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Evento – Guerre mediatiche, guerre dimenticate

Evento – Guerre mediatiche, guerre dimenticate

LUNEDÌ 20 GIUGNO 2022 ALLE ORE 18:00

Guerre mediatiche, guerre dimenticate

Guerre mediatiche, guerre dimenticate.
I civili soffrono mutilazioni o muoiono e chi governa lancia proclami.
Ucraina e Congo Repubblica democratica: analogie e differenze
Con la partecipazione di:
Alex Zanotelli
Chiara Castellani
Vittorio Agnoletto
Fabrizio Cracolici
Alessandro Marescotti
Giustino Melchionne
Milly Moratti
Paolo Moro
Partecipa e conduce:
Laura Tussi
A margine di un evento con Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto, Chiara Castellani e altri si vuole indagare sulle analogie e differenze tra l’Ucraina e la Repubblica democratica del Congo e le situazioni e condizioni in atto rispettivamente interagenti.

Il mio intervento vuole individuare che un fattore di analogia tra i due Paesi è proprio il nucleare. Infatti in Congo dalle miniere viene estratto l’uranio che è servito anche per costruire le bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki, mentre in Ucraina esistono centrali nucleari attive che, come accaduto vicino a Kiev all’inizio dell’attuale conflitto, possono diventare bersaglio per atti terroristici e azioni militari in tempo di guerra come quello attuale.

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La mondialità dell’ambientalismo

La mondialità dell’ambientalismo

Riprendiamo dall’Agenzia internazionale Pressenza una intervista di Laura Tussi a Mario Salomone . L’intervista è stata ripresa anche da AgoràVox Italia

Riprendiamo dall’Agenzia internazionale Pressenza una intervista di Laura Tussi a Mario Salomone . L’intervista è stata ripresa anche da AgoràVox Italia e dal blog di cultura Odissea, diretto da Angelo Gaccione

Mario Salomone è segretario della Rete mondiale di educazione ambientale – WEEC. In quali iniziative consiste questo importante incarico?

L’iniziativa più importante e prestigiosa, da cui è nata la rete, è quella dei congressi biennali, cui partecipano delegati provenienti da Paesi di ogni parte del pianeta – secondo i casi, cinquanta e oltre cento. Nel marzo scorso abbiamo tenuto l’undicesimo congresso a Praga, stiamo lavorando al dodicesimo nel 2024 e stiamo già cercando la sede per il tredicesimo nel 2026.

Cerchiamo di conservare l’eredità dei congressi passati, che documentiamo sul sito internazionale www.weecnetwork.org, e di mantenere vivi i rapporti tra i membri della comunità mondiale di pratica e di ricerca tra un congresso e l’altro, tramite il sito, le periodiche newsletter, i social media.

Un’altra funzione fondamentale è quella di curare la selezione delle candidature a ospitare i congressi, che finora hanno toccato tutti i continenti e di garantire la continuità di ispirazione e di metodo: ai comitati organizzatori locali diamo una serie di linee guida e portiamo sia tutta l’esperienza accumulata in quasi vent’anni dal primo WEEC in Portogallo, sia l’apporto scientifico della nostra rete internazionale. In questo modo conciliamo la continuità e la coerenza degli eventi, derivate dalla nostra azione, con l’apporto originale che il paese ospitante può dare grazie alla diversità di culture e di contesti. Si può dire, insomma, che ogni edizione del WEEC abbia una identità comune ben riconoscibile e allo stesso tempo una felice dose di originalità: non è lo stesso fare un congresso a Göteborg, a Bangkok o a Marrakech.

Mario Salomone è anche saggista e scrittore. Autore di numerose monografie, di saggi e articoli su riviste scientifiche e scrittore di romanzi e racconti. Da quali esperienze deriva questa sua poliedricità e da dove scaturisce il suo eclettismo nella scrittura?

Scrivere mi ha dato da sempre piacere e in questo mi sento vicino a quanto dice il mio amato Giacomo Leopardi nello Zibaldone. Per incentivarmi mio padre mi regalò una Olivetti Lettera 32 e da allora non ho mai smesso. Scrivere mi fa stare bene. Quanto alla varietà, direi che scaturisce dalla curiosità, che mi spinge a guardare più al futuro che al passato, e dall’idea di trasversalità e interconnessione propria della visione ambientale. La realtà è unica, siamo noi che la frammentiamo e ci chiudiamo in tante scatole, che dovremmo rompere.

Mario Salomone fa parte del comitato di direzione della Cattedra UNESCO in sviluppo sostenibile dell’Università di Torino. Può esporci l’importanza di questa sua esperienza di magistero?

Il bello di lavorare all’università è da un lato che ti costringe a studiare e ad aggiornarti continuamente e ti permette di trasferire quanto appreso in saggi e articoli scientifici e dall’altro ti mette a contatto con i giovani: fare lezione è un’esperienza stimolante e una spinta a ricercare e a rinnovarsi. Negli argomenti di cui mi occupo non è possibile riscaldare sempre la stessa minestra: viviamo in tempi di grande e crescente accelerazione, che sfidano a trovare nuovi dati e nuove risposte.

