Pubblicato il Lascia un commento

Due “Maledetti pacifisti” intervistano Nico Piro.

di Laura Tussi

In collaborazione con Fabrizio Cracolici, attivista di Pace, scrittore e membro direttivo ANPI Monza e Brianza e in collaborazione con il sito Italia Che Cambia

1- Nico Piro, tu che sei stato insignito anche del premio Ilaria Alpi, e hai scritto l’importante libro di denuncia, dal titolo provocatorio, “Maledetti pacifisti”, quanto ritieni  ancora possibile fare giornalismo al servizio del lettore e delle persone e non al servizio del pensiero unico bellicista? Per l’alto ideale della Pace.

La Pace: vi è sempre una possibilità. Perché dipende da noi e oggi dipende da ognuno di noi. Diceva Teresa Sarti Strada che ogni persona deve fare il suo pezzettino e però poi questi pezzettini vanno insieme e formano un mosaico che può cambiare il mondo.

Credo sinceramente che ciascuno di noi è chiamato a fare la differenza e occorre avere la determinazione e la forza di fare la differenza. Poi ovviamente non è facile, ma non è stato mai niente facile. Credo che dobbiamo per esempio con grande forza fare informazione seria, equa, vera, che deve riprendere la battaglia di Gino Strada per l’abolizione della guerra e i tempi sono più che maturi e qualcuno dirà “Ma è impossibile abolire la guerra”.

Ma per la verità, se non ricordo male, sembrava impossibile anche abolire l’apartheid fino agli anni ottanta e poi ci siamo riusciti. Sembrava pure impossibile abolire il segregazionismo razziale in America negli anni sessanta. Poi una donna a un certo punto si è seduta sul posto sbagliato in autobus e ha cambiato tutto. Quindi dobbiamo crederci. Ovviamente crederci significa anche essere pronti a pagare dei prezzi, ma credo che tutto sommato ce la possiamo fare.

2-Che pensi del silenzio assoluto intorno alla conferenza di Vienna sul TPAN, il trattato Onu di proibizione delle armi nucleari che è valso alla rete internazionale Ican il Premio Nobel per la pace nel 2017 per il disarmo nucleare universale? Una vera svolta per il mondo pacifista. Un Premio Nobel per la pace collettivo di cui i testimoni siamo tutti noi nonviolenti e pacifisti affiliati alla rete Ican. E’ una rivoluzione e una speranza per l’umanità intera. E che pensi del fatto che questo trattato ONU, il TPAN, non venga ratificato dai paesi Nato, compreso il nostro? L’egida Nato incombe su molti paesi come il nostro e impone in tutto il mondo guerre, distruzioni, massacri, terrorismo e genocidi.

Purtroppo siamo in una fase in cui i grandi progressi degli anni novanta sul controllo delle armi e delle armi nucleari sono in fase di forte risacca. Stiamo tornando indietro. Quindi credo che invece di ragionare sullo specifico episodio, sia il caso di pensare a cosa sta accadendo a livello complessivo. Purtroppo quelli che un tempo erano un disvalore, ora sono tornati ad essere un valore e cioè le armi e gli armamenti.

Viviamo una corsa globale verso il commercio e il trasporto di armi. Pensiamo al caso del Parlamento italiano. In Italia non siamo riusciti a metterci d’accordo come forza politica. Anzi non sono riusciti a mettersi d’accordo su, per esempio, come fermare la strage quotidiana di morti sul lavoro. Eppure è un’emergenza di cui tutti conosciamo l’evidenza. Tutti i giorni vi è più di un morto sui giornali. Un morto che è uscito di casa non per andare a fare la guerra, ma per andare a lavorare. Eppure in poche ore il Parlamento italiano è riuscito a mettersi d’accordo sull’innalzamento delle spese militari al 2 per cento del PIL, senza per giunta porsi il problema di quanti ospedali, quanti ambulatori, quante scuole, quanti asili chiuderemo per alzare le spese in Italia al 2 per cento.

Quindi credo che il tema oggi sia specificamente quello della abolizione della corsa al riarmo e questa corsa agli armamenti va fermata perché le armi assolutamente fanno un immane danno. Perché di fatto alimentano il ciclo della guerra, ma non solo: sottraggono soldi per utilizzi civili e questo è davvero qualcosa di molto, molto preoccupante.

3-Il pensiero unico bellicista è  il risultato dell’enorme potere della industria degli armamenti per cui hanno ragione coloro che affermano che le guerre esistono perché  le armi una volta prodotte vanno vendute con adeguata strategia di marketing?

No. Credo che ci sia un problema generale. L’industria delle armi fa il suo lavoro. Semplice. Il problema vero è invece il fatto che ormai si è imposta nello spazio mediatico una cultura della guerra che è la guerra normalizzata. E credo che il vero tema sia questo. Cioè la pace non ha sponsor, la guerra sì. Anche perché la guerra produce profitti monetari e non monetari per una serie di centri di potere. Esempio la politica. Boris Johnson è uno che ha usato il conflitto armato in Ucraina per riscattarsi, riuscendoci per qualche mese poi alla fine ha capitolato. Ha dovuto capitolare per riscattarsi dai disastri combinati dal suo governo in pandemia per il covid.

E quindi il problema vero è che la pace sponsor non ne ha. La pace non ha voce. La pace non ha chi investe sulla pace e questo è, secondo me, colpa dei governi per cui quando comincia una guerra, quando si prepara una guerra, si levano solo e più forte delle altre le voci di chi sostiene il conflitto bellico. Diciamo che nel caso dell’invasione russa dell’Ucraina e il seguente scontro guerresco, si è creata una situazione senza precedenti. Vale a dire è la prima volta che abbiamo memoria di un conflitto e a maggior ragione perché il pensiero unico bellicista non vuole solo avere ragione. Il pensiero unico bellicista lancia uno stigma su tutti quelli che la pensano diversamente. Il pensiero unico bellicista corrode la democrazia. Quindi il tema che ci dobbiamo porre è se oggi non possiamo parlare di pace senza essere trattati da nemici della Patria al soldo del nemico. Domani di cosa non potremo parlare?

4-Ritieni che dopo l’occasione mancata in Italia siano maturi i tempi per un Partito della Pace che si presenti in tutte gli Stati membri alle prossime elezioni europee? E’ necessario che la pace possa essere rappresentata in politica.

Ma io non credo onestamente alla politica, solo politica, intesa come partitica. Sono un dilettante. Quindi non mi applico. Credo che avere un partito della Pace sia limitante. Perché poi alla fine che cos’è la pace? la pace è progresso. Un emblema della pace: Aldo Capitini. Nei giorni scorsi Sono stato alla biblioteca di San Matteo degli Armeni a Perugia dove ho presentato il mio libro “Maledetti pacifisti”. In quella biblioteca sono conservati tutti i suoi documenti, i carteggi e le lettere e mi ha colpito vedere e capire in realtà questa figura. Quell’asceta della pace: Aldo Capitini. E’ una figura che ha fatto una scelta per la Pace. In realtà lui metteva tutto insieme: la pace è progresso. Perché la pace è creativa a vari livelli per tutti.

L’Italia, non dimentichiamolo mai, perché non lo dicono, sta vivendo il più lungo periodo di pace della sua storia che coincide col massimo periodo di benessere del nostro paese. La pace creativa dà dividendi per tutti. La guerra profitti per pochi. Il problema è che la pace li crea a lungo termine. Evidentemente della pace invece ci dobbiamo prendere cura. Perché per questo tipo di occupazione se letteralmente la pace è limitata – perché noi abbiamo bisogno anche di pace sociale – è necessario che questa categoria di pace si diffonda in tutti i settori. Non vi è solo la pace, ma anche la pace dei morti del lavoro, vi è la giustizia, cioè il progresso. Ci sono i diritti. Credo che vada tutto ottenuto insieme. Quindi credo che sia limitante condurre una attiva campagna sulla pace che non tenga conto del progresso. Esattamente come la Resistenza italiana che è stato un fenomeno molto complesso che poi in realtà non voleva difendere solo la nazione, ma voleva difendere il cambiamento. Voleva un paese migliore e poi anche la difesa dell’ integrità territoriale, ma non era solo questo. Era un fenomeno complesso. (Cfr. Resistenza e Nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni 2022)

5 -Puoi azzardare una previsione di come finirà tra Russia e Ucraina e quanto durerà la simpatia e l’accoglienza in Europa in favore dei profughi ucraini? Anche se la guerra è sempre fondata sulla violenza.

Spero che la Polonia e i vari paesi imparino da questa vicenda: la gente che fugge dalle guerre va accolta. Non solo se l’altro da noi ha la nostra stessa religione e il nostro stesso colore di pelle. Va accolta sempre. Quindi, me lo auguro. Me lo auguro profondamente. Mi auguro la solidarietà verso i profughi ucraini esattamente come non cessi verso i profughi delle altre guerre. Il problema è che per non cessare deve cominciare. E Crotone ci insegna che non è cominciato o meglio la solidarietà è episodica. Poi un altro tema. Il cosa accade quando proviamo a fare delle previsioni sulla guerra? E’ sempre molto difficile perché la guerra alla fine è un gioco di adattamento alla violenza.

Le guerre sono cose complesse. Ma si reggono su un principio molto semplice: l’adattamento. Io colpisco te. Tu colpisci me. Io mi adatto al tuo colpo affinché non sia un colpo letale e tu ti adatti al mio affinché non sia un colpo letale. Per cui man mano che questo equilibrio di adattamento resta in piedi le guerre durano tra alti e bassi, ma durano. Le guerre lampo esistono solamente nelle speranze dei generali e dei dittatori, ma in realtà le guerre, basta considerare l’Afghanistan, che è l’archetipo dei conflitti contemporanei, cominciano, ma non finiscono. Esistono persone al mondo che hanno il potere di scatenare conflitti micidiali, ma non vi è nessuno su questo pianeta capace di fermarli. Perché non dipende da noi.

