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Nico Piro: “Dall’Ucraina all’Afghanistan, la storia ci insegna che la guerra non è la soluzione”

Scritto da: LAURA TUSSI

Quando finirà la guerra in Ucraina? Cosa pensato gli italiani del conflitto? Qual è l’approccio migliore, quello militare o quello diplomatico? Muovendosi trasversalmente fra vari temi e attingendo dalla sua lunga esperienza di inviato di guerra, Nico Piro riflette sulla situazione attuale in Ucraina e sulle possibili vie d’uscita da un conflitto la cui fine sembra sempre più lontana.

“Volete semplificare quello che sta accadendo in Ucraina? Volete cancellare la storia? Vogliamo ridurre tutto alla dicotomia aggredito e aggressore? Va bene, però adesso chiedo: dobbiamo passare alla fase due, ma come possiamo fare in modo che la gente smetta di morire e l’Ucraina smetta di essere distrutta?». Sono queste le parole con cui Nico Piro – giornalista, scrittore e documentarista con una lunga esperienza sul campo, in particolare in Afghanistan – fa il punto, in maniera diretta e concisa, sul conflitto ucraino.

Per fornire alcune chiavi di lettura della situazione attuale Nico Piro spazia dall’accoglienza dei rifugiati alla storia moderna, dall’obiezione di coscienza e dal pacifismo fino all’analisi della posizione dell’elettorato italiano e delle indicazioni che le urne hanno fornito su cosa pensa la gente della guerra. «Credo che gli italiani stiano accusando sin dalle prime battute del conflitto il peso della guerra. Soprattutto da quando sono arrivati gli aumenti del gas, la fine del turismo russo e delle importazioni, i danni per l’economia, l’inflazione e così via», osserva il Piro in proposito.

nico piro

Un tema delicato che aleggia dall’inizio delle ostilità è quello dell’accoglienza dei profughi, in particolare rispetto alle politiche migratorie intese in senso più ampio. A tal proposito, anche Nico Piro nota che c’è qualche incongruenza: «Spero che tutti i paesi imparino da questa vicenda, la gente che fugge dalle guerre va accolta. Mi auguro che non cessi la solidarietà verso i profughi ucraini esattamente ma anche verso i profughi delle altre guerre. Il problema è che per non cessare deve cominciare. E Crotone ci insegna che ciò non è avvenuto, eccezion fatta per alcuni episodi».

Secondo il reporter, le guerre sono cose complesse, ma si reggono su un principio molto semplice: l’adattamento. «Io colpisco te e tu colpisci me. Io mi adatto al tuo colpo affinché non sia un colpo letale e tu fai lo stesso. Finché questo equilibrio resta in piedi le guerre vanno avanti. Le guerre lampo esistono solamente nelle speranze dei generali e dei dittatori; si veda il caso dell’Afghanistan, che è l’archetipo dei conflitti contemporanei che cominciano ma non finiscono».

guerra Ucraina

Quando finirà dunque la guerra in Ucraina? «Non me la sento di fare previsioni – risponde Nico Piro – perché quando viene aperto il vaso di Pandora della guerra i demoni che ne escono fuori hanno una loro autonomia. Sono però convinto di una cosa: dire “l’unica strada è la guerra” è come prendere una pallina e buttarla nella roulette. Ma nella roulette ci sono due colori, il rosso e il nero, e non è detto che la pallina si fermi su quello che noi preferiamo. Dall’Afghanistan alla Prima Guerra Mondiale, la storia ce lo insegna».

Il giornalista campano ritiene dunque impossibile prevedere quando finirà la guerra, ma ha un’idea sul come: «Questo conflitto non ha una soluzione militare. Ha solo una soluzione diplomatica e prima si arriverà a definirla e attuarla, prima le persone smetteranno di morire. Purtroppo però questo mi sembra un tema di cui nessuno si sta facendo carico, si continua ad agire come se fosse una partita a Risiko senza ricordarsi che in mezzo esiste gente che muore».

Dire “l’unica strada è la guerra” è come prendere una pallina e buttarla nella roulette. Ma nella roulette ci sono due colori e non è detto che la pallina si fermi su quello che noi preferiamo

Avviandosi verso la conclusione, Nico Piro prova a mettere a nudo alcuni aspetti di Russia e Ucraina che contribuiscono a mettere in luce dettagli di questi due paesi che spesso vengono dimenticati o ignorati, alimentando immagini distorte che sicuramente non aiutano nel processo di pacificazione. Per esempio il movimento pacifista russo e il fenomeno dell’obiezione di coscienza «diffusosi recentemente, soprattutto dopo la costrizione al servizio militare straordinaria di settembre. Ma gli obiettori di coscienza, i cosiddetti renitenti alle armi, ci sono anche in Ucraina».

«Non è giusto verso l’Ucraina dipingerla come un paese in armi. Ucraina significa “terra di confine”, è un paese di una complessità notevole con diverse anime, da quella russa a quella polacca», conclude Nico Piro. «Quella semplificata è una narrazione funzionale al pensiero bellicista. A mio avviso non è giusto definirla come un paese che non si vuole arrendere, dove il popolo vuole combattere fino alla fine. Io credo che il popolo voglia cose più semplici: pace, pane e magari anche corrente elettrica e gas».

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Europa per la Pace, il mondo nonviolento si mobilita per dire no a guerra e armi

Scritto da: LAURA TUSSI

Con Gerardo Femina parliamo della campagna Europa per la Pace e della giornata europea contro la guerra e a favore del dialogo e della nonviolenza che si terrà il 2 aprile prossimo. Non sarà solo un evento per sensibilizzare l’opinione pubblica su quello che sta succedendo in Ucraina – e altrove –, ma anche un momento fondamentale di convergenza e unione delle mille anime che compongono il movimento pacifista europeo.

Nel 2010 una vittoria della gente contro l’imposizione dello scudo antimissile USA nella Repubblica Ceca, oggi l’opposizione netta alla guerra in Ucraina per fermare l’escalation militare e altri temi. Dietro queste e altre tappe fondamentali del percorso per la pace e la nonviolenza c’è, fra gli altri, un nome. È quello di Gerardo Femina, studioso della nonviolenza attiva, attivista e promotore della campagna Europe for peace, ovvero Europa per la Pace.

In Europa, in Ucraina, in Russia i governi investono sempre più in armamenti. “L’unica possibilità di evitare l’escalation sul crinale del baratro della conflagrazione nucleare risiede nel risveglio dell’essere umano e nella capacità di organizzarsi dei popoli tramite le forme di creatività e nonviolenza”, si legge nell’appello di Europa per la Pace. L’invito è a prendere il futuro nelle nostre mani e a convergere con le energie più vitali della creatività in Europa e in tutto il mondo in una giornata dedicata alla pace e alla nonviolenza attiva. Abbiamo parlato di questo con Gerardo Femina, per convergere poi sul tema della giornata e per la pace e la nonviolenza attiva che si terrà il prossimo 2 aprile 2023 in tutto il mondo. 

gerardo femina
Gerardo Femina
Come vedi la situazione del conflitto attuale e con quali prospettive nel futuro?

Sembra che la situazione non accenni a risolversi. Si osserva una evidente mancanza di volontà di far cessare questa guerra. Purtroppo la possibilità che il conflitto si allarghi è sempre più alta e a volte sembra quasi che ci sia una precisa volontà di incrementare questo coinvolgimento militare. Negli ultimi anni c’è stata una forte militarizzazione dei paesi dell’est Europa, dove si parla già di guerra come una ipotesi reale, e negli altri paesi europei si spinge per tornare alla leva obbligatoria.

Cosa si vuole ottenere la rete Europa per la Pace con questa importante iniziativa del 2 aprile e a chi è rivolta?

L’iniziativa nasce dalla forte necessità di pace e di evitare un conflitto globale. C’è un forte bisogno che il mondo pacifista e tutta la società civile diano un segnale potente e chiaro e c’è anche bisogno che ognuno lo faccia con il proprio stile e la propria creatività, senza dover accettare i codici di qualcun altro o rinunciare alle proprie caratteristiche.

Riuscire a convergere, andando al di là dei personalismi, per fermare questa follia è divenuta una necessità vitale, una vera e propria questione di sopravvivenza per i popoli. Si tratta di tentativo di sincronizzarsi e imparare assieme ad agire in maniera diversa, più fluida e in base a ciò che ci fa convergere. Questo sarebbe un segnale di forza straordinaria. 

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Nella dichiarazione dell’iniziativa ci si riferisce ai pacifisti chiamandoli “gli invisibili”. Potresti chiarire questa idea?

Quando nel 2007 iniziammo a lottare contro il progetto di costruire uno scudo spaziale statunitense nella Repubblica Ceca accadde una cosa che per noi fu una vera folgorazione: ci rendemmo conto che la stragrande maggioranza dei cittadini era contraria a quel progetto, nonostante la propaganda martellante dei media e dei politici: più del 70% della popolazione ceca era contraria. Eppure tutte queste persone per l’opinione pubblica non esistevano. Coloro che si opponevano al progetto erano semplicemente scomparsi, spariti in un buco nero dell’informazione, dimenticati.