La Cattedra UNESCO in sviluppo sostenibile dell’Università di Torino inoltre è un bell’ambiente, per sua natura e mandato, centrata sui temi del presente e su un dialogo interdisciplinare sia con colleghi di tutti i dipartimenti dell’Ateneo torinese, sia con le altre cattedre UNESCO delle università italiane, che hanno dato vita a un coordinamento e hanno prodotto un interessantissimo documento comune, ponendosi all’avanguardia del mondo accademico del nostro paese.

Quali sono i libri più importanti che ha scritto e ai quali è più affezionato?

Quali siano i più importanti lo lascerei decidere ai lettori, anche se in generale ritengo più significativi i testi che maggiormente mettono in discussione il paradigma dominante (riduzionistico, “occidentale” e antropocentrico) e il nesso tra giustizia sociale e ambientale. I libri a cui sono più affezionato sono forse quelli di narrativa, come “Messaggio dal futuro”, romanzo fanta-ecologico giocato sui guai prodotti da una macchina del tempo, o i racconti, come il racconto lungo “Ippo” e quelli più brevi di pianeti immaginari o quelli usciti per alcuni anni su “Popotus”, il supplemento per bambini del quotidiano “Avvenire”. Sono affezionato anche ai romanzi non nati. Ad esempio, ce n’è uno, abbozzato, che mi curo nella mente da anni, ma è fermo un po’ per mancanza di tempo un po’, confesso, perché non ho ancora trovato la chiave giusta per risolverlo.

Una sua presa di posizione consapevole sul Premio Nobel per la pace a Ican, rete internazionale per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e per il disarmo nucleare universale. Tutti noi ecopacifisti e disarmisti ne siamo diretti testimoni e ci sentiamo chiamati a rammentare il valore implicito di questo Premio Nobel per la pace collettivo all’intera umanità ormai in pericolo e al tracollo, in balia dei venti di guerra mondiali.

Giustizia. Sociale e ambientale, di Mario Salomone -Doppiavoce, Napoli

Sono un convinto sostenitore del nesso pace-ambiente: lavoriamo tutti per costruire nelle menti e nei cuori (e si spera anche nelle politiche) la comunità planetaria di destino e bene hanno fatto i giurati del Premio Nobel a dare questo riconoscimento a Ican, certo più meritato che per tanti altri vincitori. Fratellanza e sorellanza tra esseri umani e tra umanità a pianeta costituiscono un ideale che ci accomuna. Sappiamo bene quanto grave sia l’impatto ambientale e lo sperpero vergognoso di risorse degli apparati militari anche in tempo di (cosiddetta) “pace”. Viceversa, le guerre e gli apparati militari servono a impadronirsi di risorse naturali, a presidiare rotte commerciali, a imporre modelli di produzione e consumo antiecologici e insostenibili, a produrre ingiustizia sociale e ambientale. Sostengo che la guerra mondiale permanente è cominciata con le vele e i cannoni nell’epoca delle conquiste coloniali, quando la dimensione e il costo degli eserciti europei sono aumentati di dieci volte nel giro di due secoli.

Scrive per noi

Laura Tussi, docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell’ambito delle scienze della formazione e dell’educazione. Coordinamento Campagna Internazionale ICAN – Premio Nobel per la Pace 2017 per il disarmo nucleare universale, fa parte dei Disarmisti Esigenti, gruppo membro della rete mondiale e premio Nobel per la pace ICAN.
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Rivista eco: L’amore universale contro il grande conflitto

Strategie antiviolenza, anti-fanatismo e anti-fondamentalismo. La guerra deve essere dipanata nel suo acceso livello di conflittualità tra le parti con le trattative, tramite la diplomazia, con i corpi civili di pace, le ambasciate di pace della nonviolenza, le azioni nonviolente nei luoghi implicati, la difesa popolare nonviolenta.

L’educazione alla pace a partire dai contesti plurali e multiculturali deve aprire al confronto di idee, alle verità dell’evidenza degli eventi, alla pace nelle comunità come la scuola in primis, la famiglia, il contesto esosistemico e l’ambito ecosistemico planetario, fino ad arrivare al bene della nonviolenza a livello mondiale e universale. La scuola è un microcosmo di azioni e relazioni e di atti e idee che si moltiplicano all’infinito in un contesto comunitario che è innanzitutto originato da relazioni, non per forza legami di pace e vita, ma purtroppo anche energia conflittuale, dal verbo latino cum-fligere, che implica il contrasto ossia l’istanza del contrasto tra le une e le une con le altre personalità sia a livello di interiorità sia di esternazione delle istanze conflittuali. Ma non per questo dobbiamo aborrire il conflitto a scuola, in famiglia, nei contesti micro-culturali.

Nell’ambito macrosociale il grande conflitto come, ad esempio, la crisi ucraina può sfociare, come accaduto, in una guerra che può diventare terza guerra mondiale e addirittura apocalisse nucleare anche solo per un incidente informatico.