Perché quando è scoperto il vaso di Pandora della guerra, i demoni che ne escono fuori hanno una loro autonomia. Quindi non me la sento di fare previsioni. Dico però una cosa. Di stare attenti perché quando si dice “l’unica strada è la guerra” di fatto si prende una pallina e la si butta nella roulette. Ma nella roulette ci sono due colori. Il rosso e il nero. Lo zero è statisticamente trascurabile. Il rosso e il nero: e non è detto che la pallina si fermi dal lato che noi preferiamo. Quindi per questo scegliere la guerra cercando di immaginare una punizione per il cattivo è un modo per affrontare le cose. Tra l’altro il caso afghano ci insegna. La Prima Guerra Mondiale ci insegna. Ma questo conflitto non ha una soluzione militare. Ha solo una soluzione diplomatica. E’ chiaro nel momento in cui prendiamo atto di questo. Prima si arriva a una soluzione diplomatica, prima le persone smettono di morire. Il che mi sembra un tema di cui nessuno si sta facendo carico. Si continua a parlare di questo Risiko, della guerra, senza ricordarci che in mezzo esiste gente che muore.

6-Alla luce dei risultati elettorali, ritieni ancora che la maggioranza degli italiani siano per la pace o vogliono essere solo lasciati in pace?

Mi sembra abbastanza relativo. Credo che gli italiani stiano sentendo dal primo momento il peso della guerra perché i sondaggi sono concordi. Quando sono arrivati gli aumenti del gas, la fine del turismo Russo, la fine delle importazioni, danni per l’economia, inflazione, per cui anche un po’, secondo me, è banale dire che gli italiani non vogliono la guerra perché vogliono farsi i fatti loro. Mi sembra che sia in atto anche un processo di criminalizzazione dei poveri. Cioè i poveri vengono accusati di essere contro la guerra perché non vogliono pagare le bollette. Però una famiglia di basso reddito deve pagare le spese familiari e il reddito è già indirizzato verso l’ineliminabile, ossia l’energia, quindi luce e gas e la spesa. Quindi quello che c’è da mangiare. Poi l’affitto. Ma a che cosa deve rinunciare la gente? queste persone a cosa devono rinunciare? al cinema? all’auto? e probabilmente non la usano più. Alle vacanze? mai fatte. Quindi diciamo questo: a me ricorda un po’ la battuta che gira ancora in Russia su Stalin quando gli dicevano “Compagno segretario il popolo è contrario” e lui rispondeva “Cambiate il popolo”. Cioè se c’è un dato di fatto che in Italia la gente è contro la guerra, ma perché dobbiamo dire tutti i giorni che la gente è stupida?

7-Hai mai conosciuto obiettori di coscienza russi?

No. Anche perché in realtà è un fenomeno che è nato dopo. Soprattutto dopo la costrizione al servizio militare straordinaria di settembre. Gli obiettori di coscienza, i cosiddetti renitenti alle armi, alla leva ci sono anche in Ucraina. Cioè di recente vi è stata un’operazione dei servizi segreti ucraini contro i vertici della Compagnia Portuale di Odessa perché accusati di fabbricare finti documenti di imbarco per consentire ai giovani di non partecipare alla guerra.

Non è giusto verso l’Ucraina raccontarla come la stiamo raccontando cioè come un paese in armi. Ucraina significa terra di confine, quindi Terra di Mezzo e quindi è un paese dove è stata scritta la canzone  Sole mio: non è stata composta a Napoli. E’ stata scritta a Odessa. E’ un paese di una complessità notevole. Con un versante filo russo più vicino alla Russia dove sono arrivati negli anni ’30 migliaia e migliaia di russi portati da Stalin per le miniere di carbone. Poi una parte che si sente più polacca. Un paese complesso come l’Italia. E poi noi, l’Italia è un paese complesso per eccellenza. Ma è un paese complesso e quindi come tale va trattato. Non credo sia giusto verso l’Ucraina. Una narrazione funzionale al pensiero bellicista, ma non è giusto definirla come un paese che non si vuole arrendere, dove il popolo vuole combattere fino alla fine, ma credo che il popolo voglia pace e pane e avere magari anche corrente elettrica e gas eccetera.

8 – Cosa puoi dire a due “Maledetti pacifisti” che tutti i giorni si scontrano con altri Maledetti pacifisti per riuscire a trovare una unione di intenti per creare delle azioni serie e concrete al fine di apportare un cambiamento? Quindi l’intenzione del tuo lavoro è una provocazione.

Il fatto di affermare: “Ma questi maledetti pacifisti”. Noi pacifisti veniamo sempre messi un po’ alla berlina. “Il solito pacifista…” Quando porti delle nuove istanze dai sempre fastidio. Però già è importante riuscire noi stessi a metterci insieme e a portare azioni un po’ più concrete e un po’ più con voce. Un po’ più pacifisti. Siamo frastagliati. Siamo divisi. Non vi è più omogeneità perché si fanno avanti i poteri forti spacciati da progressisti: la sinistra con l’elmetto e le destre.

La destra è un universo. Insomma un universo ampiamente frammentato. Pensiamo a tutti i gruppi che stanno più a destra. Le sigle. Pensiamo alle divisioni che oggi ci sono al governo. Eppure riescono sempre a trovare l’unità tra loro. Per noi pacifisti, il tema è superare le differenze e stare insieme per il grande obiettivo. Il grande obiettivo non è solo la pace in Europa e il disarmo. Il grande obiettivo è salvare la democrazia italiana. Perché il pensiero unico bellicista corrode la democrazia. Oggi è questo il problema e se non lo capiamo ci mettiamo in una posizione di enorme difficoltà. Per il futuro. Perché se il popolo della pace con tutte le sue diversità oggi non riesce a reclamare lo spazio non lo reclamerà a lungo.

Quindi credo che noi dobbiamo assolutamente fare lo sforzo – ognuno di noi – di provare a radunare questo mondo variegato del pacifismo. Insomma dall’estate, cioè da quando sono tornato stabilmente in Italia sto girando e sto andando praticamente ovunque. Più di 40 date e in realtà per parlare di pace e di questi argomenti. È un modo per stare a contatto con la vera Italia. La cosa brutta e triste è quando alla fine poi, come mi dovrebbe in realtà lusingare, ma non è così, le persone alla fine mi dicono che si sono sentiti meno sole perché vuol dire che allora le cose stanno veramente messe male. Perché se qualcuno tiene una conversazione e dove non è qualcuno, ma sono tanti e si ripetono e ti vengono a dire grazie. Mi dicono così. “Questa sera ci siamo sentiti meno soli” e vuol dire che siamo in una situazione gravissima. In questo paese stiamo marciando negli anni ’20 degli anni bui del fascismo e questo ci  deve far paura. Per questo dobbiamo porci e opporci con forza, perché se non ci opponiamo con forza a questo, tutto il resto diventa assolutamente relativo. Perché poi torniamo alle gabbie salariali. Ma poi dopo le gabbie salariali in concreto cosa troviamo? La giornata di 8 ore lavorative? I contratti nazionali di lavoro? La leva obbligatoria? Dove stiamo andando? Questo è il tema che dovrebbe preoccupare tutti. Piuttosto che esibirsi a chi è più bellicista.

(Cfr. Laura Tussi, con scritti di Fabrizio Cracolici, Giorgio Cremaschi e Paolo Ferrero, Resistenza e Nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni 2022)

Pubblicato il Lascia un commento

Gramsci Oggi: Associazione vittime dell’uranio impoverito: “Con le esercitazioni Nato in Sardegna è in atto un massacro”

Scritto da: LAURA TUSSI

Le forze Nato, con la complicità attiva del Ministero della Difesa, stanno compiendo un vero e proprio massacro in Sardegna (e non solo), dove militari e civili si ammalano e muoiono a causa dell’uranio impoverito. Lo sostiene l’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito, secondo cui le bonifiche previste non hanno lo scopo di rendere più salubre l’ambiente ma solo quello di rendere possibili nuove esercitazioni.

Sardegna – L’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito da diversi anni si impegna nella lotta per la verità e la giustizia per tutti i militari che sono stati contaminati dall’uranio impoverito e da metalli pesanti durante le cosiddette e surrettizie missioni umanitarie all’estero, ma anche a seguito dell’addestramento nei poligoni di guerra Nato, sul suolo italiano, come denuncia anche Emanuele Lepore portavoce dell’associazione.

Da chi è composta l’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito?

Molti degli associati sono sardi, padri, madri, mogli, sorelle o anche fratelli di militari che si sono addestrati nei poligoni Nato in Sardegna e che sono deceduti o sono tuttora gravemente malati.

La lotta dell’Associazione è contro i poteri forti come la Nato.

La lotta dell’Associazione si lega alla lotta contro la Nato: tutti noi abbiamo interesse affinché i poligoni militari Nato in Sardegna vengano chiusi e bonificati, affinché nessuno più venga contaminato dall’inquinamento bellico dovuto ai giochi di guerra – o meglio alle nefandezze belliche – dove gli stessi militari spesso di truppa, e non i generali ai vertici, vengono utilizzati come carne da macello e bassa manovalanza e sacrificabile. Sottomessi e sacrificati al potere.

sardegna basi
E l’interesse del Ministero della Difesa?

Ha stupito l’interesse del Ministero della Difesa nella bonifica della penisola Delta di Capo Teulada, penisola duramente bombardata con ogni sorta di armamenti e di cui stranamente sono state rese pubbliche liste molto vaghe e sintetiche.

La Penisola Delta Poligono di Capo Teulada, che sulla carta risulta inserita in una zona naturalistica protetta, è in realtà l’emblema della devastazione dovuta alle esercitazioni militari: in settant’anni di bombardamenti è stata colpita da milioni di proiettili, missili e razzi, tanto da essere dichiarata non bonificabile e interdetta agli stessi militari. 

