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Alex Zanotelli: è molto importante cominciare a tradurre la nonviolenza in termini concreti

 – Laura Tussi

Alex Zanotelli durante la prima edizione di Eirenefest (Foto di Pressenza)

Intervista a Alex Zanotelli che chiuderà Eirenefest, il festival del libro della pace e della nonviolenza, partecipando alla celebrazione dei 100 anni dalla nascita di Don Milani, domenica 28 Maggio presso i Giardini del Verano a Roma.

Quest’anno ricorre il centenario della nascita di don Milani e i trenta anni della scomparsa di don Tonino Bello. Queste fulgide figure della pace e della nonviolenza quanto hanno illuminato il tuo cammino di uomo dedito completamente al prossimo e al sostegno dell’umanità tutta, in ogni sua sfaccettatura e problematica?

Non è facile rispondere a questa domanda. Ambedue queste persone mi hanno profondamente influenzato. Don Milani non l’ho mai conosciuto personalmente, ma è stato una importante influenza nella mia vita e nel mio pensiero. Praticamente da quando sono diventato direttore di Nigrizia i suoi scritti mi hanno profondamente plasmato. La sua scelta degli ultimi, ma soprattutto le sue posizioni sulla guerra e sulle armi. E per me tutto questo è stato un grande insegnamento. E ho sempre ammirato il suo coraggio nell’affrontare la tempesta mediatica che ha subito per le sue posizioni. È stato veramente un uomo coerente. Per me è stata una persona, anche se non l’ ho mai conosciuto, che direi ha sempre camminato con me e mi ha aiutato nelle scelte che ho fatto nella vita. Invece per Tonino Bello, lui è stata una persona con la quale chiaramente ho camminato. Sono stato per un po’ di tempo anche a Lecce e andavo spesso nella sua diocesi. Non sapevo dell’esistenza di questo prete chiamato Don Tonino Bello. Il vescovo mi aveva invitato anche a fare i ritiri. E da allora per la prima volta ci siamo incontrati così direttamente. Mi ha detto: “Alex non hai l’idea di quante note prendevo quando tu parlavi”. Ma da quando ho fatto la scelta chiara sul problema delle armi e sono entrato in polemica con i potenti di allora e lì è saltato fuori subito l’appoggio di Don Tonino Bello. Veramente mi è stato molto vicino a tal punto che una volta quando sono stato silurato, lui mi ha poi sostituito portando avanti tutta questa vicenda. Appena è stato scelto come responsabile di Pax Christi Italia, mi ha chiesto di andare a fare una conferenza a Brescia. Era proprio il momento dei miei problemi per le questioni sulle armi e abbiamo tenuto una conferenza molto dura, attaccando e criticando pesantemente i costruttori di armi a Brescia. Immediatamente è scattata una inchiesta della procura di Brescia che per fortuna non è andata avanti perché dipendevo da Verona. Quindi è entrata la questura di Verona in tutto questo e, siccome mi conoscevano, mi è andata abbastanza bene. Incredibili sono state le investigazioni che hanno fatto. Sono andati nel paese dove sono nato, indagando quali erano le mie influenze politiche e così via. Ero sempre seguito, ovunque andavo a parlare, dalla digos, che prendeva nota di tutto quello che dicevo.

E’ stato Tonino Bello che ha avuto un coraggio incredibile a invitarmi a parlare a Brescia. Ho pagato, ma poi ha pagato anche lui perché ha preso lui su di sé quell’attacco sulla vendita di armi con tutto il problema del porto di Talomone e la triangolazione delle armi. Lui è andato avanti su questa strada e quando io ero a Korogocho, lui mi ha sempre seguito e accompagnato. Non dimenticherò mai la sua introduzione bellissima al mio primo libro “La Pasqua in agguato” titolo di questa prefazione straordinaria. E poi è stato lui quando ero a Korogocho a chiedermi di diventare direttore della rivista Mosaico di pace. Quando ho rifiutato, per ovvi motivi, mi disse che non poteva accettare il mio rifiuto. Perché, così mi ha detto: “Tu la tua vita l’hai spesa contro le armi, per la pace voglio che sia tu il direttore di Mosaico di pace”. E così sono rimasto tale come direttore della rivista Mosaico di pace. È stato un lungo percorso in cui abbiamo camminato assieme e mi ha molto influenzato a tal punto che, tanto per dire non è una questione religiosa o altro, ricordo che prima di partire per Korogocho, sono andato con l’editore a portargli il libro per cui aveva fatto la prefazione, tenendo presente che ero stato silurato dal Vaticano e lui come vescovo ha avuto molto coraggio. Sono rimasto colpito da Tonino Bello. Sono entrato in Episcopio: era tutto aperto. Vedevamo i Rom, i migranti dentro l’Episcopio che giravano tranquillamente. E che avevano stanze e dormivano lì. Siamo andati dal vescovo ero con l’editore e abbiamo fatto una importantissima conversazione. Alla fine ci siamo salutati. Siamo usciti e a un certo punto sentiamo una persona correre dietro di noi ed era Tonino Bello, con una cassetta piena di bottiglie di vino buono della Puglia. E l’editore che era un agnostico mi disse che se nel nostro governo ci fosse qualche ministro come Tonino Bello, forse avremmo un’Italia diversa. Ed è vero.

Eirenfest è giunto alla sua seconda edizione con decine di protagonisti, scrittori, giornalisti, attivisti e una ampia vetrina di libri, saggi, romanzi.

Cos’altro consigli e che suggerimenti puoi dare e un tuo augurio per il futuro a tutti gli organizzatori e relatori di questo importante festival del libro della pace e della nonviolenza?

Ho partecipato alla prima edizione di questo festival Eirenefest e parteciperò ancora.

Ringrazio prima di tutto coloro che lo organizzano e lo portano avanti. Secondo me è fondamentale divulgare e far passare e diffondere libri, testi, romanzi sui temi della pace e della nonviolenza. E continuare a fare passare messaggi: è fondamentale.

Ma è molto importante incominciare davvero a tradurre la nonviolenza in termini concreti.

Ho in mente i libri bellissimi e straordinari, la trilogia di Gene Sharp “Politica dell’Azione Nonviolenta”. Lui è uno scrittore americano che scrisse anche tra gli altri libri “Come abbattere un regime”.

