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Agenda ONU 2030 – Pace, giustizia e istituzioni solide

Agenda Onu 2030: gli obiettivi del terzo millennio

Pace, giustizia e istituzioni solide

L’Agenda Onu per conservare un mondo come luogo vivibile e cercare di migliorarlo

Agenda ONU 2030, il sedicesimo obiettivo è quello della paceSviluppare, ripensare e elaborare pratiche volte a sostenere un modello più sostenibile per nostra madre terra risulta attualmente sempre più necessario.

Un mezzo è stato dato: Agenda ONU 2030 che si sviluppa in 17 obiettivi fondamentali e che costituisce un punto di partenza affinché ognuno di noi si attivi a livello globale per una società più giusta, equa, sostenibile e fondamentalmente priva di guerre e di ingiustizie.

I primi quindici obiettivi di sviluppo contemplati da Agenda Onu 2030 sono tematici come gli oceani, la terra, l’acqua, le malattie, il lavoro, l’energia.

Gli ultimi due obiettivi, e soprattutto quello sulla pace, ci parlano anche di giustizia e istituzioni solide.

E non è un caso. Perché tutti gli obiettivi che ci impegnano per salvare il pianeta, non possono essere realizzati se non sussistono questi tre concetti chiave: pace, giustizia e istituzioni, tra di loro molto collegati.

I vari sottoobiettivi trattano di ridurre le forme di violenza, di eliminare l’abuso, lo sfruttamento, la tortura contro i bambini. Si parla di accesso alla giustizia per tutti. E quello che per noi è scontato non è scontato in molte altre parti del mondo. Per fare questo, occorrono istituzioni efficaci, istituzioni solide, che possono guidare un governo in un equilibrio di armonia e pace. Si parla di coinvolgere i paesi in via di sviluppo; si parla di rinforzare la cooperazione internazionale, di promuovere e far rispettare le leggi e la politica. Questo è il quadro in cui tutti gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile si devono muovere, a pena di non riuscire a realizzarsi e avvicinarsi.

L’obiettivo pace è promuovere società pacifiche e nonviolente per risolvere le povertà, l’origine delle migrazioni e delle guerre dove i futuri scenari di conflitto saranno per il dominio dell’acqua.

Il significato di pace, senza scadere nella retorica, lo declina saggiamente Norberto Bobbio, il quale sosteneva che la parola pace è sempre in una posizione ancillare rispetto al concetto di guerra. La parola pace è sempre in contrapposizione alla parola guerra. Quando parliamo di pace ci soffermiamo sempre molto sul suo contrario. Quindi l’etimologia di pace deriva dal verbo latino pacere e significa accordarsi, da cui pactum, accordo, patto. In questo obiettivo di Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile sussistono indizi che ci consentono di pensare che si può parlare di pace senza ricorrere alla guerra.

Il termine guerra non appare mai nella declaratoria dell’obiettivo Pace e nemmeno nei dieci sottoobiettivi. I due aggettivi che definiscono la società in pace non rinviano necessariamente alla guerra. I due aggettivi sono le società ‘inclusive’, le istituzioni inclusive che richiamano a società aperte e cooperanti. E l’altro aggettivo è ‘pacifico’ che non significa solo senza guerra, richiamando Norberto Bobbio.

Cosa significa tutto questo? Per chiarire occorre partire dal concetto di conflitto, che fin dall’antichità e da sempre è stato considerato un elemento ineliminabile nei rapporti umani. Il conflitto non sarebbe in contrapposizione alla pace. Il vero problema risiede nella risoluzione del conflitto che può essere violenta o pacifica. La risoluzione violenta: di cui l’espressione più alta e peggiore è la guerra.

Insomma la chiave per la costruzione di una società pacifica si risolverebbe nell’individuazione del mezzo con cui risolvere i conflitti e allora riflettere sulla pace partendo dalla pace, significa convincersi che si devono praticare soluzioni nonviolente dei conflitti. E qui cade il riferimento alla giustizia. Non una giustizia armata – anche la guerra è stata definita spesso una sorta di giustizia – bensì una giustizia trasparente, garantita a tutti, come recita l’obiettivo di Agenda Onu 2030, ossia ‘inclusiva’, cioè che utilizzi mezzi e procedimenti nonviolenti e tra questi il diritto è compreso. Bobbio non a caso parlava di pacifismo giuridico. Ma potrei anche richiamare gli arbitrati, le conciliazioni, le mediazioni e risoluzioni a livello internazionale: tutti strumenti pacifici e nonviolenti per risolvere i conflitti. Occorre essere consapevoli che nella soluzione dei conflitti, quasi mai il torto e la ragione sono tutti da una stessa parte o dall’altra. Dobbiamo sapere che esistono più soluzioni e che tra queste alcune tengono presenti e cercano di combinare le ragioni di entrambe le parti. E sono proprio queste che vanno praticate, per non lasciare sul terreno un vinto o un vincitore.

Fondamentale il contributo delle Nazioni Unite alla costituzione a livello mondiale del diritto alla pace e alla giustizia che dal dopoguerra ha visto ancora un susseguirsi di eventi bellici e sanguinosi.

Le Nazioni Unite, anche se troppo ostacolate da interessi economici di nazioni e potenze, sono comunque riuscite con molti limiti a realizzare grandi momenti di giustizia e di pace come il trattato ONU per il disarmo nucleare universale varato a palazzo di vetro a New York nel 2017 che ha portato per la prima volta l’umanità a munirsi di un mezzo giuridico che dichiari criminale il possesso di ordigni nucleari anche al fine della sola deterrenza.

Sviluppare questi punti e obiettivi per il Terzo Millennio può essere l’inizio di un grande riscatto e sussulto di dignità per l’umanità intera.

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Che fare per fronteggiare l’emergenza sanitaria Covid-19?

Coronavirus: emergenza effetto del riscaldamento globale e delle guerre

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La proposta di realtà e personalità ispirate dalla cultura della Terrestrità e della pace: convertire le spese militari in investimenti per la salute
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Emergenza Coronavirus

Coronavirus: emergenza collegata alla distruzione degli habitat, effetto del riscaldamento globale e delle guerre

Promossa da Alfonso Navarra, Fabrizio Cracolici, Laura Tussi

Con invito ad aderire, sostenere, diffondere

 

Emergenza coronavirus: è chiaro che “dopo” la crisi in cui siamo tragicamente immersi ben poco resterà come “prima”. E noi, i promotori del presente appello, siamo tra quelli che vorremmo un “dopo” di grande cambiamento in direzione positiva, in cui il “prima” – il malsviluppo dell’accumulazione per il profitto e per la potenza che ci ha condotto alla catastrofe – sia consapevolmente abbandonato.
Questo “dopo” dovrebbe incorporare i valori che, praticati “durante”, ci permetteranno di superare nel miglior modo possibile questo difficile momento: dopo anni di chiusure nazionalistiche, di razzismi, di odi e conflitti armati, un senso di solidarietà tra le persone e tra i popoli; dopo l’attacco a tutto ciò che è statale e le privatizzazioni selvagge, una rivalutazione della sfera pubblica e degli interventi programmati da parte governativa; e soprattutto un inizio di consapevolezza della dipendenza e fragilità umana rispetto alle forze della Natura, che deve tradursi in comportamenti individuali e collettivi sobri e prudenti, di rispetto per tutta la comunità dei viventi. L’ecosistema globale sconvolto reagisce e ci attacca con nuovi virus, in attesa di colpi ancora più tremendi che verranno da tempeste, alluvioni, siccità, desertificazione, carestie…
Potremmo ora, edotti dalla drammatica esperienza che stiamo affrontando, finalmente percepire che tutti gli esseri umani, articolati nei vari popoli, sono una unica famiglia che appartiene alla Madre Terra e che, come consigliava Martin Luther King: “Dobbiamo imparare a vivere tutti insieme come fratelli, altrimenti periremo tutti insieme come idioti”.

La componente ecopacifista dell’arcipelago nonviolento, ispirata dai Disarmisti esigenti, membri della Rete ICAN (Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari), premio Nobel per la pace 2017, sulla base di questi presupposti di convivenza e collaborazione pacifica universale, propone che si inizi la conversione del sistema militare anche per sostenere le spese sanitarie urgenti necessarie per sconfiggere l’epidemia in corso, evitando la catastrofe.
L’apparato militare-industriale-fossile-nucleare è la principale causa delle minacce che incombono sull’umanità tutta; minacce tra le quali, aggiungendosi alla disuguaglianza economica e all’oppressione delle donne e dei diversi, si staglia in primo piano l’intreccio pericolosissimo tra minaccia climatica e minaccia nucleare.
E’ necessario, allora, che le risorse pubbliche ad esso destinate comincino a essere dirottate verso un serio “Green New Deal”, una conversione ecologica dell’economia, uno stop all’accumulazione illimitata e un focus sui bisogni umani e di salvaguardia dell’ambiente, realizzante la piena occupazione; un ecosviluppo che vede tra i suoi pilastri anche una sanità pubblica messa in grado di fronteggiare emergenze come quella terribile da coronavirus.

Come richiesta urgente per l’Italia, proponiamo in particolare che le spese militari, a partire da quelle incostituzionali degli F35 e dei sistemi d’arma offensivi, siano dirottate subito verso misure sanitarie a beneficio della vita e della salute dei cittadini.

Reiteriamo la richiesta che l’Italia ratifichi il Trattato di proibizione delle armi nucleari, contribuendo alla sua entrata in vigore. E’ mai possibile – non possiamo non chiederci – che una maggioranza al governo che vota per questo Trattato in Europa poi si sottragga a questo impegno in Italia e permette che si continuino a buttare soldi per mantenere le bombe atomiche americane in Europa (e sul nostro territorio)?

Nel mondo sono in corso varie guerre violente, di cui tre proprio di fronte al nostro balcone mediterraneo: Siria, Yemen e Libia, questa ultima che vede più direttamente implicata l’Italia, a difesa dell’ENI, in intricatissime partite geopolitiche con il petrolio e le altre risorse energetiche come posta principale.
Dal punto di vista dell’epidemia queste guerre potrebbero essere devastanti, come a suo tempo lo fu la famigerata influenza “spagnola”.
Qui citiamo le parole dell’illustre infettivologo Aldo Morrone, direttore del San Gallicano:
“Se ci fosse una vera volontà di contrasto dell’epidemia bisognerebbe partire da un immediato stop alle guerre, da un immediato riconoscimento del diritto alla mobilità dei migranti e dei rifugiati, in sicurezza. Non è una fissazione pacifista ma una necessità scientifica”.

