Transizione Energetica: Un bilancio ragionato sul 2022
Mario Agostinelli – il fattoquotidianoonline
PREMESSA: Difficile in un unico post registrare il bilancio di una anno cruciale
come il 2022, reso ancor più complesso dal precipitare delle guerre, dalla pandemia e
dall’inasprimento della crisi climatica. Per queste ragioni, oggettivamente non
riassumibili in spazi ristretti, propongo una analisi sommaria, ma abbastanza
esauriente, estesa sull’arco di due post tra loro collegati e pubblicati in successione
PARTE 1:
Se dovessimo fare un bilancio sull’avanzamento della conversione energetica nel
2022 difficilmente potremmo essere ottimisti, anzi! L’energia è emersa nel suo
aspetto più politico, svincolandosi dal peso del solo mercato, condizionata
ampiamente da un’incipiente “terza guerra mondiale a pezzi”. La stessa coesione
della UE, dimostrata al tempo del “20/20/20”, si è frantumata a fronte di una crisi
energetica senza precedenti. Dodici riunioni dei ministri dell’energia – precedute
da 191 riunioni di gruppi di lavoro e ambasciatori – per coordinare la risposta
dell’Europa all’aumento dei prezzi del gas e dell’elettricità hanno soltanto assunto
l’impegno generico ad acquistare congiuntamente la fonte fossile ad impatto forse
meno devastante e ad accelerare l’autorizzazione degli impianti di energia
rinnovabile, per sostituirla in un futuro “compatibile” con i suoi effetti climalteranti.
Ma invece del “grande affare energetico europeo” di cui l’Europa aveva bisogno, i
leader dell’UE sono rimasti bloccati nella politica interna. Al di là della svolta
politica, indotta dall’invasione russa dell’Ucraina, ciò che rimane è una lotta senza
senso per un tetto massimo del prezzo del gas, che nella migliore delle ipotesi farà
ben poco per abbassare i prezzi dell’energia e, nella peggiore, spaventerà i venditori
sul mercato. Lo stanziamento comune Repower UE per la riconversione dal fossile
(v. https://commission.europa.eu/strategy-and-policy/priorities-2019-2024/european-
green-deal/repowereu-affordable-secure-and-sustainable-energy-europe_it ) è
sostenuto con pochi soldi freschi – un misero 20 miliardi di euro prelevati dal mercato
delle emissioni – e, mentre i Paesi dell’UE sostengono a parole e con distinzioni
preoccupanti le energie rinnovabili, i loro governi rimangono riluttanti a impegnarsi
per un obiettivo al di sopra del 40% per il 2030.
I centri di potere legati ai fossili sono tuttora colossi pubblici che rendicontano al
Governo del proprio Paese del loro operato. Il ruolo delle lobby ha di conseguenza
sovrastato la svolta ancora timida verso l’autoproduzione da fonti naturali, il
decentramento territoriale, il risparmio, le forme di consumo comunitarie.
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In realtà è come se i governi e le popolazioni si trovassero su due diversi binari,
mentre le vere emergenze del clima, della guerra (nucleare?), della riduzione delle
libertà e dei diritti sociali si spostano nel tempo su uno sfondo geopolitico incerto.
IL 2022 ANNO NERO PER IL CLIMA
Secondo l’ultimo rapporto della Iea, nel 2022 le emissioni mondiali di CO 2
aumenteranno di 330 milioni di tonnellate. Ma le tonnellate in più sarebbero state il
triplo senza il contributo delle rinnovabili e della mobilità elettrica.
L’incremento mondiale della di CO 2 in questo anno (+1%) è stato determinato da un
piccolo aumento (+1,5%) delle emissioni statunitensi e da uno più elevato di quelle
indiane. Le emissioni cinesi hanno registrato invece un lieve calo (-0,9%), analogo a
quello della UE (-0,8%).
Mario Tozzi su “La Stampa” del 31 Dicembre titolava: “L’inverno della neve
sciolta: è iniziata l’era del fuoco?”. Siamo quasi ad una provocazione per il pubblico
del mainstream, mentre ad ogni talk show sempre gli stessi personaggi commentano
di volta in volta i fatti del giorno, ignorando i processi che si delineano dietro ad essi.