Il problema allora non era convincere le persone che il progetto era rovinoso, ma farle emergere da quella specie di limbo artificiale, renderle visibili, dar loro spazio. Da quel momento ebbe inizio una creatività straordinaria. Ci furono scioperi della fame, molti personaggi pubblici diedero il loro appoggio, le persone si mobilitarono. E lo scudo spaziale USA non si fece. Un risultato storico. Oggi a livello globale sta accadendo la stessa cosa. E c’è bisogno che le persone si manifestino.  

Quando gli Stati Uniti minacciarono l’invasione dell’Iraq, decine di milioni di persone manifestarono per le strade di tutto il mondo contro la guerra. Oggi sembra che la situazione sia molto diversa e ci sia più difficoltà a organizzarsi. Perché, secondo te, la situazione del pacifismo internazionale è così cambiata?

Perché siamo in una società in piena crisi e decadenza in cui ci è difficile immaginare di poter cambiare davvero le cose, mentre i governi diventano ogni giorno più ottusi e violenti. La loro tattica è creare divisione e polarizzazione. Dobbiamo fare lo sforzo di convergere, definendo quali sono le priorità. Bisogna anche tener conto che le nuove generazioni sono meno ideologiche e più pratiche e anche la protesta deve trovare nuovi modi di esprimersi.

L’iniziativa nasce dalla forte necessità di pace e di evitare un conflitto globale. C’è un forte bisogno che il mondo pacifista e tutta la società civile diano un segnale potente e chiaro

Si ha l’impressione che le proteste spesso non siano molto efficaci e che i governi tendano a ignorare in blocco l’opinione delle persone a favore di posizioni già prese. Nella vostra dichiarazione parlate della necessità di azioni nonviolente, a cosa ti riferisci?

Questo è uno dei problemi più grandi. Lo scollamento tra le persone e le istituzioni ormai è un abisso. La classe politica sembra non rispondere più alla gente ma ad altri soggetti, dimenticando che sono le persone a portare avanti la società. E se esse si organizzano hanno un potere immenso. All’epoca di Gandhi, indiani disarmati sconfissero l’esercito più grande del mondo. Le persone possono fare a meno delle istituzioni, ma le istituzioni non possono fare a meno delle persone.  Questa è la forza della nonviolenza. Ma è necessario sincronizzarsi. Ed è quello che stiamo tentando di sperimentare con questa iniziativa. Spegnere le TV e i social media per un giorno è solo un primo esperimento.

La società civile sembra molto divisa sulla guerra in Ucraina: alcuni affermano che l’invio di armi è giusto, perché offre all’Ucraina la possibilità di difendersi; altri invece affermano che bisogna sospenderlo immediatamente per passare a una fase di trattative. Pensi che sia possibile un dialogo tra posizioni tanto diverse o addirittura un’azione comune?

Per quanto possano sembrare posizioni inconciliabili, credo che alla fine ci si comprenderà, perché se veniamo trascinati nell’abisso della guerra, che importanza avrà chi aveva ragione? Bisogna chiedersi profondamente cosa è più importante per noi: avere ragione o evitare l’orrore risolvendo le guerre grazie al dialogo?

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Arte per combattere il decadimento cognitivo: una figlia racconta la storia di sua madre malata di Alzheimer

di Laura Tussi (sito)

L’espressione artistica come arma per combattere le malattie neurodegenerative, in particolare l’Alzheimer. La nostra collaboratrice Laura Tussi apre il suo cuore e racconta la storia di sua mamma Angela, del suo percorso all’interno della malattia e delle opportunità offerte dalla creatività e dall’arte, che da sempre accompagnano la quotidianità di Angela. Non manca una breve analisi, fortemente critica, della situazione italiana per quanto riguarda l’assistenza a malati e anziani.

Vorrei raccontare una breve storia semplice, ma dolorosa. Una storia come tante. Purtroppo. Ma che riguarda nello specifico mia madre e la sua malattia. Intorno ai sessant’anni mamma è stata colpita da una ischemia cerebrale che, a detta dei neurologi, le ha letteralmente ‘bruciato’ parte delle cellule di un emisfero del cervello. I postumi dell’ischemia si sono manifestati con una progressiva e importante perdita di memoria che con gli anni ha assunto i connotati di una demenza grave e adesso di un principio di Alzheimer. Ora mamma ha 81 anni.

Lei soffre molto per questa sua condizione patologica con frequenti crisi di pianto e con ricordi di parenti ormai trapassati che lei invece invoca e crede ancora in vita e per cui soffre e si dispera. Per sopperire a questo fortissimo disagio esistenziale, dovuto a un quadro clinico molto pesante e grave, con l’aiuto mio, delle badanti e dell’educatrice, spesso mamma realizza disegni a mano libera oppure colora grafiche prestampate.

La forza del colore e del tratto indica una particolare predisposizione per questa forma d’arte. Infatti da giovane mamma si è sempre cimentata e prodigata nel ricamo su stoffa e seguiva anche noi sorelle impegnate a frequentare un’accademia di pittura nel tempo libero. L’impegno e l’acribia nella concentrazione del dover ideare la grafica del disegno costituiscono un forte stimolo per l’ideazione in un soggetto così fragile emotivamente come mamma.

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I disegni della mia mamma Angela Belluschi che raccontava sempre le avventure incredibili e a rischio di morte di mio nonno Luigi, sabotatore dell’industria bellica, come operaio alla Breda di Sesto San Giovanni e Resistente durante il ventennio fascista e contro il regime nazifascista. Mamma ha realizzato vari disegni nei limiti dell’età e della grave patologia. Alcuni disegni sono pubblicati nel mio libro Resistenza e Nonviolenza creativa e altri sono pubblicati in vari miei articoli.

La forza dell’ideazione prende il sopravvento, con le seppur labili capacità cognitive, sulla sua spiccata emotività e sofferenza psichica. E questo suo cimentarsi nel disegno è un forte aiuto di distrazione rispetto al dolore psichico ed emotivo tipico dell’Alzheimer che pervade mamma.

UNO SPACCATO DI VITA FAMIGLIARE

Credo di offrire tutto il supporto che sono in grado di dare a mamma nei limiti della mia vulnerabilità emotiva. Le offro supporto con una vicinanza intrisa di gioco e di scherzo e di complicità. O meglio insieme ci ‘alleiamo’, scherzando, per prendere in giro papà e questo la solleva e la fa sorridere perché i miei genitori si vogliono ancora molto molto bene. Ma poi anche con l’aiuto delle badanti la seguo nella sua creatività che anche io ho ereditato da lei. Una creatività che per mamma, quando stava bene, si esprimeva anche con il ricamo e quindi con il disegno su stoffa.

La seguo nei disegni che realizza e che risultano essere un vero miracolo di bravura date le sue condizioni. E penso che il disegno non sia solo uno sfogo, un’arte per veicolare le sue tensioni, la sua tristezza, la grave emotività che comporta questa malattia, ma è proprio un riscatto da questa sua grave condizione. Quando mamma vede pubblicati i suoi disegni nei miei libri e articoli, lei esprime tutta la sua gioia e felicità con bellissimi sorrisi e comprende l’importanza della denuncia di questi governi criminali che fomentano la guerra. Mentre noi siamo contro la guerra. Noi con i disegni e i colori e la gioia della creatività vogliamo un mondo di Pace e di bellezza.

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Penso proprio che questa grande motivazione creativa sia una importante e significativa risorsa per mamma e per tutti coloro che sono affetti da sindromi neurologiche e psichiatriche, la cui correlazione è sempre molto stretta come sostiene il dottor Giulio Colombo, già viceprimario psichiatra che ha seguito mamma. Il dottor Colombo ha dichiarato: «Conosco da anni la Signora e ritengo che questa modalità di espressione con il disegno sia una importante e creativa risorsa che contrasta il decadimento cognitivo e l’appiattimento inesorabilmente sopraggiunti».

IN FOTO: I disegni della mia mamma Angela Belluschi che raccontava sempre le avventure incredibili e a rischio di morte di mio nonno Luigi sabotatore dell’industria bellica, come operaio alla Breda di Sesto San Giovanni e Resistente durante il ventennio fascista e contro il regime nazifascista. Mamma ha realizzato vari disegni nei limiti dell’età e della grave patologia. Alcuni disegni sono pubblicati nel mio libro Resistenza e Nonviolenza creativa e altri sono pubblicati in vari miei articoli.