Dovremmo avere piccoli libri divulgativi che aiutino le persone su azioni concrete di nonviolenza coerente.

Perché se il popolo comincia a muoversi e ragiona e comincia a usare tecniche nonviolente, diventano estremamente efficaci per mettere in discussione sistemi come il nostro che è fondato sulla violenza e sulle armi.

Poi un incoraggiamento ai gruppi che studiano la nonviolenza e la praticano concretamente.

È un messaggio che deve essere e è un passaggio che deve essere fatto e attivato.

Eirenefest percorre la via più  lunga e difficile, quella del pacifismo finalistico, per convertire le coscienze. Un percorso di educazione alla pace.

Pensi che invece sia più urgente un pacifismo istituzionale che tenti di indirizzare le politiche degli Stati verso la fraternità tra i popoli?

La mia opinione è molto chiara a questo punto. Non vedo a livello istituzionale al momento possibilità di cambiare. Bisogna renderci conto che gli Stati sono prigionieri del complesso militare e industriale. Lo vedo non solo negli USA, ma dappertutto. È la maggior industria. Ma anche in Italia sono sempre le armi la maggiore industria.

I governi sono prigionieri delle armi e delle banche che chiaramente finanziano. È quasi inutile quel tentativo istituzionale. Mentre è necessario continuare con insistenza dal basso e in questo senso non riesco a capire la mia sofferenza e dolore di vedere che la nonviolenza attiva non viene da Gandhi oppure da Martin Luther King, ma da Gesù di Nazareth. Loro si sono sempre ispirati a Gesù di Nazareth. Quello che trovo assurdo è che proprio nelle comunità cristiane questo pensiero non passa. Bisognerebbe vedere nelle comunità cristiane se sono seguaci di Gesù. Gesù ha inventato la nonviolenza attiva. Allora siano le comunità cristiane le prime ad agire.

Noi tutti pacifisti e nonviolenti siamo i depositari del Premio Nobel per la pace a Ican per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e per il disarmo nucleare universale. Quale messaggio puoi donare a tutti noi attivisti e all’intera umanità coinvolta nelle brutali espressioni della violenza guerresca, militarista, bellicista?

Rimango dell’opinione che bisogna avere il coraggio di parlarsi chiaro. Il problema del nucleare è enorme e non è così semplice risolverlo. Penso che ci vuole molto coraggio da parte degli attivisti. Un grande resistente americano Daniel Berrigan, un gesuita, che ha sostenuto tutta la lotta contro la guerra in Vietnam. Berrigan ha fatto 44 mesi di carcere per tutte le varie azioni.

Veramente la polizia era terrorizzata dai due fratelli Berrigan. Daniel Berrigan diceva che fare la pace è altrettanto costoso di come fare la guerra. O ci metti la faccia e la pelle e hai il coraggio di sfidare anche andando in carcere, oppure è inutile.

Penso che abbiamo bisogno di questo tipo di azioni se vogliamo davvero sfondare il sistema.

Altrimenti facciamo solo proclami. Penso che ci vogliono azioni nonviolente serie che sono pagate con la galera e in tribunale. È necessario questo tipo di resistenza. Per affossare il sistema.

Davvero l’umanità intera si trova sul crinale del baratro nucleare?

Sì è vero. Siamo davanti a una guerra in Ucraina che diventa sempre più pericolosa. Teniamo presente che siamo davanti a due superpotenze nucleari. La Russia, la Nato e gli Stati Uniti. E non è uno scherzo. La Russia sempre con le armi nucleari e le ha spostate anche in Bielorussia. Altrettanto stanno facendo gli Stati Uniti. E apertamente tutto questo. E basta un niente per far saltare un qualcosa, un ingranaggio, un sistema informatico. Stiamo rischiando davvero molto. Perché la Russia deve essere condannata in tutti i termini possibili perché ha invaso un paese sovrano come l’Ucraina conducendo una guerra veramente assurda e criminale.

Ma questo non ci libera dai problemi. Noi occidentali siamo dentro altrettanto a questo meccanismo. Non prendiamoci in giro. Quando è caduto il muro di Berlino l’accordo tra Gorbaciov e Bush, accordo non scritto, ma orale tra i due era che la Nato non doveva prendere il posto occupato dall’ex patto di Varsavia. Quindi i paesi dell’est. Invece abbiamo circondato la Russia. Putin è caduto nella trappola e ha fatto un errore enorme con questa invasione.

Il problema è che l’Occidente ha continuato dal 2014 fino all’inizio della guerra a inviare armi. Americani e inglesi hanno preparato l’esercito e adesso Biden ci dice che la guerra deve continuare: “per indebolire la Russia e per fronteggiare la Cina“. Ora nell’Indo Pacifico navi da guerra. Il comandante delle truppe statunitensi è stato nelle Filippine dove gli americani hanno moltissime basi e il comandante ha chiesto altre cinque nuove basi che verranno costruite ex novo nelle Filippine.

Gli Stati Uniti hanno già dato i sottomarini nucleari all’Australia. Qui siamo sul piede di guerra. Rischiamo la terza guerra mondiale e nucleare ed è la fine. Ecco perché è importante far capire alle persone la follia totale che stiamo vivendo e il pericolo enorme.

Basta un niente e può saltare tutto.

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Europa per la pace: il 2 aprile è stato compiuto il primo passo di un lungo cammino

Scritto da: LAURA TUSSI

Il 2 aprile le strade di decine di città in tutto il mondo si sono riempite di persone che in maniera condivisa, creativa e nonviolenta hanno ribadito il loro NO alla guerra e all’industria delle armi. Ma la giornata di Europa per la pace è stata solo la prima di un calendario che si protrarrà per tutto il 2023, culminando con l’evento del 2 ottobre, Giornata internazionale della Nonviolenza.

Europa per la pace è stato un evento globale esteso a molte città e metropoli in tutto il mondo con l’intento di dire NO alle armi, laddove in quel NO è appunto compreso molto, dal diniego e il disappunto estremo per l’invio di armi in Ucraina e in tutti i luoghi di conflitto alla produzione stessa, al commercio e al trasporto degli armamenti, non solo quelli convenzionali, ma anche e soprattutto gli ordigni nucleari. 

