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Nucleare, No grazie

autore: Mario Agostinelli – vicepresidente associazione Laudato Sii

Ora tutto diventa più chiaro: il rilancio sommesso, ma insistente, per il ritorno del nucleare in tempi imponderabili serve innanzitutto a procrastinare la reiterazione dell’impiego del gas fossile ed a tenere a bada le soluzioni rinnovabili già certificate, pronte per le aste e anche economicamente convenienti. In questo contesto, l’ultima esortazione del Papa – Laudate Deum, – è stata silenziata, forse proprio perchè limpidamente incentrata sul blocco immediato delle emissioni dai fossili. 

Il megafono del ritorno al nucleare – “faremo una centrale nel mio quartiere a Milano in cui scatterà l’interruttore nel 2032” – ha tutto il sapore della  volgarità e dell’incompetenza di Salvini (v. https://www.ansa.it/lombardia/notizie/2023/10/11/salvini-nel-2032-possibile-la-prima-centrale-nucleare_c12fd268-6425-44cb-b642-0024c9e0ae37.html ). Ma dietro all’incontinente ministro si muove qualcosa di molto più consistente e strutturato a favore delle lobby del gas e di un rilevantissimo spostamento di risorse verso l’atomo definito “pulito”. L’operazione si disloca su una vasta scala, addirittura europea e. in parte, internazionale. Ma qui vorrei occuparmi dell’impegnativo tentativo di un revival nazionale.

L’8 Ottobre scorso Repubblica, che non gioca in campo neutro rispetto ai poteri dominanti da sempre, con una diligenza composta e contenuta, ha pubblicato un lunghissimo articolo (oltre 6 pagine!) a cura di Luca Fraioli in cui venivano per paragrafi distinte e illustrate le ragioni e le contrarietà per un ritorno all’atomo. Un recupero insidiato irrimediabilmente dall’esito dei referendum del 1987 e del 2011, ma, forse, riabilitato anche sul piano giuridico dall’evoluzione documentata di una tecnologia che aveva provocato l’emozione più viva dopo gli incidenti di Chernobyl e Fukushima. Si cerca di attestare una maggior sicurezza ed una attrazione tecnologica affascinante, che si disloca tra la  V o VI generazione “sicura”, fino agli “Small Reactors” (SMR) e, infine, alla “fusione” come avviene nelle stelle. Con un obbiettivo sotteso, certamente condiviso dall’attuale governo e dall’ENI di Descalzi: confutare il fermo all’atomo imposto da paure irrazionali, perché in tutto il mondo la tecnologia avanza più rapidamente delle titubanti opinioni pubbliche.

 Su questa stessa linea, che il quotidiano lascia trasparire come centro per una ripresa del dibattito, si muove cautamente il ministro Pichetto Fratin, che ha insediato una commissione il 21 settembre 2023 per incontrare i protagonisti del nucleare made in Italy. Soggetti del mondo universitario e industriale che hanno già in essere programmi di investimento nel settore nucleare “per valutare le nuove tecnologie sicure del nucleare innovativo”. La Commissione lavora in sedi istituzionali già con un suo programma e si chiama Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile (Pnns). In verità, la strada del ministro era stata prima spianata da due mozioni passate il 9 maggio scorso alla Camera dei Deputati presentate, rispettivamente, una dai partiti della maggioranza, l’altra da Azione e Italia Viva, che avevano dato legittimità parlamentare “all’opportunità di inserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare, quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia”, nonché  “alla partecipazione attiva, in sede europea e internazionale, a ogni opportuna iniziativa volta ad incentivare lo sviluppo delle nuove tecnologie nucleari”.

L’ambiente UE, nel frattempo, si è inopinatamente spostato su una direzione meno rigida. Con il ritiro di Timmermans dalla presidenza per la transizione energetica, 

il nuovo commissario Šefčovič si è impegnato a difendere il principio della “neutralità tecnologica” per ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030, attraverso, “tutte le fonti energetiche che riducono sostanzialmente le emissioni, compreso il nucleare”.

Confutiamo allora questa linea, che sembra volersi opporre in sostanza ad una risoluta e rapidissima sostituzione del gas con le rinnovabili.

Le centrali di ultima generazione dovrebbero essere costruite e rese attive al massimo entro due o tre anni per evitare di superare la linea rossa del non ritorno sul clima impazzito. Olkiluoto in Finlandia, Flamanville in Francia e Vogtle negli USA hanno subito ritardi di decine di anni. 

In quanto agli SMR, Marco Ricotti, docente di Ingegneria nucleare del Politecnico di Milano, da coordinatore del gruppo di lavoro sugli Small Modular Reactors dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) ritiene realistica la possibilità di costruire una piccola centrale nucleare non prima del 2032. Per questi impianti minori, comunque,  si pone il problema della sicurezza, dato che la gestione logistica diventerebbe persino più complicata rispetto a quella di un’unica centrale, perché occorrerebbe trasportare in giro per il Paese elementi di combustibile per alimentare i reattori e gestire le scorie. Inoltre, l’uranio da impiegare richiederebbe un massimo arricchimento (U-235 fino al 20%), al limite di quanto avviene per le bombe nucleari.

C’è poi la questione della CO2 che il ciclo dell’uranio non esclude affatto. Infatti, per operare un processo di arricchimento dell’ossido di Uranio, complessivamente il consumo di energia fossile è comparabile con quella emessa da un ciclo a gas combinato (v. https://www.stormsmith.nl/Resources/m40wastemanagement20190912F.pdf )

Per quanto riguarda la fusione risulta perfino prolisso continuare a mettere in discussione l’aleatorietà dei tempi di industrializzazione, del costo del kWh, la disponibilità del combustibile (trizio in particolare), la produzione di scorie (migliaia di tonnellate di materiale irraggiato da neutroni, trattabili e riducibili ad un volume molto minore ma ad un costo esorbitante) la proliferazione come arma.

Il lavoro un po’ sotterraneo sul nucleare italiano ha forse una spiegazione assai più prosaica: garantire progetti internazionali, sia di fissione che di fusione, in cui sono coinvolte un centinaio di imprese nazionali, grandi e piccole con commesse rilevanti. Una lobby cara al governo attuale, senza dubbio. Dice il premio Nobel Haro che “ormai i fisici, gli ingegneri e gli scienziati in genere, per ottenere i finanziamenti sono forzati ad annunciare cosa otterranno e a condurre ricerche finalizzate a qualcosa di utile. Ma è bene essere chiari sul fatto che non sappiamo se e quando conseguiremo il risultato”. Mentre invece il cambiamento climatico richiede tempi brevissimi di soluzione e contenimento. 

A meno che la si pensi come il presidente di Nomisma Tabarelli: “Investire, diversificare le forniture, produrre più petrolio garantendo investimenti alle compagnie petrolifere, riaprire il discorso sul nucleare”.  Con buona pace di papa Francesco e delle nuove generazioni….                                                                      

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Auto elettriche in città unica soluzione per ridurre inquinamento da traffico

Autore: Mario Agostinelli

Riprendo il post pubblicato il giorno dopo la decisione del Parlamento UE sull’auto elettrica al link https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/02/14/stop-alle-auto-a-diesel-e-benzina-dal-2035-via-libera-del-parlamento-ue-tutto-il-centrodestra-italiano-vota-contro/7064934/   con alcune osservazioni che vanno al di là della cronaca e attestano ancora una volta l’inadeguatezza dei nostri governanti a mantenere un minimo di coerenza con le linee di fondo sul clima adottate dal Parlamento Europeo.

A Strasburgo il centrodestra italiano (FdI, Lega e FI) ha votato compattamente contro il termine del 2035, oltre il quale si potranno immatricolare solo auto elettriche.  Già il Governo Draghi si era battuto per il principio della “neutralità tecnologica”, sostenendo che sarebbe stato un errore puntare su una mobilità esclusivamente elettrica. Si tratta non di un fatto estemporaneo o di un timore giustificato per l’occupazione, ma di una linea di fondo di non percezione dell’urgenza di un cambiamento complessivo delle produzioni e dei consumi in un tempo che viene ogni giorno sempre più a mancare e che necessita di un impegno altrettanto urgente per la giustizia sociale e la difesa del lavoro. E’ significativo come perfino un redivivo Formigoni abbia oggi sentenziato contro il limite fissato al 2035, dimenticandosi forse che fin dal 2004 un gruppo allargato di ricercatori dell’ENEA, sotto la supervisione del Nobel  Rubbia, avesse presentato alla Regione Lombardia un articolato piano per la mobilità sostenibile, fondato sulla riconversione ad idrogeno dei motori degli autoveicoli e sull’estensione di sistemi di logistica intermodale in cui prevalesse il trasporto pubblico (v. https://www.marioagostinelli.it/idrogeno-ad-arese-passato-e-futuro-possibile/ ). Si trattava di riconvertire l’intera area Alfa Romeo in una manifattura prestigiosa e all’avanguardia, finita, invece, dopo estenuanti confronti, con l’ospitare il più grande supermercato d’Italia – “Il Centro” di Arese – il cui azionista di maggioranza è da sempre vicino alla Compagnia delle Opere. La povertà di visione di chi ci governa (in Lombardia ormai da 30 anni!) riduce perfino la politica industriale ad interessi di parte e ad un gioco di poteri stantii.

Qui vorrei inquadrare il salto di qualità che i due provvedimenti adottati dal Parlamento UE (Fit for 55 e Stop al 2035) cercano di imporre, sempre che la Commissione  e i capi di Governo non ne attenuino il significato, come è avvenuto sulla “tassonomia europea” e come sta profilandosi sulla riduzione della quota di rinnovabili da varare entro il 20230 – dal 45% al 40% secondo la Commissione (v. https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/70/energie-rinnovabili ). E’ in atto, purtroppo,  un pericoloso scostamento tra gli Esecutivi e il Parlamento, che Ursula von der Leyden tratta con troppa disinvoltura e con un ascolto non irrilevante delle lobby fossili. 

Il settore dei trasporti è responsabile del 30% delle emissioni totali di CO2 in Europa. Dal punto di vista delle fabbriche automobilistiche, le principali difficoltà tecniche per alleggerire l’inquinamento da traffico consistono innanzitutto nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica e, inoltre, nel contenimento degli ossidi di azoto (NOx) per le alimentazioni diesel, e del numero di particelle microscopiche (PN) per le alimentazioni a benzina a iniezione diretta, emissioni pesate come anidride carbonica equivalente (CO2 eq.).

Da fine degli anni ’90 gli approcci ai regolamenti sui gas serra per i veicoli commerciali si erano concentrate sulle emissioni dal condotto di scarico. Così, in tutta la trafila di classificazioni per gli autoveicoli da Euro 1 a Euro 6 si sono fissati limiti di emissioni del combustibile impiegato misurati “al tubo di scappamento”. Invece, dal 2035, facendo riferimento esclusivamente al vettore elettrico anziché continuare ad andare esclusivamente nella direzione di combustibili a minor emissioni di carbonio, ci si muoverà verso le nuove fonti di alimentazione dei motori, come i gruppi motopropulsori elettrici delle batterie, che ottengono la loro energia dall’elettricità con cui si caricano. E qui entra in gioco non solo il gas misurato allo scappamento del veicolo, ma anche quello immesso in atmosfera dal mix di fonti con cui si alimentano le colonnine di ricarica. Il passaggio all’elettrico ha quindi un significato che va oltre il settore automobilistico: anche per l’inquinamento dovuto alla mobilità  diventerà sempre più  rilevante il percorso con cui  si procurerà l’elettricità trattenuta nelle batterie, o come verrà prodotto, eventualmente, l’idrogeno (verde o grigio) che alimenterà le celle a combustibile montate sui veicoli.  

In sostanza. il salto di qualità sta nel porsi un obbiettivo più esteso: il vettore (elettricità o idrogeno) che consente al motore elettrico di abbassare drasticamente gli inquinanti rispetto al motore a combustione termica, andrà  a sua volta ottenuto da fonti rinnovabili a bassissime emissioni anziché da fonti fossili, grandi emittenti di climalteranti e gas inquinanti (o radiazioni nel caso del nucleare).

La cosa interessante da notare è che per la prima volta un Regolamento europeo sulle emissioni nel settore automotive cita la metodologia dell’intero ciclo di vita (LCA).

Puntando – corroborato dal contributo degli obbiettivi del “Fit for 55” – a diminuire drasticamente anche le emissioni a monte legate alla produzione dell’energia elettrica o dell’idrogeno impiegati dal veicolo. 