Penso che il disegno non sia solo uno sfogo, un’arte per veicolare le sue tensioni, la sua tristezza, la grave emotività che comporta questa malattia, ma è proprio un riscatto da questa sua grave condizione

POST SCRIPTUM

Grazie cara Mamma per queste bellissime rose colorate. Mia mamma Angela soffre di Alzheimer e i servizi sociali adibiti alla cura di questa malattia scarseggiano. Voglio denunciare la mancanza di stato sociale e di assistenza agli anziani e ai più deboli, in quanto i governi continuano a investire in armi e in guerra e questo è un vero crimine da parte delle istituzioni nei confronti dei più bisognosi e delle frange deboli della società. Mentre mamma vuole e ha sempre voluto la pace come noi tutti.

Lei che ha sempre lavorato una vita intera in catena di produzione, in fabbrica, e ha contribuito a costruire e a risollevare il nostro Paese negli anni del dopoguerra e che ha partecipato, con gli scioperi, agli anni caldi della contestazione e ha vissuto quelli terribili dello stragismo neofascista. Spero che questo mio contributo scritto sia utile per trasformare le tante situazioni familiari difficili e dolorose, e così di altre persone e famiglie nelle medesime condizioni, in qualcosa che possa essere d’aiuto e generare cultura e bellezza.Questo articolo è stato pubblicato qui

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Balcani e Ucraina: cos’hanno in comune le ultime due guerre che hanno scosso l’Europa?

di Laura Tussi (sito)

Dall’ingerenza della NATO alla mobilitazione del movimento pacifista e nonviolento, fino ai riferimenti al diritto internazionale. Attraverso le parole e l’esperienza del segretario dei Corpi Civili di Pace Gianmarco Pisa – segretario nazionale dell’Istituto Italiano di Ricerca per la Pace – Corpi Civili di Pace –, proviamo a capire meglio la situazione geopolitica attuale analizzando i conflitti in Balcani e Ucraina, le ultime guerre che, in ordine di tempo, hanno interessato il territorio europeo.

di LAURA TUSSI

Solo il personale civile, purché fornito delle necessarie competenze, può affrontare in modo, al tempo stesso, legittimo, affidabile e credibile, l’azione di inibizione della violenza senza l’uso delle armi, senza il ricorso alla violenza, anzi, specificamente, mediante l’approccio costruttivo proprio della nonviolenza. È su questo assunto che si basano i Corpi Civili di Pace, istituiti in via sperimentale nel 2013 per porre le basi per la realizzazione di una più ampia e strutturata “difesa civile, non armata e nonviolenta” in situazioni di conflitto e di emergenze ambientali.

Gianmarco Pisa è un operatore di pace, attivista e pubblicista, nonché segretario nazionale dell’Istituto Italiano di Ricerca per la Pace – Corpi Civili di Pace, con cui è intervenuto in Kosovo, dopo essere stato anche nei Balcani ancora fumanti dopo il conflitto della fine degli anni novanta. Con lui proviamo a costruire un parallelismo proprio fra quella guerra – l’ultima combattuta nel cuore dell’Europa, fino al 20 febbraio 2022 – e l’attuale conflitto ucraino

Balcani e Ucraina: a proposito di queste ultime due guerre “europee”, possiamo rifarci alla teoria dei “corsi e ricorsi storici”?

Mi sembra si possa richiamare, più che la nozione vichiana dei “corsi e ricorsi storici”, soprattutto il vecchio adagio di Marx del “18 brumaio di Luigi Bonaparte”, secondo il quale “«”tutti i grandi fatti della storia universale si presentano, per così dire, due volte, la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”. Spesse volte, una farsa dolorosa e cinica.

Foto di Charles Rosemond

Nella situazione attuale – inaugurata dal colpo di stato di Euromaidan del febbraio 2014, proseguita con la guerra civile, durata otto anni, nel Donbass, e approdata all’intervento militare russo del febbraio 2022 – una nutrita schiera di giornalisti ha ribadito la tesi per cui la guerra in corso in Ucraina segna “il ritorno della guerra in Europa”. Si tratta di una tesi propagandistica, in alcuni casi utilizzata come vera e propria propaganda di guerra, e in ogni caso falsa e fuorviante.

Falsa perché sarebbe sufficiente ricordare il lungo ciclo di guerre nei Balcani, prima la guerra in Croazia e in Bosnia, tra il 1992 e il 1995, poi ancora il conflitto armato in Kosovo e la guerra della NATO alla Jugoslavia nel 1999. Fuorviante perché serve a spostare il peso della responsabilità su una sola parte: tende a rimuovere il fatto che furono appunto gli Stati Uniti e la NATO a portare, nel 1999, pesantemente una guerra nel cuore dell’Europa e induce viceversa a pensare che questa responsabilità ricada esclusivamente sulla Russia di oggi.

Difficile, in ogni caso, tacere delle responsabilità della NATO nella militarizzazione e nella spirale di guerra nella quale sempre più rischia di precipitare l’Europa. È appena il caso di ricordare che, solo in Europa, Stati Uniti e NATO dispongono di decine di basi militari e dislocano decine di bombe nucleari in sei basi sparse tra Germania, Belgio, Paesi Bassi, Turchia, e Italia; nel nostro Paese ad Aviano e a Ghedi.

Attualmente è in corso il dibattito sul diritto e la giustizia internazionale, ma è bene anche ricordare quali presupposti giuridici e quali violazioni del diritto internazionale si sono consumati con la guerra alla Jugoslavia del 1999.
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Le Nazioni Unite hanno richiamato i capisaldi del diritto internazionale: la pace e la sicurezza internazionale, il rispetto della sovranità, dell’indipendenza politica e dell’integrità territoriale degli Stati, il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli e il principio di non ingerenza nelle questioni interne dei singoli Paesi. Nell’ambito dei principi fondamentali della giustizia internazionale non esiste un principio “più fondamentale” degli altri; d’altra parte, è noto che gli stessi diritti umani sono un complesso universale e indivisibile. La guerra non può dunque essere uno strumento legittimo di risoluzione delle controversie, così come sanzioni unilaterali e illegittime non possono essere considerate uno strumento praticabile. Allo stesso modo, la violazione di accordi e trattati non può essere accettata.

guerra carro armato

In relazione alla guerra in corso, è opportuno richiamare la violazione degli accordi di Minsk da parte ucraina. Se invece si torna al precedente del 1999, è impossibile dimenticare che quella che fu presentata addirittura come una “guerra umanitaria” fu in realtà un’aggressione a tutti gli effetti ai danni di un Paese indipendente, la Jugoslavia, membro delle Nazioni Unite. Nel corso di quella aggressione, a proposito delle Convenzioni di Ginevra, non si può dimenticare l’uso da parte della NATO di munizioni a uranio impoverito, gli ospedali, le scuole, le infrastrutture civili colpite e distrutte.

È utile fare una riflessione su analogie e differenze tra l’intervento militare russo in Ucraina e la questione del Donbass, da un lato, e l’intervento militare della NATO in Jugoslavia e la questione del Kosovo, dall’altro. Vi è un parallelismo tra queste guerre fomentate dalla strategia bellicista NATO-USA?

Ci sono analogie e differenze, ma un troppo facile parallelismo rischia di portare fuori strada. A differenza della situazione del Kosovo degli anni novanta ad esempio, la vicenda del Donbass era già stata inserita in un contesto diplomatico internazionale, come dimostrano il processo politico del “formato Normandia” e la firma del primo protocollo di Minsk nel settembre 2014, che nei primi tre punti richiedeva il cessate il fuoco immediato, il monitoraggio del cessate il fuoco da parte dell’OSCE e una legge sullo status speciale per una significativa autonomia del Donbass.

Se da un lato non si può accettare che le violazioni del diritto e della giustizia internazionale possano fungere da precedente, dall’altro va respinto l’approccio da “doppio standard” che troppo spesso muove le cancellerie occidentali. Non a caso, sono temi che tornano nella recente proposta avanzata dalla Cina per la soluzione politica della crisi ucraina in dodici punti. Non va dimenticato che il Kosovo si è di fatto separato dalla Serbia e alla fine ha proclamato la propria, controversa, indipendenza proprio dopo la guerra della NATO del 1999 ai danni della stessa Serbia. 

la forza del movimento pacifista sta proprio nella capacità di coniugare conflitto e consenso, di sviluppare lotta e proposta

Ogni volta si sente ripetere “dove sono i pacifisti?”, quindi può essere utile richiamare le iniziative dei movimenti per la pace all’epoca delle guerre nei Balcani.

I pacifisti sono presenti: non li vede solo chi, per un motivo o per l’altro, finge di non vederli. D’altra parte, se per “pacifismo” intendiamo, in senso ampio, l’insieme delle soggettività che si battono contro la guerra, contro il militarismo e per la pace, è evidente che si tratta di un movimento vasto e composito, con una gamma di posizioni anche diverse al proprio interno, come è naturale che sia. La gran parte del movimento è fermo nella sua posizione contro la militarizzazione e contro il militarismo, contro l’invio di armi all’Ucraina, a favore di un cessate il fuoco che sia il più rapido possibile e per la riapertura, il più presto possibile, di un percorso politico e diplomatico.