Fra i promotori italiani di Europa per la pace un ruolo di spicco l’ha avuto Gerardo Femina, che abbiamo avuto modo di interpellare in questo articolo. «Uno dei focus dell’evento è stata l’impellente necessità di fare incontrare, convergere e dialogare esponenti di varie realtà culturali, sociali e civili. Ad esempio quelle religiose, laddove si considera il fenomeno religioso come un dato culturale di una civiltà dal cui dialogo con altre religioni non si può mai prescindere». 

Poi abbiamo l’incontro con le realtà laiche, agnostiche e atee; fra esse, alla grande iniziativa di Europa per la pace hanno aderito già dal 2007 varie personalità come Moni Ovadia e la compianta Margherita Hack, il cui pensiero è sempre vivo e costante tra i popoli. Un altro polo fondamentale è quello del pacifismo e della nonviolenza, che vede il contributo di illustri pensatori, dal sudamericano Silo, scomparso da qualche anno, a Pat Patfoort, da Edgar Morin a Stéphane Hessel. «Questi ultimi sostengono la teoria della complessità, secondo cui un conflitto armato presenta necessariamente ripercussioni ambientali, etiche, culturali ed economiche che hanno nell’immediato e nel futuro prossimo ripercussioni su tutto l’assetto ecosistemico mondiale e planetario».

gerardo femina
Gerardo Femina

Il 2 aprile 2023 è stato lanciato un messaggio etico, di pregnanza morale e vitale estesa e di coscienza e conoscenza planetaria che ha coinvolto migliaia di persone, di attivisti, di soggetti politici, culturali e civili impegnati per la pace e la nonviolenza. «Noi come realtà che si occupano di pace e nonviolenza a livello nazionale e internazionale siamo affiliati alla rete internazionale Ican, insignita del premio Nobel per la pace nel 2017 per aver partorito, emanato e prodotto il trattato ONU-TPAN per la messa al bando delle armi di distruzione di massa nucleari. E siamo depositari e promotori di questo Premio Nobel per la Pace». 

E ancora, grande protagonista di Europa per la pace è stata la convergenza di culture, di energie, prospettive di pace e nonviolenza e soprattutto di creatività. Perché la nonviolenza è creatività multiforme, che si adopera per affermare la pace con vari strumenti e mezzi. Come, ad esempio, creatività nonviolenta sono i Corpi civili di pace, l’intermediazione pacifica, l’obiezione di coscienza militare e alle spese nucleari, le manifestazioni contro la catena di controllo del sistema di potere per prevenire con l’energia dal basso i conflitti armati e per agire nelle convenzioni internazionali per l’interdizione degli armamenti, come le mine antiuomo e le armi batteriologiche.

Si è manifestato da Roma a Torino a Praga e ancora in molte altre città e capitali italiane ed europee come Catania e Milano, con vari flash mob in piazza Della Scala. Tra i promotori Nira Cabero, Patrizia Varnier, Anna Polo, Federica Fratini, Andrea Bulgarini e molte altre e altri. «La valutazione che abbiamo fatto della giornata del 2 aprile è senz’altro positiva», osserva Gerardo Femina.

In questo momento ciò di cui c’è bisogno è che le persone si facciano carico personalmente della situazione

«La partecipazione è andata al di là delle nostre aspettative e siamo rimasti stupiti da come molte persone abbiamo preso la cosa in mano e abbiano scatenato la propria creatività, dando vita a moltissime iniziative diverse. È stato incredibile, perché non c’era un programma ben preciso, ma le persone e le organizzazioni hanno semplicemente aderito a una proposta molto generica facendo il resto, riempendo questa proposta di contenuti».

In origine il 2 aprile era stato pensato come una data unica, ma quando ci si è incontrati per fare una valutazione di tutto quello che era successo in quella giornata, l’entusiasmo era talmente alto che si è deciso di trovare il modo per fare continuare questa iniziativa. Nessuno si era infatti  aspettato che la cosa potesse espandersi in questo modo, arrivando a toccare decine di città, addirittura in più continenti. Soprattutto considerato il fatto che tutto questo è stato fatto con tempi molto veloci e senza nessuna diffusione da parte dei media.

«In pratica è stato diffuso attraverso passaparola e contatti personali, un lavoro molto sentito in cui le persone hanno messo il meglio di sé, accantonando i personalismi e cercando la convergenza in tutti i modi. Ognuno si è fatto carico di pensare una iniziativa, prendere su di sé tutto il grave impegno di organizzarla e di fare in modo che le persone partecipassero. Una cosa notevole».

Non stiamo parlando di numeri enormi, ma di iniziative molto puntuali e sentite, in cui si è manifestata una tendenza interessante, proprio quella auspicata dallo slogan dell’iniziativa: “Prendiamo la pace nelle nostre mani”. «Questa frase non è casuale, ma è l’espressione di una riflessione più profonda. “Prendere la pace nelle proprie mani” è la nuova tendenza da ricercare e da approfondire, non è solo un motto ma un atteggiamento che va al di là dei modi consueti di intendere questo tipo di iniziative».

europa per la pace

Normalmente infatti siamo abituati a pensare a manifestazioni di massa, atti eclatanti dove le persone si sommano. Ma quello che è evidente è che in questo momento ciò di cui c’è bisogno è che le persone si facciano carico personalmente della situazione: oggi si stanno responsabilizzando e si stanno assumendo l’onere delle proprie idee, senza attendere che qualcuno dica loro cosa fare.

Questa nuova tendenza rappresenta una rivoluzione rispetto a ciò a cui siamo abituati e va nella direzione di una maggiore autonomia dell’opinione pubblica, di una crescente diversità delle espressioni e di una reale convergenza di queste diversità.  «Credo che sia la tendenza del futuro, che ha tantissimi aspetti positivi e che forse rappresenta l’unica via di uscita da questa situazione apparentemente disperata». Così è iniziata questa avventura di Europa per la pace, che da una singola giornata si è trasformata in un calendario di iniziative mensili che arriva fino al 2 ottobre, cheè una giornata importantissima, perché è la giornata internazionale della Nonviolenza.