Stupisce, tra le altre problematiche, che l’interesse del Ministero della Difesa avvenga in un momento in cui alcuni ufficiali delle forze armate italiane sono sotto processo proprio per il disastro ambientale causato dall’esercitazione che qualcuno vorrebbe dare solo per presunta, nonostante la quarta commissione parlamentare di inchiesta sui danni da uranio impoverito, presieduta da Giampiero Scanu, abbia accertato a suo tempo le criticità ambientali dei poligoni di guerra Nato in Sardegna e nonostante lo stesso ministero negli anni abbia dichiarato imbonificabile proprio il poligono di capo Teulada.

Parliamo di Capo Teulada e l’innalzamento della soglia degli inquinanti.

Capo Teulada è un sito talmente inquinato che non è bastato l’innalzamento delle soglie di metalli pesanti – centuplicate nel 2014 con il via libera del disegno di legge “competitività” proposto dal governo Renzi – per far risultare accettabile il livello di inquinamento anche da un punto di vista burocratico.

capo teulada1

Nel dispositivo visionabile sul sito della regione autonoma Sardegna si legge che la finalità dell’attività di rimozione dei residuati da esercitazione è quella di ripristinare le condizioni del poligono Delta per consentire il normale transito in sicurezza e consentire l’utilizzo futuro dello stesso quale zona bersaglio per “arrivo colpi”, che sarà delimitata con materiale ecosostenibile e collocata all’interno di un sito privo di essenze arboree pregiate. In tale quadro si intende avviare con l’impiego di assetti specialistici le attività necessarie alla rimozione di tutti i residuati da esercitazione, fino alla profondità di un metro presenti nell’area in questione e classificabili e smaltibili a norma di legge come rifiuti.

A nome dell’Associazione delle vittime occorre approntare bonifiche valide e serie.

Questo significa che l’area deve essere resa agibile a nuove esercitazioni? Poniamo questi quesiti da parte di tutte le vittime e i malati oncologici, che oltre trecento sentenze hanno accertato correlati alla contaminazione da metalli pesanti utilizzati in vari tipi di munizionamento: l’uranio impoverito, il Torio 232 e gli altri agenti si rilevano solo da un metro di profondità? L’acqua e l’aria non sono oggetto di esame? Le tonnellate di nanopolveri, residui delle esplosioni che viaggiano per chilometri trasportati dal vento ,sono considerate residuato da esercitazione?

E ancora: l’uranio impoverito e altri metalli pesanti sono considerati smistabili come rifiuti? Se hanno intenzione di bonificare come è stato fatto fare ai militari italiani in Bosnia, Serbia, Afghanistan, Iraq allora conosciamo bene la metodologia, ma circa ottomila malati di tumore e quattrocento morti stanno a testimoniare che tali bonifiche non sono servite a molto, anzi.

Capo Teulada è un sito talmente inquinato che non è bastato l’innalzamento delle soglie di metalli pesanti per far risultare accettabile il livello di inquinamento anche da un punto di vista burocratico

La popolazione serba può essere considerata vittima della Nato?

La popolazione serba – che sconta un aumento dell’incidenza tumorale da quando la Nato nel 1999 ha scaricato sul suo paese quindici tonnellate di uranio impoverito – non è molto convinta delle bonifiche che sono state effettuate con la stessa metodologia ripresa dai manuali di bonifica delle forze armate.

Capo Teulada vittima dei poteri forti?

L’operazione di bonifica del poligono di capo Teulada serve a un doppio scopo: il primo è riprendere le esercitazioni rese impossibili dagli inerti inesplosi. Non è un problema di salute pubblica, di recupero di un territorio, ma solo di garantire la continuità delle esercitazioni Nato e possibilità di scaricare la peggiore immondizia, che spesso viene chiamata anche “armi convenzionali”.

In secondo luogo, è un’operazione utile a confondere le acque e dare elementi così contrastanti di valutazione utili a far assolvere in qualche modo gli ufficiali coinvolti nel processo in corso proprio sul disastro ambientale di Teulada, in maniera simile a come hanno fatto con i rilevamenti e le indagini discutibili per dare elementi probatori contrastanti nel processo sui veleni di Quirra.

Uranio impoverito
Sono quindi necessarie bonifiche vere e non fasulle con l’innalzamento dei livelli degli inquinanti.

Le bonifiche sono necessarie, ma devono essere quelle vere: tracciare i metalli pesanti dispersi nell’ambiente, attuare le misure necessarie per bonificarli, impedire che le nuove esercitazioni depositino ancora altri metalli pesanti prodotti da sempre più aggiornati e sofisticati armamenti, altamente distruttivi e inquinanti.

È necessario quindi vigilare sulle manovre che i poteri forti stanno portando avanti e cercare di imporre delle bonifiche reali, trasparenti, che siano controllate da organi esterni, dalle associazioni che si occupano del problema e che hanno chiara l’idea di cosa vuol dire risolvere una questione così complessa.

L’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito è per la pace e contro ogni guerra?

L’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito è al fianco della lotta contro la Nato, perché abbiamo un interesse comune: portare a termine il massacro che il Ministero della Difesa promuove a danni dei suoi stessi militari e della popolazione civile che vive e lavora nei pressi dei poligoni di guerra in Sardegna. La società civile e l’associazionismo sono disponibili quindi a compiere la strada necessaria e percorrere il cammino di pace e nonviolenza che possono portarci all’interdizione dei poligoni, alla loro reale bonifica e alla tutela della salute collettiva.

Pubblicato il Lascia un commento

GAIA e Mosaico di pace presentano il libro Parole di cittadinanza

di Laura Tussi (sito)

Parole di cittadinanza

Glossario di Diritto ed economia e pratiche di cittadinanza per i diritti dell’uomo e della terra.

Libro di Francesco Pugliese 

Recensione di Laura Tussi 

Edizioni Helios-Futura

Ho avuto il piacere di ricevere in omaggio dall’amico Francesco Pugliese il suo ultimo libro. Nella dedica manoscritta riporta una frase speciale e semplice al contempo che comprende le parole pace e bene. I primi vocaboli che devono determinare e costituire e costruire una cittadinanza attiva, autentica che stabilisca rapporti benevoli di accoglienza, solidarietà, aiuto reciproco e pace tra persone.

La pace naturalmente non si concretizza pienamente senza prima la gestione dei conflitti interpersonali e tra popoli e genti e minoranze.

Abbiamo potuto apprezzare dello stesso autore i libri Carovane per Sarajevo con Mimesis Edizioni e Abbasso la guerra, con relativa mostra documentaristica e espositiva, inerenti i grandi temi della pace, della nonviolenza, dei diritti umani.

Infatti Francesco Pugliese dallo statuto delle Nazioni Unite di San Francisco del giugno 1945 evince che i popoli devono essere decisi a salvaguardare e a salvare le future generazioni dal flagello della guerra che dopo i due conflitti mondiali ha portato indicibili afflizioni, pericoli, tragedie, catastrofi all’umanità intera. Dal baratro delle due guerre mondiali, l’umanità diviene portatrice di fede nei diritti fondamentali dell’essere umano per creare le condizioni di cui la giustizia, derivante dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale, possa promuovere l’emancipazione e il progresso sociale.

Francesco Pugliese nel suo trattato enciclopedico, un’autentica enciclopedia di cittadinanza attiva, elenca un glossario di diritto e economia e pratiche di cittadinanza per i diritti dell’uomo e della terra, dal titolo appunto Parole di cittadinanza.

Il libro è dedicato agli studenti perché Francesco Pugliese è un insegnante di diritto ormai da moltissimi anni negli istituti superiori.

Infatti questo volume è stato concepito ed è maturato in ambito didattico, nell’ambito scolastico, nel contesto dove si praticano i diritti umani dalla base, e nelle attività degli ultimi anni di insegnamento. È dedicato a tutti gli studenti.

Nel glossario non sono presenti solo parole specifiche del lessico economico e giuridico, ma sono presenti persone, esempi, esperienze, canoni di esperienze e pratiche di cittadinanza attiva e persino protagonisti individuali e collettivi. Sono elencate parole da cancellare ad esempio “guerra” che è la negazione totale della cittadinanza vera.

Viene ampliamente menzionato il concetto di pace che è la condizione primaria della parola e del portato valoriale della Costituzione italiana, nata dalla Resistenza Antifascista, tra le più belle in tutto il mondo, e dei vocaboli uguaglianza, crisi climatica, diritto internazionale, diritti delle donne.

In modo imprescindibile sono elencati e commentati i diritti umani come la pace, l’ambiente che costituiscono il perno per ogni percorso educativo, istruttivo e formativo, come indicano i tanti documenti internazionali suggellati anche dal nostro Paese.

La diffusione di questo importante libro enciclopedico è anche finalizzata al finanziamento della costruzione di un pozzo per l’acqua potabile in Africa in rapporto ad altre esperienze simili.

Il libro si apre con una citazione di Albert Einstein “Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare”.

Con questa citazione l’Autore pone l’accento sulla grave piaga dell’indifferenza generale rispetto a tutto l’orrore che circonda l’umanità, dalla guerra, alla violenza strutturale, alla violenza sui migranti e sui più fragili della terra, e ancora l’indifferenza rispetto alla disuguaglianza sociale globale, e ancora riguardo ai cambiamenti climatici e all’attività militare che trova la sua massima espressione e si può trasformare in guerra nucleare anche solo per errore.

Un libro davvero enciclopedico sui tanti epiteti e sistemi valoriali e vocaboli descrittivi in cui si declina il concetto e l’ideale ultimo della Pace.

________

Francesco Pugliese

Parole di cittadinanza

Glossario di Diritto ed economia e pratiche di cittadinanza per i diritti dell’uomo e della terra.