Anche la critica contro le sanzioni unilaterali imposte alla Russia, sulla cui efficacia peraltro il dibattito è assai vivace, è presente tra le realtà del movimento “contro la guerra e per la pace”. Posso portare l’esempio di una “piazza” importante nella geografia dei movimenti, Napoli, dove varie iniziative hanno portato i temi della fine dell’invio di armi all’Ucraina, del ritiro delle sanzioni unilaterali – che finiscono sempre per colpire le popolazioni civili – alla Russia e ad altri Paesi, del ritiro dei soldati italiani mobilitati nelle esercitazioni della NATO ai confini della Russia e dell’Ucraina e dei contingenti italiani nelle varie missioni militari all’estero; della lotta contro le basi e le servitù militari nel nostro Paese e infine dello scioglimento della NATO. 

Insomma, il movimento per la pace, pur se con numeri e con un impatto lontani da quelli delle manifestazioni del 1999 e del 2003, è presente e attivo; ha forse sempre più bisogno di trovare occasioni di “unità d’azione”, in modo da moltiplicare l’efficacia della propria iniziativa. 

jugoslavia
Non solo “contro la guerra”, ma anche “per la pace”. Quindi può essere utile ricordare i progetti positivi delle organizzazioni per la pace, per esempio i Corpi Civili di Pace, ad esempio nei Balcani e in Kosovo. Quale il loro ruolo?

Questo, tornando alla riflessione precedente, è propriamente un punto qualificante delle forze del movimento contro la guerra e per la pace: di non essere cioè solo capace di una necessaria protesta con campagne e mobilitazioni, ma di essere anche portatore di una ben studiata proposta costruttiva. In generale, la forza del movimento sta proprio nella capacità, per usare una fortunata espressione, di coniugare conflitto e consenso, di sviluppare lotta e proposta. 

All’epoca delle guerre nei Balcani ci furono le grandi campagne e marce per la pace: la “marcia dei Cinquecento” a Sarajevo del 1992; la marcia “Mir Sada” del 1993; la Campagna Kosovo per la nonviolenza e la riconciliazione, con il progetto dell’Ambasciata di Pace a Prishtina; il progetto dei Corpi Civili di Pace in Kosovo.

Per non parlare del movimento dei lavoratori, come nel caso dello sciopero generale contro la guerra in Jugoslavia e la manifestazione dei sindacati di maggio 1999. O la manifestazione contro la guerra dell’aprile 1999 indetta da Rifondazione Comunista. Restano attivazioni decisive, perché indicano una prospettiva e segnalano un’esigenza: collocare la lotta contro la guerra e per la costruzione della pace al centro dell’agenda, non solo dei movimenti, ma anche delle forze politiche e sindacali. 

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Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo: la lezione dei Balcani

di Laura Tussi (sito)

Ricordare la guerra in ex Jugoslavia, dagli errori dell’Onu e dell’Europa alle difficoltà del Mondo pacifista. Una riflessione

di Laura Tussi

Dall’alveo di un fiume di sangue che per una decade ha bagnato il cuore dell’Europa e che ancora oggi non si è del tutto prosciugato, affiorano tutte le contraddizioni sollevate dalla guerra in ex Jugoslavia. Dalla politica militare della Nato ai razzismi e ai sovranismi, dai gravi errori della nascente Unione Europea e dell’ONU alla crisi dei movimenti pacifisti, proviamo a ripercorrere quegli eventi tragici. Anni di terrore, morte, rovine, indicibili crudeltà nel cuore dell’Europa. Anni di inferno, stragi, stupri, pulizia etnica, assedi, distruzioni. Un campionario di atrocità sconvolgente ancora adesso. Centinaia di migliaia di morti. Milioni di profughi. Un numero impressionante di feriti e mutilati. Scheletrite le case e le chiese. Martirizzati il territorio e l’ambiente. Maledetta, sporca guerra. Stupido trionfo dell’irrazionalità: il decennio di distruzione sanguinosa dell’ex Jugoslavia che va dal 1990 al 1999 e oltre.

Sono anni esplosivi. La guerra tra Croazia e quel che resta della federazione jugoslava dilagano sempre più feroci. Anche la Bosnia dichiara l’indipendenza, confermata dal referendum del marzo 1993. Ma la componente serba della popolazione non riconosce validità al referendum e subito la parola passa alla violenza e alle armi. La ferocia della violenza e della guerra raggiunge manifestazioni inimmaginabili. Le milizie serbo-bosniache assediano Sarajevo e sarà una lunghissima occupazione: anni terribili per la popolazione civile. L’Onu interviene con varie risoluzioni e invia i caschi blu. I cessate il fuoco non sono rispettati e i piani di pace falliscono. Le tregue si rompono. Nel 1993 un accordo pone termine allo scontro in Bosnia tra croati e musulmani e la Nato bombarda i serbi. Nel maggio 1995 la Croazia riconquista la Slovenia e i serbi bombardano Zagabria. Inizia il massacro di Srebrenica, città musulmana conquistata dai serbi con i caschi blu impotenti e inadeguati.

La Croazia torna all’attacco dei serbi che in massa abbandonano la regione. La Nato torna a bombardare i serbi. Inizia il cessate il fuoco che regge fino alla pace di Dayton negli Stati Uniti e alla firma a Parigi. All’inizio del 1998 sale pericolosamente la tensione in Kosovo. La violenza esplode con gli scontri di Drenica. Cresce l’influenza dell’Uck e gli scontri con l’esercito serbo si susseguono. Falliscono le mediazioni degli inviati USA e fallisce il vertice del febbraio 1999.

Dall’impotenza Onu ai bombardamenti della Nato

La Nato inizia i molto discussi bombardamenti contro la Serbia. Anni di tregue non rispettate e di piani di pace mai attuati, di trattative infinite e inconcludenti e di giochi diplomatici, accompagnati dall’uso spregiudicato dei media. È una stupida guerra, l’ennesimo raccapricciante esempio della stupidità della guerra. Ennesima rappresentazione della sua inutilità per risolvere i problemi. Perché nessun problema fu in grado di risolvere. Guerre tra Stati? Guerre etniche? Guerre di indipendenza? Guerre umanitarie? Guerre di bande? Guerre religiose? Tante interpretazioni e tante letture, ma una sola realtà: fu un orribile macello. Un inferno. E tanti tuttora gli enigmi. Una aggrovigliatissima matassa, ma intrecciata con un solo filo, quello della violenza.

Il novecento si chiudeva così in un bagno di sangue nell’Europa nata sulle ceneri della Seconda Guerra mondiale, scoppiata – ha detto qualcuno – per impedire guerre future. Le granate colpivano anche le speranze di un’Europa senza massacri, faro e fucina di pace. Cause complesse e un concorso di fattori hanno determinato la spirale che è strutturata nel sangue della ex Jugoslavia. Ma le responsabilità del nazionalismo sono apparse e appaiono evidenti e primarie. Un nazionalismo estremo. Un nazionalismo separatista e intriso di militarismo. Estremizzazione rozza della dottrina fondata sull’attaccamento alla propria nazione e a tutto ciò che gli appartiene in modo acritico, divenuto quindi idea e guida, valori e metro di giudizio, misura di comportamenti, di fiducia e sfiducia.

Gli errori di Europa e Onu, La prova del pacifismo

Il dramma jugoslavo mise a dura prova l’Europa della Cee e la nascente Unione Europea. Non riusciva l’Europa ad avere una politica comune e ferma e agiva in ordine sparso, incapace di unità, e fu vittima di rigurgiti delle politiche delle zone di influenza. L’ONU visse uno dei periodi più critici della sua non facile vita, mostrando limiti e inadeguatezze. Ma non solo per sua responsabilità. La sua emarginazione assunse forme molto evidenti, soprattutto per la politica della superpotenza americana che praticava un nuovo interventismo unilaterale e spingeva la Nato oltre i propri confini, trasformando l’alleanza difensiva in offensiva. Un nuovo ruolo, negli anni successivi, variamente teorizzato, giustificato e praticato.

Cause complesse e un concorso di fattori hanno determinato la spirale che è strutturata nel sangue della ex Jugoslavia. Il diritto internazionale subì colpi violenti e con conseguenze inimmaginabili negli anni a venire. Dura anche la prova per il variegato mondo del pacifismo, che non riuscì a creare mobilitazioni di massa ampie come in altre occasioni. Ma si spese molto, cercava di capire, cercava di rompere il muro dell’indifferenza e di assuefazione alla carneficina in atto nel cuore dell’Europa. Cercava di sollecitare e proporre idee e azioni concrete. Soprattutto le associazioni, gli organismi attivi storicamente nel pacifismo e tanti altri enti nati appositamente si impegnarono in un intenso intervento umanitario per aiutare concretamente le popolazioni civili.