La guerra deve essere dipanata nel suo acceso livello di conflittualità tra le parti con le trattative, tramite la diplomazia, con i corpi civili di pace, le ambasciate di pace della nonviolenza, le azioni nonviolente nei luoghi implicati, la difesa popolare nonviolenta: occorre lanciare nei luoghi del conflitto ponti di memoria, ponti di pace, intessere legami di relazioni e vincoli di collaborazione e compromesso pacifico e nonviolento tra una etnia e un’altra evitando il male assoluto dato dall’ideologia nazifascista. Il nazifascismo è il massimo dei mali e non è lecito intervenire e colloquiare con le forze violentiste del male assoluto.

La pace, un intreccio plurimo

La pace è un intreccio plurimo tra genti, minoranze e popolazioni ed è il microcosmo tra amici e fratelli e sorelle e compagni che si compone con tassello per tassello nella quotidianità come un universale mosaico di pace che vede l’interrelazione tra le nazioni, i paesi, gli Stati, le regioni, le località e così via. Nel mappamondo dobbiamo tracciare una linea virtuale di confronto e dialogo tra le istituzioni mondiali che si può trasformare appunto in virtuale, in reale in un compromesso interattivo di luce, di pace, di amore tra le popolazioni e le genti che abitano i continenti e gli Stati.

Come figli di una grande entità cosmica universale, abbiamo il dovere, il diritto, in quanto generati da madre Terra, dalla cosmogenesi infinita dell’universo, abbiamo il diritto e dovere di occuparci della nostra grande madre creatrice e tutelarla e difenderla dai dissesti climatici provocati proprio da noi genesi filiale per le eccessive emissioni di gas serra di origine antropica nell’atmosfera. Inoltre, un altro immane risvolto è l’ecatombe nucleare che divorerebbe l’umanità e tutta la sua storia e ogni sua traccia nell’universo.

Noi viviamo in un afflato d’amore cosmico che va oltre le ideologie religiose e i dettami delle molteplici parole delle fedi. Un amore universale che deriva dal femmineo, dal femminile cosmico che è creazione e procreazione all’infinito, nella miriade di costellazioni, di galassie, di arcipelaghi di stelle, di raggruppamenti di astri, della molteplicità senza mai fine dell’amore interstellare e universale e cosmogonico.

Giordano Bruno, un precursore

Giordano Bruno è un nostro precursore perché credeva convintamente e fino alla morte che Dio è l’universo. Quella sua convinzione lo ha portato al rogo della Santa inquisizione in campo dei fiori a Roma nel 1600. La scienza deve aggrapparsi al materialismo per ricollegarci al nostro futuro di umanità. Si assiste al risveglio e ritorno di un religioso dogmatico e feticista. Non si vuole l’eliminazione della fede in assoluto, ma la valorizzazione del concetto concreto della vita. La chiesa cattolica del medioevo ha addormentato tutto il campo della scienza e della ricerca con dei pilastri e dei dogmi integerrimi e imperscrutabili.

Oggi vi è un ritorno al fanatismo e al fondamentalismo religioso, ma la scienza si deve contrapporre in modo intelligente al radicalismo fideistico. La fede riduce anche la capacità di studio perché è tutto prescritto dalle sacre scritture. Il radicalismo religioso preclude la ricerca.

Margherita Hack con il Bosone X ha scoperto la genesi ultima dell’infinito da cui tutte le infinità degli universi derivano. Lei sosteneva che il genere umano deriva dalla moltitudine delle galassie e delle stelle e che probabilmente la nostra genia non è l’unica figlia dell’infinito.

Questi pensieri e ragionamenti devono condurre all’amore universale a amarci in quanto derivanti dalla cosmogenesi infinita dei pluriversi delle galassie e per questo a considerarci maggiormente come genere umano, come sorelle e fratelli e animali e vegetali derivanti dalle miriadi di stelle e aspirare a incontrare magari altre forme di vita lontane e per questo rifiutare ogni forma di odio, di violenza, di guerra su madre terra e in ogni altro pianeta.

Scrive per noi

Laura Tussi, docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell’ambito delle scienze della formazione e dell’educazione. Coordinamento Campagna Internazionale ICAN – Premio Nobel per la Pace 2017 per il disarmo nucleare universale, fa parte dei Disarmisti Esigenti, gruppo membro della rete mondiale e premio Nobel per la pace ICAN.
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Vite. Storie di migrazione

Un’altra storia Varese e Rete senza Frontiere Varese

presentano

VITE – STORIE DI MIGRAZIONE DI PAMELA BARBA EDIZIONE MIMESIS . – –

Foto e testi di Pamela Barba . —

Prefazione di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici . – –

Introduzione e Focus Africa di Giuseppe Musolino . – –

Approfondimento Soumaila Diawara . – –

Postfazione Roberta Ferruti . – –

 

VENERDÌ | 3 GIUGNO 2022

DALLE ORE 19.30

SEDE DI UN’ALTRA STORIA VARESE

VIA FRANCESCO DEL CAIRO, 34 – VARESE

 