Edizioni Helios-Futura

Il libro può essere richiesto direttamente all’autore franz_pugliese@yahoo.it

Questo articolo è stato pubblicato qui

Pubblicato il Lascia un commento

Riflessioni sul libro RESISTENZA E NONVIOLENZA CREATIVA

di Laura Tussi

Questo libro contiene tre disegni realizzati da mamma Angela nel limite dell’età e della grave patologia. Ho voluto dedicare il volume a mia madre figlia di nonno Luigi un Resistente durante il ventennio fascista fino al 25 Aprile 1945: la Liberazione.

Cara mamma Angela
a Te che ci hai tramandato tutti gli ideali
contenuti in questo mio saggio.
Tua Laura

“La responsabilità dell’uomo non può affidarsi né a un potere né a un Dio, ma deve impegnarsi nel nome della propria responsabilità di essere umano”.
Stéphane Hessel

Stiamo vivendo in una congiuntura storica del tutto paradossale: ogni giorno si fa sempre più vicina l’eco del conflitto russo-ucraino e le grandi potenze, invece di perseguire la politica del disar­mo inaugurata negli anni ’70, corrono invece ver­so un implemento del proprio arsenale atomico, come in una macabra gara il cui unico traguardo possibile è l’armageddon nucleare. La Cina infatti possiede 200 ordigni, ma entro il 2030 vorrebbe raggiungere il migliaio; gli Stati Uniti hanno già 3000 bombe pronte al lancio e lo storico rivale, il Cremlino, ne ha almeno altrettante puntate verso ovest.
Solo la creatività può salvare il mondo.

PREFAZIONE al libro Resistenza e Nonviolenza creativa

L’impegno dell’umanità

nell’era nucleare

di Alex Zanotelli

Un grande grazie prima di tutto a Laura Tussi e Fabrizio Cracolici di Disarmisti esigenti e di PeaceLink per il lavoro e l’impegno che hanno fatto e che stanno attuando e attivando. Noi viviamo un drammatico momento della storia umana. Siamo fra due micidiali pericoli: davanti alla crisi ecologica che ci potrebbe portare all’estinzione e all’estate incandescente e davanti alla crisi nucleare, alla guerra nucleare, che potrebbe portarci a un inverno nucleare. È in questione la sopravvivenza dell’umanità su questo pianeta.

Ecco perché è fondamentale il lavoro svolto da Laura e Fabrizio per far conoscere a tutti la gravità del momento. Siamo sull’orlo oggi del baratro in particolare per la questione dell’Ucraina. Ma tra qualche mese arriverà l’altra grande questione fra Usa e Cina sull’isola di Taiwan. E avanti così. Basta nulla. Basta un incidente. Il problema è che le grandi potenze sono armate fino ai denti.
Proprio le grandi potenze.

Gli Stati Uniti hanno 3000 bombe nucleari pronte al lancio. La Cina ne ha 200, ma entro il 2030 vuole arrivare almeno al migliaio.

La Russia ne ha tante anche essa pronte al lancio. E vari altri paesi che hanno la bomba atomica e vogliono continuare a incrementare il loro armamentario nucleare. È assurdo quello che sta avvenendo.

Basta un minimo incidente e salta tutto.
Salta e si estingue la razza umana su questo pianeta. Ecco perché è importante allora far informazione seria: far girare informazione seria. Uscire davvero da questo macabro gioco.
Dobbiamo dire basta alle bombe nucleari.
Basta costruirle. Non possiamo più avere queste bombe in Italia.
In Italia abbiamo una settantina di bombe atomiche a Ghedi vicino a Brescia e ad Aviano in provincia di Udine e verranno adesso rimpiazzate dalle nuove e più terribili e sofisticate bombe nucleari: le B 61-12. (…) continua

Con i contributi di:

Angela Belluschi, Chiara Castellani, Fabrizio Cracolici, Giorgio Cremaschi, Gianfranco D’Adda, Paolo Ferrero, Renato Franchi, Agnese Ginocchio, Alessandro Marescotti, Alfonso Navarra, Gianmarco Pisa, Alex Zanotelli

Laura Tussi, a cura di, Resistenza e Nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni, Milano 2022, pp. 186, € 10.00

Libro in vendita in tutte le librerie e gli store editoriali da ottobre 2022

RECENSIONE SCRITTA DA DANIELE BARBI e da MICHELE BOATO

In una società dominata da informazioni orientate dalle opinioni dell’un per cento padrone del mondo, rimanere sui fatti e sulla loro corretta comunicazione diventa una missione per chiunque abbia a cuore la verità.

Mosaico di Pace

Uno degli strumenti democratici per la trasmissione delle conoscenze e l’invito alla critica resta la scuola. In questo libro si parla dello stato dell’istruzione pubblica con passione e da un punto di vista di chi ha vissuto in quell’ambito, perciò ne conosce anche gli aspetti poco pubblicizzati.
Partendo da quella realtà si va oltre e la curatrice attraverso un’analisi storica ci porta dallo scorso millennio alla ricerca delle soluzioni originali, creative, soprattutto nonviolente dei problemi che affliggono la società degli esseri umani e del loro rapporto con la natura.


Educazione, attivismo e ricerca di un progetto sociale inclusivo trovano nelle pagine di questo libro cittadinanza e conferma. Una serie di spunti forniti da Laura Tussi, Alex Zanotelli – autore della prefazione -, Paolo Ferrero e Giorgio Cremaschi, giusto per citare i più conosciuti, contribuiscono a dipingere il grande murales del mondo autentico ovvero di quello misconosciuto dagli informatori istituzionali, dove la fanno da padroni i giornali, le televisioni ed in parte internet. Scritti provocatori, perché intesi a suscitare un dibattito critico senz’altro più fecondo rispetto alle opinioni del flusso informativo autoritario e da se stesso ritenuto indiscutibile.
Ultimo aspetto, ma per questo più importante, rimane per il sottoscritto l’occhio femminile con il quale si analizza il mondo. Una visione diversa da quella spesso prevaricatrice propria del percepire maschile. Un filo ideale tra le esperienze storiche di Maria Montessori e le declinazioni presenti di Rosetta D’Agati; non è un caso, seconde me, se Laura Tussi inizia con la grande rivoluzionaria nel campo dell’istruzione e termina con un’insegnante in prima linea.
Un libro da leggere per ricordare, ma anche per ricevere un impulso che ci faccia continuare a volere un futuro migliore: un incitamento implicito a credere che non tutto deve procedere senza il nostro coinvolgimento, perché ogni esperienza individuale può portare benefici per tutti.

“Resistenza e nonviolenza creativa” di Laura Tussi con prefazione di Alex Zanotelli, Mimesis Edizioni

da IL SOLE DI PARIGI: 

Pubblicato il Lascia un commento

Nico Piro: “Dall’Ucraina all’Afghanistan, la storia ci insegna che la guerra non è la soluzione”

Scritto da: LAURA TUSSI

Quando finirà la guerra in Ucraina? Cosa pensato gli italiani del conflitto? Qual è l’approccio migliore, quello militare o quello diplomatico? Muovendosi trasversalmente fra vari temi e attingendo dalla sua lunga esperienza di inviato di guerra, Nico Piro riflette sulla situazione attuale in Ucraina e sulle possibili vie d’uscita da un conflitto la cui fine sembra sempre più lontana.

“Volete semplificare quello che sta accadendo in Ucraina? Volete cancellare la storia? Vogliamo ridurre tutto alla dicotomia aggredito e aggressore? Va bene, però adesso chiedo: dobbiamo passare alla fase due, ma come possiamo fare in modo che la gente smetta di morire e l’Ucraina smetta di essere distrutta?». Sono queste le parole con cui Nico Piro – giornalista, scrittore e documentarista con una lunga esperienza sul campo, in particolare in Afghanistan – fa il punto, in maniera diretta e concisa, sul conflitto ucraino.

Per fornire alcune chiavi di lettura della situazione attuale Nico Piro spazia dall’accoglienza dei rifugiati alla storia moderna, dall’obiezione di coscienza e dal pacifismo fino all’analisi della posizione dell’elettorato italiano e delle indicazioni che le urne hanno fornito su cosa pensa la gente della guerra. «Credo che gli italiani stiano accusando sin dalle prime battute del conflitto il peso della guerra. Soprattutto da quando sono arrivati gli aumenti del gas, la fine del turismo russo e delle importazioni, i danni per l’economia, l’inflazione e così via», osserva il Piro in proposito.

nico piro

Un tema delicato che aleggia dall’inizio delle ostilità è quello dell’accoglienza dei profughi, in particolare rispetto alle politiche migratorie intese in senso più ampio. A tal proposito, anche Nico Piro nota che c’è qualche incongruenza: «Spero che tutti i paesi imparino da questa vicenda, la gente che fugge dalle guerre va accolta. Mi auguro che non cessi la solidarietà verso i profughi ucraini esattamente ma anche verso i profughi delle altre guerre. Il problema è che per non cessare deve cominciare. E Crotone ci insegna che ciò non è avvenuto, eccezion fatta per alcuni episodi».

Secondo il reporter, le guerre sono cose complesse, ma si reggono su un principio molto semplice: l’adattamento. «Io colpisco te e tu colpisci me. Io mi adatto al tuo colpo affinché non sia un colpo letale e tu fai lo stesso. Finché questo equilibrio resta in piedi le guerre vanno avanti. Le guerre lampo esistono solamente nelle speranze dei generali e dei dittatori; si veda il caso dell’Afghanistan, che è l’archetipo dei conflitti contemporanei che cominciano ma non finiscono».

guerra Ucraina

Quando finirà dunque la guerra in Ucraina? «Non me la sento di fare previsioni – risponde Nico Piro – perché quando viene aperto il vaso di Pandora della guerra i demoni che ne escono fuori hanno una loro autonomia. Sono però convinto di una cosa: dire “l’unica strada è la guerra” è come prendere una pallina e buttarla nella roulette. Ma nella roulette ci sono due colori, il rosso e il nero, e non è detto che la pallina si fermi su quello che noi preferiamo. Dall’Afghanistan alla Prima Guerra Mondiale, la storia ce lo insegna».