Ascoltiamo queste parole e decidiamo di ritirarci unilateralmente da queste guerre e di revocare le missioni militari all’estero.
Sosteniamo l’alternativa della difesa civile non armata e nonviolenta promuovendo in particolare i corpi civili e le ambasciate di pace.
Orientiamo fondi pubblici verso la riconversione produttiva della industria bellica verso il settore civile: non bombe e cannoni ma, ad esempio, i ventilatori e le attrezzature mediche di cui abbiamo tutti bisogno.
Ricordiamo il celebre adagio del mai dimenticato Presidente partigiano Sandro Pertini: “Si svuotino gli arsenali di guerra portatori di morte, si colmino i granai sorgenti di vita per milioni di persone che soffrono”.

 

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Riflessioni e azioni per nostra Madre Terra

Intervista per un progetto:

Riflessioni e azioni per nostra Madre Terra

L’internazionale della Educazione alla Terrestrità a partire dalla Campagna per l’abolizione delle armi nucleari ICAN
Laura Tussi18 marzo 2020

Progetto Rete Educazione alla Terrestrità

di Fabrizio Cracolici e Laura Tussi,

ANPI sezione Emilio Bacio Capuzzo Nova Milanese (Monza e Brianza)

con l’approvazione di padre Alex Zanotelli

 

La Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari:

ICAN – ha una sua rete in Italia. I Disarmisti Esigenti (www.disarmistiesigenti.org) sono membri di questa rete internazionale che comprende 500 organizzazioni in 100 paesi. La coalizione ha lanciato una proposta in Italia per approfondire ed estendere l’adesione di questa campagna che può ottenere a livello mondiale l’abolizione giuridica delle armi nucleari: un canale video YouTube dal titolo “Siamo tutti premi Nobel per la pace con Ican”.

Si vada su:

https://www.youtube.com/channel/UCFWikKgRr7k21bXHX3GzE9A

 

Una intervista di Alfonso Navarra, portavoce dei Disarmisti esigenti, lancia ora la proposta all’interno di questo canale video dedicato a promuovere ICAN, di una iniziativa molto collegata agli obiettivi e alle finalità della nostra campagna disarmista.

 

Qui trascriviamo il parlato di questa intervista registrata, rinvenibile alla URL:  https://www.youtube.com/watch?v=x1SxjoRDOGc&t=84s

 

“Vogliamo proporre (in questo canale video – ndr) una sezione dedicata all’educazione alla Terrestrità.

Cosa c’entra l’abolizione delle armi nucleari con l’educazione alla terrestrità? Nell’abolizione giuridica delle armi nucleari abbiamo due concetti fondamentali: un rivolgersi a una sfida comune dell’umanità che deve costruire una società di pace attraverso il disarmo; e anche la necessità che questo obiettivo sia riconosciuto all’interno della cornice giuridica internazionale: il diritto internazionale. Quello che Papa Francesco propone come ‘nonviolenza efficace’. La frase di Papa Francesco è “la nonviolenza efficace sono i progressi del diritto internazionale”. Quindi noi eliminiamo una delle principali minacce che pesano sulla testa dell’umanità, cioè la minaccia della guerra nucleare che può scoppiare anche per caso e per errore, attraverso una codificazione del diritto internazionale. Una istanza che libera tutta l’umanità, intesa come insieme, da una minaccia comune. E la libera anche tenendo presente che la minaccia nucleare si intreccia con l’emergenza climatica. L’educazione alla Terrestrità è un nuovo concetto che diamo a questa umanità come famiglia unica. Questa umanità come famiglia unica la vediamo come collegata a un’interconnessione organica con la natura e la madre terra. Quindi Terrestrità. Noi siamo figlie e figli della terra e dell’evoluzione naturale. Da qui lo slogan positivo “Non è la terra, il pianeta, che appartiene all’umanità ma è l’umanità che appartiene alla terra”. E’ un internazionalismo ecologico di tipo nuovo quello che proponiamo che è implicito in quello che porta avanti la campagna per l’abolizione delle armi nucleari. Cioè l’umanità come unica famiglia e parte della natura.

Il fatto che vogliamo che questo concetto sia codificato nel diritto internazionale, che la terra è nostra madre e noi apparteniamo a essa, e non il contrario, significa che anche l’umanità non può essere padrona della terra come bene comune, come proprietà comune e privata, obbliga e impone un diritto, una responsabilità, un dovere all’umanità: il dovere di rispettare l’ecosistema globale e gli ecosistemi particolari. Avere il concetto della Terrestrità, cioè dell’umanità che appartiene alla terra, ha conseguenze pratiche. Ossia fonda culturalmente il dovere dell’umanità di rispettare equilibri ed ecosistemi che hanno una consistenza indipendente e autonoma. È un nostro dovere non alterare questi cicli e equilibri.

Il diritto internazionale deve codificare tutto questo.

Già questo è in nuce. Perché quest’idea non nasce dal nulla, ma è un’idea che cogliamo nello spirito del tempo, nelle lotte di tutti i movimenti alternativi di questi anni: i movimenti ecologisti e ambientalisti, i nuovi movimenti che stanno nascendo sull’onda dell’emergenza climatica. Ma è anche un’idea in nuce in quelle che sono le concezioni, le carte e i trattati che la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite ha approvato.

Vogliamo incardinare nel diritto internazionale un nuovo trattato: il trattato per la proibizione delle armi nucleari che entrerà in vigore quando 50 Stati lo ratificheranno, attualmente siamo a 30 ratifiche.

Ma ci sono tanti altri trattati: la carta della terra, l’agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile, il diritto alla pace, che rientrano in questo spirito che nasce da come la stessa ONU – Organizzazione delle Nazioni Unite ha avuto origine. Figlia del trauma della seconda guerra mondiale, un trauma sanguinosissimo in cui abbiamo visto dove portano i sovranismi e i militarismi concepiti nella loro espressione e concezione più brutale. Da questo trauma, da questi 65 milioni di morti è nata una reazione, sono nati i principi come la dichiarazione universale dei diritti umani, le carte dei diritti sociali e ambientali che possono portare all’idea di un diritto internazionale che fonda una comunità degli Stati che si legittima per il rispetto dei diritti dell’umanità e della natura.

Non la sovranità assoluta degli Stati, che attualmente è un avversario culturale, come i sovranismi, i Trump, i Johnson, i Putin, gli Erdogan, con i loro slogan negativi ossia prima i russi, prima gli americani, prima gli italiani, prima i turchi eccetera. Questo rappresenta lo Stato visto come elemento fondante della regola dei rapporti internazionali che poi diventa diritto della forza degli Stati.

Noi vogliamo invece una comunità internazionale in cui la forza del diritto prevalga sul diritto della forza e che le organizzazioni politiche siano legittimate perché rispondono, devono regolare e attivare quelli che sono i diritti fondamentali e originali, appunto fondativi e istituenti, i diritti dell’uomo già stabiliti nella dichiarazione del 1948, altri diritti sociali, ambientali e quelli nuovi, i diritti delle nuove generazioni, dell’umanità in quanto unica famiglia e i diritti indipendenti della natura da cui nasce il dovere di rispettare gli equilibri: tutti questi diritti vanno codificati. Quindi la legittimità negli Stati non è assoluta. Gli Stati sono organizzazioni che devono essere al servizio dell’attuazione di queste istanze e devono costituire una comunità armonica. Questo il discorso del progetto della ‘nonviolenza efficace’.

È un progetto che significa un’idea da proporre ai popoli del mondo per combattere la visione subculturale che attualmente rischia di portarci alle esperienze vissute nella seconda guerra mondiale.

E’ proprio con le carte dei diritti, con l’idea della costituzione mondiale dell’ONU, che vogliamo perfezionare partendo da queste campagne, i tanti risultati che ha conquistato la società civile. Dunque vogliamo continuare, con l’impegno che prodighiamo in queste istituzioni.

Personalmente ero alla conferenza del 2017 dell’ONU che ha votato il trattato di proibizione delle armi nucleari e ho partecipato alle varie conferenze Cop sul clima. Quindi siamo la società civile internazionale, ma dobbiamo riuscire a mobilitare sulle emergenze nucleari e climatiche i popoli e la gente comune. Si presenta un grande risveglio di mobilitazione e di coscienza. Stanno nascendo movimenti nuovi, di respiro mondiale come Fridays For Future, Extinction Rebellion; sono movimenti che vogliono esprimere una ribellione contro un sistema che ci sta spingendo verso il baratro. Per questo motivo dobbiamo unire questa modifica, questa trasformazione democratica dell’organizzazione sovranazionale del diritto internazionale con la mobilitazione della gente, dei popoli plurali. E per far questo dobbiamo approfondire i vari elementi e argomenti della cultura della Terrestrità; uno è quello della politica, della democrazia internazionale di pace. Ma poi anche il discorso di come organizzare la conversione ecologica del mondo e come l’economia dobbiamo subordinarla alla conversione ecologica. Un’idea è il Green New Deal. Occorre dare concretezza alla conversione ecologica. Sul sole 24 ore: titoloni sui finanzieri che stanno studiando la svolta dell’economia e del capitalismo verde.

Dobbiamo discutere sull’organizzazione dell’economia, subordinata all’ecologia su bisogni e meccanismi completamente diversi. Poi dobbiamo intervenire sul discorso della cultura, nel senso del rapporto dell’oppressione della donna, e come la donna si collega con la rivoluzione culturale della Terrestrità: il femminismo e l’ecofemminismo.

Infine il discorso sulla pedagogia della Terrestrità, della democrazia cognitiva; come andiamo a controllare gli aspetti critici e problematici dello sviluppo scientifico e tecnologico che possono portare a sbocchi negativi. Si parla di transumano e postumano, cioè di schiavizzazione dell’uomo rispetto a logiche meccaniche e macchiniche e agli algoritmi dell’intelligenza artificiale. Quindi non abbiamo soluzioni, vogliamo costruire una rete in cui queste problematiche siano proposte globali e siano discusse e in cui i vari soggetti costituenti che si occupano dalla memoria del passato fino alla nonviolenza, facciano un salto di qualità e discutano di queste problematiche in tale orizzonte globale che è l’unica alternativa all’egemonia culturale del sovranismo militarista che è organizzato e ha slogan negativi e quindi tutti noi dobbiamo rispondere con la forza delle idee”.