Qui si può leggere l’appello di Europa per la pace, con un invito alle prossime iniziative, su cui vi terremo aggiornati e aggiornate: “Invitiamo tutti, organizzazioni e singoli cittadini, a sincronizzarsi in un calendario comune fino al 2 ottobre – Giornata mondiale della nonviolenza – in queste date: 7 maggio, 11 giugno, 9 luglio, 6 agosto, 3 settembre e 1° ottobre”.

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ATLANTE DELLE GUERRE E DEI CONFLITTI DEL MONDO.

Mai più l’arma nucleare

Nel marzo 1950, a Stoccolma, la campagna più estesa dei partigiani della pace nel mondo. Ripercorriamo quegli eventi, con uno sguardo al presente

di Laura Tussi

I lavori del Comitato del Congresso Mondiale sono stati aperti nel marzo 1950 a Stoccolma dalla scrittrice svedese Marika Shernstodt, con 150 delegati provenienti da molti Paesi del mondo. Per l’Italia, anche i sindaci di Bologna e Genova, Giuseppe Dozza e Gelasio Adamoli. Un appello di grande chiarezza ed efficacia che stimolò e raccolse l’impegno di milioni di donne e uomini ed ebbe un impatto clamoroso a livello di opinione pubblica e di classi dirigenti.

Firmarono tra gli altri, l’architetto Le Corbusier (pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris), l’attore e drammaturgo Eduardo De Filippo, il già premier italiano Francesco Nitti, il filosofo, storico e matematico Ludovico Geymonat, il dirigente d’azienda Vittorio Valletta, il giurista e politologo Norberto Bobbio, la partigiana e giornalista Ada Gobetti. Lo scrittore e saggista tedesco Thomas Mann dichiarò: “La bomba atomica costituisce una grave minaccia per l’umanità.

Gli scienziati che hanno inventato la bomba atomica hanno accarezzato una grande ambizione, ma essi, oggi, sono inquieti all’idea che possa servire all’infelicità degli uomini e dell’intera umanità. In America gli stessi scienziati si oppongono energicamente all’impiego di questa terribile arma e si sforzano di eliminarla. Lo dicono e lo scrivono. Il fisico Albert Einstein ne fece una vera e propria malattia (la bomba atomica si basa su una sua formula): “Ho firmato l’appello di Stoccolma, perché sostengo tutti i movimenti che si propongono di mantenere la pace”.

Nel 1950, durante la festa della Repubblica in Italia si celebra la raccolta delle firme che nel mondo sono già 100 milioni. Ma anche questa campagna è ostacolata e repressa. Anche il senatore Emilio Sereni, già partigiano e poi membro dell’Assemblea Costituente, viene arrestato. Proteste e scioperi si manifestano in varie parti d’Italia contro pretestuosi divieti di tenere comizi per la pace. Anche i dati sono drammatici. Nel periodo fino al 1953 molti sono stati arrestati e processati, diversi i morti e feriti. È il periodo di Mario Scelba, Ministro degli Interni dal 1947 al 1955, per il quale la Costituzione era una trappola. La censura preventiva su manifesti e volantini cesserà solo con la prima sentenza della Corte Costituzionale del giugno 1956, che dichiarerà illegittimo l’articolo 113 del codice penale fascista.

Nel giugno 1950 scoppiò la guerra di Corea, la cui origine è tuttora controversa sul piano politico e anche storiografico. È il primo conflitto armato di grandi dimensioni della Guerra Fredda. Il clima internazionale diventa sempre più cupo e la contrapposizione tra i due blocchi (Stati Uniti e URSS) si inasprisce. La repressione del dissenso e dell’attività dei partigiani della pace subiscono gravi accelerazioni e il Governo italiano giunge a negare la celebrazione del Secondo Congresso Mondiale previsto a Genova.

Lo scoppio della guerra rafforza però le ragioni della pace. Si estende la mobilitazione e cresce l’impegno della raccolta delle firme, nella consapevolezza di nuovi rischi che minacciano il mondo. Al Congresso di Varsavia dei Partigiani della Pace si dirà con chiarezza: “Anche se esistono tra noi diversità di opinioni sulle origini e le condizioni di scatenamento di questa guerra, dovremmo tuttavia preoccuparci innanzitutto di appoggiare tutte le iniziative che sono state e possono essere prese per far cessare il conflitto”.

A settembre il Presidente del Comitato Mondiale dei Partigiani della Pace, il politico francese e senegalese Gabriel D’Arboussier, annuncia il raggiungimento a livello globale di 400 milioni di firme: “Mai prima d’ora nella storia del mondo un così grande numero di persone si era riunito in un’azione comune”. In Italia, il senatore Emilio Sereni comunica che le firme sono oltre 16 milioni. Moltissimi sono i comitati per la pace costituiti nel Paese. Ma l’anno, il 1950, si chiude con una tensione internazionale sempre più alta. Il conflitto coreano si radicalizza e la possibile estensione angoscia il mondo.

Nell’appello di Stoccolma si proclama: “Noi esigiamo l’assoluto divieto dell’arma atomica, ordigno di intimidazione e di sterminio di massa delle popolazioni. Noi esigiamo la realizzazione di un rigoroso controllo internazionale per assicurare l’applicazione di questa decisione. Noi consideriamo che il governo il quale, per primo, utilizzasse contro qualsiasi Paese l’arma atomica, commetterebbe un crimine contro l’umanità e dovrà essere considerato come criminale di guerra. Noi chiamiamo tutti gli uomini di buona volontà e tutto il mondo a sottoscrivere questo appello”.

Da questa dichiarazione si può cogliere un parallelismo con gli obiettivi del Trattato Onu per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPAN), approvato il 7 luglio 2017 a New York al Palazzo di Vetro da 122 nazioni e dalla società civile organizzata e riunita nell’International Civil Society Action Network (ICAN). Grazie a questo trattato, l’ICAN e la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari sono state insignite nel 2017 del Premio Nobel per la Pace.

Nella foto in copertina, un test nucleare nel deserto (© Alones/Shutterstock.com)

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Movimento di Cooperazione Educativa: nuove proposte per un’educazione consapevole

Scritto da: LAURA TUSSI

Da decenni maestri e maestre con una visione illuminata e lungimirante provano a gettare le basi per un modello educativo più consapevole e creativo, fondato sullo spirito critico e sulla valorizzazione dei talenti. Oggi questa missione è portata avanti, fra gli altri, dal Movimento di Cooperazione Educativa, che si è riunito recentemente in un’assemblea nazionale.