Il giornalista campano ritiene dunque impossibile prevedere quando finirà la guerra, ma ha un’idea sul come: «Questo conflitto non ha una soluzione militare. Ha solo una soluzione diplomatica e prima si arriverà a definirla e attuarla, prima le persone smetteranno di morire. Purtroppo però questo mi sembra un tema di cui nessuno si sta facendo carico, si continua ad agire come se fosse una partita a Risiko senza ricordarsi che in mezzo esiste gente che muore».

Dire “l’unica strada è la guerra” è come prendere una pallina e buttarla nella roulette. Ma nella roulette ci sono due colori e non è detto che la pallina si fermi su quello che noi preferiamo

Avviandosi verso la conclusione, Nico Piro prova a mettere a nudo alcuni aspetti di Russia e Ucraina che contribuiscono a mettere in luce dettagli di questi due paesi che spesso vengono dimenticati o ignorati, alimentando immagini distorte che sicuramente non aiutano nel processo di pacificazione. Per esempio il movimento pacifista russo e il fenomeno dell’obiezione di coscienza «diffusosi recentemente, soprattutto dopo la costrizione al servizio militare straordinaria di settembre. Ma gli obiettori di coscienza, i cosiddetti renitenti alle armi, ci sono anche in Ucraina».

«Non è giusto verso l’Ucraina dipingerla come un paese in armi. Ucraina significa “terra di confine”, è un paese di una complessità notevole con diverse anime, da quella russa a quella polacca», conclude Nico Piro. «Quella semplificata è una narrazione funzionale al pensiero bellicista. A mio avviso non è giusto definirla come un paese che non si vuole arrendere, dove il popolo vuole combattere fino alla fine. Io credo che il popolo voglia cose più semplici: pace, pane e magari anche corrente elettrica e gas».

Pubblicato il Lascia un commento

Europa per la Pace, il mondo nonviolento si mobilita per dire no a guerra e armi

Scritto da: LAURA TUSSI

Con Gerardo Femina parliamo della campagna Europa per la Pace e della giornata europea contro la guerra e a favore del dialogo e della nonviolenza che si terrà il 2 aprile prossimo. Non sarà solo un evento per sensibilizzare l’opinione pubblica su quello che sta succedendo in Ucraina – e altrove –, ma anche un momento fondamentale di convergenza e unione delle mille anime che compongono il movimento pacifista europeo.

Nel 2010 una vittoria della gente contro l’imposizione dello scudo antimissile USA nella Repubblica Ceca, oggi l’opposizione netta alla guerra in Ucraina per fermare l’escalation militare e altri temi. Dietro queste e altre tappe fondamentali del percorso per la pace e la nonviolenza c’è, fra gli altri, un nome. È quello di Gerardo Femina, studioso della nonviolenza attiva, attivista e promotore della campagna Europe for peace, ovvero Europa per la Pace.

In Europa, in Ucraina, in Russia i governi investono sempre più in armamenti. “L’unica possibilità di evitare l’escalation sul crinale del baratro della conflagrazione nucleare risiede nel risveglio dell’essere umano e nella capacità di organizzarsi dei popoli tramite le forme di creatività e nonviolenza”, si legge nell’appello di Europa per la Pace. L’invito è a prendere il futuro nelle nostre mani e a convergere con le energie più vitali della creatività in Europa e in tutto il mondo in una giornata dedicata alla pace e alla nonviolenza attiva. Abbiamo parlato di questo con Gerardo Femina, per convergere poi sul tema della giornata e per la pace e la nonviolenza attiva che si terrà il prossimo 2 aprile 2023 in tutto il mondo. 

gerardo femina
Gerardo Femina
Come vedi la situazione del conflitto attuale e con quali prospettive nel futuro?

Sembra che la situazione non accenni a risolversi. Si osserva una evidente mancanza di volontà di far cessare questa guerra. Purtroppo la possibilità che il conflitto si allarghi è sempre più alta e a volte sembra quasi che ci sia una precisa volontà di incrementare questo coinvolgimento militare. Negli ultimi anni c’è stata una forte militarizzazione dei paesi dell’est Europa, dove si parla già di guerra come una ipotesi reale, e negli altri paesi europei si spinge per tornare alla leva obbligatoria.

Cosa si vuole ottenere la rete Europa per la Pace con questa importante iniziativa del 2 aprile e a chi è rivolta?

L’iniziativa nasce dalla forte necessità di pace e di evitare un conflitto globale. C’è un forte bisogno che il mondo pacifista e tutta la società civile diano un segnale potente e chiaro e c’è anche bisogno che ognuno lo faccia con il proprio stile e la propria creatività, senza dover accettare i codici di qualcun altro o rinunciare alle proprie caratteristiche.

Riuscire a convergere, andando al di là dei personalismi, per fermare questa follia è divenuta una necessità vitale, una vera e propria questione di sopravvivenza per i popoli. Si tratta di tentativo di sincronizzarsi e imparare assieme ad agire in maniera diversa, più fluida e in base a ciò che ci fa convergere. Questo sarebbe un segnale di forza straordinaria. 

europa per la pace2
Nella dichiarazione dell’iniziativa ci si riferisce ai pacifisti chiamandoli “gli invisibili”. Potresti chiarire questa idea?

Quando nel 2007 iniziammo a lottare contro il progetto di costruire uno scudo spaziale statunitense nella Repubblica Ceca accadde una cosa che per noi fu una vera folgorazione: ci rendemmo conto che la stragrande maggioranza dei cittadini era contraria a quel progetto, nonostante la propaganda martellante dei media e dei politici: più del 70% della popolazione ceca era contraria. Eppure tutte queste persone per l’opinione pubblica non esistevano. Coloro che si opponevano al progetto erano semplicemente scomparsi, spariti in un buco nero dell’informazione, dimenticati.

Il problema allora non era convincere le persone che il progetto era rovinoso, ma farle emergere da quella specie di limbo artificiale, renderle visibili, dar loro spazio. Da quel momento ebbe inizio una creatività straordinaria. Ci furono scioperi della fame, molti personaggi pubblici diedero il loro appoggio, le persone si mobilitarono. E lo scudo spaziale USA non si fece. Un risultato storico. Oggi a livello globale sta accadendo la stessa cosa. E c’è bisogno che le persone si manifestino.  

Quando gli Stati Uniti minacciarono l’invasione dell’Iraq, decine di milioni di persone manifestarono per le strade di tutto il mondo contro la guerra. Oggi sembra che la situazione sia molto diversa e ci sia più difficoltà a organizzarsi. Perché, secondo te, la situazione del pacifismo internazionale è così cambiata?

Perché siamo in una società in piena crisi e decadenza in cui ci è difficile immaginare di poter cambiare davvero le cose, mentre i governi diventano ogni giorno più ottusi e violenti. La loro tattica è creare divisione e polarizzazione. Dobbiamo fare lo sforzo di convergere, definendo quali sono le priorità. Bisogna anche tener conto che le nuove generazioni sono meno ideologiche e più pratiche e anche la protesta deve trovare nuovi modi di esprimersi.

L’iniziativa nasce dalla forte necessità di pace e di evitare un conflitto globale. C’è un forte bisogno che il mondo pacifista e tutta la società civile diano un segnale potente e chiaro

Si ha l’impressione che le proteste spesso non siano molto efficaci e che i governi tendano a ignorare in blocco l’opinione delle persone a favore di posizioni già prese. Nella vostra dichiarazione parlate della necessità di azioni nonviolente, a cosa ti riferisci?

Questo è uno dei problemi più grandi. Lo scollamento tra le persone e le istituzioni ormai è un abisso. La classe politica sembra non rispondere più alla gente ma ad altri soggetti, dimenticando che sono le persone a portare avanti la società. E se esse si organizzano hanno un potere immenso. All’epoca di Gandhi, indiani disarmati sconfissero l’esercito più grande del mondo. Le persone possono fare a meno delle istituzioni, ma le istituzioni non possono fare a meno delle persone.  Questa è la forza della nonviolenza. Ma è necessario sincronizzarsi. Ed è quello che stiamo tentando di sperimentare con questa iniziativa. Spegnere le TV e i social media per un giorno è solo un primo esperimento.

La società civile sembra molto divisa sulla guerra in Ucraina: alcuni affermano che l’invio di armi è giusto, perché offre all’Ucraina la possibilità di difendersi; altri invece affermano che bisogna sospenderlo immediatamente per passare a una fase di trattative. Pensi che sia possibile un dialogo tra posizioni tanto diverse o addirittura un’azione comune?

Per quanto possano sembrare posizioni inconciliabili, credo che alla fine ci si comprenderà, perché se veniamo trascinati nell’abisso della guerra, che importanza avrà chi aveva ragione? Bisogna chiedersi profondamente cosa è più importante per noi: avere ragione o evitare l’orrore risolvendo le guerre grazie al dialogo?

Pubblicato il Lascia un commento

Arte per combattere il decadimento cognitivo: una figlia racconta la storia di sua madre malata di Alzheimer

di Laura Tussi (sito)

L’espressione artistica come arma per combattere le malattie neurodegenerative, in particolare l’Alzheimer. La nostra collaboratrice Laura Tussi apre il suo cuore e racconta la storia di sua mamma Angela, del suo percorso all’interno della malattia e delle opportunità offerte dalla creatività e dall’arte, che da sempre accompagnano la quotidianità di Angela. Non manca una breve analisi, fortemente critica, della situazione italiana per quanto riguarda l’assistenza a malati e anziani.