***

Noi dell’ANPI di Nova Milanese, tra i costituenti della coalizione dei Disarmisti esigenti, abbiamo deciso di collaborare con entusiasmo e con un apporto autonomo di competenze e di idee a questo progetto cosi’ bene espresso dall’intevista di Alfonso Navarra, che ne è l’ideatore originario ed il primo sviluppatore.

Ricordiamo che tra i Disarmisti esigenti è stato concordato che  la Rete di Educazione alla Terrestrità intende, come primo passo, contrapponendo valori e idee alla deriva sovranista, militarista e “cattivista”, e coordinandosi con la “Carta della Terra UNESCO”, promuovere e valorizzare esperienze formative ed educative riconducibili al valore di una cittadinanza universale in simbiosi con la Natura.

Dopo aver visionato la nostra presentazione video (vedi link sopra indicato https://www.youtube.com/channel/UCFWikKgRr7k21bXHX3GzE9A) e dopo aver dato l’adesione al nostro progetto, possibilmente con un intervento video registrato da parte vostra, proponiamo che il primo atto in cui voi date corpo alla Rete sia, appunto, quello di collaborare alla sezione TV che, come Disarmisti esigenti, abbiamo aperto su YouTube .

Potreste, in aggiunta al vostro breve intervento motivato di adesione, spedirci del materiale video che avete già pronto sulle problematiche che abbiamo tratteggiato (vedi lettera su www.disarmistiesigenti.org); materiale che, a vostro giudizio, ritenete possa rispondere con taglio didattico alla domanda su come oggi si può essere cittadini del mondo per la pace nella società umana e tra la società umana e la Terra.

In seguito, possiamo e dobbiamo pensare insieme altri passi successivi. Nella consapevolezza che abbiamo da rimboccarci le maniche per aprire il confronto, per offrire varie e plurali declinazioni del progetto della terrestrità e dei percorsi culturali che possano farla crescere: visione comune in grado di orientare la convergenza dei movimenti alternativi al sistema antropocida ed ecocida che ci sta conducendo alla barbarie e verso il baratro.

 

Il nostro contributo originale e specifico di “partigiani dell’ANPI” alla elaborazione culturale implicata dal progetto intende svolgersi lungo due direttrici:

  • la memoria dei movimenti storici che hanno creato le basi culturali in nuce della terrestrità (basterebbe citare Edgar Morin e Stéphane Hessel ed il loro ruolo nella resistenza europea antifascista)
  • L’impegno pedagogico di tipo nuovo che deve rispondere alla domanda: come formare i “cittadini della Terra”?

Vale a dire: come concretizzare la terrestrità in istituzioni e pratiche didattiche nuove? E come influenzare le istituzioni educative attuali perché siano contagiate (in senso buono!) dalla cultura della pace del XXI secolo?

Non abbiamo le risposte gia’ belle e pronte e per questo motivo contatteremo i centri culturali che sentiamo affini e sensibili in questo nostro desiderio di ricerca, di approfondimento, di sperimentazione.

Contattare: coordinamentodisarmisti@gmail.com cell. 340-0736871 www.disarmistiesigenti.org

Note: Nota: Abbiamo telefonato a padre Alex Zanotelli e ci ha riferito la sua totale adesione ai contenuti di questa presentazione ufficiale del Progetto Educazione alla Terrestrità
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Don Andrea Gallo, maestro di vita

Dopo anni dalla sua scomparsa nel 2013, il nostro ricordo è ancora vivo

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Incontrare, conoscere e condividere l’impegno e le lotte con il caro Don Andrea Gallo è stato, oltre che una immensa opportunità e responsabilità, un grande insegnamento di vita
12 marzo 2020

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Don Gallo con Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

Il Gallo, come amava farsi chiamare, ha speso l’intera sua esistenza per condurre lotte di giustizia sempre vicino agli ultimi, ai fragili e ai dimenticati di questa atroce e feroce società dove il più debole è spesso calpestato e soccombe.Ricordiamo il giorno in cui l’abbiamo incontrato a Cinisello Balsamo in provincia di Milano durante un evento pubblico nel 2010.

In questa occasione, raccontava la sua meravigliosa esperienza resistenziale e alla fine dell’incontro abbiamo avuto modo di parlargli e proprio da qui è nato tutto. Laura gli ha fatto leggere i suoi scritti sulla nonviolenza e le sue recensioni ai libri sul mitico Fabrizio De André, che il Gallo ha apprezzato moltissimo.

Abbiamo trovato nei suoi occhi e nelle sue parole e nelle sue azioni la forza e l’energia per attivarci su quanto lui ci aveva appena raccontato: la sua lotta come staffetta dei Partigiani nella Resistenza contro il nazifascismo.

Abbiamo chiesto al Gallo di ripetere questo incontro nel nostro paese Nova Milanese. È tutto questo si è avverato come in un sogno.

A Nova Milanese nel 2010 è stato un incontro incredibile, la realizzazione di una nostra piccola grande utopia: abbiamo voluto dare un tributo a una così bella figura invitando suoi compagni di lotta provenienti da diverse parti d’Italia.

L’attore e regista Renato Sarti, il sindacalista Antonio Pizzinato, lo scrittore e giornalista Daniele Biacchessi, il gruppo musicale dei Settegrani, Giulio Cristoffanini uno dei fondatori di Emergency, Diego Parassole storico attore e comico dello Zelig e il Partigiano Deportato Emilio Bacio Capuzzo, anche lui sempre vivo nei nostri cuori.

Teatro pieno e una fila interminabile di persone che hanno voluto incontrare il fratello e padre Gallo perché tutti noi abbiamo bisogno di un padre, un grande padre combattivo, in carne e ossa che non le manda a dire ai prepotenti di turno… e che sappia proteggere da ogni ingiustizia.

Innumerevoli sono stati gli incontri a cui abbiamo avuto la fortuna di presenziare e partecipare attivamente con il Gallo. Ricordiamo quello di Senago, al palazzetto dello sport nel 2012, stracolmo di persone venute a incontrarlo.

Ricordiamo anche il nostro pranzo con il Gallo alla comunità di San Benedetto al Porto di Genova. La bellissima giornata trascorsa assieme. La funzione religiosa sui generis celebrata secondo le giuste e purtroppo disattese direttive del concilio Vaticano secondo dove la parola è stata data agli attivisti provenienti da tutta Italia e poi il pranzo in comunità dove il Gallo ha lungamente parlato dell’esperienza di questa importante realtà solidale: la comunità di San Benedetto al Porto di Genova.

Durante una presentazione in pubblico tenutasi a Novate Milanese, nel marzo 2013 – qualche mese prima della sua scomparsa e nello stesso giorno dell’elezione di Papa Francesco – ricordiamo un simpatico aneddoto.

In quell’occasione era appena stato stampato il calendario delle sue ragazze transessuali e transgender della comunità. Scherzosamente ci diceva e raccomandava di vendere anche qualche libro in meno, ma i calendari, proprio i calendari, di finirli tutti. Altrimenti, al suo rientro, le ragazze lo avrebbero sgridato…

A fine serata, dopo aver venduto tutti i calendari, abbiamo raccontato al Gallo un episodio simpatico: una signora molto anziana ne ha voluti comprare ben cinque da regalare a tutte le sue amiche “nonnine”.

Ogni volta che incontravamo il Gallo era una festa e quando vedeva Fabrizio gli si accendevano gli occhi e diceva sempre: “non ti posso dimenticare. Ti chiami come il mio caro Fabrizio De André”. E questo non poteva che renderci molto felici.

Nell’ultimo incontro avuto con lui, ci ha preso in disparte e stringendoci forte ha detto a me e a Fabrizio “ Siate assieme testimoni di Pace, severi e fermi e mettete il vostro amore al servizio dell’umanità”.

E avrebbe apprezzato moltissimo il nostro impegno per la pace, dove abbiamo impegnato tutte le nostre forze perché Ican – Rete e Campagna internazionale per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari potesse avere seguito in Italia e così via fino ad arrivare nel 2017 al Premio Nobel per la Pace collettivo, destinato alle centinaia di organizzazioni e di attivisti nel mondo e alle associazioni in Italia affiliate alla Rete Ican, tra cui PeaceLink, Disarmisti Esigenti, Wilpf e altre, tutte realtà impegnate per il disarmo nucleare universale e per la pace.

Nel ricordare Don Andrea Gallo in questo articolo, lo ringraziamo per l’indimenticabile ricordo della sua presenza sempre attiva e vivace e pronta nel rispondere a tono alla tracotanza dei potenti di turno e di tutti i poteri forti, “che non ci sono poteri buoni” come dicono i nostri amici anarchici. Perchè lui è angelicamente anarchico. Ora e sempre Resistenza!

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Sito web: www.agneseginocchio.it

  1. Quando ha iniziato a scrivere e partecipare a manifestazioni volte alla pace e cosa ti ha spinto in particolare?

Ho iniziato a comporre canzoni sul tema della Pace all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 Settembre 2000. Un evento che mi scosse profondamente e che mi fece rendere conto che non potevo più stare a guardare che il mondo ci cascasse addosso senza tentare di portare un contributo finalizzato al risveglio delle coscienze. N quell’anno composi il brano “Gente del 2000” che mi fece vincere un Premio nazionale a Roma nell’ambito di un concorso per cantautori e successivamente il brano: “C’è un bisogno di cambiare” dove faccio riferimenti proprio a quello che accadde l’11 settembre e riferimenti ad attentati avvenuti nel mondo. La mia scelta definitiva per la Pace senza se e senza ma, invece, avvenne all’ indomarni della partecipazione alla grande mobilitazione mondiale contro la guerra in Iraq. Partecipai alla manifestazione nazionale che si svolse a Roma il 15 Febbraio dell’anno 2003, che vide scendere in piazza ben 3 milioni di persone.