Veniamo da un periodo di siccità che ha colpito l’Italia, soprattutto il centro nord,
con un clima sempre più torrido e con una diminuzione massiccia della produzione
agro-alimentare. Il rapporto di Legambiente (v.
https://cittaclima.it/#:~:text=Piano%20di%20Adattamento-
,Bilancio%202022%20dell’Osservatorio%20Citt%C3%A0Clima,%3A%20Lombardi
a%2C%20Lazio%20e%20Sicilia ) registra 310 «fenomeni» che hanno provocato 29
morti. A livello territoriale il nord della Penisola è stata l’area più colpita. A livello
regionale la Lombardia è la regione che registra più casi “singolari”, ben 37. Il mese
di Giugno, poi, ha visto una anomalia della temperatura media di +3,3°C in Italia. A
luglio il record si è registrato nelle città lombarde: a Brescia e Cremona si sono
misurati 39,5°C, a Pavia 38,9°C e a Milano 38,5°C. Ne hanno mai parlato Salvini o
Fontana? Senza risorse è impossibile ripensare la città. Come garantiamo, di
conseguenza, ad agricoltura e allevamento le opportunità per diversificare le attività?
Come promuoviamo la vivibilità per i cittadini e la sopravvivenza delle attività
produttive?
Per quanto riguarda il mare che lambisce le nostre coste, va detto che sono uno dei
pozzi di carbonio più preziosi al mondo. Sono le distese di acqua salata a catturare e
trattenere circa 1/3 dell’anidride carbonica emessa dall’uomo ogni anno in atmosfera.
Tuttavia, questo ruolo di “carbon sink” scricchiola sotto il peso del riscaldamento
globale (v. https://www.inabottle.it/it/news/riscaldamento-oceani-nuovo-record )
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Oceani più caldi renderanno “più difficile per il carbonio organico trovare la strada
per essere sepolto nel sistema sedimentario marino” Eppure a Ravenna l’ENI conta
di poter seppellire in mare la CO 2 sequestrata dai suoi impianti!
La crisi pandemica, i lockdown, il caro energia e di materie prime con un’inflazione a
due cifre, la guerra in Ucraina, i rischi sempre più concreti di sicurezza sulle
forniture, gli eventi climatici sempre più estremi, sono tra loro interdipendenti e il
cambio di paradigma energetico assume un ruolo molto rilevante: basta pensare che
l’Italia ha speso nel 2022 circa 75 miliardi di euro in più per l’energia rispetto
alla media dei 10 anni precedenti. Una cifra comparabile con gli investimenti per lo
sviluppo delle fonti rinnovabili in base agli obbiettivi europei assegnatici dalla UE al
2030.
LA GUERRA IN UCRAINA E LA SOSTITUZIONE DEL GAS RUSSO
Certamente la data del 24 febbraio ha impresso un punto di svolta determinante, ma
già con l’inizio dell’anno, dopo l’approvazione della tassonomia europea ( v.
https://www.ilsole24ore.com/art/gas-e-nucleare-lista-ue-investimenti-green-via-
libera-dell-europarlamento-AEyKAdkB ) che rendeva “green” il gas e il nucleare, si è
realizzata una prima ferita alla completa decarbonizzazione del sistema elettrico, da
conseguire entro metà secolo nella UE.
Con l’eliminazione delle importazioni di gas dalla Russia, resa ancor più definitiva
dopo la distruzione dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 (avvenuta lo scorso 26 settembre),
L’Europa ha tagliato i ponti dietro se stessa, ricorrendo ad un maggiore impiego del
carbone ed alla riconferma del nucleare assieme ad una corsa forsennata a trovare
nuovi canali di rifornimento di metano. Pur tuttavia, nello stesso tempo, è stato
incrementato l’apporto delle rinnovabili di 39 TWh in più rispetto al 2021 (+13% su
base annua), con il primato del Portogallo che ha alzato dal 58 all’80% la quota di
rinnovabili elettriche da raggiungere nel 2026, mentre l’Italia è per ora rimasta
sostanzialmente al palo di una incerta progettazione di eolico e fotovoltaico in mare.
Nell’immediato, il nostro Governo ha deciso di cercare nuovi partner e nuove
condotte per il metano e di mettere in opera due nuovi rigassificatori galleggianti per
l’acquisto nei prossimi anni di gas liquido (GNL). Un’operazione giustamente
contestata per l’aspetto strutturale che sottende: il ciclo del GNL è molto inquinante.