Vorrei raccontare una breve storia semplice, ma dolorosa. Una storia come tante. Purtroppo. Ma che riguarda nello specifico mia madre e la sua malattia. Intorno ai sessant’anni mamma è stata colpita da una ischemia cerebrale che, a detta dei neurologi, le ha letteralmente ‘bruciato’ parte delle cellule di un emisfero del cervello. I postumi dell’ischemia si sono manifestati con una progressiva e importante perdita di memoria che con gli anni ha assunto i connotati di una demenza grave e adesso di un principio di Alzheimer. Ora mamma ha 81 anni.

Lei soffre molto per questa sua condizione patologica con frequenti crisi di pianto e con ricordi di parenti ormai trapassati che lei invece invoca e crede ancora in vita e per cui soffre e si dispera. Per sopperire a questo fortissimo disagio esistenziale, dovuto a un quadro clinico molto pesante e grave, con l’aiuto mio, delle badanti e dell’educatrice, spesso mamma realizza disegni a mano libera oppure colora grafiche prestampate.

La forza del colore e del tratto indica una particolare predisposizione per questa forma d’arte. Infatti da giovane mamma si è sempre cimentata e prodigata nel ricamo su stoffa e seguiva anche noi sorelle impegnate a frequentare un’accademia di pittura nel tempo libero. L’impegno e l’acribia nella concentrazione del dover ideare la grafica del disegno costituiscono un forte stimolo per l’ideazione in un soggetto così fragile emotivamente come mamma.

interno
I disegni della mia mamma Angela Belluschi che raccontava sempre le avventure incredibili e a rischio di morte di mio nonno Luigi, sabotatore dell’industria bellica, come operaio alla Breda di Sesto San Giovanni e Resistente durante il ventennio fascista e contro il regime nazifascista. Mamma ha realizzato vari disegni nei limiti dell’età e della grave patologia. Alcuni disegni sono pubblicati nel mio libro Resistenza e Nonviolenza creativa e altri sono pubblicati in vari miei articoli.

La forza dell’ideazione prende il sopravvento, con le seppur labili capacità cognitive, sulla sua spiccata emotività e sofferenza psichica. E questo suo cimentarsi nel disegno è un forte aiuto di distrazione rispetto al dolore psichico ed emotivo tipico dell’Alzheimer che pervade mamma.

UNO SPACCATO DI VITA FAMIGLIARE

Credo di offrire tutto il supporto che sono in grado di dare a mamma nei limiti della mia vulnerabilità emotiva. Le offro supporto con una vicinanza intrisa di gioco e di scherzo e di complicità. O meglio insieme ci ‘alleiamo’, scherzando, per prendere in giro papà e questo la solleva e la fa sorridere perché i miei genitori si vogliono ancora molto molto bene. Ma poi anche con l’aiuto delle badanti la seguo nella sua creatività che anche io ho ereditato da lei. Una creatività che per mamma, quando stava bene, si esprimeva anche con il ricamo e quindi con il disegno su stoffa.

La seguo nei disegni che realizza e che risultano essere un vero miracolo di bravura date le sue condizioni. E penso che il disegno non sia solo uno sfogo, un’arte per veicolare le sue tensioni, la sua tristezza, la grave emotività che comporta questa malattia, ma è proprio un riscatto da questa sua grave condizione. Quando mamma vede pubblicati i suoi disegni nei miei libri e articoli, lei esprime tutta la sua gioia e felicità con bellissimi sorrisi e comprende l’importanza della denuncia di questi governi criminali che fomentano la guerra. Mentre noi siamo contro la guerra. Noi con i disegni e i colori e la gioia della creatività vogliamo un mondo di Pace e di bellezza.

https://a4b309e04259af3b2329600697370090.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-40/html/container.html

Penso proprio che questa grande motivazione creativa sia una importante e significativa risorsa per mamma e per tutti coloro che sono affetti da sindromi neurologiche e psichiatriche, la cui correlazione è sempre molto stretta come sostiene il dottor Giulio Colombo, già viceprimario psichiatra che ha seguito mamma. Il dottor Colombo ha dichiarato: «Conosco da anni la Signora e ritengo che questa modalità di espressione con il disegno sia una importante e creativa risorsa che contrasta il decadimento cognitivo e l’appiattimento inesorabilmente sopraggiunti».

IN FOTO: I disegni della mia mamma Angela Belluschi che raccontava sempre le avventure incredibili e a rischio di morte di mio nonno Luigi sabotatore dell’industria bellica, come operaio alla Breda di Sesto San Giovanni e Resistente durante il ventennio fascista e contro il regime nazifascista. Mamma ha realizzato vari disegni nei limiti dell’età e della grave patologia. Alcuni disegni sono pubblicati nel mio libro Resistenza e Nonviolenza creativa e altri sono pubblicati in vari miei articoli.

Penso che il disegno non sia solo uno sfogo, un’arte per veicolare le sue tensioni, la sua tristezza, la grave emotività che comporta questa malattia, ma è proprio un riscatto da questa sua grave condizione

POST SCRIPTUM

Grazie cara Mamma per queste bellissime rose colorate. Mia mamma Angela soffre di Alzheimer e i servizi sociali adibiti alla cura di questa malattia scarseggiano. Voglio denunciare la mancanza di stato sociale e di assistenza agli anziani e ai più deboli, in quanto i governi continuano a investire in armi e in guerra e questo è un vero crimine da parte delle istituzioni nei confronti dei più bisognosi e delle frange deboli della società. Mentre mamma vuole e ha sempre voluto la pace come noi tutti.

Lei che ha sempre lavorato una vita intera in catena di produzione, in fabbrica, e ha contribuito a costruire e a risollevare il nostro Paese negli anni del dopoguerra e che ha partecipato, con gli scioperi, agli anni caldi della contestazione e ha vissuto quelli terribili dello stragismo neofascista. Spero che questo mio contributo scritto sia utile per trasformare le tante situazioni familiari difficili e dolorose, e così di altre persone e famiglie nelle medesime condizioni, in qualcosa che possa essere d’aiuto e generare cultura e bellezza.Questo articolo è stato pubblicato qui

Pubblicato il Lascia un commento

Balcani e Ucraina: cos’hanno in comune le ultime due guerre che hanno scosso l’Europa?

di Laura Tussi (sito)

Dall’ingerenza della NATO alla mobilitazione del movimento pacifista e nonviolento, fino ai riferimenti al diritto internazionale. Attraverso le parole e l’esperienza del segretario dei Corpi Civili di Pace Gianmarco Pisa – segretario nazionale dell’Istituto Italiano di Ricerca per la Pace – Corpi Civili di Pace –, proviamo a capire meglio la situazione geopolitica attuale analizzando i conflitti in Balcani e Ucraina, le ultime guerre che, in ordine di tempo, hanno interessato il territorio europeo.

di LAURA TUSSI

Solo il personale civile, purché fornito delle necessarie competenze, può affrontare in modo, al tempo stesso, legittimo, affidabile e credibile, l’azione di inibizione della violenza senza l’uso delle armi, senza il ricorso alla violenza, anzi, specificamente, mediante l’approccio costruttivo proprio della nonviolenza. È su questo assunto che si basano i Corpi Civili di Pace, istituiti in via sperimentale nel 2013 per porre le basi per la realizzazione di una più ampia e strutturata “difesa civile, non armata e nonviolenta” in situazioni di conflitto e di emergenze ambientali.

Gianmarco Pisa è un operatore di pace, attivista e pubblicista, nonché segretario nazionale dell’Istituto Italiano di Ricerca per la Pace – Corpi Civili di Pace, con cui è intervenuto in Kosovo, dopo essere stato anche nei Balcani ancora fumanti dopo il conflitto della fine degli anni novanta. Con lui proviamo a costruire un parallelismo proprio fra quella guerra – l’ultima combattuta nel cuore dell’Europa, fino al 20 febbraio 2022 – e l’attuale conflitto ucraino

Balcani e Ucraina: a proposito di queste ultime due guerre “europee”, possiamo rifarci alla teoria dei “corsi e ricorsi storici”?

Mi sembra si possa richiamare, più che la nozione vichiana dei “corsi e ricorsi storici”, soprattutto il vecchio adagio di Marx del “18 brumaio di Luigi Bonaparte”, secondo il quale “«”tutti i grandi fatti della storia universale si presentano, per così dire, due volte, la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”. Spesse volte, una farsa dolorosa e cinica.

Foto di Charles Rosemond

Nella situazione attuale – inaugurata dal colpo di stato di Euromaidan del febbraio 2014, proseguita con la guerra civile, durata otto anni, nel Donbass, e approdata all’intervento militare russo del febbraio 2022 – una nutrita schiera di giornalisti ha ribadito la tesi per cui la guerra in corso in Ucraina segna “il ritorno della guerra in Europa”. Si tratta di una tesi propagandistica, in alcuni casi utilizzata come vera e propria propaganda di guerra, e in ogni caso falsa e fuorviante.

Falsa perché sarebbe sufficiente ricordare il lungo ciclo di guerre nei Balcani, prima la guerra in Croazia e in Bosnia, tra il 1992 e il 1995, poi ancora il conflitto armato in Kosovo e la guerra della NATO alla Jugoslavia nel 1999. Fuorviante perché serve a spostare il peso della responsabilità su una sola parte: tende a rimuovere il fatto che furono appunto gli Stati Uniti e la NATO a portare, nel 1999, pesantemente una guerra nel cuore dell’Europa e induce viceversa a pensare che questa responsabilità ricada esclusivamente sulla Russia di oggi.

Difficile, in ogni caso, tacere delle responsabilità della NATO nella militarizzazione e nella spirale di guerra nella quale sempre più rischia di precipitare l’Europa. È appena il caso di ricordare che, solo in Europa, Stati Uniti e NATO dispongono di decine di basi militari e dislocano decine di bombe nucleari in sei basi sparse tra Germania, Belgio, Paesi Bassi, Turchia, e Italia; nel nostro Paese ad Aviano e a Ghedi.