2) C’è un’esperienza di una manifestazione che ricorda con particolare piacere?

Nelle manifestazioni a cui ho partecipato sono tante le esperienze avute che a distanza di anni ricordo con nostalgia, quelle che mi hanno dato la possibilità di conoscere da vicino tanti personaggi che hanno fatto della loro vita una scelta per la Pace e la Nonviolenza. Il loro esempio e la loro testimonianza fu determinante per le mie scelte. Tra questi personaggi cito: Gino Strada ( fu proprio uno dei primi che incontrai a Roma alla manifestazione contro la guerra), padre Alex Zanotelli, i missionari comboniani, don Andrea Gallo a Genova. Nella nostra provincia invece il padre vescovo Raffaele Nogaro, dal cui incontro è nata la mia scelta e l’impegno con il Movimento per la Pace. Ed infine tantissimi “volti amici” che porto tutti nel mio cuore, con i quali condivido tutt’ora questo percorso.

3) Nelle scuole secondo lei si dovrebbero studiare di più i testi delle canzoni?

Credo che la scuola essendo organo deputato alla formazione, dovrebbe prestare maggior attenzione ai testi di artisti impegnati che non si limiti al semplice palcoscenico sanremese, ormai divenuto un fenomeno da bar, ma essendo “Magistra vitae” punti nel ricercare l’essenza e dare la possibilità ai giovani discenti di far conoscere tutti quei volti di artisti spesso sconosciuti ai grossi riflettori, che per amore della verità, scelgono tematiche scomode e testi impegnativi finalizzati alla riflessione e alla presa di coscienza. Ciò al fine di una saggia e fruttuosa lezione di didattica della musica alternativa.

4) Il panorama musicale odierno è volto alla pace?

Ahimè, il panorama musicale attuale lascia davvero molto a desiderare. Come già anticipato nella mia precedente, oggi è difficile raccontare la verità quando si è in mano a produttori il cui scopo è solo quello di vendere e di ricavarne profitto. In mano a questi gruppi che intorno alla tua immagine cercano di costruire un personaggio finto, si perde persino la libertà di pensiero e alla fine se vuoi andare avanti devi cedere alle loro regole. A mio avviso, la musica deve radicalmente cambiare per riprendere il suo vero significato. Ringrazio invece i docenti di quelle scuole sparse in Italia dove è stata data la possibilità agli alunni di studiare i testi dei miei brani usati come tesine di esame e materiali di studio per progetti sul tema della Pace, legalità, nonviolenza, ambiente e diritti umani. In ultimo proprio su questo tema vorrei proporre la lettura del libro Riace Musica per l’umanità ( ed.ni Mimesis) edito dai giornalisti e scrittori nonviolenti “ Laura Tussi e Fabrizio Cracolici” nel quale vi è contenuto anche un mio contributo insieme a quello di altri artisti e personaggi impegnati.

5) Qual è l’augurio che auspica alla comunità odierna?

L’augurio che mi sento di affidare alla Comunità odierna è quello di cercare sempre di affermare nelle proprie scelte e stili di vita il valore supremo della convivenza civile pacifica e nonviolenta, di pensare e agire con la parola PACE; di vivere in armonia come fratelli rispettando il prossimo come se stessi e di applicare la norma: “non fare ad altri ciò che non vuoi venga fatto a te”. Impegnarsi per la Pace non è difficile, è questione di scelte. Diventa difficile quando si pensa e si agisce esclusivamente per propri fini personali. Chi invece applicala regola: un occhio al vicino e uno al lontano, è già sulla buona strada. In sintesi: “Pensare e agire non al singolare ma al plurale (non io ma noi), ha afferrato il significato della propria esistenza e già sta lavorando per l’affermazione di un mondo di Pace che tale potrà essere solo se fondato sulla Giustizia e la difesa dei diritti umani per tutti.

6) Sogni nel cassetto.

I miei sogni nel cassetto sono quelli di riuscire un giorno a vedere vivere nel benessere sociale ogni singolo essere umano sulla terra, di non assistere più a scene di violenza, di violazioni di diritti, di non assistere più a scene di bambini che piangono o che desiderano la morte solo perché vivono nell’inferno della fame, della povertà, della malattia, della violenza e della guerra. Il mio sogno, ricordando il grande Martin Luther King che recitava nei suoi sermoni: “Se non impareremo ad amarci e a rispettarci come fratelli moriremo tutti come stolti”( da qui l’ispirazione al mio brano “Gli Uomini veri” ), è quello di vedere gli uomini e le donne di questo pianeta versare non più in una condizione di sofferenza, di umiliazione e di schiavitù, ma di sorridere, di rispettarsi e di abbracciarsi come fratelli e figli dell’unico Dio, il cui nome è Pace!

Shalom Sallam, Peace, Mir, Amani, Aleika, Frieden, Paz, Pax

Intervista pubblicata anche su www.ildialogo.org

Note: Articolo pubblicato da Laura Tussi
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PeaceLink e Unimondo – Intervista a Vittorio Agnoletto

Sono passati quasi vent’anni da Genova 2001

PeaceLink e Unimondo – Intervista a Vittorio Agnoletto

Nella ricorrenza del 18esimo anniversario di Genova 2001, un’intervista a Vittorio Agnoletto medico, docente universitario, portavoce del Genoa Social Forum nel 2001

Sono passati quasi vent’anni da Genova 2001

Unimondo – Intervista a Vittorio Agnoletto

Intervista a Vittorio Agnoletto a cura di Danilo Minisini e Laura Tussi

Nella ricorrenza del 18esimo anniversario di Genova 2001, un’intervista a Vittorio Agnoletto medico, docente universitario, portavoce del Genoa Social Forum nel 2001

 I perchè di Genova 2001 

Nella ricorrenza del 18esimo anniversario di Genova 2001, un’intervista a Vittorio Agnoletto medico, docente universitario, portavoce del Genoa Social Forum nel 2001.

1 -Sono passati quasi vent’anni da Genova 2001. Un momento che ha segnato la vita di molte persone e che ancora oggi, dopo tante analisi politiche, indagini, processi, è una ferita aperta nella storia italiana. Quali sono stati, secondo lei, gli aspetti più significativi di quell’evento? 

Purtroppo quando si parla di Genova 2001, l’attenzione è concentrata solo su quanto accaduto venerdì 20 luglio e sabato 21 luglio, sull’attacco dei carabinieri al corteo delle tutte bianche, l’uccisione di Carlo Giuliani, la tremenda repressione, le violenze perpetrate da parte delle forze dell’ordine, poi l’assalto alla scuola Diaz e le violenze e le torture di Bolzaneto. Ci si dimentica sempre che il Forum di Genova – perché di questo si trattava di un Forum vero e proprio – è iniziato lunedì 16 luglio con una serie di incontri pubblici ai quali hanno partecipato decine di migliaia di persone per la stragrande maggioranza giovani, che venivano non solo dall’Italia, ma da tutta Europa e con delegazioni anche da altri continenti. Questa è stata un’autentica “università a cielo aperto” che riprendeva le modalità e gli stessi contenuti che avevano animato, solo sei mesi prima, a gennaio 2001, il primo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre. Invito, chi è interessato, ad approfondire quelle vicende e a leggere le registrazioni delle assemblee del Forum di Genova, perché ascoltandole si capisce l’attualità dei temi che il movimento sollevava.

Si comprende quanto noi avevamo ragione. Nell’assemblea di apertura, uno dei principali relatori era Walden Bello che era il direttore di Focus on the  Global South, uno dei dirigenti del movimento antiliberista più conosciuto in tutto il continente asiatico e non solo. Walden intervenendo nel Forum di apertura, disse: “Attenzione se continua questo modello di sviluppo, nel giro di pochi anni, noi assisteremo a tali cambiamenti a livello del pianeta che produrranno un forte rischio per la vita di milioni e milioni di persone”. Walden Bello parla nel 2001 prima dello tsunami che travolge una parte del continente indiano e prima che i cambiamenti climatici e il tema dello scioglimento dei ghiacciai e dell’aumento delle temperature diventassero argomenti di discussione quotidiana. Nella stessa assemblea di apertura Susan George, allora presidente di Attac Francia, una delle principali organizzazioni europee, aveva detto: “Attenzione! se prosegue la finanziarizzazione dell’economia, nel giro di pochi anni l’Europa andrà incontro a una crisi economica e sociale senza precedenti”. È esattamente quello che è avvenuto. Tutti i temi oggi di grande attualità che erano già presenti allora.

Per fare un altro esempio, a Genova 2001 abbiamo pesantemente criticato le politiche del Fondo Monetario Internazionale, le politiche di aggiustamento strutturale che avevano messo in ginocchio la grande maggioranza dei paesi dell’Africa Subsahariana. Funzionava così: il Fondo Monetario Internazionale garantiva prestiti ai paesi africani, imponendo loro il taglio delle politiche di sanità pubblica e istruzione pubblica. Questo è stato uno dei temi attraverso cui abbiamo ricevuto la solidarietà di padre Alex Zanotelli e la partecipazione al Forum da parte di tanti missionari. Mai avremmo potuto immaginare che pochi anni dopo, la troika avrebbe applicato esattamente queste politiche anche in Europa, a cominciare dalla Grecia.

Un altro tema che abbiamo sviluppato era la questione della distribuzione delle ricchezze. Allora noi dicevamo: non è possibile che il 20% della popolazione mondiale possieda l’80% delle ricchezze. Oggi, secondo i dati pubblicati da una banca svizzera, la Credit Suisse, risulta che nel 2017 l’8,6% della popolazione possedeva oltre l’85% della ricchezza mondiale. Ciò vuol dire che un numero sempre più ristretto di persone possiede capitali sempre maggiori e che aumenta ulteriormente il numero delle persone più povere. Oggi il 70% della popolazione mondiale possiede il 2,7% della ricchezza del pianeta.

Un altro tema era la campagna contro la vendita delle armi. Anche questo è un tema attualissimo, è sufficiente ricordare che poche settimane fa varie associazioni genovesi hanno bloccato una nave saudita che cercava di trasportare armi e voleva attraccare nel porto di Genova.

Penso che, se si vuole capire quanto avvenuto in questi ultimi 10 anni, per avere chiavi interpretative è utile tornare a quanto noi avevamo detto a Genova. Avevamo capito dove stava andando il mondo, ma chi governava ha fatto finta di non capirlo e la storia è andata come si sa.