NapoliCampania – Si è da poco conclusa la 72a assemblea nazionale del Movimento di Cooperazione Educativa tenutasi a Napoli nei giorni 14, 15 e 16 aprile. L’associazione fu fondata nel 1951 a Fano sulla scia del pensiero pedagogico e sociale di Célestin ed Elise Freinet. All’indomani della guerra, nel momento di pensare alla ricostruzione, alcuni maestri quali Giuseppe Tamagnini, Adriana Fantini, Aldo Pettini, Ernesto Codignola e più tardi Bruno Ciari, Mario Lodi, Alberto Manzi, Albino Bernardini, Giovanna Legatti e tanti altri si unirono attorno all’idea di una cooperazione solidale che diviene crescita e integrazione sociale.

A 72 anni di distanza rimangono vivi gli ideali iniziali; d’altra parte la scuola non sembra avere fatto propri quei cambiamenti che già le giovani maestre e i giovani maestri auspicavano. La discussione, come al solito avvincente e approfondita, ha tenuto conto delle problematiche che attraversano e hanno attraversato le scuole alla luce della pandemia e delle guerre, che mettono angoscia e privano di sicurezza il futuro dei giovani. L’educazione alla pace e alla nonviolenza infatti rappresentano da sempre uno dei punti cardine dell’attività pedagogica dell’associazione.

Movimento di Cooperazione Educativa 1

I partecipanti all’assemblea hanno convenuto che, nonostante il superamento dei programmi nazionali – prescrittivi dal punto di vista dei contenuti dell’apprendimento – e il passaggio alla scuola del curricolo operato dalle indicazioni nazionali del 2012, molti docenti costruiscono ancora il loro programma sulle materie da trasmettere, come accadeva nella vecchia scuola, tanto criticata dai maestri come Mario Lodi: il soggetto che apprende, oggi come ieri, non è al centro del progetto educativo.

I cambiamenti intervenuti nella ricerca pedagogica faticano a riflettersi nella scuola di tutti i giorni; nelle aule in molti casi si ricorre ancora  a pratiche trasmissive, centrate sulle discipline scollegate tra loro, il libro di testo, la lezione frontale. Le attività rimangono  lontane dalla vita interiore dei soggetti e  non favoriscono lo sviluppo di capacità critiche, creative e di libera espressione così come l’imparare ad apprendere, l’acquisizione di abiti mentali, l’apprendimento per lo sviluppo di competenze. 

Privato degli strumenti reali per intervenire sulla realtà, il pensiero ripiega nell’omologazione, quando non si spinge a sposare addirittura il paradigma neoliberista del successo individuale

Ed è in questo contesto che le più giovani e i più giovani tra gli insegnanti percepiscono le contraddizioni di un invito all’esercizio del pensiero critico: privato degli strumenti reali per intervenire sulla realtà, per l’assenza di occasioni autentiche di confronto intergenerazionale, il pensiero ripiega nell’omologazione, quando non si spinge a sposare addirittura il paradigma neoliberista del successo individuale come sola condizione per l’esigibilità di qualsiasi diritto. 

Le tecniche cooperative sono fondamentali in questa direzione, perché realizzano contesti e propongono pratiche socio-costruttive e cooperative, riconoscono la centralità del soggetto, danno dignità e valore ai portati culturali, alle lingue e ai linguaggi presenti nel gruppo e ai bisogni formativi di ognuno e ognuna. 

Movimento di Cooperazione Educativa 2

Ancora una volta, al termine dell’assemblea, i partecipanti tornano ciascuno nelle proprie realtà con tanto entusiasmo e idee da proporre nelle classi, con la consapevolezza che la situazione politica attuale richiede tenacia e capacità propositive a tutti i livelli. L’Assemblea Nazionale del Movimento di Cooperazione Educativa non ha mancato di ribadire il proprio impegno per la pace e per una diversa cultura della risoluzione dei conflitti con l’utilizzo di mezzi nonviolenti. 

Ha altresì sottolineato l’importanza di avviare una riflessione sull’eventuale costituzione di un gruppo nazionale di ricerca-azione e di educazione alla pace che approfondisca le tematiche per la risoluzione nonviolenta dei conflitti, per la giustizia e l’uguaglianza nel mondo e per l’affermazione dei diritti dell’infanzia e l’adolescenza, che verrà eventualmente formalizzato nella prossima assemblea, nel 2024.

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Raffaele Crocco: “La pace non dev’essere la fine di una guerra, ma la normalità”

Scritto da: LAURA TUSSI

Il contrasto alle guerre e alla cultura bellicista che le alimenta deve districarsi su più piani, da quello politico a quello culturale, dalla presenza fisica nelle piazze e nelle strade a una nuova semantica di pace. Lo sostiene, fra gli altri, il giornalista e inviato di guerra Raffaele Crocco, direttore di Unimondo e Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo.

Quella di Raffaele Crocco è una vita spesa a costruire e montare reportage e a portare testimonianze dai vari luoghi di conflitto armato nel mondo per contribuire prima di tutto a un’informazione seria, vera, equa, giusta. Oltre a essere giornalista Rai e inviato di guerra infatti, Raffaele è anche direttore di due progetti divulgativi, Unimondo e Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, che trattano di vari temi che spaziano dalla nonviolenza ai conflitti nel mondo, senza dimenticare ovviamente l’attuale e stringente situazione in Ucraina.

Come si pongono Unimondo e Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo rispetto a queste prospettive apocalittiche, ma che possono con il tempo concretizzarsi e diventare realtà, soprattutto tramite l’escalation bellica tra le due superpotenze coinvolte nel conflitto ucraino?

