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Secondo il doomsday clock mancano 90 secondi alla fine del mondo

DI FRANCESCO BEVILACQUA – italiachecambia.org 

 Il doomsday clock, l'”orologio dell’apocalisse”, ci indica che mancano solo 90 secondi alla fine del mondo. Insieme all’attivista e saggista Laura Tussi proviamo a capire come funziona questo orologio e soprattutto qual è lo scenario dal punto di vista bellico e geo-politico – ma anche da quello ambientale, sanitario, sociale – che contribuisce a determinare questo inquietante conto alla rovescia.

“Il mondo è fottuto, vero? Posso dirvi che qualcosa non va, manca un minuto a mezzanotte”

Così cantano i rapper inglesi Snowy e Jason Williamson nella loro Effed. Ma perché mezzanotte? Il riferimento dei due artisti è uno dei tanti che nella storia della musica e del cinema hanno riguardato il doomsday clock – letteralmente “l’orologio del giorno del destino”, con destino inteso in senso fortemente negativo –, un progetto lanciato nel 1947 dalla rivista Bulletin of the Atomic Scientists, a sua volta nata a seguito delle catastrofi nucleari di Hiroshima e Nagasaki.

COME FUNZIONA IL DOOMSDAY CLOCK

Il doomsday clock indica quindi simbolicamente quanti minuti mancano alla mezzanotte, ovvero alla fine del mondo. Dal 1947 a oggi le lancette sono state spostate molte volte, sempre in base ad avvenimenti storici che hanno allontanato o avvicinato il rischio di un’apocalisse nucleare. Inoltre da qualche anno vengono contemplati in questo macabro conto alla rovescia anche altre variabili, come le azioni umane che contribuiscono ad aggravare la crisi climatica.

«Non passano giorni senza cui il presidente ucraino, il presidente russo e quello degli Stati Uniti non lancino al mondo intero proclami di minaccia sulla catastrofe globale, con prese di posizione fisse, paranoiche, psicotiche sul first use nucleare, di dettami basati sulla deterrenza schizoide tra le superpotenze circa la fine di tutto, ossia l’estinzione, o peggio l’annientamento dell’umanità, del genere umano nella sua interezza e delle specie animali e vegetali», osserva Laura Tussi, attivista per il disarmo e la nonviolenza, saggista e collaboratrice di Italia Che Cambia a cui abbiamo chiesto di parlarci meglio del doomsday clock.

QUANTO MANCA ALLA FINE?

Come detto, dal 1947 a oggi le lancette sono state spostate molte volte. Ad esempio, lo scoppio della guerra in Vietnam ha avvicinato la fine del mondo di 5 minuti, mentre la caduta del Muro di Berlino l’ha allontanata di 4 minuti. Il penultimo aggiornamento è avvenuto nel 2020, quando il riarmo nucleare, la pandemia di Covid e la mancanza di politiche di contrasto ai cambiamenti climatici hanno provocato uno spostamento in avanti di 20 secondi.

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Arriviamo dunque a quest’anno: secondo il doomsday clock oggi, nel 2023, siamo a soli 90 secondi dalla mezzanotte nucleare. A provocare il nuovo aggiornamento – +10 secondi – è stata naturalmente la guerra in Ucraina, con il coinvolgimento dei reattori nucleari di Černobyl’ e Zaporižžja, ma anche le minacce della Corea del Nord e le catastrofi climatiche degli ultimi mesi. «Un tempo mai registrato dopo Hiroshima e Nagasaki», osserva Laura Tussi. «Un tempo mai registrato neanche in piena guerra fredda durante la congiuntura salvifica di Kennedy, Krusciov e Papa Giovanni XXIII, in cui mancavano sei minuti dalla mezzanotte atomica».

«Nel complesso – prosegue Laura – possiamo dire che l’umanità intera ormai ha perso il diritto alla felicità; perché il genere umano ha il diritto e il dovere di vivere senza il terrore della scissione nucleare, di vivere felice senza il rischio dell’ecatombe e dell’escalation atomica. L’ONU dovrebbe applicare il diritto alla pace che è già suggellato nel diritto internazionale e incardinato in esso con i documenti e i trattati internazionali come l’accordo TPAN/TPNW per l’abolizione delle armi nucleari, le Carte della Terra, le Cop per il clima, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani».

IL FUTURO DELL’UMANITÀ

Vi saranno nuovi spostamenti delle lancette? Se sì, in che direzione? Il 2026 rischia di essere un anno cruciale: il 5 febbraio scadrà infatti il trattato sulla riduzione delle armi nucleari firmato dagli allora presidenti di Stati Uniti e Russia, Obama e Medvedev. Fra l’altro la Russia, a partire dal 21 febbraio di quest’anno, ha deciso di sospendere momentaneamente la sua adesione al trattato.