L’obbiettivo è molto ambizioso e condivisibile: un sostanziale assorbimento di energia elettrica per il settore stradale può fungere da driver per aumentare la quota di energie rinnovabili nel mix di fonti energetiche UE. E, parimenti, “l’inverdimento” del mix di reti aiuta anche “l’inverdimento” del settore stradale.

In base alla penetrazione delle rinnovabili (fissate dalla UE almeno al 45% al 2030) è possibile stimare che le emissioni clima-alteranti (in tutto il ciclo di vita) dei veicoli saranno almeno quasi dimezzate al 2035. Per di più, i veicoli abbatteranno radicalmente il rumore e le emissioni inquinanti (NOx, CO, PM, HC) in ambito locale. Perché allora tanta ostilità e insensibilità climatica da parte dei nostri ministri e governanti?

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Transizione Energetica: Un bilancio ragionato sul 2022 di Mario Agostinelli

Transizione Energetica: Un bilancio ragionato sul 2022

Mario Agostinelli – il fattoquotidianoonline
PREMESSA: Difficile in un unico post registrare il bilancio di una anno cruciale
come il 2022, reso ancor più complesso dal precipitare delle guerre, dalla pandemia e
dall’inasprimento della crisi climatica. Per queste ragioni, oggettivamente non
riassumibili in spazi ristretti, propongo una analisi sommaria, ma abbastanza
esauriente, estesa sull’arco di due post tra loro collegati e pubblicati in successione
PARTE 1:
Se dovessimo fare un bilancio sull’avanzamento della conversione energetica nel
2022 difficilmente potremmo essere ottimisti, anzi! L’energia è emersa nel suo
aspetto più politico, svincolandosi dal peso del solo mercato, condizionata
ampiamente da un’incipiente “terza guerra mondiale a pezzi”. La stessa coesione
della UE, dimostrata al tempo del “20/20/20”, si è frantumata a fronte di una crisi
energetica senza precedenti. Dodici riunioni dei ministri dell’energia – precedute
da 191 riunioni di gruppi di lavoro e ambasciatori – per coordinare la risposta
dell’Europa all’aumento dei prezzi del gas e dell’elettricità hanno soltanto assunto
l’impegno generico ad acquistare congiuntamente la fonte fossile ad impatto forse
meno devastante e ad accelerare l’autorizzazione degli impianti di energia
rinnovabile, per sostituirla in un futuro “compatibile” con i suoi effetti climalteranti.
Ma invece del “grande affare energetico europeo” di cui l’Europa aveva bisogno, i
leader dell’UE sono rimasti bloccati nella politica interna. Al di là della svolta
politica, indotta dall’invasione russa dell’Ucraina, ciò che rimane è una lotta senza
senso per un tetto massimo del prezzo del gas, che nella migliore delle ipotesi farà
ben poco per abbassare i prezzi dell’energia e, nella peggiore, spaventerà i venditori
sul mercato. Lo stanziamento comune Repower UE per la riconversione dal fossile
(v. https://commission.europa.eu/strategy-and-policy/priorities-2019-2024/european-
green-deal/repowereu-affordable-secure-and-sustainable-energy-europe_it ) è
sostenuto con pochi soldi freschi – un misero 20 miliardi di euro prelevati dal mercato
delle emissioni – e, mentre i Paesi dell’UE sostengono a parole e con distinzioni
preoccupanti le energie rinnovabili, i loro governi rimangono riluttanti a impegnarsi
per un obiettivo al di sopra del 40% per il 2030.
I centri di potere legati ai fossili sono tuttora colossi pubblici che rendicontano al
Governo del proprio Paese del loro operato. Il ruolo delle lobby ha di conseguenza
sovrastato la svolta ancora timida verso l’autoproduzione da fonti naturali, il
decentramento territoriale, il risparmio, le forme di consumo comunitarie.

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In realtà è come se i governi e le popolazioni si trovassero su due diversi binari,
mentre le vere emergenze del clima, della guerra (nucleare?), della riduzione delle
libertà e dei diritti sociali si spostano nel tempo su uno sfondo geopolitico incerto.
IL 2022 ANNO NERO PER IL CLIMA
Secondo l’ultimo rapporto della Iea, nel 2022 le emissioni mondiali di CO 2
aumenteranno di 330 milioni di tonnellate. Ma le tonnellate in più sarebbero state il
triplo senza il contributo delle rinnovabili e della mobilità elettrica.
L’incremento mondiale della di CO 2 in questo anno (+1%) è stato determinato da un
piccolo aumento (+1,5%) delle emissioni statunitensi e da uno più elevato di quelle
indiane. Le emissioni cinesi hanno registrato invece un lieve calo (-0,9%), analogo a
quello della UE (-0,8%).
Mario Tozzi su “La Stampa” del 31 Dicembre titolava: “L’inverno della neve
sciolta: è iniziata l’era del fuoco?”. Siamo quasi ad una provocazione per il pubblico
del mainstream, mentre ad ogni talk show sempre gli stessi personaggi commentano
di volta in volta i fatti del giorno, ignorando i processi che si delineano dietro ad essi.
Veniamo da un periodo di siccità che ha colpito l’Italia, soprattutto il centro nord,
con un clima sempre più torrido e con una diminuzione massiccia della produzione
agro-alimentare. Il rapporto di Legambiente (v.
https://cittaclima.it/#:~:text=Piano%20di%20Adattamento-
,Bilancio%202022%20dell’Osservatorio%20Citt%C3%A0Clima,%3A%20Lombardi
a%2C%20Lazio%20e%20Sicilia ) registra 310 «fenomeni» che hanno provocato 29
morti. A livello territoriale il nord della Penisola è stata l’area più colpita. A livello
regionale la Lombardia è la regione che registra più casi “singolari”, ben 37. Il mese
di Giugno, poi, ha visto una anomalia della temperatura media di +3,3°C in Italia. A
luglio il record si è registrato nelle città lombarde: a Brescia e Cremona si sono
misurati 39,5°C, a Pavia 38,9°C e a Milano 38,5°C. Ne hanno mai parlato Salvini o
Fontana? Senza risorse è impossibile ripensare la città. Come garantiamo, di
conseguenza, ad agricoltura e allevamento le opportunità per diversificare le attività?
Come promuoviamo la vivibilità per i cittadini e la sopravvivenza delle attività
produttive?
Per quanto riguarda il mare che lambisce le nostre coste, va detto che sono uno dei
pozzi di carbonio più preziosi al mondo. Sono le distese di acqua salata a catturare e
trattenere circa 1/3 dell’anidride carbonica emessa dall’uomo ogni anno in atmosfera.
Tuttavia, questo ruolo di “carbon sink” scricchiola sotto il peso del riscaldamento
globale (v. https://www.inabottle.it/it/news/riscaldamento-oceani-nuovo-record )

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Oceani più caldi renderanno “più difficile per il carbonio organico trovare la strada
per essere sepolto nel sistema sedimentario marino” Eppure a Ravenna l’ENI conta
di poter seppellire in mare la CO 2 sequestrata dai suoi impianti!
La crisi pandemica, i lockdown, il caro energia e di materie prime con un’inflazione a
due cifre, la guerra in Ucraina, i rischi sempre più concreti di sicurezza sulle
forniture, gli eventi climatici sempre più estremi, sono tra loro interdipendenti e il
cambio di paradigma energetico assume un ruolo molto rilevante: basta pensare che
l’Italia ha speso nel 2022 circa 75 miliardi di euro in più per l’energia rispetto
alla media dei 10 anni precedenti. Una cifra comparabile con gli investimenti per lo
sviluppo delle fonti rinnovabili in base agli obbiettivi europei assegnatici dalla UE al
2030.
LA GUERRA IN UCRAINA E LA SOSTITUZIONE DEL GAS RUSSO
Certamente la data del 24 febbraio ha impresso un punto di svolta determinante, ma
già con l’inizio dell’anno, dopo l’approvazione della tassonomia europea ( v.
https://www.ilsole24ore.com/art/gas-e-nucleare-lista-ue-investimenti-green-via-
libera-dell-europarlamento-AEyKAdkB ) che rendeva “green” il gas e il nucleare, si è
realizzata una prima ferita alla completa decarbonizzazione del sistema elettrico, da
conseguire entro metà secolo nella UE.
Con l’eliminazione delle importazioni di gas dalla Russia, resa ancor più definitiva
dopo la distruzione dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 (avvenuta lo scorso 26 settembre),
L’Europa ha tagliato i ponti dietro se stessa, ricorrendo ad un maggiore impiego del
carbone ed alla riconferma del nucleare assieme ad una corsa forsennata a trovare
nuovi canali di rifornimento di metano. Pur tuttavia, nello stesso tempo, è stato
incrementato l’apporto delle rinnovabili di 39 TWh in più rispetto al 2021 (+13% su
base annua), con il primato del Portogallo che ha alzato dal 58 all’80% la quota di
rinnovabili elettriche da raggiungere nel 2026, mentre l’Italia è per ora rimasta
sostanzialmente al palo di una incerta progettazione di eolico e fotovoltaico in mare.
Nell’immediato, il nostro Governo ha deciso di cercare nuovi partner e nuove
condotte per il metano e di mettere in opera due nuovi rigassificatori galleggianti per
l’acquisto nei prossimi anni di gas liquido (GNL). Un’operazione giustamente
contestata per l’aspetto strutturale che sottende: il ciclo del GNL è molto inquinante.
Passa infatti da estrazioni rovinose, dal successivo processo di liquefazione, dal
trasporto via mare a lunga distanza in grandi navi, dalla necessaria rigassificazione e
dall’aggancio finale ai tubi dei gasdotti locali. In pratica, il Governo ricorre ad un
potenziamento non temporaneo delle infrastrutture fossili, reso evidente
dall’annuncio di progetti di 2.000 km di nuove pipeline, il 18% in più rispetto
all’esistente (v. https://www.rinnovabili.it/energia/infrastrutture/infrastrutture-del-

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gas-boom-2022/ ) Risulta così ancor più rilevante la dispersione in atmosfera di
quantità di CH 4 puro, fortemente climalterante. Ci si affida quindi alla carta del GNL
il cui limite operativo non dipende da fattori tecnologici, ma dalle infrastrutture che
sono rappresentate, dal numero di navi gasiere disponibili sul mercato e dai terminali
di liquefazione (in partenza: USA e Qatar)) e di rigassificazione (in arrivo: Piombino
e Ravenna in primo luogo). La costruzione di altri gasdotti e di approdi alle
metaniere, quando il mondo ha bisogno di abbandonare urgentemente i combustibili
fossili è una tendenza più che preoccupante e non solo per il nostro Paese.
L’ILLUSIONE DEL NUCLEARE E IL MIRAGGIO DELLA FUSIONE
Cingolani sul corriere del 31 Dicembre proclama: “nucleare niente pregiudizi, il
futuro passa da qui: armi ed energia sono cose diverse” Buon per lui.
Che il prossimo decennio sia decisivo per la storia umana lo scrive nell’introduzione
il documento in 80 pagine sulla strategia di difesa USA (DNS), centrato in gran
parte sull’impiego dell’arma nucleare e sulla supremazia tecnologica del Pentagono
(v. https://www.defense.gov/News/Releases/Release/Article/3201683/department-of-
defense-releases-its-2022-strategic-reviews-national-defense-stra/ ). Geopolitica al
top e biosfera e natura retrocesse a preda del vincitore.
Una simile distorsione nell’interpretare l’epoca attuale comporta un arretramento di
civiltà, un colpevole spreco di risorse necessarie alla sopravvivenza, la
predisposizione alla guerra come soluzione della “concorrenza” tra blocchi in corsa
per l’egemonia globale. In un simile contesto è l’energia che la fa da padrone, anche
sotto la forma più incontrollabile delle armi. In questo quadro “scosso” è facile far
scivolare l’opinione pubblica verso il nucleare civile, da fissione o fusione che sia,
raccontato come praticabile e difendibile quanto l’uso incontenibile delle armi, fino
ad un sommesso “sdoganamento” dell’atomica. In un contesto così alterato prende
corpo il miraggio della fusione, un’energia come quella che proviene dal sole (ma ad
una distanza di 150.000 KM!) che nell’esperimento propagandato a Livermore non
tiene conto del divario incolmabile tra il risultato dell’accensione e l’energia
necessaria per il pareggio del dispositivo. V. (
https://attivissimo.blogspot.com/2022/12/fusione-nucleare-le-minchiate.html. )
Questo modo di procedere e di spacciare per ingegnerizzabile e commerciabile in
anni vicini un esperimento di prevalente destinazione militare, ha instaurato tra
scienza e tecnologia un processo politico di decisione e informazione dei cittadini con
l’obbiettivo di mettere sotto il tappeto quel “non c’è più tempo”, che invece è ormai
patrimonio del senso comune ed ha a portata di mano la rivoluzione delle
rinnovabili.