Noi che siamo pacifisti e nonviolenti non parteggiamo per una parte o per un’altra, anche se cerchiamo di comprendere e studiare le motivazioni geopolitiche di entrambe. Ma ci si rende sempre più conto che la ragione non sta e non sarà mai con il potere guerrafondaio, con il militarismo a oltranza, con il reclutamento di miseri uomini per la guerra, con il continuo invio di armi in questa congiuntura bellicista e oscurantista e guerrafondaia. 

raffaele crocco
Raffaele Crocco

È proprio da ogni singola persona, dalla gente che scende nelle piazze contro la guerra che deve partire un’emanazione di pace. Dobbiamo a tutti i costi costruire la pace. Fare convergenza di popoli, genti, minoranze con energie fisiche e emotive e creatività a oltranza per ottenere la pace tramite la nonviolenza attiva che parte da ogni singola persona – per approfondire questi concetti si legga il saggio Resistenza e Nonviolenza creativa. I cittadini dal basso in ogni angolo del pianeta possono fare la pace, parafrasando le parole di Gino Strada. È necessario una presa di posizione pacifista di tutte le popolazioni senza farsi intimorire dalle strategie belliciste, militariste, guerresche dei poteri forti.

Raffaele Crocco, come argomenti queste affermazioni sui tuoi canali divulgativi?

In realtà la risposta è più semplice di quanto sembri: la pace è la cosa più intelligente che possiamo proporre. Dobbiamo lavorare su questo, trasformando il pacifismo in atto politico, cioè nella costruzione concreta di una società che sappia misurare con esattezza e convenienza i benefici della pace. Una società che si fondi sul rispetto dei diritti umani e che in quel rispetto trovi nuove formule per la distribuzione della ricchezza, l’uso delle risorse naturali e l’applicazione dei diritti individuali e collettivi. 

guerre mondo
È una rivoluzione che va portata avanti anche sul piano culturale?

Se ci pensiamo, consideriamo normalità la guerra e questo è semplicemente stupido. È come se considerassimo normale vivere ammalati, con qualche momento eccezionale in cui siamo sani. Ora, questa idea che a molti appare irrealizzabile è invece una strada percorribile. Noi abbiamo gli strumenti e le conoscenze per rendere reale questo progetto. Allora, andiamo per gradi: la cosa magnifica sarebbe iniziare a parlare di Pace in tempo di Pace. Intendo che dovremmo smetterla di legarla sempre alla fine di una qualche guerra. Questo ci costringerebbe a usare parole nuove e diverse. Soprattutto ci porterebbe a leggere la storia in modo differente e a immaginare l’educazione, la scuola, come luoghi di costruzione della cittadinanza attiva.

Una costruzione e una costruzione lenta, inesorabile, difficile, inflessibile, quotidiana, che coinvolge tutti e ciascuno. Un agire – la pace è azione, non immobilismo o indifferenza – che trasforma “l’utopia” in concretezza. Noi sappiamo esattamente cosa fare. Sappiamo che la guerra è effetto, non causa. Vuol dire che arriva là dove diritti umani, libertà, equa distribuzione del reddito restano lettera morta. 

In tutto questo il ruolo dell’informazione è fondamentale. Credo, con tutta la prudenza del caso, che lo sviluppo della rete abbia portato benefici abbattendo costi, pigrizie e creando buona informazione. Si sono moltiplicate le testate impegnate nel diffondere cultura della pace e nel dare notizie precise di ciò che accade nel Pianeta. L’informazione poi si è moltiplicata nelle occasioni pubbliche di incontro, stimolando curiosità e interesse.

Consideriamo normalità la guerra e questo è semplicemente stupido. È come se considerassimo normale vivere ammalati, , con qualche momento eccezionale in cui siamo sani

Qual è il ruolo del movimento pacifista in tutto ciò?

Altrettanto importante però è il lavoro “pratico”, creato da  gruppi, associazioni e ONG pronte ad operare sul campo, sia intervenendo nelle emergenze e nella salvaguardia reale del diritto umanitario, sia operando nei territori per far crescere la cittadinanza consapevole, legando i principi del consumo responsabile, della crescita sostenibile, del rispetto dell’ambiente e dei diritti alla grande partita ella costruzione quotidiana della Pace. Nei fatti, oggi possiamo probabilmente contare su una rete operativa e consapevole molto più presente e solida di trent’anni fa. Magari è meno appariscente.

La militanza si manifesta molto meno nella partecipazione alla protesta in piazza, ma è forte e la troviamo nella piccola, ma diffusa e responsabile azione quotidiana. Abbiamo conoscenza, strumenti e voglia di cambiare le cose. È essenziale smetterla di pensare sia impossibile. È fondamentale mettersi alle spalle le grida e gli slogan di chi sguaina la spada e grida alla guerra come “inevitabile”. La storia non è non sarà dalla loro parte. Non per bontà. Semplicemente per intelligenza.

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Maledetti pacifisti: la pace passa anche attraverso il racconto della guerra

di Laura Tussi (sito)

“Maledetti pacifisti” è il titolo dell’ultimo libro del giornalista e reporter di guerra Nico Piro. Un titolo provocatorio che vuole sottolineare come un’informazione equa, obiettiva e libera sulla guerra sia uno strumento di pace fondamentale per contrastare una deriva bellicista che oggi si sta espandendo non solo sul piano politico, ma anche su quello culturale.

 

Il suo Maledetti pacifisti, vincitore del premio Ilaria Alpi, è un importante libro di denuncia, dal titolo provocatorio. Ma è davvero ancora possibile fare giornalismo al servizio del lettore e non del pensiero unico bellicista? Nico Piro è un inviato di guerra con una lunga esperienza e proprio con lui abbiamo parlato di conflitti, di pace e di comunicazione in merito a questi due temi centrali, soprattutto nell’epoca attuale.

L’Europa e il mondo intero inseguono la pace. È possibile raggiungerla?

Vi è sempre una possibilità, perché dipende da noi. Diceva Teresa Sarti Strada che ogni persona deve fare il suo pezzettino, ma poi questi pezzettini vanno messi insieme e formano un mosaico che può cambiare il mondo. Credo sinceramente che ciascuno di noi sia chiamato a fare la differenza e per questo occorrono determinazione e forza. Credo che si debba partire da un’informazione seria, equa, vera, che deve riprendere la battaglia di Gino Strada per l’abolizione della guerra.

nico piro13

I tempi sono più che maturi, anche se qualcuno dirà che è impossibile abolire la guerra. Eppure sembrava impossibile anche abolire l’apartheid fino agli anni ottanta e poi ci siamo riusciti. Sembrava impossibile abolire il segregazionismo razziale in America negli anni sessanta. Poi una donna a un certo punto si è seduta sul posto sbagliato in autobus e ha cambiato tutto. Quindi dobbiamo crederci. Ovviamente crederci significa anche essere pronti a pagare dei prezzi, ma credo che tutto sommato ce la possiamo fare.