In copertina la famosissima foto di Mario Boccia scattata a Sarajevo durante la guerra

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Anna Polo: “Riflettiamo sulle disparità per parlare di migrazioni in modo più umano”

Scritto da: LAURA TUSSI

Da Cutro a Riace, dal Messico alla Grecia, dai campi improvvisati ai centri di permanenza: la storia attuale delle migrazioni è costellata di contraddizioni, inefficienze e ipocrisia. Secondo Anna Polo, attivista e giornalista, il primo passo da fare è recuperare un approccio più umano, che metta al primo posto le persone e non le strategie politiche.

I migranti provenienti dalle varie parti del mondo fuggono da guerre, disastri ambientali, povertà, terrorismo, violenze, massacri, genocidi. Cercano in modo legale e sicuro accoglienza, assistenza e solidarietà nei nostri territori, ma il cosiddetto Occidente civilizzato e progressista risponde con una politica feroce di respingimenti e con l’aumento delle guerre e delle spese militari, alimentando il rischio di una terza guerra mondiale e di un’apocalisse nucleare.

Ne parliamo con Anna Polo, giornalista dell’agenzia stampa internazionale Pressenza, che si occupa di migranti non solo attraverso la pubblicazione di approfondimenti, interviste e comunicati delle Ong del soccorso in mare, ma anche attivandosi in prima persona e organizzando insieme ad altre associazioni campagne ed eventi sulla criminalizzazione della solidarietà e su casi clamorosi come quello di Riace e quello più recente di Cutro.

anna polo
Anna Polo
Da dove si può partire a tuo parere per parlare di un fenomeno ampio e complesso come quello delle migrazioni?

Come hai già detto tu, chi tenta di arrivare in Europa – e anche negli Stati Uniti, cercando di superare la frontiera messicana – fugge da situazioni atroci, che noi occidentali nemmeno ci immaginiamo, o più semplicemente vuole migliorare la sua vita e fare nuove esperienze. E qui veniamo a una domanda cruciale: perché un giovane europeo può muoversi liberamente, cercare possibilità di studio e di lavoro in altri Paesi, e un suo coetaneo africano o asiatico no?

Avere il passaporto sbagliato pregiudica tutta la vita e costituisce una discriminazione inaccettabile. Riflettere su questa disparità può aiutarci ad affrontare il tema delle migrazioni da un punto di vista umano, mettendosi nei panni di chi non ha le nostre stesse possibilità e magari impegnandosi, come nel mio caso, per riparare questa ingiustizia. 

Che conseguenze ha la politica di “protezione delle frontiere” perseguita dall’Unione Europea?

Conseguenze tragiche: dal 2014 a oggi tra morti annegati e dispersi nel Mediterraneo centrale si arriva a oltre 25.000 persone. Solo nell’anno 2022 30.000 uomini, donne e bambini sono stati riportati – da motovedette finanziate dall’Italia in base a un infame accordo con la Libia – nell’inferno da cui avevano cercato di fuggire. Migliaia di persone vengono respinte con violenza al confine tra Polonia e Bielorussia e lo stesso succede con la rotta balcanica che arriva a Trieste e a chi cerca di attraversare il confine tra Italia e Francia. Respingimenti illegali avvengono anche in Grecia e tutto questo in aperta violazione del diritto e delle convenzioni internazionali. 

Chi riesce ad arrivare in Europa viene confinato in campi simili a prigioni, come nell’isola greca di Samos, dove deve attendere per mesi e anni che la sua richiesta di asilo venga esaminata ed è costretto ad arrangiarsi in accampamenti come la “giungla” di Calais, continuamente sgomberati dalla polizia, o pur non avendo commesso alcun reato finisce in luoghi orribili come i Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) italiani, dove ogni diritto umano viene impunemente violato.

fiori sulla spiaggia di Cutro Rete 26 febbraio
L’attualità è una conferma questo scenario drammatico?

La recente strage di Cutro è un esempio straziante di questa politica: il Governo italiano ha lasciato annegare gente che poteva essere salvata e ora cerca di eludere le proprie responsabilità dichiarando guerra con toni roboanti ai trafficanti del mare e agli scafisti. Viene però ignorato un punto fondamentale: gli scafisti sono spesso giovani migranti costretti a guidare i barchini, l’ultimo anello di una rete molto più ampia, i cui vertici restano nell’ombra.

Questi vertici, i veri trafficanti di esseri umani, sono certamente dei criminali, ma non potrebbero chiedere somme esorbitanti a persone disperate, costringendole a viaggi pericolosi e spesso letali, se ci fossero canali legali e sicuri di ingresso in Europa. Dunque i veri responsabili di queste tragedie sono le autorità europee e quelle nazionali.

E invece chi supplisce ai vuoti lasciati dalle istituzioni viene criminalizzato…

Esatto. Da anni le Ong del soccorso in mare vengono perseguitate con campagne mediatiche basate su calunnie e fake news, processi e provvedimenti come sanzioni e fermi amministrativi. Il vero scopo è svuotare il Mediterraneo di testimoni scomodi e la conseguenza è l’aumento delle morti in mare. Anche difensori di diritti umani e avvocati vengono presi di mira, calunniati e sottoposti a processi basati su accuse assurde, con lo scopo evidente di scoraggiare le loro attività.

Avere il passaporto sbagliato costituisce una discriminazione inaccettabile. Riflettere su questa disparità aiuta ad affrontare il tema delle migrazioni da un punto di vista umano

Qualcosa però si sta facendo per reagire a questo orrore.

Sì, fortunatamente esiste una società civile generosa e solidale – lo abbiamo visto nella manifestazione di sabato 11 marzo a Cutro – che organizza eventi di denuncia e sensibilizzazione per sostenere chi fa vera accoglienza, come Mimmo Lucano a Riace e chi, come le Ong del soccorso in mare, salva vite umane nel Mediterraneo. Un esempio è la campagna “La bandiera ONU per le navi umanitarie”, che come Pressenza stiamo lanciando insieme al Festival del Cinema dei Diritti Umani di NapoliRESQ People Saving PeopleUnimondoASGIPax Christi e Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo.

La campagna si articola in una petizione su change.org e due richieste alle autorità competenti dell’ONU: dotare le navi delle Ong della bandiera dell’ONU in modo da tutelare l’operato di chi dà concreta attuazione al dovere di soccorso in mare previsto dalle norme internazionali e cancellare la cosiddetta zona Sar libica, perché la Libia non garantisce alcun porto sicuro, né il rispetto dei diritti umani. Vorrei concludere con una citazione del poeta tedesco Friedrich Hölderlin, che a mio parere esprime in forma ispirata e sintetica tutto quello di cui abbiamo parlato finora: “Lì dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva”.

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Abbasso la guerra: una mostra itinerante che da dieci anni diffonde la cultura di pace

di Laura Tussi (sito)

Dal 2013 la mostra “Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 ad oggi” viaggia in giro per l’Italia mostrando e diffondendo la cultura della pace e della nonviolenza. Un’iniziativa preziosa che si rivolge soprattutto ai più giovani per costruire un pensiero e un’azione alternativi al preoccupante militarismo che sta dilagando in questa epoca storica.

di LAURA TUSSI

È cominciato tutto a Trento nell’aprile 2013, per poi proseguire nel corso degli anni con esposizioni in scuole, biblioteche, teatri, musei, festival, piccoli e grandi centri e manifestazioni varie, spesso arricchite con presentazioni di libri, dibattiti e incontri, conferenze, teatro, film. Prodotto di lunghe ricerche, la mostra Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 ad oggi illustra con testi, immagini e documenti il multiforme impegno spontaneo e organizzato di persone, movimenti, associazioni contro la guerra, la cultura della guerra e la subcultura guerresca e militarista.

Una documentazione in gran parte inedita fa vivere, tra emozione e ragione, le voci e le istanze dei movimenti pacifisti italiani e internazionali e dell’opposizione popolare alla guerra. Il curatore di Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 ad oggi è il professor Francesco Pugliese, che è anche autore della ricerca e dell’omonimo libro-catalogo. Scene di moltitudini, eroi solitari e profeti inascoltati, tra utopia e realismo: fuori la guerra dalla storia. L’unica speranza per l’umanità.

Il progetto mira a sostenere la memoria storica dell’opposizione e degli oppositori agli armamenti e alla guerra – “pazzia bestialissima”, scrisse Leonardo –, a sensibilizzare sui temi della pace e dell’educazione alla pace e a propugnare culture, coscienze e pratiche pacifiche e nonviolente a tutti i livelli per un rinnovato impegno di massa per il disarmo.

Ma si attiva anche per difendere il ripudio della guerra scolpito nell’articolo 11 della Costituzione italiana e sulla Carta delle Nazioni Unite e a ricordare le finalità di pace del processo di costruzione europea nel centenario della “inutile strage” [la prima Guerra Mondiale, ndr]. Lo fa proprio in un’epoca in cui folate di nazionalismo e smarrimenti delle finalità originarie percorrono preoccupanti il vecchio continente e il sogno dell’ONU di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra” attraversa uno dei suoi momenti più critici.