Attualmente è in corso il dibattito sul diritto e la giustizia internazionale, ma è bene anche ricordare quali presupposti giuridici e quali violazioni del diritto internazionale si sono consumati con la guerra alla Jugoslavia del 1999.
https://9feb0f598e4699f59e2d3efa0ba78a29.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-40/html/container.html

Le Nazioni Unite hanno richiamato i capisaldi del diritto internazionale: la pace e la sicurezza internazionale, il rispetto della sovranità, dell’indipendenza politica e dell’integrità territoriale degli Stati, il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli e il principio di non ingerenza nelle questioni interne dei singoli Paesi. Nell’ambito dei principi fondamentali della giustizia internazionale non esiste un principio “più fondamentale” degli altri; d’altra parte, è noto che gli stessi diritti umani sono un complesso universale e indivisibile. La guerra non può dunque essere uno strumento legittimo di risoluzione delle controversie, così come sanzioni unilaterali e illegittime non possono essere considerate uno strumento praticabile. Allo stesso modo, la violazione di accordi e trattati non può essere accettata.

guerra carro armato

In relazione alla guerra in corso, è opportuno richiamare la violazione degli accordi di Minsk da parte ucraina. Se invece si torna al precedente del 1999, è impossibile dimenticare che quella che fu presentata addirittura come una “guerra umanitaria” fu in realtà un’aggressione a tutti gli effetti ai danni di un Paese indipendente, la Jugoslavia, membro delle Nazioni Unite. Nel corso di quella aggressione, a proposito delle Convenzioni di Ginevra, non si può dimenticare l’uso da parte della NATO di munizioni a uranio impoverito, gli ospedali, le scuole, le infrastrutture civili colpite e distrutte.

È utile fare una riflessione su analogie e differenze tra l’intervento militare russo in Ucraina e la questione del Donbass, da un lato, e l’intervento militare della NATO in Jugoslavia e la questione del Kosovo, dall’altro. Vi è un parallelismo tra queste guerre fomentate dalla strategia bellicista NATO-USA?

Ci sono analogie e differenze, ma un troppo facile parallelismo rischia di portare fuori strada. A differenza della situazione del Kosovo degli anni novanta ad esempio, la vicenda del Donbass era già stata inserita in un contesto diplomatico internazionale, come dimostrano il processo politico del “formato Normandia” e la firma del primo protocollo di Minsk nel settembre 2014, che nei primi tre punti richiedeva il cessate il fuoco immediato, il monitoraggio del cessate il fuoco da parte dell’OSCE e una legge sullo status speciale per una significativa autonomia del Donbass.

Se da un lato non si può accettare che le violazioni del diritto e della giustizia internazionale possano fungere da precedente, dall’altro va respinto l’approccio da “doppio standard” che troppo spesso muove le cancellerie occidentali. Non a caso, sono temi che tornano nella recente proposta avanzata dalla Cina per la soluzione politica della crisi ucraina in dodici punti. Non va dimenticato che il Kosovo si è di fatto separato dalla Serbia e alla fine ha proclamato la propria, controversa, indipendenza proprio dopo la guerra della NATO del 1999 ai danni della stessa Serbia. 

la forza del movimento pacifista sta proprio nella capacità di coniugare conflitto e consenso, di sviluppare lotta e proposta

Ogni volta si sente ripetere “dove sono i pacifisti?”, quindi può essere utile richiamare le iniziative dei movimenti per la pace all’epoca delle guerre nei Balcani.

I pacifisti sono presenti: non li vede solo chi, per un motivo o per l’altro, finge di non vederli. D’altra parte, se per “pacifismo” intendiamo, in senso ampio, l’insieme delle soggettività che si battono contro la guerra, contro il militarismo e per la pace, è evidente che si tratta di un movimento vasto e composito, con una gamma di posizioni anche diverse al proprio interno, come è naturale che sia. La gran parte del movimento è fermo nella sua posizione contro la militarizzazione e contro il militarismo, contro l’invio di armi all’Ucraina, a favore di un cessate il fuoco che sia il più rapido possibile e per la riapertura, il più presto possibile, di un percorso politico e diplomatico.

Anche la critica contro le sanzioni unilaterali imposte alla Russia, sulla cui efficacia peraltro il dibattito è assai vivace, è presente tra le realtà del movimento “contro la guerra e per la pace”. Posso portare l’esempio di una “piazza” importante nella geografia dei movimenti, Napoli, dove varie iniziative hanno portato i temi della fine dell’invio di armi all’Ucraina, del ritiro delle sanzioni unilaterali – che finiscono sempre per colpire le popolazioni civili – alla Russia e ad altri Paesi, del ritiro dei soldati italiani mobilitati nelle esercitazioni della NATO ai confini della Russia e dell’Ucraina e dei contingenti italiani nelle varie missioni militari all’estero; della lotta contro le basi e le servitù militari nel nostro Paese e infine dello scioglimento della NATO. 

Insomma, il movimento per la pace, pur se con numeri e con un impatto lontani da quelli delle manifestazioni del 1999 e del 2003, è presente e attivo; ha forse sempre più bisogno di trovare occasioni di “unità d’azione”, in modo da moltiplicare l’efficacia della propria iniziativa. 

jugoslavia
Non solo “contro la guerra”, ma anche “per la pace”. Quindi può essere utile ricordare i progetti positivi delle organizzazioni per la pace, per esempio i Corpi Civili di Pace, ad esempio nei Balcani e in Kosovo. Quale il loro ruolo?

Questo, tornando alla riflessione precedente, è propriamente un punto qualificante delle forze del movimento contro la guerra e per la pace: di non essere cioè solo capace di una necessaria protesta con campagne e mobilitazioni, ma di essere anche portatore di una ben studiata proposta costruttiva. In generale, la forza del movimento sta proprio nella capacità, per usare una fortunata espressione, di coniugare conflitto e consenso, di sviluppare lotta e proposta. 

All’epoca delle guerre nei Balcani ci furono le grandi campagne e marce per la pace: la “marcia dei Cinquecento” a Sarajevo del 1992; la marcia “Mir Sada” del 1993; la Campagna Kosovo per la nonviolenza e la riconciliazione, con il progetto dell’Ambasciata di Pace a Prishtina; il progetto dei Corpi Civili di Pace in Kosovo.

Per non parlare del movimento dei lavoratori, come nel caso dello sciopero generale contro la guerra in Jugoslavia e la manifestazione dei sindacati di maggio 1999. O la manifestazione contro la guerra dell’aprile 1999 indetta da Rifondazione Comunista. Restano attivazioni decisive, perché indicano una prospettiva e segnalano un’esigenza: collocare la lotta contro la guerra e per la costruzione della pace al centro dell’agenda, non solo dei movimenti, ma anche delle forze politiche e sindacali. 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Pubblicato il Lascia un commento

Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo: la lezione dei Balcani

di Laura Tussi (sito)

Ricordare la guerra in ex Jugoslavia, dagli errori dell’Onu e dell’Europa alle difficoltà del Mondo pacifista. Una riflessione

di Laura Tussi

Dall’alveo di un fiume di sangue che per una decade ha bagnato il cuore dell’Europa e che ancora oggi non si è del tutto prosciugato, affiorano tutte le contraddizioni sollevate dalla guerra in ex Jugoslavia. Dalla politica militare della Nato ai razzismi e ai sovranismi, dai gravi errori della nascente Unione Europea e dell’ONU alla crisi dei movimenti pacifisti, proviamo a ripercorrere quegli eventi tragici. Anni di terrore, morte, rovine, indicibili crudeltà nel cuore dell’Europa. Anni di inferno, stragi, stupri, pulizia etnica, assedi, distruzioni. Un campionario di atrocità sconvolgente ancora adesso. Centinaia di migliaia di morti. Milioni di profughi. Un numero impressionante di feriti e mutilati. Scheletrite le case e le chiese. Martirizzati il territorio e l’ambiente. Maledetta, sporca guerra. Stupido trionfo dell’irrazionalità: il decennio di distruzione sanguinosa dell’ex Jugoslavia che va dal 1990 al 1999 e oltre.

Sono anni esplosivi. La guerra tra Croazia e quel che resta della federazione jugoslava dilagano sempre più feroci. Anche la Bosnia dichiara l’indipendenza, confermata dal referendum del marzo 1993. Ma la componente serba della popolazione non riconosce validità al referendum e subito la parola passa alla violenza e alle armi. La ferocia della violenza e della guerra raggiunge manifestazioni inimmaginabili. Le milizie serbo-bosniache assediano Sarajevo e sarà una lunghissima occupazione: anni terribili per la popolazione civile. L’Onu interviene con varie risoluzioni e invia i caschi blu. I cessate il fuoco non sono rispettati e i piani di pace falliscono. Le tregue si rompono. Nel 1993 un accordo pone termine allo scontro in Bosnia tra croati e musulmani e la Nato bombarda i serbi. Nel maggio 1995 la Croazia riconquista la Slovenia e i serbi bombardano Zagabria. Inizia il massacro di Srebrenica, città musulmana conquistata dai serbi con i caschi blu impotenti e inadeguati.

La Croazia torna all’attacco dei serbi che in massa abbandonano la regione. La Nato torna a bombardare i serbi. Inizia il cessate il fuoco che regge fino alla pace di Dayton negli Stati Uniti e alla firma a Parigi. All’inizio del 1998 sale pericolosamente la tensione in Kosovo. La violenza esplode con gli scontri di Drenica. Cresce l’influenza dell’Uck e gli scontri con l’esercito serbo si susseguono. Falliscono le mediazioni degli inviati USA e fallisce il vertice del febbraio 1999.