Che pensi del silenzio assoluto intorno sul TPAN, il trattato Onu di proibizione delle armi nucleari che è valso alla rete internazionale Ican il Premio Nobel per la pace nel 2017? Una vera svolta per il mondo pacifista, ma cosa comporta il fatto che questo trattato non viene ratificato dai paesi Nato, compreso il nostro?

Purtroppo siamo in una fase in cui i grandi progressi degli anni novanta sul controllo delle armi, in particolare di quelle nucleari, sono in fase di forte risacca. Stiamo tornando indietro. Credo che invece di ragionare sullo specifico episodio, sia il caso di pensare a cosa sta accadendo a livello complessivo. Purtroppo quelli che un tempo erano un disvalore – le armi e gli armamenti – ora sono tornati a essere un valore. Viviamo una corsa globale verso il commercio e il trasporto di armi.

Pensiamo al caso del Parlamento italiano: in poche ore il Parlamento è riuscito a mettersi d’accordo sull’innalzamento delle spese militari al 2% del PIL, senza per giunta porsi il problema di quanti ospedali, quanti ambulatori, quante scuole, quanti asili chiuderemo per alzare quella voce. Quindi credo che il tema oggi sia fermare la corsa al riarmo perché di fatto si alimenta il ciclo della guerra, ma non solo: si sottraggono anche soldi alla società civile e questo è davvero molto preoccupante.

L’Italia sta vivendo il più lungo periodo di pace della sua storia, che coincide con quello di massimo benessere del nostro paese

Hanno ragione coloro che affermano che le guerre esistono perché le armi, una volta prodotte, vanno vendute con adeguate strategie di marketing?

No. Credo che occorra una visione più ampia: l’industria delle armi fa il suo lavoro. Semplice. Il problema vero è il fatto che ormai si è imposta nello spazio mediatico una cultura della guerra che è quella della “guerra normalizzata”. Il vero tema è questo: la pace non ha sponsor, la guerra sì. Anche perché la guerra produce profitti monetari e non monetari per una serie di centri di potere. Un esempio? Boris Johnson è uno che ha usato il conflitto armato in Ucraina per riscattarsi, riuscendoci per qualche mese per poi capitolare alla fine. Ma ha sviato l’attenzione dalle proteste suscitate dalla gestione della pandemia.

Vi è dunque una precisa responsabilità politica?

La pace non ha voce. La pace non ha investitori e questo è, secondo me, colpa dei governi. Quando si prepara una guerra, le voci predominanti sono spesso quelle di chi sostiene il conflitto. Il pensiero unico bellicista lancia uno stigma su tutti quelli che la pensano diversamente, corrode la democrazia. Quindi il tema che ci dobbiamo porre è: possiamo oggi parlare di pace senza essere trattati da nemici della Patria al soldo del nemico?

Ritieni che dopo l’occasione mancata in Italia siano maturi i tempi per un Partito della Pace che si presenti in tutti gli Stati membri alle prossime elezioni europee?

Onestamente non credo alla politica partitica. Credo che avere un partito della pace sia limitante. Perché poi alla fine che cos’è la pace? Nei giorni scorsi Sono stato alla biblioteca di San Matteo degli Armeni a Perugia dove ho presentato il mio libro Maledetti pacifisti. In quella biblioteca sono conservati tutti i documenti di Aldo Capitini, un profeta della pace. Mi ha colpito vedere e capire questa figura secondo cui la pace è progresso, è forza creativa.

Cosa vuol dire pace oggi in Italia?

L’Italia – non dimentichiamolo mai, anche se quasi non si può dire – sta vivendo il più lungo periodo di pace della sua storia, che coincide con quello di massimo benessere del nostro paese. La pace creativa dà dividendi per tutti, la guerra profitti per pochi. Il problema è che la pace li crea a lungo termine. Ma della pace ci dobbiamo prendere cura e dobbiamo diffonderla in tutti i settori, dalla giustizia ai diritti. Credo che vada tutto ottenuto insieme. Considero limitante condurre una attiva campagna sulla pace che non tenga conto di tutti questi aspetti.

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Antifascismo è Pace

di Laura Tussi (sito)

Lunedì 24 aprile ore 18.00

Antifascismo è Pace

Laura TUSSI e Fabrizio CRACOLICI con la speciale partecipazione di Roberto LOVATTINI presentano il libro/intervista con DVD:

Giovanni Pesce. Per non dimenticare.

E il saggio storico:

Un racconto di vita partigiana. Il ventennio fascista e la vicenda del Partigiano Emilio Bacio Capuzzo.

Entrambi i saggi sono Editi da MIMESIS.

Presentazione nella prestigiosa e alternativa e soprattutto antifascista sede della Cooperativa popolare infrangibile 1946 di Piacenza.

Link Facebook: https://www.facebook.com/cooperativapopolareinfrangibile1946/?locale=it_IT

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Educazione e Pace. Ma siamo sul crinale del baratro nucleare?

di Laura Tussi (sito)

Lunedì 8 Maggio 2023 aprile ore 18.00 

Educazione e Pace. Ma siamo sul crinale del baratro nucleare?

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-.-.-.-Presentano Laura TUSSI e Fabrizio CRACOLICI con la partecipazione di Gianmarco PISAMaurizio ACERBOVittorio AGNOLETTOGiorgio CREMASCHIPaolo FERRERO e con la speciale presenza attiva di ALEX ZANOTELLI.-.-.-

Per non arrendersi mai alla guerra. Non dobbiamo mai smettere di lottare per la pace, per il nostro diritto alla pace che è un ideale alto e sommo e incardinato nel diritto internazionale.-.-.-

Per dire basta all’invio di armi in Ucraina e in tutto il mondo e stop sanzioni e NO alle politiche del nucleare a oltranza. Per dire basta al ricatto da parte delle superpotenze della terza guerra mondiale e del terribile epilogo dell’armageddon nucleare.-.-.-

*Evento e Diretta Facebook* https://fb.me/e/sWAwrM9NQuesto articolo è stato pubblicato qui

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CONVEGNO

La pace è possibile?