Programma

Ore 19.30

Aperitivo

Inaugurazione Mostra fotografica

Musica dal vivo con

Valentin Mufila | Musicista congolese

ore 20.30

Presentazione del libro

Proiezione

ORE 21.00 circa

Pamela Barba | Fotografa indipendente . – –

dialoga con

Giuseppe Musolino | Un’altra storia Varese . – –

In collegamento online

Laura Tussi e Fabrizio Cracolici | Giornalisti . – –

Soumaila DIAWARA | Scrittore maliano . – –

Roberta FERRUTI | RE.CO.SOL . – –

 

CONTATTI: pamelab@outlook.it; varese@unaltrastoria.org

+39 320 687 3879 ; +39 338 707 5200 . – –

 

IL LIBRO

Un percorso tra fotografie e testi che tenta di dare delle risposte a delle domande: quale vita conducono arrivati in Italia? Perché partono? Quali sono i loro sogni? La fotografa ha trascorso con Nick, Ibrahim, Aries e Sophie del tempo, ha atteso la loro fiducia, ha assaporato la loro quotidianità condividendo pensieri e azioni. A distanza ravvicinata, per meglio comprendere e per farsi accogliere nella loro storia.

L’intento di questo lavoro, testi e foto insieme, è contribuire a contrastare e smontare stereotipi sulle migrazioni attraverso le testimonianze di chi, sulla propria pelle, le ha vissute in prima persona. Nei racconti e negli scatti si coglie un profondo rispetto delle persone protagoniste lungo tutto il lavoro d’introspezione, analisi e racconto svolti dall’autrice.

BIOGRAFIA AUTRICE

Pamela Barba (Ceglie Messapica, 1985) è una fotografa indipendente.

Si occupa principalmente di fotografia sociale, documentaristica e didattica.

 

 

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Sono morto come un vietcong. Leucemie di guerra

Sono morto come un vietcong. Leucemie di guerra

Giulia Spada, è autrice di un romanzo e soprattutto di un racconto di forte denuncia e coraggiosa presa di consapevolezza e di autentica decisione di assunzione di una grande responsabilità: la testimonianza per la pace.

di Laura Tussi

Una posizione netta, decisa e ferma contro la guerra. Giulia adesso scrive. Non si ferma e scrive “Sono morto come un vietcong”. Giulia si considera giustamente un’orfana di guerra. Suo padre è stato ucciso da una malattia che ha contratto nella zona di Teulada. Un territorio dal 1950 teatro di guerre chiamate “simulate”. E lei è convinta di questo omicidio causato dall’inquinamento bellico. Si spara, si bombarda, dal mare, da terra, dall’aria proprio ‘come in Vietnam’, in una geografia e tipologia della morte che è allucinante, inverosimile, macabra.

Un affronto, una ingiuria atroce alla Sardegna e alla salute di chi è costretto a respirare le polveri cancerogene della guerra, nelle zone militari e non solo, in un nefasto odore di morte. Ma Giulia non si arrende. Giulia scrive e denuncia. Proprio la morte del padre, ucciso nel 2003 da una leucemia, ha ispirato l’ultimo libro dell’ autrice da qualche tempo trasferita a Milano. Come tanti emigrati guarda con altri occhi una terra meravigliosa, la sua Sardegna, con tante potenzialità paesaggistiche, culturali, artistiche, turistiche e un patrimonio ambientale e umano unico che Giulia esprime soprattutto e in modo molto dettagliato e pertinente nel suo romanzo “Sono morto come un vietcong”.

Giulia era una bambina quando suo padre è morto. Nei discorsi nell’ambito della famiglia l’argomento provoca ancora troppo dolore, perché sembra ancora inverosimile morire di guerra, ma risulta sempre più una realtà spietata e più che mai di stringente attualità.

“Sono morto come un vietcong” è un romanzo e soprattutto un autentico e vero racconto di denuncia e testimonianza che vorrebbe aiutare i sardi e tutti gli attivisti per la pace a prendere coscienza di quel che accade. Lo Stato ha deciso di sacrificare una parte del territorio dell’Isola, che da Roma magari è lontano, ma che dalla geopolitica è giudicato scarsamente popolato, e quindi utile per certi scopi. Che per adesso sono solo militari, ma in futuro, molto probabilmente, teatro di guerra, di lutti, carneficine, massacri, stragi.

Il rischio non è solo quello di depositi di scorie nucleari in Sardegna.
I poligoni militari sono stati il primo passo.

Il caso di Quirra è sconcertante.

“Sono morto come un vietcong” è un viaggio di coraggio. E’ soprattutto un racconto di decisa e ferma denuncia nella Sardegna contemporanea militarizzata e colonizzata da eserciti di tutto il mondo, che testano le armi utilizzate nei vari teatri di guerra della Terra. La voce narrante è il padre dell’autrice. E’ un professore in un piccolo centro nel sud dell’Isola, che racconta ciò che accade intorno a lui: persone che muoiono di leucemie e tumori, animali che nascono deformi, a causa dell’attività della base militare vicina. L’autrice sceglie la forma del racconto e del romanzo per sollecitare una partecipazione sociale, al fine di dare un segnale di allarme alla comunità, per testimoniare la pace, per prendere, anche in prima persona, posizione netta contro la guerra, proprio intorno agli orrori della guerra nel nostro bel Paese, e per riflettere sul fatto che in questi luoghi non si muore solo di leucemie e tumori, ma di guerra appunto, e che dunque, chi rimane e continua a vivere nel dolore e nella terribile assenza, nel lutto, nell’odio, sono orfane, orfani, vedove e vedovi di guerra.