La mostra è stata ideata per il centenario della Prima Guerra Mondiale, il 70° anniversario della Liberazione e delle tragedie di Hiroshima e Nagasaki e il 60° anniversario del manifesto Einstein-Russell: “Ricordate la vostra umanità e dimenticate tutto il resto. Questo dunque è il problema che vi presentiamo, netto, terribile e inevitabile: dobbiamo porre fine alla razza umana oppure l’umanità dovrà rinunciare alla guerra?”, recita il documento pubblicato dai due studiosi a Londra il 9 luglio 1955.

“Una mostra importante perché restituisce dignità al movimento pacifista e alle sfide che questo ha posto e affrontato negli ultimi 150 anni – scrive Francesco Penzo –, perché racconta una storia in cui in tanti e tante cittadini si riconoscono, perché pone sul tavolo molte questioni ancora aperte legate al disarmo, alla nonviolenza, alla prevenzione dei conflitti”.

Poiché le guerre nascono nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace

«La guerra è follia», ha gridato Papa Francesco a Redipuglia. Follia che dilaga nel mondo e produce stragi e orrore, miseria e profughi e cancella i diritti umani. I poteri forti investono nella guerra il 13,4% del Pil mondiale (Iep). La guerra brucia l’ambiente e accresce le diseguaglianze. È una follia alimentata dall’industria e dal commercio di armi, sempre più floridi – si è registrata una crescita dell’8,6% nel 2016. Una nuova pazzesca corsa al riarmo è partita, l’incubo atomico angoscia l’umanità, si investono somme ingenti per costruire e mantenere arsenali nucleari che già potrebbero distruggere la Terra molte volte. Tutto ciò mentre 800 milioni di esseri umani soffrono la fame e oltre un miliardo di persone vivono con appena un dollaro al giorno.

Oggi più che mai è il momento di rinforzare il rifiuto della guerra, come è avvenuto dopo la seconda guerra mondiale. C’è bisogno di nuove ondate di mobilitazioni popolari contro il mostro bellico, di rinnovata e coerente lotta per la pace, dell’impegno di ognuno perché ognuno può fare qualcosa. La mostra Abbasso la guerra ha ricevuto l’alto patrocinio del Parlamento europeo e quello della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ha l’adesione del Museo Storico e del Forum Pace del Trentino e di vari altri enti, associazioni, Regioni, Comuni, scuole.

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L’esposizione si compone di 24 pannelli di 70×100 centimetri e la sua struttura e i contenuti divulgativi che offre sono rivolti in particolare alle scuole. L’ultimo pannello della mostra riporta le parole dell’Unesco: “Poiché le guerre nascono nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”. Questa frase è stata incisa sul marmo davanti a una scuola di Pienza, in Toscana.

“Tanto bella che dovrebbe essere permanente”, ha scritto una visitatrice a Bologna. Durante le esposizioni di abbasso la guerra viene distribuito il libro-catalogo omonimo, “bellissimo, un vero tesoro per ognuno che si interessa alla storia del pacifismo”, lo ha descritto Werner Wintersteiner, direttore del Centro per la Ricerca sulla Pace e l’Educazione alla Pace dell’Università di Klagenfurt. I proventi della mostra sono destinati a Emergency e al Gruppo Missionario Merano per la realizzazione di un pozzo per acqua potabile in Africa.

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Spesa bellica: la preoccupante escalation e le reazioni del mondo pacifista

di Laura Tussi (sito)

La spesa bellica sta aumentando praticamente ovunque nel mondo e l’Italia non fa eccezione, con una percentuale pari all’1,54% del PIL, superiore alla media europea e in costante aumento. Un caso particolare è quello dell’acquisto di cacciabombardieri F35, che ha avuto però l’effetto positivo di stimolare la nascita di una campagna pacifista e antimilitarista che da anni porta avanti istanze fondamentali.

Le spese per gli armamenti e per la difesa in generale ammontano a molti miliardi ogni anno e cioè circa 26 miliardi di euro nel 2022 solo in Italia. Cifre colossali fornite da Sipri – l’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma – e da Milex – l’Osservatorio sulle Spese Militari Italiane – relative al 2022, che sono però in esponenziale incremento. Secondo i dati dell’autorevole istituto e dell’importante osservatorio, la spesa militare globale nel mondo continua ad aumentare nonostante la crisi.

ALCUNI DATI SULLA SPESA BELLICA GLOBALE

Il grafico delle spese militari nel mondo è in costante ascesa: secondo Sipri, sono stati raggiunti i 2113 miliardi di dollari nel 2021, con un +0,7% in termini reali rispetto all’anno precedente. I primi dieci Paesi per spesa militare coprono il 75% del totale degli investimenti bellici, con i soli Stati Uniti che contribuiscono per il 43% e più indietro, al secondo posto la Cina, mentre al terzo l’India.

Stati Uniti, Russia, Inghilterra, Francia, Cina, India, Pakistan e Israele posseggono insieme più di 25000 armi nucleari e di queste più di 5000 sono pronte all’uso e al lancio: abbastanza per distruggere più volte il nostro pianeta. Fra le potenze che stanno aumentando più rapidamente il budget destinato al comparto bellico c’è la Russia, che nel 2021 lo ha incrementato del 2,9%, portandolo al 4,1% del prodotto interno lordo complessivo.

L’ITALIA E GLI F35

Per quanto riguarda il nostro paese, un caso interessante da analizzare è quello dell’acquisto degli F35. L’F35 è un cacciabombardiere d’attacco al suolo e come tale contrasta con un modello di difesa basato sulla difesa stessa e non sull’offesa, quale dovrebbe essere quello italiano, come sancisce anche la Costituzione repubblicana all’articolo 11. Questo tipo di cacciabombardiere è atto al trasporto delle famigerate e mortifere bombe termonucleari NATO B61-12.

Inoltre è esorbitante la cifra che l’Italia spende per l’acquisto di questi mostri da guerra: 15 miliardi di euro per 90 di questi apparecchi e il numero è stato ridotto nel 2012 grazie alle proteste e alla mobilitazione nate nel paese rispetto ai 131 cacciabombardieri F35 iniziali. Ma pur sempre una follia. Una spesa enorme e esorbitante, soprattutto in tempi di crisi e quando si taglia la spesa pubblica per sanità, servizi sociali, scuole, per i più deboli, per i malati. 

Il sostegno politico è fondamentale ma non basta, perché risulta necessaria la partecipazione cosciente dei cittadini

È stato calcolato che con la spesa per gli F35 si potrebbero costruire 4500 nuovi asili nido, acquistare 10 milioni di pannelli solari per dare energia pulita a tutto il paese, costruire 50 ospedali, mettere in sicurezza anche antisismica 12mila scuole, e quindi creare 100mila posti di lavoro a fronte di circa ottocento che si dovrebbero creare con il progetto F35. 

LE PROTESTE DEL MONDO PACIFISTA

È dal 2005 che i pacifisti denunciano l’assurda follia di queste spese. Nel 2007 a Novara è nato un coordinamento di associazioni e organismi impegnati a contrastare l’assemblaggio dei cacciabombardieri nell’aeroporto militare di Cameri, vicino alla città. Si tratta di un coordinamento fondato sull’antimilitarismo e sull’autonomia dei soggetti istituzionali e varie sono state le iniziative di opposizione attivate. Come un corteo a Novara con oltre mille partecipanti e una due giorni di dibattito contro il militarismo e contro l’industria degli armamenti.

Nel tempo sono stati organizzati altre grosse iniziative che hanno coinvolto il mondo nonviolento e la società civile, come una marcia da Novara all’aeroporto di Cameri, un presidio a Torino, l’invio di una lettera aperta al prefetto di Novara. Contro il progetto F35 si è schierata anche la diocesi di Novara. Recentemente alcuni organismi come la Tavola della PaceUnimondoSbilanciamoci e altri ancora hanno promosso una campagna nazionale parallelamente a una giornata che si celebra ogni 25 febbraio con iniziative in molte città italiane e la raccolta di firme contro il progetto F35.

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Umberto Veronesi

Contro il progetto F35 si è schierato addirittura l’oncologo Umberto Veronesi, che sulla Repubblica dell’agosto 2010 ha scritto: “Come iniziatore del movimento Scienza per la pace e soprattutto come uomo che ha vissuto la guerra, mi sono sentito in dovere di presentare in Senato una mozione – avanzata dalla Rete italiana per il disarmo – per fermare il progetto, a cui partecipa il nostro paese, per la realizzazione di 2700 cacciabombardiere Joint Strike Fighter F35 a un costo complessivo stimato di 250 miliardi di dollari”. La mozione è stata sottoscritta da 27 senatori e da 16 deputati. Il sostegno politico è fondamentale ma non basta, perché risulta necessaria la partecipazione cosciente dei cittadini che hanno il diritto e il dovere di sapere.