2 – Dal 1992 al 2001 lei è stato presidente nazionale della LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS). Ha avuto importanti incarichi presso il ministero della salute e nel 1994 è stato “medico dell’anno” secondo la rivista specializzata “Stampa Medica”. La visibilità che le ha dato l’essere stato il portavoce del Genoa Social Forum, ha in qualche modo determinato cambiamenti nella sua vita professionale? Ha subito ritorsioni a causa delle sue scelte?

Indubbiamente essere stato il portavoce del Genoa Social Forum ha modificato completamente la mia vita e per la verità, non solo essere stato il portavoce, ma l’aver voluto dopo il G8 continuare, senza far sconti a nessuno, ad impegnarmi nella battaglia per ottenere verità giustizia su quanto avvenuto in quei giorni. Da più parti, da molti ambiti politici anche differenti, non solo dalla destra, ma anche da settori della sinistra, subito dopo il G8 e anche negli anni seguenti, mi venne caldamente consigliato di chiudere quel capitolo, non parlarne più e non insistere a chiedere verità e giustizia. Sono andato avanti, fino ad arrivare nel 2011 alla pubblicazione de “L’Eclissi della democrazia. Le verità nascoste sul G8 2001 di Genova”. Questo è il libro scritto insieme a Lorenzo Guadagnucci, una delle vittime della Diaz e con il contributo del Pubblico Ministero nel processo Diaz, Enrico Zucca. Nell’”Eclissi della democrazia” abbiamo raccontato tutto quello che accadde in quei giorni e che conoscevamo sia per il ruolo che avevamo svolto, sia per la possibilità di accedere ad una gran mole di documenti e atti processuali. Abbiamo indicato per nome e cognome i responsabili dei vari e differenti episodi che si erano svolti in quelle giornate e questo ha contribuito a creare una situazione nei nostri confronti di forte isolamento. Isolamento che però era già iniziato i giorni seguenti al G8.

Nei 15 giorni dopo la conclusione del G8, sono stato estromesso dalla Commissione Nazionale AIDS del Ministero della Sanità; sono stato estromesso dalla Commissione per la Lotta alla Droga della Presidenza del Consiglio; ho perso non solo la docenza, ma anche la direzione di corsi di formazione sull’HIV dell’Istituto Superiore della Sanità che dirigevo da anni. Ero responsabile scientifico di vari progetti finanziati dall’Istituto Superiore di Sanità e da fondi pubblici nazionali e di altri progetti di ricerca finanziati dalla Commissione Europea: erano progetti e bandi che avevo vinto con la mia associazione in collaborazione con diverse associazioni ed enti di ricerca; nel giro di pochi mesi ho perso tutto.

Vi sono contemporaneamente state anche forti ricadute sulla LILA, l’associazione di cui ero presidente: ci sono stati tagliati molti fondi e parecchi enti pubblici non hanno più voluto collaborare con la LILA. Quello che mi sorprese allora fu che non si trattava solo delle amministrazioni governate dalla destra, ma anche delle amministrazioni governate dal centrosinistra. Ricordo che nell’autunno 2001 avevo organizzato con la LILA, insieme alla regione Toscana, un grande convegno internazionale sui temi dell’AIDS. Dovevano partecipare personalità provenienti da tutto il mondo per parlare dei temi inerenti la lotta all’HIV. La regione Toscana ci ha fatto sapere che se io fossi stato presente non si sarebbe fatto il convegno. Io allora ero il presidente della LILA e avevo organizzato tutto. Per salvare l’attività della LILA fui costretto a dimettermi un po’ di mesi prima della scadenza del mio mandato, per permettere la sopravvivenza dell’associazione.

In quei mesi molte delle collaborazioni lavorative che avevo sono state bruscamente interrotte. Sono stato praticamente estromesso da tutto.  È il prezzo che in questo Paese si paga se si vuole condurre una battaglia di verità e giustizia scontrandosi con il potere, il potere vero.  A fianco di quello che è avvenuto in ambito lavorativo, ho subito diverse forme di minacce. La situazione era molto complicata perché le intimidazioni, in questo caso, non mi arrivavano certo dalla mafia.  Le minacce si sono riproposte in modo altrettanto pesante nel 2010 quando ho cominciato a scrivere il libro che è uscito nel 2011 in occasione del decennale; le ho raccolte e raccontate proprio in un’appendice di quel volume.

È indubbio che quanto avvenuto ha contribuito radicalmente a cambiare la mia vita. È stata una forma di ostracismo che purtroppo non ha avuto solo il volto delle istituzioni dominate del centro destra. D’altra parte, nel libro che abbiamo pubblicato, abbiamo attribuito a ciascuno le sue responsabilità ed è innegabile che negli eventi di Genova abbiano avuto grandi responsabilità anche personaggi che devono la loro carriera al centrosinistra e che a tale schieramento politico facevano riferimento. Non abbiamo scritto un libro a tesi precostituite, ma un libro dove a ciascuno abbiamo attribuito le responsabilità che gli competevano, ovviamente quelle che eravamo stati in grado di individuare, senza fare alcuna eccezione.

3 – Dopo Genova 2001, lo smarrimento si è impadronito di molte persone, molti giovani soprattutto che hanno sperimentato il volto feroce dello Stato.  Quel volto feroce che, anche oggi si manifesta verso le persone più deboli e indifese. Lei pensa che l’azione nonviolenta che comincia a manifestarsi, soprattutto in forma spontanea, possa diventare contagiosa ed essere motivo di speranza?

Si è parlato molto delle forme di repressione di piazza utilizzate per stroncare il movimento del 2001. Si è parlato forse poco, perché tanti sono i responsabili, dell’operazione repressiva mediatica che è stata attuata e che ha teso a delegittimare quel movimento che, non dimentichiamolo, è stato enorme. Solo per fare qualche esempio, in un paio di mesi avevamo raccolto 150.000 firme per ottenere l’attuazione della Tobin Tax, cioè la tassazione sulle transazioni finanziarie speculative. Quindi un movimento molto forte che stava crescendo in Italia e in tutta Europa; oltre a reprimerlo è stato anche delegittimato. Il tentativo è stato quello di descrivere il Genoa Social Forum come una organizzazione sovversiva.

Quando questi attacchi si susseguono per settimane e per mesi un certo risultato lo ottengono. Su un punto fondamentale. La forza del Genoa Social Forum era stata la sua capacità di raccogliere attorno a una piattaforma unica 1015 associazioni italiane e 171 associazioni internazionali di quasi 50 Paesi sparsi in tutto il mondo, e far sì che, oltre a una piattaforma condivisa, queste associazioni fossero capaci di darsi anche un punto di riferimento unico, cioè un consiglio che le rappresentava tutte. Io ero il portavoce, ma c’era un consiglio di diciotto persone scelte di comune accordo da tutte le realtà che avevano aderito al GSF. E quella è stata la nostra forza, il GSF veramente andava dai missionari, agli scout ai centri sociali; eravamo in grado di trasmettere gli stessi contenuti parlando diversi linguaggi che rompevano gli steccati, rompevano le barriere. Prima del G8 la rivista Famiglia Cristiana, che allora era il settimanale letto da centinaia di migliaia di persone, aveva riportato in varie occasioni i temi che ci stavano a cuore; inoltre andava a verificare quale fosse l’opinione degli italiani verso le nostre battaglie ad esempio la lotta per la pace, e si scopriva come la maggioranza dei cittadini italiani fossero con noi.

Uno dei primi risultati che la repressione mediatica, unita a quella di piazza, ha prodotto è stata la rottura dell’unità del movimento. Molte associazioni del mondo cattolico e parecchie di quelle impegnate nel mondo del welfare e dell’assistenza a un certo punto si chiedevano: “Noi che passiamo la nostra giornata ad assistere i malati, a costruire case-alloggio, ad attivare progetti di assistenza domiciliare, gruppi di auto aiuto ecc. ecc. se continuiamo a essere descritti come sovversivi non riusciamo più a fare le nostre attività, perdiamo tutti i nostri contatti, perdiamo i nostri rapporti e consensi”. E allora molte associazioni hanno pensato di tornare a agire unicamente nel proprio specifico.

Prima del G8, centinaia di associazioni avevano ognuna una propria maglia e poi si è deciso di indossare anche la maglia del Genoa Social Forum, cioè qualcosa che ci teneva insieme e uniti. Di fronte alla repressione, ognuno si è tolto quella maglia ed è tornato a occuparsi della sua particolare mission. E questo ha portato alla perdita di forza e di capacità di incidere del movimento.

Ma non dimentichiamoci che il movimento non perde la sua forza immediatamente dopo il G8. L’energia propulsiva del movimento dura fino al 15 febbraio 2003, giornata nella quale si assiste, in tutto il mondo, alle grandi manifestazioni contro la guerra. La giornata di lotta viene lanciata dal movimento italiano durante il Forum Sociale Europeo nel novembre 2002. Sono milioni e milioni le persone che manifestano in tutto il mondo. Al punto che il New York Times esce col famoso titolo “È nata la seconda superpotenza” che sarebbe il movimento pacifista contrapposto alla superpotenza degli Stati Uniti. Un fatto simile   non era mai accaduto nella storia dell’umanità. Ma noi non siamo stati in grado di fermare la guerra e l’attacco americano all’Iraq.

Prima della giornata di mobilitazione mondiale, abbiamo organizzato anche una delegazione a Baghdad con rappresentanti del movimento che provenivano da diverse parti del mondo proponendoci come una sorta di scudi umani per impedire che si scatenasse la guerra.