Giulia Spada, Sono morto come un vietcong. Leucemie di guerra.

Prefazione di Marilina Rachel Veca
Intervista di Paolo Carta
Edizioni “Sensibili alle Foglie”

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Intervista a Raffaele Crocco, il direttore della Pace

Raffaele Crocco, lei è giornalista Rai, documentarista e inviato televisivo e molto altro ancora. Ha ideato e dirige l’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo. Quale aspetto l’ha coinvolta di più in tutte queste attività e esperienze?

 

(Foto di www.atlanteguerre.it)

E’ davvero difficile scegliere, dare una priorità. In realtà, tutte le attività sono un insieme coerente, almeno coerente per me. Io amo viaggiare, raccontare storie ed ascoltarle, creare situazioni, mostre, oggetti. Mi piace fotografare. A questo aggiungo la militanza, cioè il tentativo di vivere nel modo più vicino possibile a come vedo e intendo il Mondo. Credo di aver sempre vissuto mettendo insieme tutto questo, senza fare grandi distinzioni.

Lei conduce un’intensa produzione giornalistica e un attivismo molto sentito e vero. Quali sono gli ideali che la ispirano maggiormente in questi ambiti di azione nonviolenta?

Il mio avvicinarmi al mondo della non violenza è stato graduale ed è un cammino ancora in corso. Io vengo da tempi ed esperienze politiche differenti, momenti e fasi della storia di questo paese in cui la violenza in politica – direi la militarizzazione della politica – era concepibile in chiave rivoluzionaria, di necessità di cambiamento. E’ stato l’incontro e il lavoro assieme a personaggi come Ernesto Balducci e Gino Strada e la lunga frequentazione della guerra a convincermi che la strada da seguire è un’altra. Il mio, comunque, resta un approccio molto “pratico” alla Pace, non ho la struttura, le conoscenze e la forza di chi pratica la nonviolenza da sempre. La mia scelta di campo, da questo punto di vista, è nell’affermazione dei diritti umani. E’ necessario farli diventare quotidiano e individuale strumento di misura, solo così – credo – riusciremo a far diventare la Pace il normale sistema di valori in cui vivere.

Gino Strada è stato un grande uomo di pace. Lei lo ha conosciuto e ha fondato nel 2003 con lui il quotidiano Peacereporter. Quali sono i contenuti e i valori più importanti che Gino Strada le ha trasmesso?

Gino era davvero un grande uomo di pace e anche lui – questa era una cosa che condividevamo – era arrivato ad affermare il no alla guerra per le esperienze avute sul campo. Era il nostro terreno comune, che si traduceva nel tentativo di dare concretezza, solidità, alle idee sulla Pace. Come Atlante delle Guerre – condiviso dal gruppo di Unimondo – da qualche tempo lavoriamo su uno slogan: costruire la Pace non significa essere più buoni, significa diventare più intelligenti. Ecco: con Gino avevamo in comunque la convinzione dell’intelligenza della Pace.

Ora Raffaele Crocco è anche il nostro direttore, il direttore di Unimondo. Può descrivere le sensazioni di questa, tra le tante, importante esperienza?

L’esperienza con Unimondo è davvero gratificante. Quando lo scorso anno mi è stata proposta la direzione – alcuni mesi dopo la morte di Piergiorgio Cattani – ho chiesto del tempo. Sapevo e so che si tratta di un impegno serio, che richiede tempo e passione e mi chiedevo se sarebbe stato possibile reggere la cosa mantenendo la direzione dell’Atlante, che dirigo e governo. Ora, a distanza di un anno, devo dire che la scelta di assumere il timone della testata è stata felicissima. Innanzitutto, perché il gruppo di lavoro è formidabile. Davvero, senza retorica. A partire da Alessandro Graziadei, un grande professionista, per arrivare a tutti coloro che collaborano, mi sono trovato a contatto con persone umanamente disponibili e professionalmente preparate. A questo, aggiungo il bel rapporto che ho con l’editore, che ha idee innovative. Insomma, una esperienza bella e importante, umanamente e professionalmente.

Una sua presa di posizione consapevole sul Premio Nobel per la pace a Ican, rete internazionale per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e per il disarmo nucleare universale, di cui tutti noi ecopacifisti e disarmisti siamo diretti testimoni e chiamati a rammentare il valore implicito di questo Premio Nobel per la pace collettivo all’intera umanità ormai in pericolo e al tracollo, in balia dei venti di guerra mondiali.