Il bilancio della difesa per la “guerra impossibile” è di 28,7 miliardi di euro. Inoltre, l’Italia destina alla spesa bellica l’1,54% – contro una media europea dell’1,3% – del prodotto interno lordo e prevede di raggiungere entro il 2028 una quota del 2%, mentre investe una percentuale inferiore, ad esempio, nella ricerca scientifica – 1,4% del PIL, contro una media europea del 2,1%. In un simile quadro risultano dunque fondamentali non solo l’azione dei movimenti pacifisti, ma soprattutto la presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica, della quale facciamo parte tutti noi.

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Tempi di Fraternità – Nonviolenza in azione. Iniziative e protagonisti

di Laura Tussi (sito)

Grazie al libro da poco pubblicato, dal titolo “Nonviolenza in azione”, ci è possibile ripercorrere la storia antica e moderna andando a conoscere da vicino i protagonisti e le protagoniste della nonviolenza. Diversi continenti e storie con un grande comun denominatore: la speranza concreta di poter vivere in un mondo senza violenza e abusi.

di LAURA TUSSI

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L’ultimo libro di Gaia – Rivista dell’Ecoistituto Alex Langer e del suo Direttore Michele Boato dal titolo Nonviolenza in azione traccia accuratamente e in modalità molto pertinenti i ritratti di oltre un centinaio di persone che con le loro idee e soprattutto con le azioni concrete in cui si incarna la nonviolenza, dimostrano che anche le più difficili situazioni possono essere affrontate e risolte applicando metodi nonviolenti, con creatività, coraggio e coerenza. Un libro che si può ben ricollegare al saggio Resistenza e nonviolenza creativa (Mimesis Edizioni) come prosecuzione analitica diretta e ulteriore approfondimento.

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La prima parte del libro di Michele Boato prevede la descrizione dell’emergere di azioni nonviolente dall’antichità ai nostri giorni, dove la trattazione comincia dalla storia di Hatshepsut, regina d’Egitto, che attiva trattati commerciali e non guerre nonostante i primi scioperi degli schiavi egizi, fino ad arrivare, con un salto storiografico, alla plebe romana che non collabora con il potere e agisce tramite la non collaborazione e compie uno scacco al predominio dei Patrizi.

E i fratelli Gracchi con la riforma agraria e in seguito Gesù di Nazareth con la verità disarmata che vince la violenza. I primi cristiani che sono obiettori al servizio militare. E ancora sono analizzate due figure emblematiche della nonviolenza attiva come Francesco e Chiara d’Assisi e poi da distanze storiche e spazio-temporali Bartolomeo de Las Casas e i gesuiti antirazzisti in Paraguay.

E ancora l’epopea dei quaccheri e la nonviolenza nei primi anni di lotta per l’indipendenza americana e gli scioperi operai dell’ottocento e quelli antifascisti e antinazisti e gli anni ‘70 in Italia e nel mondo. Di seguito, nella seconda parte, un’intensa trattazione contro le guerre mondiali e le dittature nazifasciste: da Remigio Cuminetti con i testimoni di Geova quali primi obiettori, da Leone Tolstoj con la teoria della non resistenza a Rosa Luxemburg con il motto rimaniamo umani e Demoghela, il reggimento che non voleva combattere.

Le figure maschili e femminili della storia della nonviolenza sono state troppo spesso cancellate dalla narrazione ufficiale

Di seguito, come proseguimento storiografico, Giacomo Matteotti un faro per la resistenza al fascismo e come approfondimento storico la resistenza nonviolenta in Norvegia fino all’occupazione nazista e alla resistenza nonviolenta in Danimarca. Poi si giunge alla contemporaneità con Tina Anselmi una vita per la giustizia e la libertà e Tina Merlin Partigiana, giornalista e al fianco della gente. Giorgio Perlasca è il giusto tra le nazioni.

Si analizza la figura di Simone Weil filosofa libertaria e operaia e partigiana, per poi trattare di Hanna Arendt contro ogni totalitarismo. La terza parte vede un approfondimento contro la guerra nucleare e tutte le guerre da Bertrand Russell e Einstein con l’appello famoso e celebre contro l’ecatombe nucleare. E in seguito Aldo Capitini dall’antifascismo alla nonviolenza con la prima marcia per la pace Perugia Assisi e poi ancora Pietro Pinna che apre le strade all’obiezione di coscienza.

Vengono menzionati inoltre i Nonviolenti in Italia: il MIR, Regis, Salio, i Marasso, il movimento nonviolento, Valpiana, Sini, Marescotti. La trattazione poi si concentra su Carlo Cassola isolato dal mondo della Cultura e dall’establishment dell’epoca a causa della sua Lega per il disarmo unilaterale e Giorgio La Pira non solo ‘sindaco santo’. In seguito Lorenzo Milani e Ernesto Balducci per cui l’obbedienza non è più una virtù e la lunghissima lotta per la legge sull’obiezione di coscienza e ancora i beati i costruttori di pace con Albino Bizotto, Lisa Clark, Alex Zanotelli.

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Alex Langer, una vita per la convivenza dal sud Tirolo all’ex Jugoslavia. Vengono menzionati i portuali di Genova e La Spezia che si rifiutano di imbarcare armi di sterminio e il colonnello sovietico Stanislav Petrov che salva il mondo dall’apocalisse nucleare negli anni ’80, in piena guerra fredda. La quarta parte prevede la trattazione della nonviolenza nei paesi dell’Est, con il 1989, anno dell’abbattimento del muro di Berlino, crepa determinante nell’impero sovietico. E Gorbaciov, con la fine dell’Unione Sovietica, proiettato verso prospettive antitotalitarie e per il disarmo nucleare mondiale e universale.

La quinta parte vede la nonviolenza contro il colonialismo e il razzismo, da Gandhi per giungere al periodo contemporaneo e di stringente attualità dell’Italia antirazzista che vede, tra le altre e gli altri, le personalità più attive: Gino Strada e Carola Rakete.
In Italia Gino Strada ha posizioni critiche verso tutti i governi e la Nato con gli Stati Uniti per il loro sostegno alle guerre e addirittura per la partecipazione diretta in vari conflitti recenti – Afghanistan, Iraq, Serbia – e per l’aumento delle spese militari e le politiche sull’immigrazione con respingimenti al limite del crimine.

In particolare critica la partecipazione dell’Italia all’intervento Nato in Afghanistan valutata da Strada e da Emergency, che vi opera, come una barbarie contro la popolazione afghana in aperta violazione dell’articolo 11 della Costituzione italiana. Intervento spinto da interessi economici. La posizione di Gino Strada è un esempio di pacifismo radicale.

Con la sesta parte viene trattata dall’autore del libro la nonviolenza per i diritti civili, la democrazia e contro la mafia: da Peppino Impastato a Danilo Dolci il Gandhi italiano ad Angelo Vassallo a Rigoberta Menchù la pasionaria degli indios del Guatemala. Questo saggio tratta di conflitti militari, politici, economici e sociali (nel prossimo volume, nel 2023, la difesa dell’ambiente), avvenimenti di grandissimo valore ma quasi conosciuti, assenti o minimizzati da quasi tutti i libri di storia.

Si parte da millenni fa per arrivare ai nostri giorni, con figure maschili e molte femminili, troppo spesso in ombra, cancellate dalla storia ufficiale, che ricorda quasi solo sovrani, condottieri, filosofi, politici e artisti maschi.

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Rassegna stampa – Recensioni Laura Tussi del libro Nonviolenza in azione

1.Recensione su PRESSENZA https://www.pressenza.com/it/2022/12/nonviolenza-in-azione-iniziative-e-protagonisti/

2.sul blog MADRUGADA – MACONDO. https://madrugada.blogs.com/il-mio-blog/2022/12/nonviolenza-in-azione-iniziative-e-protagonisti.html

3.Sul nuovissimo sito Kulturjam. https://www.kulturjam.it/editoria-narrazioni/la-nonviolenza-in-azione-di-michele-boato/

4.su HUBZINE ITALIA https://hubzineitalia.com/2022/12/27/nonviolenza-in-azione-iniziative-e-protagonisti/

5. su SOCIALE.NETWORK https://sociale.network/@laura/109586957988206832

6.sul portale PER UN’ALTRA CITTA’ https://www.perunaltracitta.org/homepage/2022/12/22/nonviolenza-in-azione-iniziative-e-protagonisti-di-michele-boato/

7.su NUOVA RESISTENZA: https://www.nuovaresistenza.org/2022/12/nonviolenza-in-azione-iniziative-e-protagonisti-kronos-pro-natura/?fbclid=IwAR39L2xSjXnRG-3JdRaFXIj5n3pAJV1zGmTDdTh2KDyWK_-cy8QI7HwPOgc

8.su AgoraVox un sito molto visto. https://mobile.agoravox.it/Nonviolenza-in-azione-Iniziative-e.html

9.su TEMPI DI FRATERNITA’ https://www.tempidifraternita.it/public/pace/PHPLaura269.htm