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Parte 2
PREMESSA: queste note sono complementari a quelle pubblicate nel post
precedente…… e intitolate …….
LE CONCLUSIONI DELLA COP 27
Il 20 Novembre, alla COP 27 di Sharm el-Sheikh, tra lo stallo dei governi e le
pressioni delle lobby e dopo un’impasse tesa e molte ore di negoziati, quasi 200 paesi
hanno raggiunto un accordo per istituire un fondo perdite e danni per assistere le
nazioni più colpite dal cambiamento climatico – una richiesta considerata non
negoziabile dai paesi in via di sviluppo. Questo però è l’unico risultato davvero
significativo dell’Assise protratta tra notevoli tensioni oltre la sua scadenza prevista,
dopo aver constatato l’impossibilità di far avanzare il processo avviato dopo Parigi
2015 verso il contenimento dell’aumento della temperatura del pianeta entro 1,5°C
RIDURRE GLI OBIETTIVI DI NEXT GENERATION UE?
Il confronto a tre (Commissione, Consiglio e Parlamento UE) di inizio anno sulla
tassonomia sembra ripetersi sulla riduzione dell’obbiettivo di rinnovabili al 2030,
dal 45% al 40 %. I 27 ministri dell’Energia hanno trovato una maggioranza che
sostiene la riduzione dell’obbiettivo, osteggiato solo da Austria, Danimarca, Estonia,
Germania, Grecia, Lussemburgo, Portogallo e Spagna, ma non dall’Italia. Toccherà al
Parlamento organizzare una risposta per mantenere il 45%. come livello da
perseguire. Ma anche la Germania sta glissando su queste aspettative: infatti è
significativa la resistenza della popolazione di Lützerath , un piccolo centro della
Renania, nella Germania nordoccidentale, che deve scomparire per far posto
all’ampliamento di una delle maggiori miniere a cielo aperto d’Europa, che dovrebbe
aumentare di 280 milioni di tonnellate l’estrazione di lignite. Malgrado le precedenti
promesse di non farlo e i solenni impegni sulla riduzione delle emissioni che puntuali
si rinnovano ad ogni conferenza internazionale sul clima, le istituzioni tedesche locali
e nazionali hanno deciso di radere al suolo a metà di gennaio del 2023 il villaggio per
continuare i processi di escavazione. C’è solo un piccolo ostacolo: la popolazione
locale – qualche migliaio di cittadini – e i movimenti territoriali non sono affatto
d’accordo e hanno cominciato a fermare le solerti autorità che devono garantire la
presunta inevitabile avanzata del progresso piegando brutalmente ogni resistenza.
CCS A RAVENNA?
Il nuovo ministro dell’Ambiente (più precisamente Ministro dell’Ambiente e della
Sicurezza Energetica) Pichetto Fratin e la nuova Presidente del Consiglio Meloni
fanno una gran pubblicità alla trasformazione del nostro Paese nell’Hub di
distribuzione del gas per l’Europa come se fosse una idea rivoluzionaria del governo

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appena insediatosi. In realtà era già un progetto del governo precedente sponsorizzata
da ENI, in questi mesi in odore di rinnovo del suo CdA ( v. https://ageei.eu/pichetto-
fratin-italia-sia-hub-del-gas-mediterraneo-la-sfida-gli-stoccaggi-2023-24-e-per-il-
futuro-10-12-gw-lanno-di-rinnovabili/ ) L’amministratore delegato di Eni, Claudio
Descalzi, e l’amministratore delegato di Snam, Stefano Venier, hanno firmato lo
scorso 19 Dicembre un accordo attraverso il quale Eni e Snam, in joint venture
paritetica, collaboreranno allo sviluppo e alla gestione della Fase 1 del Progetto
Ravenna di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS), che prevede la cattura di
25mila tonnellate di CO 2 dalla centrale Eni di trattamento di gas naturale di
Casalborsetti (Ravenna). Una volta catturata, la CO 2 sarà convogliata verso la
piattaforma di Porto Corsini Mare Ovest e infine iniettata nell’omonimo giacimento a
gas esaurito, nell’offshore ravennate. A testimonianza, quindi, di quanto il metano
rimanga strategico nelle intenzioni delle burocrazie che guidano la politica energetica
nazionale.
EXTRAPROFITTI E PREZZO DEL GAS
Grazie alle sanzioni, le società energetiche americane (v. Financial Times, 5
novembre 2022) hanno registrato tra aprile e settembre 2022 extra profitti per 200
miliardi di dollari, mentre le metaniere Usa navigavano davanti alle coste europee
europee per scaricare quando i prezzi erano (e sono) ancora elevati. Bp, Eni,
Equinor, Repsol, Shell e TotalEnergies, ovvero le sei principali oil major
europee, hanno incamerato 74,55 miliardi di dollari di extra-profitti nel solo primo
semestre del 2022.
E’ toccato a Starace, AD di ENEL, di criticare al meeting Ambrosetti di
Cernobbio l’eccessiva dipendenza del Paese dal gas. Anche queste voci autorevoli
sono però oscurate dalla politica nostrana, che ha nel gas e nel possibile ripristino
del carbone la carta che preferisce adottare in emergenza.
In una fase in cui vediamo le nostre bollette aumentare a dismisura, sia per effetto
della speculazione finanziaria che della guerra, dobbiamo – oggi più che mai –
leggere la situazione in tutta la sua enorme complessità, per non lasciare che
l’emergenza e le paure di un carico insostenibile per bisogni primari siano usate
per ridefinire la direzione delle politiche energetiche, gli assetti internazionali e,
addirittura, il futuro del pianeta sulla base degli interessi di pochi.
Contrariamente a quello che ci viene detto, quello che viviamo oggi è il prezzo per
non aver investito sulla transizione verde. Con la corsa al gas stiamo arricchendo
governi autocratici quali Egitto, Azerbaigian, Algeria, Repubblica del Congo e ne
stiamo avallando le drammatiche politiche repressive dei diritti umani e sociali e
gettando così le basi per nuovi conflitti.

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A livello europeo si è concordato che il prezzo del gas non debba scendere sotto
un certo livello, per non penalizzare eccessivamente gli scambi speculativi di
mercato dove viene quotato. E’ il mercato di Amsterdam (TTF) che decide il
prezzo del gas, definendolo sulla base dei titoli future e non sull’effettivo scambio
tra offerta e domanda. La sua recente oscillazione tra 330 euro al MWa ed il valore
attuale attorno ai 100 euro al MWa è dovuta variabili contingenti, ma
non si riflette immediatamente sul consumatore finale. Il regolatore europeo ha
solo funzioni di coordinamento e armonizzazione ed il price cap introdotto per i
valori dell’energia elettrica fissato a livello europeo è regolato al fine di evitare
eccessive distorsioni prodotte dall’interscambio. E ciò non per fissare un prezzo
“politico” in una fase di assoluta eccezionalità, ma per assicurare comunque
margini di profitto alle compagnie Oil &Gas.
IL CAMBIO DI PROSPETTIVA
In direzione positiva, anche se criticata dai gruppi ambientalisti secondo cui l’accordo
non è all’altezza di quanto necessario per mantenere l’aumento delle temperature
globali al di sotto di 1,5 °C, va citata la nuova normativa UE sul Sistema per lo
scambio delle quote di emissioni (ETS). La riforma degli Ets amplierà la platea dei
settori interessati e ridurrà l’inquinamento del 62% entro il 2030, rispetto al 43%
previsto attualmente. Il sistema Ets attuale riguarda circa 10.000 fabbriche e centrali
elettriche, consentendo a chi ha quote di emissione in eccesso di realizzare un profitto
più contenuto, vendendo permessi di CO 2 sul mercato. Il prezzo del carbonio sarà di
circa 100 euro, rispetto agli 80-85 euro attuali ed i permessi di emissione gratuiti
saranno gradualmente sostituiti dalla nuova tariffa sul carbonio alle frontiere.
Ricorro, a titolo conclusivo, ad una serie di osservazioni portate con competenza
da Leonardo Berlen su Qualenergia (https://www.qualenergia.it/firme/leonardo-
berlen/ ) e da me condivise.
In Italia abbiamo dai tre ai cinque anni per cambiare marcia al fine di arrivare ad
installare al 2030 70 nuovi GW tra fotovoltaico ed eolico, investire in reti di
distribuzione e trasmissione, elettrificazione dei consumi, sistemi di accumulo di
vario tipo, iniziare a rendere operativi diversi elettrolizzatori per la produzione di
idrogeno verde, per non parlare della riqualificazione profonda del nostro
energivoro parco edilizio. Sotto questo profilo, la realizzazione del progetto eolico
e fotovoltaico di Civitavecchia assume, anche per i tempi di attuazione e per la
mobilitazione che l’ha sostenuto, una funzione nazionale paradigmatica.
Sono necessari interventi su vari fronti, sia sul quello autorizzativo e normativo per
allocare ingenti investimenti nella formazione di tecnici e di addetti della pubblica

8
amministrazione nazionale e locale, sia su quello della programmazione di politica
industriale che favorisca la nascita di linee produttive nazionali per sistemi e
componenti essenziali nell’ambito di una manifattura oggi in crisi e da riconvertire a
confronto di prodotti importati da mercati in cui gli standard ambientali sono più
deboli e che altrimenti godrebbero di un vantaggio competitivo ingiusto.
Per il solo fotovoltaico si tratta di allestire e collegare in rete 8 GW all’anno,
passando dai 27 TWh/anno generati oggi dal solare a 100 TWh/anno: una
produzione che ci consentirebbe di evitare l’importazione di 20 miliardi di metri
cubi di gas/anno. Un compito ed una sfida che anche culturalmente deve riguardare
la politica l’imprenditoria, il sindacato.

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Lettera del direttore Alfonso Navarra ai Lettori

Care e cari lettori, considerato ciò di cui ci occupiamo nella testata “IL SOLE DI PARIGI'”, impegnata per la pace dei “liberi, eguali ed ecologici”, con particolare focus sul lavoro ecosociale a Milano e in Lombardia, dovrebbe essere di vostro interesse aderire in modo convinto alla nostra iniziativa e pubblicizzarla su tutti i canali cui avete accesso.

Per dirla terra terra, riempiamo, grazie ai Disarmisti esigenti di cui siamo componente costitutiva, un buco politico grosso quanto una casa, che è anche un buco culturale.

E’ del tutto assurdo e intollerabile che, dopo la massiccia mobilitazione del 5 novembre, resti invece senza risposta di piazza l’evento istituzionale che concretizza il coinvolgimento bellico dell’Italia, cioè la decisione sul quadro normativo per l’invio delle armi a Kiev, propedeutica di vari pacchetti di aiuti militari nel 2023.

(La questione è da noi affrontata non dimenticando che ad invadere l’Ucraina, il 24 febbraio 2022, è stato l’esercito russo. Ma con la consapevolezza che dobbiamo considerare la guerra in sé il vero “aggressore” di noi tutt*, come spieghiamo meglio nel comunicato che ti sottoponiamo).

Vi sono già stati due momenti, due dibattiti parlamentari, praticamente disertati, il 30 novembre 2022 (zero a protestare in strada su centomila del 5 novembre) e il 13 dicembre 2022 (sempre sui centomila, solo cinque “digiunatori” organizzati dai Disarmisti esigenti per presidiare Largo Argentina).

L’inazione sul fronte principale centrale infatti agevola il cedimento di tutte le resistenze territoriali e di spazi sociali contro la militarizzazione e di tutte le campagne e i progetti particolari collegati al tema pace, ed educazione sociale alla pace, versus guerra.

L’opposizione alla “Guerra grande in Ucraina” è il punto di scontro decisivo cui si agganciano tutti gli altri terreni di conflitto; ed è paradossale che proprio su questo punto la stessa “stampa con l’elmetto” riconosca ai “pacifisti” una sintonia con le opinioni e i sentimenti maggioritari del popolo italiano.

La domanda è: chi e perché di fatto boicotta il dialogo tra “popolo della pace” e “popolo” in senso lato e proprio?

Il massimalismo parolaio collegato all’opportunismo nei fatti è forse una anomalia storica impensabile o non ha invece dei tristi precedenti?

Non c’è, ad esempio, una qualche analogia con la vigilia del 1914? 

Si facevano allora congressi internazionali che proclamavano pomposamente “guerra alla guerra”, poi quando si trattò di scegliere sul serio il ruolo da svolgere i partiti della Seconda Internazionale votarono per finanziare lo sforzo bellico delle proprie borghesie nazionali gettando alle ortiche l’unità, sempre invocata a parole, del proletariato mondiale.