Più del Nobel per la pace a Ican, credo sarebbe il caso di fare una forte riflessione sull’atteggiamento che il nostro Paese e la parte di Mondo che consideriamo alleata ha rispetto alle armi nucleari. Dobbiamo ricordare che l’Italia non è tra i firmatari del trattato TPNW, votato nel 2017 dall’Onu e entrato in vigore lo scorso anno. Il trattato sancisce l’illegalità delle armi nucleari e ne vieta l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso. Insomma, dice basta agli ordigni. Lo hanno firmato 59 Paesi, ad oggi, e non siamo fra questi. Credo che ora più che mai, con la crisi Ucraina che infuria, dovremmo chiederci cosa significa avere nel Mondo migliaia di ordigni nucleari pronti all’uso e cosa voglia dire averne sul proprio territorio nazionale una ottantina.

Ucraina: guerra e vanità. Il conflitto letto dall’Atlante. Può narrare di questo suo nuovo libro e rilasciare una testimonianza di pace per tutti i giovani del mondo e un pensiero a questa nostra martoriato umanità ‘sull’orlo del baratro’?

Come per ogni guerra, quello che accade in Ucraina è complesso e semplice. E’ facile, ad esempio, la lettura del momento: c’è un aggressore, che è Putin e ci sono degli aggrediti, che sono i cittadini ucraini. Nulla al mondo giustifica un’aggressione militare e la comunità internazionale ha il dovere di proteggere chi è stato aggredito. Ha il dovere si salvargli la pelle e questo significa agire con le armi della politica, del diritto e dell’economia per fermare l’aggressore. E’ semplicemente stupido e pericolosamente ipocrita pensare di risolvere la guerra armando una delle parti. E’ come pensare di spegnere un incendio usando la benzina. Più complesso è ragionare su come si potrà costruire una pace vera, conoscendo gli antefatti, il ruolo avuto dagli attori e, soprattutto, il, drammatico immobilismo che c’è stato per otto anni da parte di tutti, anche da parte di chi oggi alza la voce e fa rullare i tamburi di guerra. Parlo dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, che potevano e dovevano agire prima. Questa è la guerra delle vanità, perché tutti stanno usando l’Ucraina come tavola da gioco, pensando che a vincere sarà chi si dimostra più forte e potente. Intanto, i missili e le bombe uccidono migliaia di civili e la guerra toglie il futuro ad un’intera generazione. Non è accettabile. Dovevamo agire prima. Ora, che è tardi, dobbiamo agire sapendo che le scelte non saranno indolore, che in questa lotta siamo coinvolti tutti. In modo nonviolento, ma ci siamo dentro. Perché il pacifismo non è, come qualcuno in malafede racconta, il mondo delle anime belle e un po’ frichettone. No: è il mondo dell’azione, della costruzione dell’alternativa e del confronto anche duro con la realtà. Essere pacifisti significa essere moderni, contemporanei, assolutamente dentro il proprio tempo, con consapevolezza, forza ed energia. Per queste ragioni il pacifismo fa paura.

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Trasmissione su Contropiano.org – La guerra continua ma fanno finta che stia finendo

Trasmissione su Contropiano.org – La guerra continua ma fanno finta che stia finendo

Mercoledì 18 Maggio 2022 ore 18.30

La guerra continua ma fanno finta che stia finendo . —

Introduzione:
La guerra continua e la crisi pure:
Giorgio Cremaschi . —
Le armi alimentano la guerra e la NATO:
Giorgio Beretta . —
La lotta per la pace ora:
Vittorio Agnoletto . —
Il Governo fa la guerra senza neanche il voto del Parlamento:
Simona Suriano . —
Perché sono dovuta fuggire dall’Ucraina:
Olga Ignatieva . —
La Palestina aggredita, in ricordo della giornalista uccisa:
Bassam Saleh . —
Antifascismo è pacifismo:
Laura Tussi e Fabrizio Cracolici . —

Conclusioni

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La Nuova Ecologia – Salone del libro di Torino: dalla nonviolenza all’ecologia, l’impegno nella lettura

 

Alla manifestazione, in programma dal 19 al 23 maggio al Lingotto fiere, presente anche Mimesi Edizioni. Con testi che invitano i lettori a riflettere sui grandi temi dei nostri tempi

di LAURA TUSSI

La valenza pedagogica e culturale della scrittura e della lettura rappresentano un antidoto, un modo per fornire strumenti al fine di sviluppare anticorpi contro l’indifferenza, l’odio, l’ignoranza e quindi contro ogni forma di violenza e di razzismo. Proprio per questo motivo, momenti e eventi come il Salone internazionale del libro di Torino, in programma dal 19 al 23 maggio 2022 al Lingotto fiere, sono fondamentali.

Come di consueto anche Mimesis Edizioni parteciperà insieme a centinaia di case editoriali e realtà editrici a questa nuova edizione del Salone. Saranno esposti i libri di autori molto noti e soprattutto saggi di docenti universitari, da Edgar Morin a Stéphane Hessel. Ci saranno tutti i libri inerenti temi che spaziano dalla storia della Resistenza e dell’antifascismo storico e sociale alla nonviolenza in tutte le sue forme e alla didattica e pedagogia della pace e della nonviolenza. Tra questi La violenza non è il mio destino, una forte testimonianza diretta di denuncia di una donna, Tiziana Di Ruscio, vittima di violenza e sopravvissuta al femminicidio.