Ma il conflitto si sviluppa lo stesso; gli Stati Uniti iniziano i bombardamenti sull’Iraq. A quel punto, con un movimento diviso e frantumato, non riusciamo a riconvertire il nostro obiettivo finalizzato a bloccare la guerra, in una serie di obiettivi più piccoli, ma inerenti lo stesso tema; non siamo ad esempio stati capaci di avviare un’ampia campagna in grado di boicottare le molte industrie coinvolte, a vario titolo, nell’attività bellica. In Europa meridionale non vi è una tradizione di lotta nella quale i cittadini si vivono come consumatori, non vi è la consapevolezza di quanto, collettivamente, possiamo pesare sul mercato. Quindi lo scoppio della guerra nel 2003 viene vissuto come una sconfitta di fronte alla quale ci sentiamo impotenti. Era il periodo in cui, in Italia, non c’era paese che non avesse esposte ai balconi le bandiere per la pace. In particolare il coinvolgimento del mondo cattolico era enorme. Non abbiamo avuto la capacità di trovare altri obiettivi unificanti, anche perché continuavamo a dover rispondere nei tribunali agli attacchi repressivi e questo ci sottraeva attenzione e energia. I governi di quegli anni e il sistema politico, hanno fatto di tutto per trasferire il confronto con il movimento solo sul terreno repressivo, ignorando completamente i nostri contenuti e rifiutando qualunque contradditorio sul merito delle nostre proposte.

Su un aspetto dobbiamo fare autocritica, riconoscere un nostro errore: non siamo stati capaci di trasformare la nostra corretta analisi delle conseguenze della globalizzazione liberista in esempi concreti in grado di impattare la realtà quotidiana dei ceti popolari; molti che ascoltavano con interesse le nostre proposte sullo scenario “globale” si sono trovati soli qualche anno dopo di fronte alla crisi. Le nostre analisi non si concretizzavano in proposte semplici e comprensibili da tutti per affrontare la mancanza di lavoro, l’aumento del costo della vita ecc. Incolpare i migranti delle proprie difficoltà è risultato molto più semplice e consolatorio in assenza di messaggi differenti, antitetici, ma altrettanto semplici e facilmente comprensibili. Nonostante questo credo che i nostri contenuti non siano andati persi e come spesso accade nella storia dei movimenti, si sono sviluppati attraverso delle modalità carsiche, non visibili e quando qualcosa è carsico, non lo vedi in superficie, perché scorre non in un grande fiume, ma in tanti piccoli rivoli. Quella sensibilità si è diffusa.

Da qualche mese assistiamo alle manifestazioni di giovani sui cambiamenti climatici. Ho partecipato a queste manifestazioni e ho parlato con i ragazzi e mi sono fatto l’idea che, pur nella loro non conoscenza di quanto avvenuto a Genova 2001, molti di quei contenuti sono alla base del loro movimento. Quando i giovani dicono che abbiamo un solo pianeta, quando dicono che se non fermiamo questo modello di sviluppo non vi è futuro per nessuno, non è molto distante da quanto noi dicevamo a Genova e sintetizzavamo nello slogan: un altro mondo è possibile. Oggi le ragazze e i ragazzi in piazza ci dicono che non solo un altro mondo è possibile ma anche necessario; non ne abbiamo un altro di riserva.

Noi criticavamo questo modello di sviluppo per le tragiche conseguenze che ne sarebbero derivate; purtroppo è accaduto quello che avevamo previsto.  Questi ragazzi si muovono in una società che è il prodotto di quello che noi denunciavamo e che è anche la conseguenza della nostra sconfitta ad opera dei poteri che sostengono il modello neoliberista. Certamente i nostri contenuti vengono declinati da questa nuova generazione in un modo differente.

Tra il 2001, Genova, Porto Alegre e le manifestazioni di Friday for Future vi sono stati anche nel “nostro campo” alcuni importanti eventi che hanno certamente costruito lo scenario e lo sfondo allo sviluppo di un movimento verso il quale Greta ha funzionato da innesco. Mi limito a citarne due: il referendum in difesa dell’acqua pubblica che ha contribuito a diffondere il senso dei Beni Comuni, l’importanza degli elementi fondanti dell’esistenza umana: acqua e terra; la predicazione di papa Francesco che, mentre sulle tematiche di genere  appare non discostarsi dalla classica rigida dottrina della Chiesa, risulta particolarmente innovativa in campo sociale, in particolare con la Laudato sì che ha contribuito non poco a favorire lo sviluppo di un’ecologia sociale qui e ora, non a caso don Luigi Ciotti si riferisce all’enciclica chiamandola Laudato sì, Laudato qui.

Saranno i giovani, in autonomia a trovare le strade attraverso le quali sviluppare il movimento sui cambiamenti climatici, noi dobbiamo rispettare le loro scelte e al massimo limitarci a mettere a loro disposizione qualche riflessione proveniente dalla nostra esperienza.

Penso, ad esempio, che tale movimento dovrà crescere ancora nella consapevolezza che una parte consistente del conflitto è tra il basso e l’alto, tra poveri e ricchi; i cambiamenti climatici sono certamente frutto di comportamenti individuali, di come ognuno di noi vive dentro la società dei consumi, ma anche di scelte strategiche globali da parte di chi detiene il potere, sono anch’essi espressione di un’enorme conflitto sociale che attraversa tutto il pianeta ed anche in questo caso i primi a pagarne il prezzo saranno i più deboli.  Questo ci rimanda ancora una volta al termine glocal: legare il globale e il locale. D’altra parte vi è sempre un passaggio di staffetta tra i movimenti. Il movimento del 2001 a sua volta risentiva delle tematiche dei movimenti dei decenni precedenti. Proprio sulla base dell’esperienza passata, mi permetto di fornire loro un suggerimento: state attenti; non durerà a lungo l’appoggio della grande maggioranza dei media mainstream.Appena voi giovani passerete da una denuncia generale dei cambiamenti climatici a individuare specifiche responsabilità, appena deciderete di fare dei presidi contro la società che sta a Milano e che costruisce dighe in Etiopia e in Turchia, provocando la modifica del tragitto dei fiumi e obbligando centinaia di migliaia di persone ad abbandonare la loro terra e ad emigrare in condizioni di povertà, appena andrete a denunciare le politiche dell’Enel e dell’Eni, allora diventerete meno simpatici alla grande stampa.

E allora cominceranno a criticarvi e tenteranno di dividervi e di provocarvi. Questo è sempre stato l’atteggiamento del potere.

Prima blandire, tentando di incorporare una parte delle richieste e di far deviare il percorso del movimento. Per esempio vi diranno che dovete prendervela con i paesi del sud del mondo, come la Cina e l’India. Invece, le politiche ambientali devono essere cambiate ovunque, certamente anche in Cina e in India, ma è fuor di dubbio che il potere, quello vero, per ora si trova ancora in gran parte nell’emisfero nord-occidentale del pianeta. Se il movimento per il clima avrà la capacità di individuare obiettivi concreti, dovrà fare i conti con i tentativi da parte del potere di dividerlo, di reprimerlo e dovrà capire che il suo più grande patrimonio è la capacità di restare unito. Unito e globale.

4 – In questi anni molti di noi, che facciamo parte di associazioni e movimenti, guardiamo con preoccupazione e spesso con sconcerto a ciò che capita nell’ambito della sinistra italiana. Sembra che anziché impegnarsi per la costruzione di obiettivi comuni e occuparsi della sempre più difficile situazione delle persone fragili, ci sia la sottolineatura della propria identità, delle proprie scelte, di un narcisismo che sembra essere sempre presente, di una litigiosità continua. È un’analisi troppo pessimistica?

Potrei non aggiungere nulla e semplicemente sottoscrivere il contenuto della domanda. Sono totalmente d’accordo. In questi anni abbiamo assistito a una resistenza importante di centinaia, di migliaia di associazioni, collettivi, piccoli gruppi che sul loro territorio e sui loro temi specifici, hanno opposto una resistenza quotidiana agli attacchi del neoliberismo. È evidente che prima di tutto si parla della questione dei migranti. Il simbolo è Riace, ma oltre a Riace sussistono centinaia di esperienze altrettanto interessanti di solidarietà e difesa dei diritti umani di coloro che arrivano da un altro Paese. Pensiamo a tutte le associazioni che in questi anni hanno lavorato sui temi ambientali, dalla vicenda Pfas in Veneto all’ILVA a Taranto fino alle tragedie, alle frane e alle alluvioni che hanno coinvolto il centro e sud Italia; pensiamo alle tante mobilitazioni, alle denunce e alle segnalazioni da parte di gruppi, collettivi e comitati.

Pensiamo alla quantità enorme di associazioni che lavorano nell’assistenza sociale e sanitaria, o ai collettivi che lottano per migliorare condizioni di lavoro inaccettabili ad esempio tra i riders o nel campo della logistica. Questa è la sinistra sociale, è a costoro che dobbiamo la resistenza ai vari governi più o meno di destra, ma tutti con politiche di destra, che si sono succeduti.

Questa sinistra sociale è stata finora e lo è ancora oggi, assolutamente orfana di una rappresentanza politica e credo che le ragioni principali siano quelle contenute nella domanda. Penso che la sconfitta più grande, oltre a quella politica, sia stata la sconfitta culturale. Un filo – non rosso – unisce Craxi, Berlusconi e Renzi. È un filo, prima che politico, culturale, di distruzione di tutti quei valori che simbolicamente e fattivamente sono contenuti nella Costituzione. Hanno lavorato per distruggere il valore dell’agire collettivo; nel tentativo di cancellare l’idea che dalla crisi e dalle situazioni di difficoltà si esce uniti, insieme e non pestando i piedi al proprio vicino più povero.

Un filone culturale che si è alimentato con la nascita delle televisioni private e da come sono nate, cioè con la subcultura del disimpegno, del “mi faccio i fatti mie”, del “posso emergere unicamente sulle spalle di chi mi sta intorno”. Questa subcultura ha dilagato dappertutto e credo abbia purtroppo raggiunto anche settori della sinistra e quando si perde la speranza, si finisce anche per non credere più che l’azione collettiva possa cambiare il mondo; allora ognuno guarda solo a sé stesso e a mio parere questo è avvenuto alle formazioni della sinistra e anche a diversi dirigenti della sinistra: una logica individuale, individualista e superidentitaria. La forza di una sinistra diffusa esiste in Italia e non è vero che è tutto azzerato. Non vi è stata l’umiltà di costruire dal basso un soggetto politico unificante di sinistra. Questo è avvenuto anche non tenendo fede ai nostri stessi valori. Come possiamo, quando ci confrontiamo e ci scontriamo con la destra, parlare di tolleranza, di valorizzazione delle diversità e avere al contrario una storia fortemente divisiva della sinistra politica? Quello che predichiamo dobbiamo essere i primi a realizzarlo.