Dall’impotenza Onu ai bombardamenti della Nato

La Nato inizia i molto discussi bombardamenti contro la Serbia. Anni di tregue non rispettate e di piani di pace mai attuati, di trattative infinite e inconcludenti e di giochi diplomatici, accompagnati dall’uso spregiudicato dei media. È una stupida guerra, l’ennesimo raccapricciante esempio della stupidità della guerra. Ennesima rappresentazione della sua inutilità per risolvere i problemi. Perché nessun problema fu in grado di risolvere. Guerre tra Stati? Guerre etniche? Guerre di indipendenza? Guerre umanitarie? Guerre di bande? Guerre religiose? Tante interpretazioni e tante letture, ma una sola realtà: fu un orribile macello. Un inferno. E tanti tuttora gli enigmi. Una aggrovigliatissima matassa, ma intrecciata con un solo filo, quello della violenza.

Il novecento si chiudeva così in un bagno di sangue nell’Europa nata sulle ceneri della Seconda Guerra mondiale, scoppiata – ha detto qualcuno – per impedire guerre future. Le granate colpivano anche le speranze di un’Europa senza massacri, faro e fucina di pace. Cause complesse e un concorso di fattori hanno determinato la spirale che è strutturata nel sangue della ex Jugoslavia. Ma le responsabilità del nazionalismo sono apparse e appaiono evidenti e primarie. Un nazionalismo estremo. Un nazionalismo separatista e intriso di militarismo. Estremizzazione rozza della dottrina fondata sull’attaccamento alla propria nazione e a tutto ciò che gli appartiene in modo acritico, divenuto quindi idea e guida, valori e metro di giudizio, misura di comportamenti, di fiducia e sfiducia.

Gli errori di Europa e Onu, La prova del pacifismo

Il dramma jugoslavo mise a dura prova l’Europa della Cee e la nascente Unione Europea. Non riusciva l’Europa ad avere una politica comune e ferma e agiva in ordine sparso, incapace di unità, e fu vittima di rigurgiti delle politiche delle zone di influenza. L’ONU visse uno dei periodi più critici della sua non facile vita, mostrando limiti e inadeguatezze. Ma non solo per sua responsabilità. La sua emarginazione assunse forme molto evidenti, soprattutto per la politica della superpotenza americana che praticava un nuovo interventismo unilaterale e spingeva la Nato oltre i propri confini, trasformando l’alleanza difensiva in offensiva. Un nuovo ruolo, negli anni successivi, variamente teorizzato, giustificato e praticato.

Cause complesse e un concorso di fattori hanno determinato la spirale che è strutturata nel sangue della ex Jugoslavia. Il diritto internazionale subì colpi violenti e con conseguenze inimmaginabili negli anni a venire. Dura anche la prova per il variegato mondo del pacifismo, che non riuscì a creare mobilitazioni di massa ampie come in altre occasioni. Ma si spese molto, cercava di capire, cercava di rompere il muro dell’indifferenza e di assuefazione alla carneficina in atto nel cuore dell’Europa. Cercava di sollecitare e proporre idee e azioni concrete. Soprattutto le associazioni, gli organismi attivi storicamente nel pacifismo e tanti altri enti nati appositamente si impegnarono in un intenso intervento umanitario per aiutare concretamente le popolazioni civili.

In copertina la famosissima foto di Mario Boccia scattata a Sarajevo durante la guerra

Questo articolo è stato pubblicato qui

Pubblicato il Lascia un commento

Anna Polo: “Riflettiamo sulle disparità per parlare di migrazioni in modo più umano”

Scritto da: LAURA TUSSI

Da Cutro a Riace, dal Messico alla Grecia, dai campi improvvisati ai centri di permanenza: la storia attuale delle migrazioni è costellata di contraddizioni, inefficienze e ipocrisia. Secondo Anna Polo, attivista e giornalista, il primo passo da fare è recuperare un approccio più umano, che metta al primo posto le persone e non le strategie politiche.

I migranti provenienti dalle varie parti del mondo fuggono da guerre, disastri ambientali, povertà, terrorismo, violenze, massacri, genocidi. Cercano in modo legale e sicuro accoglienza, assistenza e solidarietà nei nostri territori, ma il cosiddetto Occidente civilizzato e progressista risponde con una politica feroce di respingimenti e con l’aumento delle guerre e delle spese militari, alimentando il rischio di una terza guerra mondiale e di un’apocalisse nucleare.

Ne parliamo con Anna Polo, giornalista dell’agenzia stampa internazionale Pressenza, che si occupa di migranti non solo attraverso la pubblicazione di approfondimenti, interviste e comunicati delle Ong del soccorso in mare, ma anche attivandosi in prima persona e organizzando insieme ad altre associazioni campagne ed eventi sulla criminalizzazione della solidarietà e su casi clamorosi come quello di Riace e quello più recente di Cutro.

anna polo
Anna Polo
Da dove si può partire a tuo parere per parlare di un fenomeno ampio e complesso come quello delle migrazioni?

Come hai già detto tu, chi tenta di arrivare in Europa – e anche negli Stati Uniti, cercando di superare la frontiera messicana – fugge da situazioni atroci, che noi occidentali nemmeno ci immaginiamo, o più semplicemente vuole migliorare la sua vita e fare nuove esperienze. E qui veniamo a una domanda cruciale: perché un giovane europeo può muoversi liberamente, cercare possibilità di studio e di lavoro in altri Paesi, e un suo coetaneo africano o asiatico no?

Avere il passaporto sbagliato pregiudica tutta la vita e costituisce una discriminazione inaccettabile. Riflettere su questa disparità può aiutarci ad affrontare il tema delle migrazioni da un punto di vista umano, mettendosi nei panni di chi non ha le nostre stesse possibilità e magari impegnandosi, come nel mio caso, per riparare questa ingiustizia. 

Che conseguenze ha la politica di “protezione delle frontiere” perseguita dall’Unione Europea?

Conseguenze tragiche: dal 2014 a oggi tra morti annegati e dispersi nel Mediterraneo centrale si arriva a oltre 25.000 persone. Solo nell’anno 2022 30.000 uomini, donne e bambini sono stati riportati – da motovedette finanziate dall’Italia in base a un infame accordo con la Libia – nell’inferno da cui avevano cercato di fuggire. Migliaia di persone vengono respinte con violenza al confine tra Polonia e Bielorussia e lo stesso succede con la rotta balcanica che arriva a Trieste e a chi cerca di attraversare il confine tra Italia e Francia. Respingimenti illegali avvengono anche in Grecia e tutto questo in aperta violazione del diritto e delle convenzioni internazionali. 

Chi riesce ad arrivare in Europa viene confinato in campi simili a prigioni, come nell’isola greca di Samos, dove deve attendere per mesi e anni che la sua richiesta di asilo venga esaminata ed è costretto ad arrangiarsi in accampamenti come la “giungla” di Calais, continuamente sgomberati dalla polizia, o pur non avendo commesso alcun reato finisce in luoghi orribili come i Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) italiani, dove ogni diritto umano viene impunemente violato.

fiori sulla spiaggia di Cutro Rete 26 febbraio
L’attualità è una conferma questo scenario drammatico?

La recente strage di Cutro è un esempio straziante di questa politica: il Governo italiano ha lasciato annegare gente che poteva essere salvata e ora cerca di eludere le proprie responsabilità dichiarando guerra con toni roboanti ai trafficanti del mare e agli scafisti. Viene però ignorato un punto fondamentale: gli scafisti sono spesso giovani migranti costretti a guidare i barchini, l’ultimo anello di una rete molto più ampia, i cui vertici restano nell’ombra.

Questi vertici, i veri trafficanti di esseri umani, sono certamente dei criminali, ma non potrebbero chiedere somme esorbitanti a persone disperate, costringendole a viaggi pericolosi e spesso letali, se ci fossero canali legali e sicuri di ingresso in Europa. Dunque i veri responsabili di queste tragedie sono le autorità europee e quelle nazionali.

E invece chi supplisce ai vuoti lasciati dalle istituzioni viene criminalizzato…

Esatto. Da anni le Ong del soccorso in mare vengono perseguitate con campagne mediatiche basate su calunnie e fake news, processi e provvedimenti come sanzioni e fermi amministrativi. Il vero scopo è svuotare il Mediterraneo di testimoni scomodi e la conseguenza è l’aumento delle morti in mare. Anche difensori di diritti umani e avvocati vengono presi di mira, calunniati e sottoposti a processi basati su accuse assurde, con lo scopo evidente di scoraggiare le loro attività.

Avere il passaporto sbagliato costituisce una discriminazione inaccettabile. Riflettere su questa disparità aiuta ad affrontare il tema delle migrazioni da un punto di vista umano

Qualcosa però si sta facendo per reagire a questo orrore.

Sì, fortunatamente esiste una società civile generosa e solidale – lo abbiamo visto nella manifestazione di sabato 11 marzo a Cutro – che organizza eventi di denuncia e sensibilizzazione per sostenere chi fa vera accoglienza, come Mimmo Lucano a Riace e chi, come le Ong del soccorso in mare, salva vite umane nel Mediterraneo. Un esempio è la campagna “La bandiera ONU per le navi umanitarie”, che come Pressenza stiamo lanciando insieme al Festival del Cinema dei Diritti Umani di NapoliRESQ People Saving PeopleUnimondoASGIPax Christi e Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo.

La campagna si articola in una petizione su change.org e due richieste alle autorità competenti dell’ONU: dotare le navi delle Ong della bandiera dell’ONU in modo da tutelare l’operato di chi dà concreta attuazione al dovere di soccorso in mare previsto dalle norme internazionali e cancellare la cosiddetta zona Sar libica, perché la Libia non garantisce alcun porto sicuro, né il rispetto dei diritti umani. Vorrei concludere con una citazione del poeta tedesco Friedrich Hölderlin, che a mio parere esprime in forma ispirata e sintetica tutto quello di cui abbiamo parlato finora: “Lì dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva”.