Altro saggio interessante è Pamphlet ecologico, il libro postumo del docente universitario Virginio Bettini, già eurodeputato dei Verdi arcobaleno, un cardine intellettuale dell’ecologismo politico storico, assieme ad Alex Langer, Giorgio Nebbia, Laura Conti, Barry Commoner e altri. Questo libro vede gli importanti contributi scritti di Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e David Boldrin Weffort e il costante sostegno di Giorgio Cremaschi.

Sarà presente anche il libro Memoria e futuro con cui Mimesis Edizioni si interroga sul perché dei cambiamenti climatici e dei conflitti e delle guerre nel mondo a partire dalla memoria storica dei nostri partigiani e delle carte costituenti per i diritti umani che andrebbero sempre attuate e mai calpestate, come purtroppo accade sempre, per non dimenticare. Questo saggio annovera i contributi scritti di importanti personalità dell’impegno per la pace e il disarmo e dell’attivismo per la giustizia sociale, da Vittorio Agnoletto a Moni Ovadia ad Alex Zanotelli.

Altro importante saggio collettivo è Riace musica per l’umanità, che è stato anche presentato durante un’intervista a Mimmo Lucano condotta da Fabio Fazio nella trasmissione Che tempo che faE ancora altri libri che promuovono il Premio Nobel per la pace per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e per il disarmo universale nucleare con note di Resistenza, tra memoria e futuro per una nuova umanità. Vi aspettiamo tutti al Salone internazionale del libro di Torino.

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Pamphlet ecologico: un progetto che vive per la pace e l’ecologia

Pamphlet ecologico: un progetto che vive per la pace e l’ecologia

Bettini, Cracolici, Tussi

È appena uscito con i tipi della Mimesis Edizioni, a cura di Maurizio Acerbo, Fabrizio Cracolici, Paolo Ferrero, Laura Tussi, il libro di Virginio Bettini Pamphlet ecologico.

È sempre difficile e doloroso parlare di progetti futuri per un grande amico che ci ha lasciati da due anni. Ma questo libro per Virginio Bettini era proprio un vero e sentito progetto che abbiamo costruito insieme tassello per tassello come un grande mosaico di pace e dell’ecologia.

Dapprima quando Virginio era ancora in vita abbiamo riscontrato il piacere e la solidarietà per questo libro da parte del grande amico e compagno di viaggio Maurizio Acerbo, segretario nazionale del partito della rifondazione comunista, sinistra europea e poi subito di conseguenza di Paolo Ferrero, il vicepresidente della sinistra in Europa.

Assieme a questi importanti compagni di viaggio nelle presentazioni in pubblico dei nostri libri, abbiamo visto crescere il saggio anche con la collaborazione dello storico ecopacifista Alfonso Navarra e con il giovane ricercatore universitario David Boldrin Weffort amico di famiglia di Bettini e formatosi su tutti i suoi libri. E Virginio Bettini, ovunque sia adesso, è contento e felice di questo grande impegno perché lui, oltre a essere un ecologista di fama mondiale era un noto attivista ecopacifista, che non si è mai rinchiuso nella torre d’avorio dell’Accademia universitaria, ma si schierava con le lotte ecologiste, degli attivisti su vari fronti.
È legittimo ricordare che Virginio Bettini ebbe un grande ruolo nelle commissioni per lo stoccaggio della diossina fuoriuscita dall’Icmesa dopo il disastro ambientale gravissimo di Seveso. Inoltre con Barry Commoner fu in Vietnam per far bonificare i territori dalla diossina sprigionata dal napalm.

In seguito riuscì a salvare ampie aree del parco di Monza, il più grande parco recintato d’Europa, dalla lottizzazione. E poi che dire ancora di Bettini… È stato nelle più grandi commissioni di inchiesta contro il nucleare a livello nazionale e internazionale insieme al suo grande maestro Giorgio Nebbia.

E poi dall’Accademia che lo vide tra i più celebri docenti di ecologia del paesaggio e della valutazione dell’impatto ambientale non solo a Firenze, ma anche a Venezia e all’estero fino a ricoprire ruoli politici come eurodeputato nei Verdi Arcobaleno. In questo suo Pamphlet ecologico è racchiuso tutto l’intero sapere di un’intensa esistenza all’insegna della lotta per le tutele ambientali e soprattutto contro il nucleare. Bettini non è mai stato nella torre d’avorio degli intellettuali, ma come uomo di cultura e di conoscenza e soprattutto di pace si mise sempre al fianco di coloro che lottano per un mondo migliore ed è per questo che lo sentiamo sempre vicino e presente. Perché l’Ecologia non può essere senza pace e la pace non esiste senza Ecologia: sono dimensioni scientifiche ed esistenziali strettamente collegate e correlate. Perché la vera Pace sarà solo quando l’umanità farà pace con la Grande Madre Terra; solo allora gli uomini smetteranno di ammazzarsi per un lembo del pianeta e si uniranno per salvarlo salvando così se stessi e le future generazioni. Dunque Pamphlet ecologico è un progetto che vive sempre e sarà per sempre come ultima testimonianza e come importante lascito di Bettini nelle moltissime lotte di tutti noi attivisti per la pace e la tutela ecologica degli ecosistemi a livello planetario in una congiuntura tragica come l’attuale che richiede moltissimo l’apporto di pensatori pacifisti schierati per il bene e la salvezza dell’umanità intera.