Il Partito Socialista Italiano ripiegò su un penoso “NON aderire né sabotare”.

Chi oggi, in modo similare, copre una sinistra più atlantista e guerrafondaia dei propri riferimenti geopolitici originali (gli USA, la NATO)?

Siamo in grado di porre queste domande crediamo senza vecchie zavorre ideologiche perché adottiamo il punto di vista di organizzazioni antimilitariste nonviolente centenarie, nate proprio per opporsi allo sterminio umano della Prima Guerra Mondiale, e portatrici di visioni e pratiche ispirate all’alternativa nonviolenta considerata attuabile qui ed ora…

Alfonso Navarra – portavoce dei Disarmisti esigenti /// cell. 340-0736871

(membri Internatonal Campaign Against Nuclear Weapons (

ICAN), premio Nobel per la pace 2017; e membri War Resisters International (WRI) per il tramite della Lega Obiettori di Coscienza)

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DIGIUNO DI COERENZA” CONTRO IL DECRETO PER L’INVIO DELLE ARMI ALL’ESERCITO UCRAINO di Alfonso Navarra

Comunicato stampa del 6 gennaio 2023
GUERRA IN UCRAINA, I DISARMISTI ESIGENTI
ORGANIZZANO IL “DIGIUNO DI COERENZA” CONTRO
IL DECRETO PER L’INVIO DELLE ARMI ALL’ESERCITO
UCRAINO
APPELLO PER PRESIDI INFORMATIVI IN TUTTA
ITALIA (ciascun soggetto con contenuti e modalità
autogestiti)

10 GENNAIO
PIAZZA DELLA ROTONDA ROMA, VICINO IL PANTHEON (ore 15:00-19:00)
dedicato alla memoria di Antonia Sani, ex presidente WILPF Italia
Il 10 gennaio 2023 viene sottoposto a voto parlamentare al Senato, il
decreto del Consiglio dei Ministri n. 185 del 2 dicembre 2022* per
prorogare «fino al 31 dicembre 2023» l’invio di mezzi, materiali ed
equipaggiamenti militari all’esercito ucraino al fine di combattere
l’invasione russa.
 * Si veda l’appendice sotto riportata: illustrazione del DL 185/2022 da parte del
servizio studi del Senato;

Si tratta di una proroga del provvedimento introdotto dopo l’inizio
della guerra dal governo Draghi, che era in scadenza a fine 2022.
In seguito al185/2022, che fa da cornice giuridica, all’inizio del
2023, il governo Meloni varerà il sesto decreto di aiuti militari (e gli
eventuali decreti successivi) all’Ucraina: per quanto ci è dato
sapere, si verrà incontro, da parte italiana, alla necessità

manifestata da Kiev di di avvalersi di sistemi missilistici di difesa
aerea per proteggere le infrastrutture energetiche dagli attacchi
russi.
Ma il nuovo pacchetto, stando a quanto promesso dal ministro della
Difesa Guido Crosetto, passerà in ogni caso da una comunicazione
parlamentare.
Si profila nel voto del 10 gennaio, come già avvenuto il 30
novembre, e il 13 dicembre 2022, una ampia “unità nazionale”,
trasversale rispetto agli schieramenti destra-sinistra (più
precisamente: centro-destra, centro-sinistra), perché le modalità
del decreto (segretezza della lista di armi riferita solo al COPASIR)
sono le stesse del governo Draghi votate a suo tempo anche da
Fratelli d’Italia.
Il decreto dovrà essere convertito entro sessanta giorni, quindi max
fine gennaio- primo febbraio 2023, e va a seguire il nodo sciolto
della approvazione delle legge di Bilancio, caratterizzata
dall’aumento delle spese militari in ottemperanza delle direttive
NATO (raggiungere il 2% del PIL entro il 2028).
Una parte dell’opposizione annuncia battaglia, a nostro giudizio
blanda; e su di essa pesano comunque le accuse di incoerenza e di
strumentalità. A prescindere dal grado di fondatezza delle critiche,
interfacciarsi con una presenza pacifista in piazza sarebbe per essa
un modo per limitare l’isolamento e la cattiva stampa, pronta a
scagliarsi contro chi tradisce la “causa della libertà” presuntamente
incarnata dal governo di Zelensky.
I Disarmisti esigenti, tenendo conto di questi dati politici, promuovono
un “digiuno di coerenza pacifista”, facendo seguito a un appello
portato alla manifestazione del 5 novembre, con l’invito ai
manifestanti, tramite striscione e volantino, a riconvocarsi quando si
sarebbe discusso in Parlamento l’invio delle armi all’Ucraina.
Si parla di “coerenza pacifista” perché, se ci battiamo affinché
“tacciano le armi”, ci sembra logico e doveroso darsi da fare per
impedire che l’Italia le passi a chi le usa per combattere in guerra.
Siamo contro la guerra e quindi siamo contro a che degli esseri umani
si sparino l’uno contro l’altro, a prescindere dalle ragioni e dai torti
reciproci. Anche se le ragioni fossero tutte da una parte e i torti tutti
dall’altra. Il che nella vita reale, nella Storia, quasi mai accade.
Un presidio si svolgerà, appunto il 10 gennaio, in piazza della Rotonda,
nei pressi del Pantheon, dalle ore 15:00 alle ore 19:00;
Verrà esposto lo striscione “OGGI NON ESISTONO GUERRE GIUSTE
(PAPA FRANCESCO)”, portato in quel corteo del 5 novembre (dalle
100mila presenze, non una però fattasi viva il 30 novembre e
nemmeno il 13 dicembre durante le discussioni parlamentari sulla
guerra in Ucraina) promosso allora da Europe for Peace e dalla CGIL
(più altri).
Oggi, a nostro giudizio, non ci sono più guerre giuste per due motivi:

1) perché, nella concreta situazione di guerra, qualsiasi impiego ormai
indispensabile di armi pesanti in battaglia oggi danneggia più gli
innocenti estranei che gli implicati direttamente nel conflitto e
danneggia la Terra, cioè il corpo vivente di tutti; 2) perché esiste, nella
risoluzione dei conflitti, l’alternativa efficace dei metodi di resistenza
nonviolenta.
(Non è azzardato stimare che la guerra con epicentro Ucraino oggi
produca molti più morti per fame in Africa e stia facendo saltare gli
accordi di Parigi sul clima globale).
Vi sono, al momento, cinque digiunatori promotori, Alfonso Navarra,
Ennio Cabiddu, Mino Forleo, Gianpiero Monaca e Marco Palombo.
Si aggiunge un supporto a distanza con Moni Ovadia, Turi Vaccaro,
Francesco Lo Cascio, Maria Carla Biavati, Alessandro Capuzzo, Totò
Schembari.
Il digiuno è dedicato alla memoria di Antonia Sani, già presidente
WILPF Italia, scomparsa il 12 novembre 2022.
La WILPF Italia aderisce allo sciopero, insieme ad altre organizzazioni
partners dei Disarmisti esigenti: la LDU, la LOC, IPRI-CCP, Per la
Scuola della Repubblica, Kronos, Marcia dei Girasoli/Comiso…
Altre adesioni sono in fase di raccolta (ad es. Fermiamo la Guerra di Firenze).
Presidi informativi di supporto sono già organizzati, ad es. a Trieste;
ed altri sono in via di preparazione in altre città.
Alfonso Navarra è il portavoce dei Disarmisti esigenti, Ennio Cabiddu
segue per l’organizzazione l’obiezione di coscienza alle spese militari e
l’opzione fiscale, Mino Forleo è il responsabile di Per la scuola della
Repubblica, Marco Palombo è della Rete No War di Roma.
Giampiero Monaca, maestro elementare, è impegnato a tutelare
l’esperienza di scuola attiva, all’aperto, cooperativa e partecipata di
Bimbisvegli
Dalle 18:00 alle 19:00 del 10 gennaio, diretta online su RADIO NUOVA
RESISTENZA al seguente link:https://streamyard.com/3vyvqhp2rg
Lo concepiamo, questo digiuno, come un giorno di riflessione e di
rinnovato impegno per trovare la strada di un rapporto di servizio con
il popolo italiano inascoltato per come andremo spiegando.
Nella consapevolezza che il concetto di “popolo” non coincide con
quello di “popolo della pace”, questo ultimo in buona parte
identificabile con i manifestanti del 5 novembre. Quindi si tratta di
costruire un ponte di dialogo e di servizio tra “popolo della pace” e
“popolo italiano”.
I digiunatori fanno rilevare che un movimento pacifista indipendente che

volesse fare il suo mestiere ed influire politicamente dovrebbe in primo luogo
farsi carico dei 4 punti su cui i media all’unanimità riferiscono di un consenso
popolare maggioritario.
I punti sono i seguenti:
1- Non rifornire di armi e di aiuti militari l’esercito di Kiev (pur solidarizzando
con il popolo martoriato dall’aggressione russa. Ma martirizzato anche da
una guerra che cresce in intensità e durezza, senza sapere dove si potrà
finire all’interno della logica che persegue la “vittoria militare”)
2- Darsi da fare diplomaticamente per “fare tacere le armi” (appunto) ed
avviare subito, senza precondizioni, trattative di tregua e poi di pace con
l’intervento dell’ONU
3- Non alimentare la corsa al riarmo né convenzionale né tantomeno
nucleare. Quindi riduzione delle spese militari e rifiuto di ospitare vecchie e
nuove bombe atomiche. Ancor meglio: aderire al Trattato di proibizione delle
armi nucleari e comportarsi di conseguenza fuoriuscendo dalla condivisione
nucleare NATO
4- Non alimentare una guerra economica parallela con quella militare: le
sanzioni energetiche alla Russia, in particolare, risulta chiaro che vanno a
danneggiare più i popoli che le élites che profittano dalle guerre.
È questo ultimo punto il contenuto più focalizzato dell’appello che ancora
sottoponiamo per le adesioni dal titolo:
SALVIAMO LA TERRA – BLOCCHIAMO LA GUERRA
Revochiamo le sanzioni energetiche contro la Russia che ci separano dalla
pace. Indirizziamoci invece verso la soluzione negoziata e cooperativa del
conflitto!
PACE SIGNIFICA ANCHE PANE!
I primi firmatari sono:
Alfonso Navarra – Antonia Sani – Luigi Mosca – Moni Ovadia – Alex Zanotelli –
Angelica Romano – Luciano Benini – Antonino Drago – Antonella Nappi … e
altre/i
Si vada, per leggere il testo al completo, e per sottoscrivere, al link:
https://www.petizioni.com/nonsiamoinguerra-nosanzioni/
I digiunatori auspicano che, con il 10 gennaio, dal 10 gennaio, una pluralità
di iniziative fiorisca declinando, con i valori e le posizioni delle varie
componenti dell’arcipelago, diverse impostazioni della esigenza sopra
indicata, ciascuna libera di esprimersi con le modalità che ritiene opportune.
Occorre intraprendere una discussione su come rendere l’iniziativa di
carattere continuativo, tenendo conto del fatto bisogna far sentire, da parte
del movimento, il fiato sul collo delle istituzioni tutte le volte che si andrà a
concretizzare con pacchetti di aiuti militari la “cornice giuridica” del “metodo
Draghi” per tutto il 2023. Cornice giuridica, varata nel CDM del 2 dicembre
2022, che sarà presto convertita in legge con un altro voto alla Camera. La
discussione dovrà inoltre affrontare come possono essere attivate
convergenze con altre campagne, ad esempio il sostegno agli obiettori sia
russi che ucraini (il fronte va prosciugato da ambedue i lati) e l’obiezione di
coscienza alle spese militari anche come protesta nei confronti della corsa
agli armamenti scatenata dallo scenario bellico in cui ci muoviamo.
Per adesioni e info: coordinamentodisarmisti@gmail.com – cell. 340-
0736871

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A Civitavecchia 270MW di eolico al posto del carbone

di Mario Agostinelli

Anche se i media continuano a sottovalutare la novità del progetto, il fatto che Nicola Zingaretti (PD presidente regione lazio) e Roberta Lombardi (M5S assessora  ambiente regione lazio) abbiano tenuto proprio in questi giorni di avvio della campagna elettorale una conferenza stampa congiunta sull’eolico offshore, che porterà occupazione, taglio di CO2, e riconversione dell’attività manifatturiera a Civitavecchia è un segnale nazionale, che non va affatto trascurato. La platea che ha seguito l’annuncio era formata da tutti i soggetti sociali e politici che hanno concorso all’abbandono e alla riconversione a rinnovabili del grande impianto a turbogas (1840 MW) originariamente previsto e approvato dal piano energetico nazionale (PNIEC). Naturalmente occorrerà mantenere alta l’attenzione sull’effettiva attuazione di una svolta sostenuta da una mobilitazione unitaria, responsabile ed indicativa di una consapevolezza vasta sulla crisi climatica in corso.