Passa infatti da estrazioni rovinose, dal successivo processo di liquefazione, dal
trasporto via mare a lunga distanza in grandi navi, dalla necessaria rigassificazione e
dall’aggancio finale ai tubi dei gasdotti locali. In pratica, il Governo ricorre ad un
potenziamento non temporaneo delle infrastrutture fossili, reso evidente
dall’annuncio di progetti di 2.000 km di nuove pipeline, il 18% in più rispetto
all’esistente (v. https://www.rinnovabili.it/energia/infrastrutture/infrastrutture-del-
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gas-boom-2022/ ) Risulta così ancor più rilevante la dispersione in atmosfera di
quantità di CH 4 puro, fortemente climalterante. Ci si affida quindi alla carta del GNL
il cui limite operativo non dipende da fattori tecnologici, ma dalle infrastrutture che
sono rappresentate, dal numero di navi gasiere disponibili sul mercato e dai terminali
di liquefazione (in partenza: USA e Qatar)) e di rigassificazione (in arrivo: Piombino
e Ravenna in primo luogo). La costruzione di altri gasdotti e di approdi alle
metaniere, quando il mondo ha bisogno di abbandonare urgentemente i combustibili
fossili è una tendenza più che preoccupante e non solo per il nostro Paese.
L’ILLUSIONE DEL NUCLEARE E IL MIRAGGIO DELLA FUSIONE
Cingolani sul corriere del 31 Dicembre proclama: “nucleare niente pregiudizi, il
futuro passa da qui: armi ed energia sono cose diverse” Buon per lui.
Che il prossimo decennio sia decisivo per la storia umana lo scrive nell’introduzione
il documento in 80 pagine sulla strategia di difesa USA (DNS), centrato in gran
parte sull’impiego dell’arma nucleare e sulla supremazia tecnologica del Pentagono
(v. https://www.defense.gov/News/Releases/Release/Article/3201683/department-of-
defense-releases-its-2022-strategic-reviews-national-defense-stra/ ). Geopolitica al
top e biosfera e natura retrocesse a preda del vincitore.
Una simile distorsione nell’interpretare l’epoca attuale comporta un arretramento di
civiltà, un colpevole spreco di risorse necessarie alla sopravvivenza, la
predisposizione alla guerra come soluzione della “concorrenza” tra blocchi in corsa
per l’egemonia globale. In un simile contesto è l’energia che la fa da padrone, anche
sotto la forma più incontrollabile delle armi. In questo quadro “scosso” è facile far
scivolare l’opinione pubblica verso il nucleare civile, da fissione o fusione che sia,
raccontato come praticabile e difendibile quanto l’uso incontenibile delle armi, fino
ad un sommesso “sdoganamento” dell’atomica. In un contesto così alterato prende
corpo il miraggio della fusione, un’energia come quella che proviene dal sole (ma ad
una distanza di 150.000 KM!) che nell’esperimento propagandato a Livermore non
tiene conto del divario incolmabile tra il risultato dell’accensione e l’energia
necessaria per il pareggio del dispositivo. V. (
https://attivissimo.blogspot.com/2022/12/fusione-nucleare-le-minchiate.html. )
Questo modo di procedere e di spacciare per ingegnerizzabile e commerciabile in
anni vicini un esperimento di prevalente destinazione militare, ha instaurato tra
scienza e tecnologia un processo politico di decisione e informazione dei cittadini con
l’obbiettivo di mettere sotto il tappeto quel “non c’è più tempo”, che invece è ormai
patrimonio del senso comune ed ha a portata di mano la rivoluzione delle
rinnovabili.
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Parte 2
PREMESSA: queste note sono complementari a quelle pubblicate nel post
precedente…… e intitolate …….
LE CONCLUSIONI DELLA COP 27
Il 20 Novembre, alla COP 27 di Sharm el-Sheikh, tra lo stallo dei governi e le
pressioni delle lobby e dopo un’impasse tesa e molte ore di negoziati, quasi 200 paesi
hanno raggiunto un accordo per istituire un fondo perdite e danni per assistere le
nazioni più colpite dal cambiamento climatico – una richiesta considerata non
negoziabile dai paesi in via di sviluppo. Questo però è l’unico risultato davvero
significativo dell’Assise protratta tra notevoli tensioni oltre la sua scadenza prevista,
dopo aver constatato l’impossibilità di far avanzare il processo avviato dopo Parigi
2015 verso il contenimento dell’aumento della temperatura del pianeta entro 1,5°C
RIDURRE GLI OBIETTIVI DI NEXT GENERATION UE?