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Lettera all’ANPI

Lettera all’ANPI

Perché mi è tanto cara l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia?

Premetto che da anni faccio parte dell’ANPI ricoprendo ruoli dirigenziali e in questo articolo vi spiego le mie motivazioni.

L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia nasce in un preciso momento storico, durante la seconda guerra mondiale.

L’associazione nasce per riunire tutte le realtà antifasciste presenti e per coordinare le azioni dei Partigiani in risposta all’occupazione nazifascista.

L’Anpi e i suoi Partigiani durante il congresso di Chianciano hanno aperto le loro porte a coloro che si sentono responsabili di ciò che è scritto nella Costituzione Italiana e nelle carte mondiali per i diritti umani.

Da questo momento i Partigiani hanno chiesto ufficialmente alle nuove generazioni di prendersi cura dell’associazione e di attuare i fondamenti della nostra Costituzione lottando e impegnandosi per la sua attuazione.

La mia appartenenza all’ANPI nasce da diverse esperienze vissute in questi anni.

Già da piccolo ho ascoltato le storie di Resistenza della mia famiglia, del nonno Ignazio che per non aver messo la firma al fascio si è ritrovato per 14 anni in confino a Prestranek in ex Jugoslavia.

L’onore di aver conosciuto il comandante Partigiano Giovanni Pesce, e la possibilità di ascoltare la viva voce di centinaia di Partigiani e deportati politici nei campi di concentramento e sterminio nazifascisti, aver conosciuto la storia di resistenza di Luciano Marescotti e la grande amicizia con il Partigiano Emilio Bacio Capuzzo: tutte queste esperienze mi hanno avvicinato all’ANPI.

È importante tenere conto del fatto che ANPI non è un partito e neanche l’estensione di una corrente politica partitica.

Anpi è un ente morale autonomo, organizzato sul territorio nazionale, strutturato in sezioni locali, organi provinciali e regionali che tramite congressi e grandi momenti di discussione al suo interno portano al comitato nazionale quelle istanze che la società civile ritiene di primaria importanza.

Anpi nel suo DNA ha la volontà, la capacità e l’autorevolezza di esprimersi su temi che toccano la società civile.

Come ricorda la giornalista Laura Tussi, con cui collaboro da anni, in un suo articolo “La tragica esperienza del secondo conflitto mondiale, l’avvento del fascismo e del nazismo, hanno comportato un livello di barbarie che l’umanità non deve più permettersi di raggiungere. La Pace deve essere sempre l’espressione massima della volontà umana”.

Come contribuire a questo grande obiettivo oggi che viviamo la tragedia di una guerra ai confini con l’Europa e innumerevoli guerre sul nostro amato, ma putroppo martoriato pianeta?

Le vittime di ogni guerra hanno il diritto di trovare rifugio e sostegno a prescindere dalla loro provenienza, appartenenza sociale e di vivere in Pace.

Dietro alle guerre di oggi ci sono sempre le stesse motivazioni: controllo geopolitico ed economico.

Grandi potenze contrapposte vogliono affermare la loro supremazia e nel mezzo della tragedia vi sono sempre le vittime inermi dei loro giochi di potere.

Durante la seconda guerra mondiale l’America aveva ufficialmente dichiarato guerra alla Germania.

Da quel momento armi sono state consegnate ai Partigiani Italiani.

Il quesito che dobbiamo porci è se oggi l’Europa e la Nato sono pronte a dichiarare guerra alla Russia.

Consegnare armi ad una nazione in conflitto è un atto che può portare nazioni all’interno del conflitto stesso e diventare coobelligeranti.

Questa è una precisazione che tutti devono capire.

Bene fa ANPI a puntare sulla diplomazia, la trattativa, il compromesso per la pace, il dialogo tra le parti avverse, questo perché ha nel suo DNA la capacità di opporsi ad un destino che inevitabilmente porterebbe sulla via dell’estinzione umana con un conflitto che, a differenza del passato, ha come armi finali migliaia di missili nucleari, in un numero tale da eliminarci dalla storia.

Bene fa Papa Francesco ad invocare la Pace e la mediazione come mezzo di risoluzione delle controversie.

Una guerra non è una partita di pallone dove ci si schiera con una squadra o con l’altra.

La Pace deve essere conseguita con la volontà di spegnere i conflitti e non di alimentarli.

A conclusione di questa mia lettera ringrazio Anpi, voce libera e indipendente, che sempre sta dalla parte della Pace, con il coraggio e la determinazione che la contraddistinguono, ponendosi obiettivi concreti senza sottrarsi alle responsabilità che i suoi Partigiani le hanno trasmesso.

 

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