La speranza non è mai morta, anche perché è un dovere storico ricostruire un soggetto a sinistra. Deve essere un soggetto plurale, unito da obiettivi concreti e fondato sulla partecipazione collettiva, sul protagonismo di gruppi locali. Senza questo non si riuscirà a costruire nulla. Le condizioni sociali oggettive per poter costruire la sinistra ci sono. Il neoliberismo ha fallito e le soluzioni della destra sovranista hanno un tempo limitato perché fondate su delle promesse che non verranno mantenute. L’operazione della destra sovranista, tipica di tutti i regimi populisti di destra, è semplice: ottenere i voti dei ceti popolari per politiche che vanno contro i loro stessi interessi.

Che senso ha che i più deboli, i più poveri, votino un partito che propone la Flat Tax e che in pratica propone di non far pagare le tasse ai ricchi?

Fin dalla nascita della Repubblica, come previsto dalla Costituzione, era stabilita una precisa progressività delle tasse in relazione ai redditi.

Per un po’ la destra può annebbiare la vista dei ceti popolari, facendo loro credere che il nemico sia il migrante; ma quando non ci sono soldi per pagare l’affitto, per arrivare a fine mese e contemporaneamente le tasse sono state abbassate ai più ricchi, qualche dubbio, qualche conflitto si aprirà nel fronte populista di destra. E allora l’opportunità per la costruzione di un soggetto di sinistra sarà ancora più evidente. Ma oggi siamo in presenza di un forte deficit soggettivo della sinistra politica e nulla fa pensare che sia facilmente superabile senza un ricambio generazionale e una forte innovazione culturale.

5 – Lei è stato parlamentare europeo dal 2004 al 2009 e in seguito, nel 2010, candidato alla presidenza della Regione Lombardia. Poi, nel 2015 ha fondato, insieme ad Emilio Molinari e Piero Basso, l’associazione “Costituzione Beni Comuni”. Questa scelta di “uscire” dall’ambito istituzionale da cosa è stata motivata? Quali sono gli ambiti di cui si occupa l’associazione?

Questa scelta è stata motivata dalla convinzione che l’incidenza sul piano istituzionale oggi è molto più limitata che nel passato perché, come ormai si sa, molte delle decisioni non vengono prese all’interno delle istituzioni elettive, ma sono assunte in ambiti internazionali che sfuggono a qualunque controllo democratico come ad esempio: la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’ Organizzazione Mondiale del Commercio, varie istituzioni dell’ Unione Europea fra le quali la BCE e i grandi fondi finanziari, solo per fare alcuni esempi.

È evidente che il ruolo istituzionale oggi è molto meno efficace rispetto al passato, anche se rimane un ruolo importante da dove, almeno parzialmente, si può ancora incidere

Inoltre penso che ora la cosa fondamentale sia ripartire dal basso, per costruire consapevolezza, coscienza collettiva e che una sinistra non può essere ricostruita a prescindere dalla centralità dei ceti popolari. Noi non possiamo pensare di costruire una sinistra ‘per’ qualcuno, noi dobbiamo costruire una sinistra ‘con’ qualcuno. Non può essere una sinistra che mette insieme un po’ di intellettuali convinti di essere chiamati loro a fare il bene dei ceti popolari, di quelli che hanno un lavoro precario, di quelli che sono disoccupati, di quelli che hanno un lavoro a chiamata, di quelli che non possono sopravvivere con una pensione da fame.

Prima di tutto perché si possa costruire una sinistra deve esserci il protagonismo di questi soggetti fondato su autonomi processi di autoorganizzazione. Questa opera si compie, iniziando dal sociale. Faccio parte ancora di coloro che pensano che il politico sia un prolungamento del sociale e non il contrario.

Una rappresentanza politica a sinistra se non ha gambe sociali non riesce ad avere nessuna incidenza. Per questo ho scelto in questi anni di dare la priorità alla lotta sociale e alla battaglia culturale.

6 – Secondo la sua esperienza e guardando alla realtà odierna, su quali temi le realtà attente alla solidarietà e alla costruzione di umanità dovrebbero oggi maggiormente impegnarsi?

La mia risposta è molto banale in questo caso. Penso che si debba ripartire dalle condizioni materiali. Raramente ci sono state diversità così enormi nei redditi all’interno dello stesso Paese tra i più ricchi e i più poveri. In tutto il mondo occidentale noi stiamo andando verso la cancellazione delle conquiste che sono avvenute nella seconda metà del XX secolo. Penso all’istruzione di massa, al servizio sanitario nazionale, al Welfare, alle pensioni e quindi bisogna cominciare di nuovo da salute, casa, lavoro. I bisogni materiali. Altrimenti si può parlare molto, ma con la pancia vuota non si va da nessuna parte. Però tutto questo non può essere fatto con le modalità passate.

E sottolineo due aspetti. Penso che sia importante che nella società continuino a esserci dei corpi intermedi. Non condivido l’idea che l’unico rapporto con le istituzioni si fondi su un rapporto diretto tra il singolo cittadino e lo Stato, magari giocato sul computer. Va benissimo l’attività dei social, ma la nostra Costituzione è ancora attuale anche in questo e prevede forme sociali di organizzazione collettiva che sono i corpi intermedi della società. Corpi sociali intermedi sono per esempio i sindacati, i patronati, l’Arci, le grandi organizzazioni che si battono per la salute, i quali fanno sì che il singolo cittadino non resti isolato con il suo problema davanti allo Stato. Una delle difficoltà a sinistra è l’incapacità di ricostruire strutture collettive, che siano capaci di rappresentare la società attuale.

Facciamo un esempio. Ci sono ancora i sindacati, ma si occupano del personale dipendente sostanzialmente con contratti a tempo indeterminato e poco altro. E non riescono, non sono stati capaci di interagire con quella massa enorme di persone che sono fuori da quel mercato del lavoro, con contratti a tempo determinato, contratti a chiamata, contratti a ore, che passano da un stage all’altro, che passano da un corso di formazione all’altro, lavoro nero eccetera… Però la maggioranza delle nuove generazioni ha questo tipo di lavoro, non un contratto a tempo indeterminato. E allora costruire delle realtà collettive, delle strutture intermedie che rappresentano queste persone significa cambiare paradigma. Non possiamo pensare che il modello sindacale ottocento-novecentesco possa coprire la molteplicità di lavori ed i diversi tipi di contratti che esistono oggi o addirittura l’assenza di contratti.

Penso alla necessità di camere del lavoro territoriali, sociali, radicate sul territorio. È necessario un salto culturale. Per esempio, è necessario ricollocare la stessa categoria dei diritti, che devono essere sempre più pensati come diritti universali propri della condizione umana e non più collegati unicamente alla condizione lavorativa. Nel novecento è stata una grande conquista per le donne lavoratrici il diritto alla gravidanza, ma oggi questo diritto deve essere sancito giuridicamente non solo per le donne che hanno un lavoro a tempo indeterminato, ma anche perle tante che si trovano in altre condizioni lavorative e deve essere ampliato e tutelato anche da provvedimenti quali ad es. quelli relativi alla paternità obbligatoria che incentivino   anche   pratiche di equità di genere.

Qualunque donna, che vive nella nostra società, deve avere la possibilità, se lo desidera, di poter procreare senza rischiare economicamente la propria vita e il proprio percorso professionale.

Un altro aspetto da sottolineare è che oggi qualunque riflessione sulla trasformazione delle nostre condizioni di vita non può prescindere dal pensare globalmente; oggi una decisione assunta in un fondo finanziario a Londra, piuttosto che a New York, può cambiare la vita di un contadino che lavora nelle campagne attorno a Napoli. Dobbiamo avere una visione globale, anche per impedire che ci spingano a lottare gli uni contro gli altri.

Un giorno, quando ero al Parlamento Europeo, giunse la notizia del rischio di chiusura di alcune acciaierie italiane; stesi un comunicato stampa e chiesi ai miei colleghi delle altre forze di sinistra presenti in Parlamento di firmarlo e sostenerlo. Mi risposero con un forte imbarazzo; la chiusura delle fabbriche italiane garantiva la sopravvivenza delle acciaierie situate nei loro Paesi.

È la logica del capitale che contrappone gli uni agli altri. Ecco perché è necessario un pensiero globale. Ma i sindacati non sono stati in grado di fare questo salto; nei fatti i sindacati europei esistono come sigla. Come capacità reale di costruire vertenze europee sono a un livello molto basso.

Sono convinto che sia possibile cambiare con l’impegno collettivo, la realtà attuale. Non è illusorio. Ma necessitiamo di paradigmi interpretativi molto diversi rispetto a quelli del passato.

Danilo Minisini e Laura Tussi da Peacelink.it

Rassegna Stampa:

 

Radio popolare:

https://www.peacelink.it/pace/a/46718.html

 

Unimondo:

https://www.unimondo.org/Notizie/I-perche-di-Genova-2001-186902

 

PeaceLink:

https://www.peacelink.it/pace/a/46653.html

 

Pressenza:

https://www.pressenza.com/it/2019/07/i-perche-di-genova-2001/

 

Sito di Vittorio Agnoletto:

https://www.vittorioagnoletto.it/2019/07/15/i-perche-di-genova-2001/

 

AgoraVOX:
https://www.agoravox.it/I-perche-di-Genova-2001-Intervista.html

 

La Bottega del Barbieri:

http://www.labottegadelbarbieri.org/i-perche-di-genova-2001/

 

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Il Sole di Parigi – Pace & Dintorni

La Pagina Pace & Dintorni del Sito Il Sole di Parigi a cura di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

Il Sole di Parigi – Pace & Dintorni

Il Sole di Parigi-  Osservatorio per l’attuazione dell’accordo globale di Parigi sul clima (COP21)propone una pagina dal titolo Pace & Dintorni per promuovere libri, iniziative, musica, video per creare una autentica cultura di pace

Il Sole di Parigi - Pace & Dintorni

L’osservatorio è coordinato da

KRONOS PRO NATURA

dal 1996 storica associazione ambientalista di Milano

con la collaborazione di numerose associazioni culturali tra cui:

Accademia Kronos

Energia Felice

Laudato Si

Alla pagina “La Rivista del Sole” è possibile scaricare gratuitamente tutti i numeri della rivista in formato pdf

IL SOLE DI PARIGI: IL PROGETTO EDITORIALE.