Il confronto a tre (Commissione, Consiglio e Parlamento UE) di inizio anno sulla
tassonomia sembra ripetersi sulla riduzione dell’obbiettivo di rinnovabili al 2030,
dal 45% al 40 %. I 27 ministri dell’Energia hanno trovato una maggioranza che
sostiene la riduzione dell’obbiettivo, osteggiato solo da Austria, Danimarca, Estonia,
Germania, Grecia, Lussemburgo, Portogallo e Spagna, ma non dall’Italia. Toccherà al
Parlamento organizzare una risposta per mantenere il 45%. come livello da
perseguire. Ma anche la Germania sta glissando su queste aspettative: infatti è
significativa la resistenza della popolazione di Lützerath , un piccolo centro della
Renania, nella Germania nordoccidentale, che deve scomparire per far posto
all’ampliamento di una delle maggiori miniere a cielo aperto d’Europa, che dovrebbe
aumentare di 280 milioni di tonnellate l’estrazione di lignite. Malgrado le precedenti
promesse di non farlo e i solenni impegni sulla riduzione delle emissioni che puntuali
si rinnovano ad ogni conferenza internazionale sul clima, le istituzioni tedesche locali
e nazionali hanno deciso di radere al suolo a metà di gennaio del 2023 il villaggio per
continuare i processi di escavazione. C’è solo un piccolo ostacolo: la popolazione
locale – qualche migliaio di cittadini – e i movimenti territoriali non sono affatto
d’accordo e hanno cominciato a fermare le solerti autorità che devono garantire la
presunta inevitabile avanzata del progresso piegando brutalmente ogni resistenza.
CCS A RAVENNA?
Il nuovo ministro dell’Ambiente (più precisamente Ministro dell’Ambiente e della
Sicurezza Energetica) Pichetto Fratin e la nuova Presidente del Consiglio Meloni
fanno una gran pubblicità alla trasformazione del nostro Paese nell’Hub di
distribuzione del gas per l’Europa come se fosse una idea rivoluzionaria del governo
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appena insediatosi. In realtà era già un progetto del governo precedente sponsorizzata
da ENI, in questi mesi in odore di rinnovo del suo CdA ( v. https://ageei.eu/pichetto-
fratin-italia-sia-hub-del-gas-mediterraneo-la-sfida-gli-stoccaggi-2023-24-e-per-il-
futuro-10-12-gw-lanno-di-rinnovabili/ ) L’amministratore delegato di Eni, Claudio
Descalzi, e l’amministratore delegato di Snam, Stefano Venier, hanno firmato lo
scorso 19 Dicembre un accordo attraverso il quale Eni e Snam, in joint venture
paritetica, collaboreranno allo sviluppo e alla gestione della Fase 1 del Progetto
Ravenna di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS), che prevede la cattura di
25mila tonnellate di CO 2 dalla centrale Eni di trattamento di gas naturale di
Casalborsetti (Ravenna). Una volta catturata, la CO 2 sarà convogliata verso la
piattaforma di Porto Corsini Mare Ovest e infine iniettata nell’omonimo giacimento a
gas esaurito, nell’offshore ravennate. A testimonianza, quindi, di quanto il metano
rimanga strategico nelle intenzioni delle burocrazie che guidano la politica energetica
nazionale.
EXTRAPROFITTI E PREZZO DEL GAS
Grazie alle sanzioni, le società energetiche americane (v. Financial Times, 5
novembre 2022) hanno registrato tra aprile e settembre 2022 extra profitti per 200
miliardi di dollari, mentre le metaniere Usa navigavano davanti alle coste europee
europee per scaricare quando i prezzi erano (e sono) ancora elevati. Bp, Eni,
Equinor, Repsol, Shell e TotalEnergies, ovvero le sei principali oil major
europee, hanno incamerato 74,55 miliardi di dollari di extra-profitti nel solo primo
semestre del 2022.
E’ toccato a Starace, AD di ENEL, di criticare al meeting Ambrosetti di
Cernobbio l’eccessiva dipendenza del Paese dal gas. Anche queste voci autorevoli
sono però oscurate dalla politica nostrana, che ha nel gas e nel possibile ripristino
del carbone la carta che preferisce adottare in emergenza.
In una fase in cui vediamo le nostre bollette aumentare a dismisura, sia per effetto
della speculazione finanziaria che della guerra, dobbiamo – oggi più che mai –
leggere la situazione in tutta la sua enorme complessità, per non lasciare che
l’emergenza e le paure di un carico insostenibile per bisogni primari siano usate
per ridefinire la direzione delle politiche energetiche, gli assetti internazionali e,
addirittura, il futuro del pianeta sulla base degli interessi di pochi.