Mario Agostinelli

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quinta puntata del Diario da Vienna a cura di Alfonso Navarra

Mercoledì 22 giugno 2022 – quinta puntata del Diario da Vienna a cura di Alfonso Navarra

(conclusa alle ore 14:00)

APERTO UN POSSIBILE DIALOGO TRA PAESI NATO E IL PERCORSO DEL TPNW (CHE SI CONSIDERA COMPLEMENTARE RISPETTO AL TNP)

L’intervento della Germania stamattina: “Siamo qui come osservatori perché condividiamo la preoccupazione che non ci sono progressi verso il disarmo nucleare”

Estratto del mio pezzo odierno.

Alla conferenza di Vienna, prima parte denominata “Segmento di Alto Livello”, si susseguono le dichiarazioni degli Stati (alla fine del dibattito generale se ne conteranno 70) e gli interventi della società civile.

L’agenda ufficiale dell’incontro – l’elezione del Presidente (l’ambasciatore austriaco Kmentt), l’ordine del giorno, il regolamento interno e l’elenco delle ONG non accreditate ECOSOC (i Disarmisti esigenti sono tra queste) si sono svolte finora senza problemi.

Va tenuto presente che tutti i paesi possono partecipare alla riunione fino alla chiusura; quindi, non l’invito proveniente dalla dirigenza ICAN è quello di non smettere di spingere affinché i governi refrattari si presentino anche all’ultimo minuto. Ma per l’Italia con Draghi e Di Maio, questo sforzo francamente pare fatica sprecata! Il nostro governo non ha il coraggio di chiarire la sua posizione a livello internazionale, a differenza di Germania, Belgio e Paesi Bassi, anche essi Paesi NATO, e Paesi della condivisione nucleare NATO.

Oltre al modesto diario che propone il sottoscritto, per un resoconto completo delle giornate, è bene dare un’occhiata al Reaching Critical Will’s Nuclear Ban Daily (si vada su: https://reachingcriticalwill.org/disarmament-fora/nuclear-weapon-ban/1msp/reports). Oppure, per un riepilogo video, è possibile vedere MSP-TV (si vada su: https://vienna.icanw.org/live).

L’ordine del giorno della conferenza, approvato ieri, dà bene l’idea dei problemi in discussione e quindi del suo scopo.

Ogni mattina alle 9:00 ICAN riunisce i delegati della società civile per concordare le mosse e gli interventi da portare avanti nel corso dei lavori della conferenza.

Stamattina sono di particolare interesse gli interventi dei Paesi NATO e neutrali presenti come “osservatori”.

Il punto distintivo dell’intervento, per conto del governo tedesco, dell’ambasciatore Bohn, rispetto agli USA e alle altre potenze nucleari è però il riconoscimento di un possibile contributo positivo da parte del TPNW, che la NATO esclude.

“Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari vieta, tra le altre cose, il dispiegamento, il possesso e il transito, lo stoccaggio e lo stazionamento di armi nucleari.

Questi ampi divieti creano un conflitto di interessi tra il TPNW e le responsabilità che gli alleati NATO hanno assunto. Per questo motivo né la Germania né altri membri NATO hanno aderito al TPNW.

Tuttavia, il governo federale condivide la preoccupazione degli Stati parti del TPNW per la mancanza di progressi nel settore del disarmo nucleare“.

Bohn conferma che il governo federale, (in dissonanza con le posizioni ufficiali della NATO, questo lo sottolinea il sottoscritto), “proseguirà il dialogo con gli Stati parti del TPNW sulla questione di come si possano compiere ulteriori progressi in materia di disarmo nucleare nell’attuale contesto di sicurezza“.

Gira e rigira, tutto l’ordine (o il disordine, forse è un termine più acconcio per descrivere la situazione) nucleare internazionale in via di evoluzione, ruota intorno al nodo della possibile complementarietà del rapporto tra TPNW e TNP. Che significa che i due sistemi giuridici (e magari in futuro) organizzativi sono “complementari”?

Una risposta tenta di darla una proposta, elaborata da Irlanda e Tailandia, per rendere compatibili e complementari TNP e TPNW alla luce della implementazione (e dell’allargamento ad altri Stati, inclusi gli Stati NATO) del secondo.

Questo documento parte dalla premessa che: “In assenza di un quadro giuridicamente vincolante e vista la lentezza ritmo di attuazione degli impegni concordati in materia di disarmo del TNP, i negoziati e l’adozione del Trattato di proibizione sono uno sforzo da parte degli Stati non dotati di armi nucleari di progredire verso la piena attuazione dell’articolo VI del Trattato di non proliferazione. Questo è, dopotutto, un obbligo per tutti gli Stati parti del Trattato di non proliferazione.
Lungi dall’intaccare il Trattato di non proliferazione, l’insieme completo di divieti previsti dal Trattato di proibizione danno concreta espressione alle “misure efficaci” per il disarmo nucleare previste nel Trattato di Non Proliferazione“.

Da questa premessa nascono le raccomandazioni di Irlanda e Tailandia, in realtà facilitatori di un dibattito collettivo, alla Conferenza degli Stati parti del TPNW.

A questo punto possiamo porre una domanda: se riteniamo compatibile e complementare il TPNW con il TNP, perché non lo dovrebbero essere altrettanto la campagna ICAN e la campagna per il NO first use?

**********************************************************************

Alla conferenza di Vienna, prima parte denominata “Segmento di Alto Livello”, si susseguono le dichiarazioni degli Stati e gli interventi della società civile. Se ne conteranno circa 70 nel corso del dibattito generale. Queste dichiarazioni sono tutte del medesimo tenore. Si concentrano sulla crescente necessità di questo trattato come risposta alle minacce di utilizzare armi nucleari ed evidenziano il loro apprezzamento per i nuovi stati parti del TPNW: le ultime adesioni portano i ratificanti da 62 a 65.

L’agenda ufficiale dell’incontro – l’elezione del Presidente (l’ambasciatore austriaco Kmentt), l’ordine del giorno, il regolamento interno e l’elenco delle ONG non accreditate ECOSOC (i Disarmisti esigenti sono tra queste) si sono svolte senza problemi.

Per quanto riguarda la società civile, ecco alcune aggiunte rispetto a quanto resocontato ieri. Etica Responsible Investments ha rilasciato una dichiarazione a nome di 37 investitori, che rappresentano 230 miliardi di euro di asset in gestione. Sono intervenuti i sindaci di Hiroshima e Nagasaki, così come Merle Spellerberg, membro del Bundestag tedesco, quando ha presentato i parlamentari per il TPNW e l’esito della loro discussione.

Va tenuto presente che tutti i paesi possono partecipare alla riunione fino alla chiusura; quindi, non l’invito proveniente dalla dirigenza ICAN è quello di non smettere di spingere affinché i governi refrattari si presentino anche all’ultimo minuto. Ma per l’Italia con Draghi e Di Maio, questo sforzo francamente pare fatica sprecata!

Sembrano lontani i tempi in cui, nel 2017, sia il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che il sottosegretario Manlio Di Stefano, allora entrambi all’opposizione, misero le loro firme, insieme ad altri 244 parlamentari, un record a livello mondiale,

C’è rammarico per la decisione presa dal governo che perde l’occasione di poter discutere al tavolo, con rappresentanti di Paesi e società civile provenienti da tutto il mondo, il tema del disarmo nucleare reso sempre più urgente dal conflitto in Ucraina” sottolineano Rete Italiana Pace e Disarmo e Senzatomica.

Francesco Vignarca e Daniele Santi sono anche essi tra i delegati ICAN che circolano nelle sale dell’Austria Centre, building M, lo stesso della IAEA.

La dichiarazione di “Etica Responsable Investiment” è rinvenibile al seguente link:

https://divest.icanw.org/investors_address_1msp

Al seguente link si dà notizia del lancio dei “Parlamentari per il TPNW

https://www.icanw.org/parliamentarians_for_tpnw_launched

Oltre al modesto diario che propone il sottoscritto, per un resoconto completo delle giornate, è bene dare un’occhiata al Reaching Critical Will’s Nuclear Ban Daily (si vada su: https://reachingcriticalwill.org/disarmament-fora/nuclear-weapon-ban/1msp/reports). Oppure, per un riepilogo video, è possibile vedere MSP-TV (si vada su: https://vienna.icanw.org/live).

Andiamo ora sull’ordine del giorno della conferenza, approvato ieri, che dà bene l’idea dei problemi in discussione e quindi del suo scopo.

1. Apertura della Riunione.
2. Elezione degli incarichi ufficiali:
(a) Elezione del Presidente;
(b) Elezione di altri funzionari.
3. Introduzione del Presidente.
4. Sessione di apertura ad alto livello: discorso del Segretario generale delle Nazioni Unite e indirizzi di funzionari di alto livello.
5. Adozione dell’ordine del giorno.
6. Adozione del regolamento interno.
7. Conferma del Segretario Generale dell’Assemblea.
8. Organizzazione del lavoro.
9. Credenziali dei rappresentanti all’Assemblea:
(a) Nomina dei membri del Comitato Credenziali;
(b) Relazione del Comitato delle Credenziali.
10. Scambio di opinioni generale.
11. Esame dello status e del funzionamento del Trattato e di altre questioni
importanti per il raggiungimento degli obiettivi e delle finalità del trattato:
(a) Dichiarazioni riguardanti la proprietà, il possesso o il controllo delle armi nucleari (articolo 2);
(b) Universalità (articolo 12);
(c) Termini per la rimozione dallo stato operativo e la distruzione di armi nucleari e altri ordigni esplosivi nucleari e la loro rimozione dai territori nazionali (articolo 4);
(d) Autorità internazionale competente, compresa la verifica (articolo 4);
(e) Assistenza alle vittime, bonifiche ambientali e internazionali cooperazione e assistenza (articoli 6 e 7);

(f) Misure nazionali di attuazione (articolo 5);
(g) Altre questioni importanti per il raggiungimento degli obiettivi e delle finalità del
Trattato, come ad esempio:
io. Istituzionalizzare la consulenza scientifica e tecnica per l’efficace attuazione del Trattato;
ii. Struttura intersessione per l’attuazione del Trattato;
iii. Complementarietà del TPNW  con l’esistente regime di disarmo e non proliferazione.
12. Questioni finanziarie.
13. Preparativi per la seconda Riunione degli Stati Parte.
14. Altre questioni.
15. Esame e adozione del documento finale dell’Assemblea.
16. Chiusura dell’Assemblea

Ogni mattina alle 9:00 ICAN riunisce i delegati della società civile per concordare le mosse e gli interventi da portare avanti nel corso dei lavori della conferenza.

Stamattina sono di particolare interesse gli interventi dei Paesi NATO e neutrali presenti come “osservatori”. I Paesi NATO che hanno preso la parola hanno rafforzato la loro condanna della minaccia russa di utilizzare armi nucleari durante l’aggressione militare dell’Ucraina.

Susy Snyder del board di ICAN osserva con una qualche ironia:

È sempre bello vedere gli Stati (soprattutto quelli con armi nucleari nelle proprie politiche di sicurezza o sul proprio territorio) parlare dell’irresponsabilità e del pericolo in cui si trova il mondo quando un paese minaccia di usare armi nucleari. In modo schiacciante, gli stati osservatori si sono finora impegnati in modo costruttivo nelle discussioni, cercando modi per sostenere i principi umanitari nel trattato, compresa l’assistenza alle vittime e il risanamento ambientale, e suggerendo che questi temi dovrebbero essere trasferiti anche al TNP“.

L’ambasciatore Rüdiger Bohn stamattina è intervenuto a Vienna per la Germania ribadendo che l’obiettivo di Berlino rimane “un mondo libero dalle armi nucleari“. E fino a qui siamo nella normale retorica NATO, cui si conformano tutti gli Stati membri dell’Alleanza. Bohn ha ribadito che, nonostante l’aggressione russa dell’Ucraina, “sono necessarie deterrenza e difesa credibili per salvaguardare la nostra sicurezza in Europa“, allo stesso tempo, “il governo federale è impegnato nell’obiettivo di un mondo senza armi nucleari e quindi anche una Germania senza armi nucleari“. Sulla via verso questo obiettivo la Germania e tutta la comunità degli Stati avrebbero “urgente bisogno di un nuovo slancio per il disarmo nucleare. Il governo federale intende assumere un ruolo guida in questo settore“.