12 aprile 2023

ore 18:30 (Durata: 1 ore)

Mondo, Mondo ()

Evento di MSGSV Argonauti per la Pace, Mondo Senza guerra e senza violenza, Nuova Resistenza e Nira Cabero

Mercoledì 12 aprile ore 18.30 *La pace è possibile?* Presentano Laura TUSSI e Fabrizio CRACOLICI con la partecipazione di Maurizio ACERBO, Federica FRATINI, Giorgio CREMASCHI, Ennio CABIDDU.-.-.- Per dire basta all’invio di armi in Ucraina e in tutto il mondo e stop sanzioni e NO alle politiche del nucleare a oltranza. Per dire basta al ricatto da parte delle superpotenze della terza guerra mondiale e del terribile epilogo dell’armageddon nucleare.

Evento Facebook https://fb.me/e/17C0AQzvf

Per maggiori informazioni:

https://fb.me/e/17C0AQzvf

Nira Cabero

lauratussi.pace@gmail.com

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Agnese Ginocchio, la cantautrice per la pace: “Abituarsi al male significa divenirne complici”

di Laura Tussi (sito)

Da millenni la musica è un linguaggio universale, in grado di veicolare in maniera emozionante e diretta ogni tipo di messaggio. E uno dei messaggi che in questa epoca ha più bisogno di essere diffuso è quello della pace, dell’accoglienza e della nonviolenza. È proprio ciò che fa Agnese Ginocchio, cantautrice e attivista per la pace, che con la sua musica tocca temi centrali dell’attualità, come per esempio la tragedia di Cutro.

Scritto da: LAURA TUSSI

CasertaCampania – Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri.

Don Lorenzo Milani

Appelli di pace, inviti alla riflessione e messaggi contro ogni guerra e razzismo comunicati attraverso la “musica impegnata”. Agnese Ginocchio è una cantautrice per la pace che attraverso note musicali e testi di denuncia spinge a riflettere sui nostri devastanti problemi civili e sociali, ultimo in ordine cronologico il naufragio di Cutro, avvenuto il 26 febbraio scorso nel mar Ionio. Sono questi i temi a cui si dedica l’artista campana, attivista per la pace e per i diritti dei migranti, argomenti centrali e ricorrenti nella sua produzione musicale.

«Sono una cantautrice di impegno civile», spiega Agnese. «Denuncio in continuazione perché non si dimentichi il dramma dei migranti che fuggono dalle loro terre a causa di povertà, guerre, miseria, terrorismo, genocidi, manovre economiche e disastri ambientali. Queste iniziative si svolgono in solidarietà con il “digiuno di giustizia” promosso da padre Alex Zanotelli. Il messaggio del mio nuovo video contiene anche un frammento tratto dalla Profezia del grande Pier Paolo Pasolini dedicata al dramma dei migranti nel lontano 1962».

A questo e a molto altro ancora si rivolge l’infaticabile impegno di Agnese Ginocchio, cantautrice che è stata paragonata a Joan Baez. Agnese è testimonial di pace e organizza importanti manifestazioni per diffondere la cultura della pace, dell’amore e della nonviolenza, collaborando anche con istituti scolastici e con varie realtà amministrative e istituzionali sul territorio nazionale.

«Cutro è la nostra umanità, non possiamo far finta di nulla», riprende Agnese tornando sul recente, tragico avvenimento. «Un dramma immane come i tanti naufragi avvenuti nel Mare Nostrum, trasformatosi nel cimitero più oscuro d’Europa. Ci siamo tutti dentro: voltare lo sguardo altrove significa essere indifferenti. Occorrono politiche eque, politiche di pace, fondate su leggi giuste che abbattano muri di divisione, e nel contempo leggi severe che condannino e fermino coloro che, collusi con le mafie, provocano l’illegalità delle migrazioni».

È necessario compiere ogni sforzo perché si giunga a una seria risoluzione: in primis far cessare le guerre e riportare giustizia e legalità, per mettere fine al fenomeno delle migrazioni forzate

Agnese afferma l’amore e la solidarietà nei confronti del mondo con la sua mite, ma sicura e caparbia ostinazione che sostiene l’acribia nel denunciare “in direzione ostinata e contraria”: «Respingere chi sta fuggendo per implorare salvezza e per chiedere aiuto significa divenire complici di questa ingiustizia. È necessario compiere ogni sforzo perché si giunga a una seria risoluzione: in primis far cessare le guerre e riportare giustizia e legalità, per mettere fine al fenomeno delle migrazioni forzate. Le guerre stanno ammazzando il futuro».

Il fenomeno delle migrazioni forzate è causato dalla povertà, dalla distruzione delle risorse naturali e dalla desertificazione, che provocano una reazione a catena. Ma il nostro Occidente cosiddetto civilizzato come dovrebbe reagire a tutto questo? «I migranti – risponde Agnese – consapevoli di ciò a cui vanno incontro implorano salvezza e fuggono dalle loro terre in cerca di nuova vita, di accoglienza, assistenza, solidarietà, ma lungo il tragitto spesso incontrano la morte. Uomini, donne, bambini, ormai sono numeri che non tornano».

Ricordava Don Lorenzo Milani – di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita – che “l’Obbedienza non è più una virtù”. Agnese Ginocchio, fondatrice del Movimento per la Pace casertano e campano e promotrice della grande mobilitazione della Fiaccola della Pace, ancora una volta alza il suo grido di condanna e lo fa con i suoi strumenti nonviolenti che usa da sempre: la voce, la chitarra e i testi delle canzoni da lei composte. Una voce fuori dal coro che denuncia l’indifferenza di questo tempo che schiaccia sogni e speranze di quell’umanità e di quei disperati in cammino, in cerca di libertà e di Pace.

Lo ha ricordato poco tempo fa in occasione del suo intervento durante la giornata Mondiale della Donna svoltasi presso l’Aula Magna dell’Azienda Ospedaliera di Caserta, durante la Tavola Rotonda promossa da AVO Caserta a cui hanno preso parte medici e psicologi impegnati nel recupero della persona, con un focus particolare sulla testimonianza delle Donne Iraniane. Agnese ha dichiarato con forza e fermezza: «Siamo schiacciati sotto il peso insormontabile del cinismo e dell’assuefazione. Abituarsi al male significa divenirne complici. Ecco il motivo per cui non possiamo starcene zitti».

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