10.su ARCOIRISTV https://www.arcoiris.tv/lettere/author/Laura%20Tussi/?fbclid=IwAR3nU6vuPd-aca21S9Z91cjX04aRaG8G8WznbYwopGe-U4EMEynYDzIWaB4

11.sul sito ITALIA CHE CAMBIA https://www.italiachecambia.org/2022/12/nonviolenza-iniziative-libro/

12.su Libero libro che presto inserisce il link per l’acquisto. https://www.liberolibro.it/michele-boato-nonviolenza-in-azione/

13.su UNIMONDO FACEBOOK https://www.facebook.com/page/283827853767/search?q=nonviolenza%20in%20azione

14.rivista online Il Sole di Parigi https://www.ilsolediparigi.it/2022/12/16/nonviolenza-in-azione-iniziative-e-protagonisti/

15.Il Sesto Sole https://mail.google.com/mail/u/0/?tab=rm&ogbl#inbox/WhctKKXpQbFlHrNncHpbjWWtxncQWkRPSmpxwpQPZqBCJSPWmtBBSJFSmkXXPShBsXKNfJg?projector=1&messagePartId=0.1

16.rivista Eco https://rivistaeco.it/la-nonviolenza-ha-una-storia-lunga/

17.Peacelink https://sociale.network/@peacelink

18. Rete ambientalista di Lino Balza https://www.rete-ambientalista.it/2023/01/07/lultimo-libro-di-gaia-rivista-dellecoistituto-alex-langer/

19. Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo https://www.atlanteguerre.it/nonviolenza-in-azione-iniziative-e-protagonisti/

20. Tempi di Fraternità – versione cartacea, n. marzo 2023

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La guerra in ex Jugoslavia: dagli errori dell’ONU alle difficoltà del mondo del pacifismo

di Laura Tussi (sito)

Dall’alveo di un fiume di sangue che per una decade ha bagnato il cuore dell’Europa e che ancora oggi non si è del tutto prosciugato, affiorano tutte le contraddizioni sollevate dalla guerra in ex Jugoslavia. Dalla politica militare della Nato ai razzismi e ai sovranismi, dai gravi errori della nascente Unione Europea e dell’ONU alla crisi dei movimenti pacifisti, proviamo a ripercorrere quegli eventi tragici.

Scritto da: LAURA TUSSI

Anni di terrore, morte, rovine, indicibili crudeltà nel cuore dell’Europa. Anni di inferno, stragi, stupri, pulizia etnica, assedi, distruzioni. Un campionario di atrocità sconvolgente ancora adesso. Centinaia di migliaia di morti. Milioni di profughi. Un numero impressionante di feriti e mutilati. Scheletrite le case e le chiese. Martirizzati il territorio e l’ambiente. Maledetta, sporca guerra. Stupido trionfo dell’irrazionalità: il decennio di distruzione sanguinosa dell’ex Jugoslavia che va dal 1990 al 1999 e oltre.

Sono anni esplosivi. La guerra tra Croazia e quel che resta della federazione jugoslava dilagano sempre più feroci. Anche la Bosnia dichiara l’indipendenza, confermata dal referendum del marzo 1993. Ma la componente serba della popolazione non riconosce validità al referendum e subito la parola passa alla violenza e alle armi. La ferocia della violenza e della guerra raggiunge manifestazioni inimmaginabili. Le milizie serbo-bosniache assediano Sarajevo e sarà una lunghissima occupazione: anni terribili per la popolazione civile.

L’IMPOTENZA DELL’ONU

L’ONU interviene con varie risoluzioni e invia i caschi blu. I cessate il fuoco non sono rispettati e i piani di pace falliscono. Le tregue si rompono. Nel 1993 un accordo pone termine allo scontro in Bosnia tra croati e musulmani e la Nato bombarda i serbi. Nel maggio 1995 la Croazia riconquista la Slovenia e i serbi bombardano Zagabria. Inizia il massacro di Srebrenica, città musulmana conquistata dai serbi con i caschi blu impotenti e inadeguati.

La Croazia torna all’attacco dei serbi che in massa abbandonano la regione. La Nato torna a bombardare i serbi. Inizia il cessate il fuoco che regge fino alla pace di Dayton negli Stati Uniti e alla firma a Parigi. All’inizio del 1998 sale pericolosamente la tensione in Kosovo. La violenza esplode con gli scontri di Drenica. Cresce l’influenza dell’UCK e gli scontri con l’esercito serbo si susseguono. Falliscono le mediazioni degli inviati USA e fallisce il vertice del febbraio 1999.

I BOMBARDAMENTI NATO

La Nato inizia i molto discussi bombardamenti contro la Serbia. Anni di tregue non rispettate e di piani di pace mai attuati, di trattative infinite e inconcludenti e di giochi diplomatici, accompagnati dall’uso spregiudicato dei media. È un stupida guerra, l’ennesimo raccapricciante esempio della stupidità della guerra. Ennesima rappresentazione della sua inutilità per risolvere i problemi. Perché nessun problema fu in grado di risolvere.

Guerre tra Stati? Guerre etniche? Guerre di indipendenza? Guerre umanitarie? Guerre di bande? Guerre religiose? Tante interpretazioni e tante letture, ma una sola realtà: fu un orribile macello. Un inferno. E tanti tuttora gli enigmi. Una aggrovigliatissima matassa, ma intrecciata con un solo filo, quello della violenza. https://10b33366882ffdff0f22982943dd790e.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-40/html/container.html

LE ATROCI SORTI DI FINE NOVECENTO

Il novecento si chiudeva così in un bagno di sangue nell’Europa nata sulle ceneri della seconda guerra mondiale, scoppiata – ha detto qualcuno – per impedire guerre future. Le granate colpivano anche le speranze di un’Europa senza massacri, faro e fucina di pace. Cause complesse e un concorso di fattori hanno determinato la spirale che è strutturata nel sangue della ex Jugoslavia.

Ma le responsabilità del nazionalismo sono apparse e appaiono evidenti e primarie. Un nazionalismo estremo. Un nazionalismo separatista e intriso di militarismo. Estremizzazione rozza della dottrina fondata sull’attaccamento alla propria nazione e a tutto ciò che gli appartiene in modo acritico, divenuto quindi idea e guida, valori e metro di giudizio, misura di comportamenti, di fiducia e sfiducia.

GLI ERRORI DELL’EUROPA E DELL’ONU E LA DURA PROVA DEL PACIFISMO

Il dramma jugoslavo mise a dura prova l’Europa della Cee e la nascente Unione Europea. Non riusciva l’Europa ad avere una politica comune e ferma e agiva in ordine sparso, incapace di unità, e fu vittima di rigurgiti delle politiche delle zone di influenza. L’ONU visse uno dei periodi più critici della sua non facile vita, mostrando limiti e inadeguatezze. Ma non solo per sua responsabilità. La sua emarginazione assunse forme molto evidenti, soprattutto per la politica della superpotenza americana che praticava un nuovo interventismo unilaterale e spingeva la Nato oltre i propri confini, trasformando l’alleanza difensiva in offensiva. Un nuovo ruolo, negli anni successivi, variamente teorizzato, giustificato e praticato.

Cause complesse e un concorso di fattori hanno determinato la spirale che è strutturata nel sangue della ex Jugoslavia

Il diritto internazionale subì colpi violenti e con conseguenze inimmaginabili negli anni a venire. Dura anche la prova per il variegato mondo del pacifismo, che non riuscì a creare mobilitazioni di massa ampie come in altre occasioni. Ma si spese molto, cercava di capire, cercava di rompere il muro dell’indifferenza e di assuefazione alla carneficina in atto nel cuore dell’Europa. Cercava di sollecitare e proporre idee e azioni concrete. Soprattutto le associazioni, gli organismi attivi storicamente nel pacifismo e tanti altri enti nati appositamente si impegnarono in un intenso intervento umanitario per aiutare concretamente le popolazioni civili.

Bibliografia di approfondimento

  • Bobbio Norberto, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 2009
  • Mastrolilli Paolo, Lo specchio del mondo. Le ragioni della crisi dell’ONU, Laterza, Roma 2005
  • Mini Fabio, Perché siamo così ipocriti sulla guerra? Un generale della Nato racconta, Chiarelettere, Milano 2012
  • Pugliese Francesco, Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 a oggi, Grafiche futura, Mattarello – Trento

Fonti analitiche

  • Gagliano Giuseppe, Studi politico-strategici. La conflittualità non convenzionale nel contesto delle ideologie e dei movimenti antagonisti del novecento, Vol. II, edizioni New Press – Como, I Edizione 2007
  • Pugliese Francesco, Carovane per Sarajevo. Promemoria sulle guerre contro i civili, la dissoluzione della ex Jugoslavia, i pacifisti, l’ONU (1990-1999). Prefazione: Lidia Menapace. Introduzione: Alessandro Marescotti, Alfonso Navarra, Laura Tussi

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