestra): per “stare bene” in modo solido, razionale, universale, occorre convertire le spese militari in investimenti per la salute pubblica. La salute delle persone logicamente esige un ambiente risanato, nella prospettiva di una conversione ecologica dell’economia. In questa ottica, c’entra moltissimo, come recita il nostro appello, aderire al Trattato di proibizione delle armi nucleari, ritirarsi dalle guerre neocoloniali in cui siamo coinvolti come italiani ed europei, cessare il fuoco in tutti gli angoli del mondo! E c’entra sicuramente anche il “digiuno di giustizia”, promosso da “Cantiere Casa Comune”, che chiede, il 7 aprile, davanti al Parlamento italiano, contro le politiche migratorie razziste, nuove leggi in attuazione del diritto umano della libertà di circolazione. Dobbiamo mostrare concretamente più umanità e solidarietà con le vittime di questo Sistema, che è presidiato dall’arma atomica a difesa, con la minaccia dell’annientamento, del privilegio dei pochi super-ricchi e super-potenti.

Come ammoniscono gli ecopacifisti tedeschi che marciano il lunedì di Pasqua a Buchel, la “nuova Comiso” (perché pare sia stata scelta ad essere la prima ad ospitare le nuove atomiche americane B-61-12):

CI serve un piano di pace! 
Nessun ulteriore riarmo della NATO! La guerra non è mai una soluzione!”
 (…)
L’unico modo per prevenire una guerra nucleare è abolire tutte le armi nucleari! Ecco perché chiediamo come gesto forte la firma del trattato sulla proibizione delle armi nucleari da parte del governo federale”…
Questi obiettivi degli ecopacifisti tedeschi sono i nostri obiettivi di attivisti sociali italiani (riferiti alla situazione italiana, in  particolare la ratifica del TPAN da parte dello Stato italiano) e li vogliamo manifestare il 7 aprile a Roma che ospita lo Stato del Vaticano. La Santa Sede, infatti, quale Stato riconosciuto dall’ONU è stato tra i primi a ratificare il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari, da poco entrato in vigore.
 Siamo perciò ragionevolmente sicuri di poter trovare, in piena autonomia di posizioni laiche, ma attenti alle evoluzioni progressive in ogni ambito culturale,  una forte voce alleata nella condanna di Papa Bergoglio ad ogni logica e pratica (“immorale!” oltre che illegale), di deterrenza…
Alex Zanotelli – missionario comboniano
Alfonso Navarra – Disarmisti esigenti
Ennio Cabiddu – Sardegna pulita
Marco Palombo – attivista nonviolento contro le guerre
Mario Agostinelli – Laudato Si’
Angelica Romano e Fabio Alberti – Un ponte Per
Fabrizio Cracolici e Laura Tussi – PeaceLink
Silvano Tartarini – obiettore di coscienza alle spese militari
Vittorio Pallotti – Centro di Documentazione Manifesto pacifista internazionale
Oliviero Sorbini – Federazione Italiana media ambientali
Mario Di Padova – Lega Obiettori di coscienza
Carla Biavati – IPRI-CCP
Giorgio Poidomani – attivista Fridays for Future Milano

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