Contrariamente a quello che ci viene detto, quello che viviamo oggi è il prezzo per
non aver investito sulla transizione verde. Con la corsa al gas stiamo arricchendo
governi autocratici quali Egitto, Azerbaigian, Algeria, Repubblica del Congo e ne
stiamo avallando le drammatiche politiche repressive dei diritti umani e sociali e
gettando così le basi per nuovi conflitti.
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A livello europeo si è concordato che il prezzo del gas non debba scendere sotto
un certo livello, per non penalizzare eccessivamente gli scambi speculativi di
mercato dove viene quotato. E’ il mercato di Amsterdam (TTF) che decide il
prezzo del gas, definendolo sulla base dei titoli future e non sull’effettivo scambio
tra offerta e domanda. La sua recente oscillazione tra 330 euro al MWa ed il valore
attuale attorno ai 100 euro al MWa è dovuta variabili contingenti, ma
non si riflette immediatamente sul consumatore finale. Il regolatore europeo ha
solo funzioni di coordinamento e armonizzazione ed il price cap introdotto per i
valori dell’energia elettrica fissato a livello europeo è regolato al fine di evitare
eccessive distorsioni prodotte dall’interscambio. E ciò non per fissare un prezzo
“politico” in una fase di assoluta eccezionalità, ma per assicurare comunque
margini di profitto alle compagnie Oil &Gas.
IL CAMBIO DI PROSPETTIVA
In direzione positiva, anche se criticata dai gruppi ambientalisti secondo cui l’accordo
non è all’altezza di quanto necessario per mantenere l’aumento delle temperature
globali al di sotto di 1,5 °C, va citata la nuova normativa UE sul Sistema per lo
scambio delle quote di emissioni (ETS). La riforma degli Ets amplierà la platea dei
settori interessati e ridurrà l’inquinamento del 62% entro il 2030, rispetto al 43%
previsto attualmente. Il sistema Ets attuale riguarda circa 10.000 fabbriche e centrali
elettriche, consentendo a chi ha quote di emissione in eccesso di realizzare un profitto
più contenuto, vendendo permessi di CO 2 sul mercato. Il prezzo del carbonio sarà di
circa 100 euro, rispetto agli 80-85 euro attuali ed i permessi di emissione gratuiti
saranno gradualmente sostituiti dalla nuova tariffa sul carbonio alle frontiere.
Ricorro, a titolo conclusivo, ad una serie di osservazioni portate con competenza
da Leonardo Berlen su Qualenergia (https://www.qualenergia.it/firme/leonardo-
berlen/ ) e da me condivise.
In Italia abbiamo dai tre ai cinque anni per cambiare marcia al fine di arrivare ad
installare al 2030 70 nuovi GW tra fotovoltaico ed eolico, investire in reti di
distribuzione e trasmissione, elettrificazione dei consumi, sistemi di accumulo di
vario tipo, iniziare a rendere operativi diversi elettrolizzatori per la produzione di
idrogeno verde, per non parlare della riqualificazione profonda del nostro
energivoro parco edilizio. Sotto questo profilo, la realizzazione del progetto eolico
e fotovoltaico di Civitavecchia assume, anche per i tempi di attuazione e per la
mobilitazione che l’ha sostenuto, una funzione nazionale paradigmatica.
Sono necessari interventi su vari fronti, sia sul quello autorizzativo e normativo per
allocare ingenti investimenti nella formazione di tecnici e di addetti della pubblica
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amministrazione nazionale e locale, sia su quello della programmazione di politica
industriale che favorisca la nascita di linee produttive nazionali per sistemi e
componenti essenziali nell’ambito di una manifattura oggi in crisi e da riconvertire a
confronto di prodotti importati da mercati in cui gli standard ambientali sono più
deboli e che altrimenti godrebbero di un vantaggio competitivo ingiusto.
Per il solo fotovoltaico si tratta di allestire e collegare in rete 8 GW all’anno,
passando dai 27 TWh/anno generati oggi dal solare a 100 TWh/anno: una
produzione che ci consentirebbe di evitare l’importazione di 20 miliardi di metri
cubi di gas/anno. Un compito ed una sfida che anche culturalmente deve riguardare
la politica l’imprenditoria, il sindacato.