Bohn ha sottolineato, come fanno tutti i membri NATO, che il pilastro su cui costruire il disarmo resta sempre il TNP.

Per la Germania, il quadro centrale per l’azione nel campo del disarmo nucleare e della non proliferazione rimane il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), a cui hanno aderito quasi tutti i paesi del mondo. Nel contesto dell’iniziativa di Stoccolma, la Germania, in collaborazione con i partner, ha sviluppato proposte concrete per rafforzare il TNP e quindi ha aperto un modo per rendere il mondo più sicuro dalle armi nucleari“.

Il punto distintivo rispetto agli USA e alle altre potenze nucleari è però il riconoscimento di un possibile contributo positivo da parte del TPNW, che la NATO esclude.

Un altro forum di scambio sull’ obiettivo comune di un mondo più sicuro dalle armi nucleari è l’incontro degli Stati parti del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW), cui ora la Germania sta presenziando in qualità di Stato osservatore.  

Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari vieta, tra le altre cose, il dispiegamento, il possesso e il transito, lo stoccaggio e lo stazionamento di armi nucleari.

Questi ampi divieti creano un conflitto di interessi tra il TPNW e le responsabilità che gli alleati NATO hanno assunto. Per questo motivo né la Germania né altri membri NATO hanno aderito al TPNW.

Tuttavia, il governo federale condivide la preoccupazione degli Stati parti del TPNW per la mancanza di progressi nel settore del disarmo nucleare“.

Bohn conferma che il governo federale, (in dissonanza con le posizioni ufficiali della NATO, questo lo sottolinea il sottoscritto), “proseguirà il dialogo con gli Stati parti del TPNW sulla questione di come si possano compiere ulteriori progressi in materia di disarmo nucleare nell’attuale contesto di sicurezza“.

L’ordine del giorno è continuato, con una discussione su modi e mezzi per convincere altri a partecipare al trattato, la strada considerata da ICAN verso l’universalizzazione. Indonesia e Costa Rica hanno fatto riferimento al working paper presentato a questa conferenza. Stati come la Malesia, che sono pronti a collaborare con il CICR, i Centri regionali per il disarmo delle Nazioni Unite e altri e terranno in seguito una tavola rotonda regionale sull’universalizzazione quest’anno.

Più tardi nel pomeriggio sono stati discussi gli articoli 6 e 7 del trattato sul risanamento ambientale e l’assistenza alle vittime. Guardando il piano a lungo termine per questi problemi. Gli interventi di Léna Normand e Hinemouera Cross dell’Associazione 193 (Polinesia francese) hanno fatto esplodere nella sala un fragoroso applauso e il presidente li ha ringraziati non solo per il loro intervento, ma per aver testimoniato gli orribili impatti a lungo termine delle armi nucleari su la loro patria e la loro salute.

Per illustrare questi impatti dei test e le comunità di resistenza in tutto il mondo, ICAN ha lanciato una mappa dei test nucleari per aiutare le persone a conoscere i test nucleari, le comunità colpite e l’attivismo per la giustizia.

La sessione si è conclusa con qualche minuto di anticipo e domani la bozza di dichiarazione sarà fatta circolare per la discussione e (incrociando le dita) l’adozione! Quando sarà bene messa a punto, ICAN farà circolare alcuni punti di discussione da utilizzare per la sensibilizzazione della stampa locale.

Ripensando all’intervento dell’ambasciatore tedesco, ecco quanto mi viene da osservare. Gira e rigira, tutto l’ordine (o il disordine, forse è un termine più acconcio per descrivere la situazione) nucleare internazionale in via di evoluzione, ruota intorno al nodo della possibile complementarità del rapporto tra TPNW e TNP. Che significa che i due sistemi giuridici (e magari in futuro) organizzativi sono “complementari”?

Nel preambolo del TNPW troviamo riaffermato che “esiste l’obbligo di perseguire in buona fede e concludere negoziati che conducano al disarmo nucleare in tutti i suoi aspetti sotto un controllo internazionale rigoroso ed efficace”. E ribadito inoltre che “l’attuazione completa ed efficace del Trattato di Non Proliferazione delle armi nucleari, che costituisce la pietra angolare del disarmo nucleare e del regime di non proliferazione, ha un ruolo fondamentale per promuovere la pace e la sicurezza internazionali”.

Quindi per lo stesso TPNW la pietra angolare del disarmo nucleare è il TNP. Esiste poi uno specifico articolo 18 dedicato ai rapporti con gli altri accordi che recita:

L’attuazione del presente Trattato non pregiudica gli obblighi assunti dagli Stati Parti per quanto riguarda gli accordi internazionali esistenti di cui sono parte, laddove tali obblighi siano coerenti con il trattato“.

L’articolo 4 del TNPW è strategico perché intitolato e indirizzato “Verso la totale eliminazione delle armi nucleari“. L’articolo in questione recita che “Ciascuno Stato Parte che dopo il 7 luglio 2017 abbia detenuto, posseduto o controllato armi nucleari o altri dispositivi esplosivi nucleari e abbia eliminato il programma relativo alle armi nucleari, compresa l’eliminazione o la conversione irreversibile di tutte le strutture correlate alle armi nucleari prima dell’entrata in vigore di questo Trattato per tale Stato Parte, coopererà con l’autorità internazionale competente designata ai sensi del paragrafo 6 del presente articolo per verificare l’eliminazione irreversibile del proprio programma relativo alle armi nucleari“. (…)

Al secondo comma troviamo scritto che : “Ciascuno Stato Parte che, in deroga all’articolo 1, lettera a), detiene, possiede o controlla qualsiasi arma nucleare o altri dispositivi esplosivi nucleari, deve immediatamente rimuoverli dallo stato operativo e distruggerli non appena possibile, ma non oltre un termine da determinare durante la prima Riunione degli Stati Parte, in conformità a un piano giuridicamente vincolante e con scadenza per l’eliminazione verificata e irreversibile del programma sulle armi nucleari di tale Stato Parte, compresa l’eliminazione o la conversione irreversibile di tutte le strutture connesse con le armi nucleari“. (…)

Al comma tre leggiamo: “Uno Stato Parte cui si applica il paragrafo 2, deve concludere un accordo di salvaguardia con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica sufficiente a fornire garanzia credibile della non deviazione del materiale nucleare dichiarato da attività nucleari pacifiche, e dell’assenza di materiale nucleare o attività non dichiarate nello Stato nel suo complesso“. (…)

Abbiamo una proposta, elaborata da Irlanda e Tailandia, per rendere compatibili e complementari TNP e TPNW alla luce della implementazione (e dell’allargamento ad altri Stati, inclusi gli Stati NATO) del secondo.

Questo documento parte dalla premessa che: “In assenza di un quadro giuridicamente vincolante e vista la lentezza ritmo di attuazione degli impegni concordati in materia di disarmo del TNP, i negoziati e l’adozione del Trattato di proibizione sono uno sforzo da parte degli Stati non dotati di armi nucleari di progredire verso la piena attuazione dell’articolo VI del Trattato di non proliferazione. Questo è, dopo tutto, un obbligo per tutti gli Stati parti del Trattato di non proliferazione.
Lungi dall’intaccare il Trattato di non proliferazione, l’insieme completo di divieti previsti dal Trattato di proibizione danno concreta espressione al “misure efficaci” per il disarmo nucleare previste nel Trattato di Non Proliferazione“.
La conclusione è quindi che “le disposizioni del Trattato di proibizione sono pienamente coerenti con e complementari al Trattato di non proliferazione” e questo punto è stato sempre sottolineato dagli Stati aderenti al TNPW nelle sessioni di revisione del TNP. Questo sarebbe motivato dal fatto che “inquadrando le armi nucleari attraverso il Trattato di proibizione, i suoi Stati parti hanno creato un quadro giuridico che può aiutare ad attuare l’articolo VI del Trattato di non proliferazione e raggiungere un mondo libero dalle armi nucleari – un obiettivo che tutti Gli Stati parti del Trattato di non proliferazione, compresi gli Stati dotati di armi nucleari, hanno pubblicamente dichiarato come loro obiettivo. Il Trattato di proibizione sostiene anche l’obiettivo di non proliferazione del Trattato di non proliferazione. Attraverso il suo focus sulle conseguenze umanitarie e i rischi inerenti alle armi nucleari, il bando serve a sottolineare e rafforzare il tabù contro l’acquisizione delle armi nucleari“.

Da questa premessa nascono le raccomandazioni di Irlanda e Tailandia, in realtà facilitatori di un dibattito collettivo, alla Conferenza degli Stati parti del TPNW, che di seguito riportiamo.

La complementarità tra Trattato di proibizione e non proliferazione Trattato è già accettata dagli Stati parti del Trattato di proibizione. Tuttavia, il continuare a sottolineare e sensibilizzare rispetto a questa complementarietà tra gli Stati non parti, in maniera fattuale, potrebbe aiutare a perseguire gli obiettivi universalizzazione ai sensi dell’articolo 12 del Trattato di proibizione. In questa prospettiva, dovrebbe essere data considerazione alle seguenti eventuali raccomandazioni per la prima Riunione di Stati parti del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari:
(a) Gli Stati parti potrebbero, come parte dei documenti finali del loro primo
meeting, includere un linguaggio specifico per riconoscere la compatibilità di, e
complementarità tra il Trattato di proibizione e il Trattato di non proliferazione;
(b) I documenti finali della conferenza potrebbero anche riconoscere che il futuro lavoro del Trattato di proibizione, compresa la designazione del autorità internazionale competente, dovrebbero essere condotte in modo da basarsi su
la complementarità esistente con l’attuale disarmo nucleare e regime di non proliferazione;
(c) Gli Stati parti del Trattato di proibizione sono incoraggiati a sottolineare il
complementarità del trattato con il disarmo e la non proliferazione esistenti, anche alle riunioni preparatorie della conferenza e le Conferenze di Riesame delle Parti del Trattato di Non Proliferazione, e con iniziative e raggruppamenti pertinenti relativi al disarmo nucleare;
(d) La prima Riunione degli Stati Parte al Trattato di Proibizione dovrebbe
prendere in considerazione la nomina di un facilitatore informale per esplorare ulteriormente e articolare i possibili ambiti di tangibile cooperazione tra il Trattato di Divieto e il Trattato di non proliferazione durante il periodo intersessionale;
(e) Il Trattato di proibizione dovrebbe cooperare con altri organismi internazionali,
come l’AIEA e la Commissione preparatoria per l’Organizzazione del Trattato per la messa al bando globale degli esperimenti nucleari, al fine di rafforzare la cooperazione, anche nei settori dei controlli e delle verifiche nucleari. Tale cooperazione dovrebbe rafforzare il complementarità tra il Trattato di Divieto, il Trattato di Non Proliferazione e l’articolo del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari;
(f) Gli Stati parti del Trattato di proibizione dovrebbero continuare a collaborare
su progetti di sensibilizzazione al fine di sensibilizzare non solo i Governi, ma
anche tra la società civile, il mondo accademico, i parlamentari e il pubblico in generale, compresi organizzazioni giovanili, per evidenziare la complementarità tra il Trattato di proibizione e l’attuale regime di disarmo e non proliferazione, compresi i trattati sulle  zone libere da armi nucleari”.

A questo punto possiamo porre una domanda: se riteniamo compatibile e complementare il TPNW con il TNP, perché non lo dovrebbero essere altrettanto la campagna ICAN e la campagna per il NO first use?

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quarta puntata del Diario da Vienna a cura di Alfonso Navarra

Martedi 21 giugno 2022 – quarta puntata del Diario da Vienna a cura di Alfonso Navarra

(concluso alle ore 17:00)

Martedì 21 giugno 2022 – quarta puntata del Diario da Vienna a cura di Alfonso Navarra

INIZIA A VIENNA LA CONFERENZA DI REVISIONE DEL TRATTATO DI PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI

Oggi, alle ore 10:00, è stata inaugurata dal presidente austriaco-l’Ambasciatore Alexander Kmentt – la prima riunione degli Stati Parti (MSP) del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW).

Ci sono all’Austria Center (settore M, nello stesso edificio che ospita l’IAEA), parlamentari (ho intravisto Laura Boldrini), sostenitori, esperti di politica, attivisti, creativi, funzionari delle Nazioni Unite e molti altri partecipanti della società civile e dei governi. Decisivo il ruolo di ICAN che con Beatrice Fihn, direttrice esecutiva della Rete, ha preso la parola subito dopo il segretario generale dell’ONU Guterres ed il presidente della Croce Rossa, Peter Mauer. L’intervento di Beatrice: “L’adozione di questo TNPW è frutto del ruolo chiave della società civile. Lavoreremo con i governi per implementare e universalizzare il Trattato” è stato concordato in una assemblea mattutina di ICAN che si è svolta alle ore 9:00.