L’Osservatorio per l’attuazione dell’accordo di Parigi sul clima, di cui “Il Sole di Parigi” è l’organo telematico e un centro di documentazione, studi e ricerche/azione costituito da realtà impegnate contro le minacce globali che pendono sulla testa dell’Umanità: la giustizia climatica, la conversione energetica ed ecologica, il disarmo e la pace.

I soggetti fondatori sono: Kronos Pro Natura Milano, Accademia Kronos, APE (Arte-Pace-Energia), Associazione Energia Felice, Disarmisti esigenti, WILPF Italia.

Consideriamo membri della redazione tutti gli iscritti alle associazioni fondatrici che vogliono dare il loro contributo libero, volontario e gratuito. Qualsiasi scritto o documento degli iscritti può essere inviato per la pubblicazione a: redazione@ilsolediparigi.it

Il Sole di Parigi – Numero 0 – 2018 (scarica pdf)

Il Sole di Parigi – Numero 1 – 2018 (scarica pdf)

Il Sole di Parigi – Numero 2 – 2019 (scarica pdf)

Il Sole di Parigi – Numero 3 – 2020 (scarica pdf)

La Pagina Pace & Dintorni del Sito Il Sole di Parigi a cura di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici:

https://www.ilsolediparigi.it/pace-dintorni/

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Radio Popolare – Vittorio Agnoletto da San Vittore

Trasmissione radiofonica sulla nostra esperienza con i detenuti del carcere milanese di San Vittore

Radio Popolare – Vittorio Agnoletto da San Vittore

Radio popolare promuove le nostre esperienze e cause a sostegno degli ultimi, degli emarginati, dei dimenticati dalla società, di cui tutti siamo parte nel contesto sociale e culturale e nel mondo, dove tante voci chiedono verità, libertà, giustizia
Fonte: Radio Popolare – Sidecar, Report dal carcere milanese San Vittore di Vittorio Agnolettohttps://www.radiopopolare.it/podcast/sidecar-di-sab-15-02/

Radio Popolare da San Vittore

Nella trasmissione Sidecar di Radio popolare, Vittorio Agnoletto racconta il nostro incontro con i detenuti di San Vittore per parlare di solidarietà, accoglienza, interazione con musica e dialogo per presentare alla vasta e ricca realtà carceraria il progetto/libro Riace musica per l’umanità.

Esperienza molto forte nel carcere di San Vittore per presentare ai detenuti il libro: “Riace musica per l’umanità” con musica e testimonianze. Tra detenuti italiani e immigrati a parlare di emigrazione, accoglienza, legalità/illegalità, giustizia/diritti. Il racconto di Vittorio Agnoletto a Sidecar – Radio Popolare dal minuto 45,58.

Che esperienza quella al carcere di San Vittore!!!
Abbiamo incontrato tantissima umanità.

Ora possiamo dire di aver compreso a pieno l’insegnamento di Don Andrea Gallo che ci diceva sempre di stare con gli ultimi, i dimenticati dalla società.

Abbiamo incontrato ingegneri, cuochi, studenti universitari, economisti, disoccupati, migranti in attesa di giudizio e per scontare una pena e abbiamo dialogato con loro.
Tutte Persone antirazziste e quando Fabrizio Cracolici ha parlato dell’Anpi – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, hanno molto apprezzato il ruolo di questo ente morale nel dialogo contro ogni razzismo e nella testimonianza di verità contro tutti i revisionismi, rovescismi e negazionismi più subdoli che contrastano nettamente con i dettami delle Costituzioni nate dall’Antifascismo e con la Dichiarazione Onu dei diritti umani del 1948.

I detenuti con tanta volontà di riscatto nel cuore, per una vita dignitosa, nel rispetto dei diritti umani, hanno cantato sulle note della musica e delle canzoni di Renato Franchi con i ritmi di Gianfranco D’Adda.

Ci hanno chiesto di ritornare.

Grazie di cuore a Alessandra Magenes, Milly Moratti, Vittorio Agnoletto, Renato Franchi e Gianfranco D’Adda per averci accompagnato in questo percorso di umanità e riscatto, dove al primo posto abbiamo messo la dignità dell’essere umano e i diritti umani.

Note: Radio Popolare – Sidecar, Report dal carcere milanese San Vittore di Vittorio Agnolettohttps://www.radiopopolare.it/podcast/sidecar-di-sab-15-02/
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Riace come modello di accoglienza a Samarate Loves Books

Presentazione a Samarate (Varese)

Riace come modello di accoglienza a Samarate loves books

Gli autori del libro “Riace musica per l’umanità” saranno ospiti di Samarate loves books per parlare di Mimmo Lucano e della disobbedienza civile
Nicole Erbetti

Mimmo Lucano a Riace

L’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, è divenuto il simbolo della disobbedienza civile nell’Italia contemporanea grazie anche al suo sistema di accoglienza ormai definito “Modello Riace“.

Questo il tema del prossimo incontro di Samarate loves books, in collaborazione con l’Anpi, “Riace musica per l’umanità“: giovedì 20 febbraio, ore 21, al Caffè Teatro Nazionale saranno presenti gli autori del libro Riace musica per l’umanità (Mimesis Edizioni), Laura Tussi e Fabrizio Cracolici. Ad accompagnare le loro parole la musica di Renato Franchi.

«Parlare oggi di diritti umani e modelli sostenibili di inclusione e intercultura, in questa congiuntura negativa, pensiamo sia fondamentale. La musica accompagnerà parole e riflessioni su un caso come la vicenda Riace di estrema attualità e allarmante interesse per una società esacerbata dall’odio fomentato dal potere, dal cattivismo dilagante, dal qualunquismo antiegualitario che contrastano nettamente con tutte le costituzioni nate dall’Antifascismo», commentano gli autori intervistati da Agoravox.

Perché parlare di Riace? La vicenda del comune ha focalizzato l’attenzione, da parte dell’opinione pubblica, su alcuni interrogativi che, in un periodo come quello che stiamo vivendo, non possono più essere ignorati. «Le leggi devono essere sempre rispettate, anche quando ingiuste, oppure la disobbedienza civile può ancora incidere sulla nostra società? Riace e il suo sindaco hanno offerto un modello di convivenza pacifica e plurale, oltre che virtuosa per il territorio».

 

Dopo l’arresto nell’ottobre 2018 per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e il divieto di dimora a Riace, costringendolo dunque ad abbandonare la città. Recentemente questo divieto di dimora è stato revocato.

Lucano è ancora sotto processo per associazione a delinquere, truffa, abuso d’ufficio, frode in pubbliche forniture, falso e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Le accuse riguardanti gli appalti del comune, invece, sono state giudicate infondate.

 

di Nicole Erbetti

nicole.erbetti@gmail.com

 

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Le stelle della Resistenza

Hessel, Pesce e Pinelli: la loro lotta sia il nostro impegno

Le stelle della Resistenza

Per costruire con la musica, l’arte e i libri una vera cultura di pace
Laura Tussi

Laura Tussi (Rete ICAN Premio Nobel per la Pace)

Le stelle della Resistenza

Personalità della Resistenza come Hessel, Pesce e Pinelli costituiscono la stella polare e l’orientamento del nostro agire culturale e del nostro impegno e attivismo politico e non partitico.

La seguente analisi è scaturita dalla sintesi delle nostre presentazioni in pubblico con le figlie di Giuseppe Pinelli, con la figlia di Giovanni Pesce, dalle letture dei libri di Stéphane Hessel e dalla proposizione del suo alto messaggio.

Pino Pinelli, da Partigiano anarchico, vive lo stesso periodo storico, seppure in spazi e tempi differenti, con il partigiano socialista libertario Stéphane Hessel per la concezione di antifascismo sociale, differente e contrastante con le frange estreme attuali di antifascismo violentista. Pino Pinelli come antimilitarista nonviolento (Cfr. F. Schirone, Giuseppe Pinelli: il ferroviere di San Siro, con il Patrocinio dell’Associazione Culturale “Pietro Gori” – Milano e USI – CIT, Unione Sindacale Italiana e intervista di Laura Tussi a Claudia Pinelli) ha condiviso e promosso l’impegno per il disarmo con l’obiezione di coscienza e la disobbedienza civile. Così come queste istanze compaiono negli appelli di Stéphane Hessel per un disarmo nucleare universale come principio dell’umanità a vivere il diritto alla felicità senza la paura della catastrofe nucleare e da cui hanno preso le mosse i movimenti internazionali come Ican e Occupy Wall Street e associazioni come Disarmisti Esigenti, Peacelink e altre che operano a livello nazionale e internazionale e che sono state insignite Premio Nobel per la pace nel 2017 per l’attivismo di pace nell’impegno per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e per il trattato Onu TPNW varato a New York a palazzo di vetro con 122 nazioni e la società civile organizzata con Ican.

“La nonviolenza è il cammino che dobbiamo imparare a percorrere” è la celebre riflessione di Stéphane Hessel (Cfr. Navarra, Mosca, Agostinelli, La follia del nucleare, con Introduzione di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici e Prefazione di Alex Zanotelli, Mimesis Edizioni) così come Pinelli portava avanti i valori della giustizia sociale con la costruzione della pace e della nonviolenza dal basso. Pinelli era aperto al dialogo e al confronto così come lo è la problematicità insita di Giovanni Pesce con il testamento spirituale e gli appelli al disarmo e alla pace, come si legge nel libro di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici dal titolo “Giovanni Pesce. Per non dimenticare” Mimesis Edizioni. La nonviolenza politica contrasta con l’assoluto etico ma è la strategia efficace per prevenire il degenerare dei conflitti nella concretezza storica che impone di reagire alla situazione di violenza con scelte anche armate per ridurre il tasso complessivo della violenza e per impedire genocidi organizzati. “Anarchia è responsabilità e ragionamento” così come la capacità di Pinelli di costruire con l’impegno per la pace e la nonviolenza e l’attivismo culturale ambiti e punti di riferimento creativi e intelligenti che vanno oltre le formule astratte e gli schematismi ideologici precostituiti per puntare alla radice dei problemi con l’incrollabile fede nell’umanità che è unica e nelle persone che sono libere e uguali.

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