Sono lì, tutte le persone che hanno riempito l’aula, tra le quali la nostra delegazione di Disarmisti esigenti e WILPF Italia, per discutere i progressi del trattato, lo stato del disarmo e della non proliferazione e pianificare il futuro dell’abolizione giuridica che deve evolvere in eliminazione effettiva degli ordigni.

In questa importante conferenza, gli Stati parti discuteranno le azioni necessarie per attuare gli obblighi previsti dal Trattato, comprese le azioni volte ad assistere le vittime dell’uso e dei test di armi nucleari, a risanare gli ambienti contaminati e ad universalizzare il Trattato.

In questo senso, ad avviso dello scrivente, il vero nodo è se l’incontro coglierà il problema di una maggiore flessibilità in entrata del TPNW e riuscirà a fissare una scadenza per l’eliminazione delle armi nucleari per gli Stati dotati di armi nucleari che decidessero di aderire al Trattato.

Nel momento in cui scrivo, sono in corso numerosi interventi, che alternano i delegati degli stati ed esponenti della società civile. Quale esempio di un discorso svolto dalla seconda categoria di partecipanti, riporto sotto un intervento del presidente del CICR, Peter Mauer.

Lo ritengo molto interessante perché batte sul punto che ritengo cruciale: trovare un modo di impattare sul Trattato di non proliferazione esplorando la complementarietà dei due strumenti.

La posizione dei disarmisti esigenti è che il TPNW deve essere riconosciuto in sede di TNP come una forma di attuazione dell’articolo VI di questo ultimo; quindi bisogna andare ben oltre il terreno proposto dalla Croce Rossa, cioè “la fornitura di assistenza alle vittime e la bonifica dell’ambiente naturale influenzato dall’uso o dalla sperimentazione di armi nucleari“…

Per questo riconoscimento da parte del TNP occorrerebbe, per una parte, la volontà di procurarselo; per l’altra, che gli Stati non nucleari battessero le scarpe sui tavoli del TNP per ottenere quel rispetto dalle potenze nucleari che ancora non è loro accordato.

Per ulteriori informazioni sulla prima riunione degli Stati parte, tornerò con una altra nota stasera; e comunque un consiglio è consultare il sito web della conferenza

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Peter Maurer: “La continua esistenza di armi nucleari è una delle più grandi minacce per l’umanità” | CICR (icrc.org)

Prima riunione degli Stati parti del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari

Vienna, 21 – 23 giugno 2022

 

Eccellenze, Signore e Signori,

Oggi è un momento storico.

Ci siamo riuniti qui per mettere in atto il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) e per plasmare il futuro del disarmo nucleare.

Un decennio fa, questo poteva sembrare illusorio. Oggi, una proibizione globale, inequivocabile e completa delle armi nucleari – le armi più catastrofiche mai create – è una realtà.

Dobbiamo questa realtà agli sforzi instancabili di molti:

  • Gli Stati, che con convinzione e determinazione, hanno preso iniziative per portare avanti negoziati multilaterali significativi, sapendo che, a causa della vastità dell’impatto catastrofico delle armi nucleari, le preoccupazioni umanitarie dovevano venire prima di tutto.
  • Società Nazionali della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, che, insieme al CICR, non hanno cessato di chiedere l’abolizione delle armi nucleari da quando le prime bombe atomiche sono state fatte esplodere a Hiroshima e Nagasaki.
  • Organizzazioni della società civile audaci e ambiziose, che nel corso degli anni hanno contribuito a costruire l’impulso e lo slancio che hanno portato all’adozione del TPNW.
  • E il coraggio incrollabile e la speranza dei sopravvissuti all’uso e ai test delle armi nucleari, che hanno guidato i nostri sforzi fin dall’inizio e che non smettono mai di ispirarci. Dobbiamo loro questo trattato.

 

La continua esistenza di armi nucleari è una delle più grandi minacce per l’umanità. Il loro uso avrebbe conseguenze umanitarie catastrofiche, in grado di mettere in pericolo la sopravvivenza stessa del nostro pianeta. I rischi di tale uso sono in crescita, sia in termini di probabilità che di entità degli effetti.

In un momento in cui, sullo sfondo del conflitto in Ucraina, le teorie della deterrenza nucleare sembrano riacquistare vigore e apparente legittimità, è fondamentale rifocalizzare il dibattito su ciò che un uso di armi nucleari – anche una cosiddetta arma nucleare “tattica” a basso rendimento – significherebbe per civili e combattenti, e per l’ambiente naturale da cui tutti dipendiamo.

Se un’arma nucleare dovesse esplodere all’interno o nei pressi di un’area popolata, nessuno Stato o organismo internazionale potrebbe affrontare adeguatamente l’emergenza umanitaria immediata né le conseguenze a lungo termine, né fornire assistenza sufficiente alle vittime.

Perché è così importante concentrarsi sulle conseguenze delle armi nucleari? Perché sono il punto di riferimento rispetto al quale deve essere giudicata l’accettabilità morale, etica e legale di un’arma e devono essere valutate le teorie della deterrenza.

Infatti, mentre lo scopo dichiarato della deterrenza nucleare è quello di mantenere la sicurezza nazionale e regionale, l’esistenza di armi nucleari pone gravi rischi per la sicurezza umana – tra cui la salute individuale e collettiva, il benessere, la sicurezza ambientale e alimentare, così come il clima.

Sono le catastrofiche conseguenze umanitarie delle armi nucleari – sulla salute umana, sull’ambiente, sulle generazioni future – che rendono queste armi disumane, immorali e – dall’entrata in vigore del TPNW – anche illegali secondo il diritto internazionale convenzionale.

Alla luce di queste conseguenze, secondo il CICR, è estremamente dubbio che le armi nucleari possano mai essere utilizzate in conformità con le regole e i principi del DIU.

Inoltre, qualsiasi uso di armi nucleari sarebbe ripugnante per i principi dell’umanità e i dettami della coscienza pubblica. Qualsiasi minaccia di usare armi nucleari è, secondo il CICR, altrettanto ripugnante, perché implica la possibilità di utilizzarle effettivamente.

Il disarmo nucleare è un imperativo umanitario e legale urgente.

La proibizione globale delle armi nucleari mediante il TPNW è un passo cruciale verso la loro eliminazione, che è una responsabilità vitale della comunità internazionale nel suo complesso. In attesa di ciò, è necessario adottare con urgenza misure efficaci di riduzione dei rischi. Questa è in primo luogo la responsabilità degli Stati dotati di armi nucleari e dei loro alleati.

Eccellenze, Signore e Signori,

Ora è il momento non delle parole, ma dei fatti.

La prima riunione degli Stati parti è una pietra miliare importante per il successo del trattato. Stabilirà un quadro per l’effettiva attuazione e la progressiva universalizzazione del TPNW e sottolineerà il significativo valore aggiunto del trattato all’interno della più ampia architettura di disarmo nucleare e non proliferazione. Invierà un chiaro segnale che il trattato è uno strumento credibile in grado di avere un impatto reale.

A tal fine, è importante trovare un equilibrio tra ambizione e realismo.

Il CICR ha presentato un documento di lavoro con raccomandazioni concrete agli Stati Parti sull’attuazione del trattato e sull’esito di questo incontro, che vi incoraggio vivamente a considerare.

Anche la cooperazione e l’assistenza con gli Stati al di fuori del TPNW possono contribuire in modo significativo all’effettiva attuazione del trattato. È pertanto importante sviluppare sinergie, anche nel contesto del trattato di non proliferazione, ed esplorare la complementarità dei due strumenti, in particolare per quanto riguarda la fornitura di assistenza alle vittime e la bonifica dell’ambiente naturale influenzato dall’uso o dalla sperimentazione di armi nucleari.

Il CICR, e il più ampio Movimento della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, continueranno a lavorare instancabilmente per rafforzare l’adesione al TPNW e la sua attuazione, e per promuovere il disarmo nucleare, fino a quando l’obiettivo di un mondo libero dalle armi nucleari diventerà realtà.

Vi auguro un incontro di grande successo.

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LA RIUNIONE PARALLELA DI YOUTH FOR TNPW

Sempre oggi 21 giugno all’Austria Centre si tiene il primo MSP giovanile che si affianca  al meeting principale degli Stati sul Trattato sulla proibizione delle armi nucleari: per una giornata di workshop, conferenze, advocacy e pianificazione per il futuro.

La Youth MSP riunisce più di 130 giovani provenienti da tutto il mondo con la passione per il disarmo nucleare e la non proliferazione. I delegati di Youth for TPNW portano esperienza in advocacy, politica, creatività, campagne, legge e tanti altri campi.

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AN Vienna 2a giornata

Buona Salute a tutt*, sono Alfonso Navarra, portavoce dei Disarmisti esigenti, tra le organizzazioni membre in Italia della rete ICAN (International to Abolish Nuclear Weapons), insignita nel 2017 del Premio Nobel per la Pace.

Da Vienna vi informo che abbiamo appena superato la prima tappa della “NUCLEAR BAN WEEK con la due giorni del forum di ICAN. Le altre due tappe che stanno arrivando sono la conferenza scientifica del 20 giugno e gli Stati che si riuniscono per revisionare il Trattato di proibizione delle armi nucleari (in sigla: TPNW) dal 21 al 23 giugno (sigla della riunione ONU: 1MSP).

Beatrice Fihn, direttrice esecutiva di ICAN, ha concluso i lavori del Forum verso le 16:00 del 19 giugno ospitando sul palco il numeroso staff di volontari (circa 40 persone) che con le attività di servizio hanno supportato organizzativamente l’incontro.

Il suo commiato è stato una decisa esortazione, tra gli applausi e le grida di giubilo dei partecipanti, a rimboccarsi le maniche sostanzialmente sulle modalità di lavoro fin qui percorse.

Lo slogan è semplice e – ad avviso di chi scrive – rischia anche una declinazione semplicistica: “The ban is the plan“. Si pensa cioéche il disarmo nucleare sarà la conseguenza della adesione progressiva degli Stati al TPNW. Siamo a quota 62 ratifiche, a poco a poco arriveremo a 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71, eccetera, insomma fino a includere, ratifica per ratifica, tutti i 193 Stati dell’ONU. Le potenze nucleari prima o poi firmeranno perché si convinceranno delle buone ragioni dei “proibizionisti” e saranno pressate dalla “stigmatizzazione” operata dall’opinione pubblica internazionale, mobilitata dai disarmisti e dai pacifisti.

Siamo stati oltre 600 attivisti qui a Vienna, con 50 eventi e oltre 100 relatori in due giorni: persone sopraffatte da un vortice di conversazioni settoriali più o meno approfondite, commoventi storie di sopravvissuti, serrati panel informativi.

La mattina l’introduzione era stata fatta dalla costaricana ElayneWhyte Gomez, che presiedeva i lavori della conferenza ONU che, il 7 luglio 2017, ha adottato il TPNW entrato poi in vigore il 22 gennaio del 2021, dopo la ratifica del 50esimo Stato.

Con Patrizia Sterpetti, la presidente di WILPF Italia, ho assistito questa domenica a due eventi, scegliendo tra altri tre che si svolgevano in contemporanea.

“Challenging Nuclearism and climate change”, con NyombiMorris e Hinamoeura Cross.

Subito dopo: “Impunity hides behind nuclear weapons” con Terrell Starr e Pavel Podvig.

Alle 14:30 ci siamo poi spostati di sala per seguire: “Sustain the momentum” con Allison Pytiak ed altre autorevoli personalità femministe.

Da questa discussione, Patrizia Sterpetti ed il sottoscritto, con Alessandro Capuzzo e con Fabio Sandri, siamo passati alla cerimonia finale con Beatrice Fihn, il momento festoso dei riconoscimenti allo staff e del saluto ai partecipanti.

Durante il grande festival avevamo potuto ascoltare in video il primo ministro della Nuova Zelanda e il ministro degli Esteri austriaco. Abbiamo ascoltato le testimonianze dei sopravvissuti ai test nucleari in Kazakistan, nelle Isole Marshall e in Nevada, così come i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki. Mentre tutto ciò era in corso, abbiamo saputo che altri Stati membri della NATO, Belgio e Paesi Bassi, hanno deciso di partecipare a 1MSP dal 21 giugno insieme a Germania e Norvegia. Anche l’Australia, un altro alleato nucleare degli Stati Uniti, parteciperà dopo le recenti elezioni che hanno portato a un nuovo primo ministro che è impegnato nel TPNW.

Per la partecipazione dell’Italia alla revisione del TPNW, invece, nessuna speranza si profila all’orizzonte. Anche se potremo registrare il contentino di una presenza ufficiale al convegno scientifico del 20 giugno, un incontro che però non comporta alcuna “compromissione” politica.

Domani, oltre 60 parlamentari di 30 paesi si incontreranno in preparazione per partecipare a 1MSP (la sigla della conferenza di revisione del TPNW) come osservatori non ufficiali dei loro paesi.

Nonostante, o forse a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, la sensazione che prevale tra i delegati pacifisti a Vienna è sicuramente quella dello slancio storico che si muove verso l’abolizione delle armi nucleari.

È stata messa a punto una notevole mole di pianificazione pratica e organizzazione per la prossima fase della campagna, che punta allo sfondamento del muro della NATO, forse sottovalutato nel suo spessore. Ciò significa, nelle indicazioni del Forum, lavorare più a stretto contatto con i parlamentari e le autorità locali, ma anche maggiori sforzi per disinvestire e lavorare con altri movimenti per ampliare le possibilità del movimento disarmista.

A me sembra che la formula del festival degli eventi sostituisca un dibattito assembleare che è sottovalutato e limitato sui problemi strategici che sfidano la campagna, con la guerra in Ucraina che invece è proprio lì a ricordarli. Probabilmente perché l’attivista tipico non si pone domande strategiche che identifica con l’astrattezza dei massimi sistemi: con stile anglosassone (anche se proveniente dall’Africa), misura il successo sui parametri quantitativi cui lo abituano modelli come la campagna contro le mine anti-uomo. La concretezza è avere un obiettivo semplice e chiaro e moltiplicare le adesioni su di esso: tutto il resto sarebbe bla bla politicista che non porta da nessuna parte.

Una parziale diversione, a mio avviso positiva, da questo abito mentale è stato invece l’evento “GIVE PEACE A CHANCE“, organizzato, tra gli altri, dalla WILPF e svoltosi, subito dopo il Forum ICAN, dalle 18:00 alle 22:00, alla OGB Catamaran, sempre a Vienna.

Maggiori info su organizzatori e programma al link:http://abfang.org/termine/friedenskonferenz-19-6-2022/

L’evento, focalizzato sull’intreccio tra crisi ecologico-climatica e minaccia nucleare, ha mirato a mettere insieme temi ecologici e temi disarmisti. Come ha sottolineato la moderatrice, Katerina Anastasiou, di Transform Europe: “Il disarmo e la riconversione dell’industria bellica sono elementi essenziali della necessaria trasformazione verso un futuro eco-sociale. In questa prospettiva la cosa più importante è il bando definitivo delle armi nucleari“.

Un contributo importante in apertura è stato “Voices for Peace from Ukraine and Russia“. Un confronto in videoconferenza tra l’obiettore ucraino Yurii Sheliazenko e l’obiettore russo Oleg Boldrov.

Per la WILPF è intervenuta Heidi Meinzolt, ed hanno anche parlato esponenti dell’IPPNW, degli Amici della Terra, di World Beyond the War, dell’ITUC, delle IPB…

L’intervento della serata che ho trovato più interessante è stato quello di Rebecca Johnson, cofondatrice di ICAN, campista a Greenham Common, direttore dell’Acronym Institute for Disarmament Diplomacy. Tema: “The nuclear Weapon Ban Treaty: Opportunities and Next Step”.

Ne riporto un momento significativo:

Dai miei anni analisi della diplomazia del disarmo, mi sono convinta che l’immenso potere strutturale delle P5 (le cinque potenze nucleari al Consiglio di sicurezza dell’ONU) e le dinamiche del possesso nucleare da parte dei quattro stati dotati di armi nucleari al di fuori del TNP, erano tali che avevamo bisogno, per sbloccare la situazione, di un trattato di divieto netto e inequivocabile. Il trattato doveva avere chiari divieti sull’uso di armi nucleari e sulle principali attività che avrebbero permesso a chiunque di produrle, acquisirle e dispiegarle; e aveva bisogno di dichiarare l’obbligo di eliminare le armi nucleari con alcuni principi di base, percorsi legali e strutture evolutive adattabili per come ciò sarebbe stato fatto.

Questa strategia – andare dritti per un divieto delle armi nucleari ai sensi del diritto internazionale umanitario, negoziato in un forum che sarebbe stato aperto a tutti i governi ma bloccabile da nessuno (in altre parole, le regole dell’Assemblea Generale) – è stata una sfida per molte organizzazioni nei movimenti per la pace di vari paesi. È nato perché sempre più persone sentivano che il tempo stava per scadere.

In sostanza, questo essere diretti e radicali è stata la strategia rivoluzionaria basata sul trattato che ICAN ha portato avanti. Dietro le quinte, i membri del gruppo direttivo ICAN e un crescente nucleo di diplomatici e governi hanno messo in moto la strategia alla Conferenza di revisione del TNP del 2010. Dopo solo 7 anni alla conferenza di New York del luglio 2017 la nave è stata costruita, varata ed è vigorosamente salpata. La rotta è stata tracciata e non resta che tenere la barra dritta fino alla meta finale…

L’elemento innovativo che caratterizza l’approccio di Rebecca è la consapevolezza che “il tempo stringe” e che, proprio in virtù di questa consapevolezza, occorre mobilitare i giovani sull’intreccio tra crisi nucleare e crisi climatica: per questo è stata tra le fondatrici di XR PEACE in Gran Bretagna.

Avevo fatto parte del Consiglio del Bulletin of the AtomicScientists dal 2001 al 2007, e così ho preso parte alle discussioni annuali su dove dovrebbero stare le lancette del “DoomsdayClock”. Con l’aumento dei pericoli nucleari e la crescente consapevolezza della distruzione del clima come minaccia a livello di estinzione che richiede un’azione internazionale collettiva, chiaramente non abbiamo più il tempo di continuare ad assecondare gli stati dotati di armi nucleari che hanno bloccato la maggior parte, se non tutti, i passi pratici proposti nelle conferenze del Trattato di non proliferazione, ormai ridotte a tribune inconcludenti“.

Rebecca ha individuato il prossimo fronte della avanzata del TPNW nella evaporazione della condivisione nucleare NATO:

Essenzialmente, il principale ostacolo al disarmo nucleare è che il P5 è diventato presto dipendente dallo status internazionale, dal potere interno, dall’amplificazione della proiezione di forza (come la vedevano) e dai cosiddetti “diritti” che amavano credere che le armi nucleari conferissero. Le loro giustificazioni, e la sfilata delle loro armi, hanno giocato un ruolo importante nel guidare la proliferazione, così che ora ci sono nove nazioni dotate di armi nucleari e molti più rischi e pericoli nucleari.

La NATO è nata come un’alleanza militare guidata dagli Stati Uniti, ma non era inevitabile che dovesse essere anche un’alleanza nucleare. Nella Guerra Fredda, le politiche degli Stati Uniti hanno reso le armi nucleari una caratteristica centrale della NATO, ma questo non è mai stato fondamentale per lo scopo di sicurezza dell’alleanza, i cui membri sono stati a lungo divisi e in conflitto sulle armi nucleari e le loro dottrine e politiche per il dispiegamento e l’uso. Per le loro ragioni militari-industriali e nucleari-economiche, gli Stati Uniti e il Regno Unito sono i principali motori della NATO per essere una “alleanza nucleare”. (La Francia dotata di armi nucleari usa diversi argomenti, basati sulla sua umiliante occupazione nella guerra del 1939-45.)

Il TPNW è stato legalmente inquadrato per consentire ai membri della NATO di aderire purché pongano fine ad attività proibite come lo stazionamento di armi nucleari. E recenti sondaggi di opinione mostrano un forte e crescente sostegno al trattato in molti paesi della NATO, compresi i cinque che “ospitano” armi nucleari statunitensi sul loro territorio: Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia“.

Su una linea di approccio simile, la considerazione “strategica” di spazi aperti dai trattati internazionali, ha concluso la serata Alessandro Capuzzo, del movimento antinucleare di Trieste, in delegazione a Vienna con i Disarmisti esigenti.

Anche qui mi sembra importante lasciare ampio spazio al suo intervento, ricalcato sul working paper che ha indirizzato alla 1MSP di Vienna:

Il Trattato sulla messa al bando delle armi nucleari, che la maggior parte dei paesi membri delle Nazioni Unite ha istituito in base pressione della Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), di cui come Disarmisti esigenti siamo parte, può cambiare gli equilibri di potere tra stati nucleari e non, grazie a l’introduzione di una sostanziale trasparenza a vantaggio della società civile e dell’insieme Umanità.
In quanto cittadini del territorio che il Trattato di Pace del 1947 definì smilitarizzato e neutrali, siamo particolarmente felici e coinvolti nel percorso proibizionista.
Il Golfo di Trieste ospita, in contrasto con il Trattato di Pace, due porti militari di transito nucleare, Trieste in Italia e Koper-Capodistria in Slovenia. E la presenza stessa dei due centri urbani rende impossibile prevenire seriamente gli incidenti, che possono scaturire dai motori a  propulsione nucleare propulsione delle navi, dalla presenza a bordo di armi di distruzione di massa, e dalla possibilità di diventare un bersaglio nucleare.
Inoltre, il segreto imposto “per motivi di sicurezza” sulle notizie necessarie per una puntuale informazione, impedisce la valutazione del rischio in relazione ai pericoli esistenti; esso costringe le istituzioni a omettere parti importanti di informazioni e di conseguenza nasconde le situazioni di pericolo per la popolazione.
Pertanto, proponiamo alla Conferenza di Vienna per la revisione del TPNW l’avvio di casi studio sul rischio, e sulla mancanza di trasparenza in materia nucleare, da affidare alla Scuola di Prevenzione Nucleare dell’Agenzia Atomica (AIEA), presso il Centro Internazionale per la Fisica Teorica di Miramare a Trieste.
Interessanti casi di studio si potrebbero intraprendere anche per i dodici porti nucleari militari italiani (oltre a Trieste, Venezia, Brindisi, Taranto, Augusta, Castellammare di Stabia, Napoli, Gaeta, Livorno, La Spezia, La Maddalena e Cagliari) e per le basi aeree nucleari terrestri di Aviano e Ghedi. E chiediamo sempreispirandosi al Trattato per la messa al bando delle armi nucleari –una ripresa dei colloqui per la denuclearizzazione del Mare Mediterraneo, che coinvolga il nostro Golfo: teniamo sempre presente che esso è legalmente vincolato dal Trattato di Pace con l’Italia dopo la seconda guerra mondiale, alla Demilitarizzazione e alla Neutralità. Oggi, a cinque anni dalla sua approvazione, il Trattato è finalmente entrato in vigore e siamo, popolo della pace, a Vienna per esaminarne il contenuto e l’attuazione. Invitiamo gli Stati firmatari a considerare la proposta, e la sua fattibilità, resa possibile dai due Trattati citati nel Documento di lavoro del 2017: il bando nucleare o TPNW e il Trattato di pace del 1947 con l’Italia.
Un invito particolare è rivolto agli Stati iscritti nel Trattato di Pace con l’Italia, per il diritto di utilizzo del Porto Franco Internazionale di Trieste: Austria, Cechia, Francia, Gran Bretagna, Italia, Polonia, Slovacchia, Stati Uniti, Svizzera, Ungheria e tutti i paesi emersi dalla Jugoslavia e dall’Unione Sovietica.
Oltre a quanto menzionato, Australia, Belgio, Bielorussia, Brasile, Canada, Cina, Etiopia, sono coinvolti nel Trattato di pace con l’Italia anche Grecia, India, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Ucraina e Sud Africa“.

A conclusione di questa mia seconda puntata del diario da Vienna, tornando ad aspetti più immediatamente logistici ed operativi, ricordo che oggi parteciperò in qualità di giornalista accreditato da “IL SOLE DI PARIGI” alla Conferenza di Vienna del 2022 sull’impatto umanitario delle armi nucleari (HINW22Vienna), che si svolgerà presso l’Austria Center.

La conferenza riunirà rappresentanti statali, organizzazioni internazionali, comunità scientifica, sopravvissuti e società civile per discutere ed esplorare ricerche consolidate e nuove sulle conseguenze umanitarie e sui rischi delle armi nucleari.

Vi sarà la partecipazione del coordinamento ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons):https://vienna.icanw.org/humanitarian-impact-conference

E saranno questi i relator: https://vienna.icanw.org/speakers