«L’umanità sia nel bene che, purtroppo, nel male è caratterizzata dalle sue guerre, i suoi massacri, le stragi, i conflitti armati e tutta la distruzione che ha apportato nella storia», riflette Laura Tussi. «Tuttavia è già di per sé stessa portatrice di un valore grande di saggezza e di esistenza intelligente e intellettiva, presente a livello planetario nell’universo. Noi ragioniamo e pensiamo e sogniamo. Eppure questi 90 secondi che ci separano dalla mezzanotte nucleare farebbero rabbrividire scienziati come Einstein e Russell e anche intellettuali come Carlo Cassola, che con il suo rivoluzionario La rivoluzione disarmista prevedeva un tempo minimo di esistenza e sopravvivenza dell’umanità dopo gli anni duemila».

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MEI, il meeting di artisti indipendenti che rifiutano le logiche commerciali

di Laura Tussi (sito)

Una musica viva, responsabile, attenta a quello che succede nella società e lontana dalle logiche commerciali del circuito mainstream. È quella che promuove il MEI, il meeting degli artisti indipendenti che organizza momenti di incontro e di confronto per far conoscere al pubblico chi canta e suona pensando più al cuore che al portafogli. In attesa del prossimo appuntamento, previsto per il 6, 7 e 8 ottobre a Faenza, ne parliamo con il presidente Giordano Sangiorgi.

RavennaEmilia-Romagna – Giordano Sangiorgi è presidente – o meglio ancora patron – di una realtà molto creativa, ricca socialmente e culturalmente: il MEI, meeting delle etichette e degli artisti indipendenti, che si svolge a Faenza, in Romagna. Il MEI è appunto un meeting, un incontro, che si svolge allo scopo di “sostenere, promuovere e favorire la crescita e la diffusione di una cultura musicale indie ed emergente, per contrastare la massificazioni che si sta avendo in questo comparto”.

Giordano, il MEI si occupa solo di musica oppure tratta anche di altre forme di arte?

Cerchiamo di mantenere il focus sulla valorizzazione della musica indipendente ed emergente italiana alternativa alle piattaforme multinazionali del disco, del digitale e dei live per dare chanche a chi lavora a progetti innovativi originali e inediti in ambito musicale. Insieme alla musica spesso incrociamo i temi dell’innovazione tecnologica, della tutela dei diritti, del sostegno al sistema culturale italiano sui quali interveniamo con il nostro circuito del mondo associazionistico come il Coordinamento Stage & Indies che rappresenta la filiera delle piccole realtà della musica, AudioCoop, che comprende circa 270 piccoli produttori discografici indipendenti e altre realtà.

Spesso siamo attenti però ai temi sociali e civili perché riteniamo che la musica, attraverso i testi e le melodie di note musicali, debba servire anche per farci riflettere sul contesto sociale nel quale viviamo. È un ruolo della cultura e della musica, che non fa solo da semplice intrattenimento, che riteniamo indispensabile.

Come si unisce all’interno e all’esterno del MEI l’impegno musicale con quello sociale?

Facilmente, perché al contrario delle canzoni che ascoltiamo proposte dalle multinazionali nelle principali tv e radio in Italia e sulle principali piattaforme, a noi arrivano tante canzoni che si occupano di temi sociali e civili e, sulla base di questo, lavoriamo a contest e palchi che le valorizzino.

Il gender gap femminile nel paese e nella musica, le canzoni contro le morti sul lavoro, l’impegno in musica contro le mafie, i brani che sensibilizzano sui temi green, quelle sui diritti umani e tanti altri temi ci portano poi a concertare naturali momenti di incontro tra musica e temi sociali e civili perché tutte queste istanze arrivano dal basso. Il 27 settembre a Bologna ad esempio abbiamo organizzato la finale di Onda Rosa Indipendente, un contest che dal 2011 valorizza la scena musicale femminile spesso tenuta ai margini del mercato musicale mainstream.

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Cosa significa che il MEI è il meeting degli indipendenti? Indipendenti da chi e da che cosa e perché?

Significa fare da soli, credere in un progetto e autofinanziarselo e darsi da fare perché trovi il riscontro che merita. Così è nato il boom della discografia indipendente in Italia nella prima metà degli anni ’90 dopo i primi vagiti degli anni ’60, ’70 e ’80: una gran parte di artisti si è rotta le scatole di aspettare che a decidere di pubblicare un album e a farlo passare in tv fossero degli antichi discografici delle major a Milano e degli storici funzionari della Rai a Roma e ha deciso da ogni parte d’Italia di autoprodursi le proprie canzoni.

Da lì è nata l’esplosione delle posse con il rap in Italia, tutto autoprodotto, e il boom delle etichette indipendenti, in gran parte votate all’alternativa rock e cantautorato: fu un vero e proprio boom di vendite. Un pubblico enorme in Italia che aspettava finalmente, in ritardo di vent’anni rispetto ai paesi avanzati, di avere un circuito alternativo e indipendente di musica fatto di produzioni, artisti e band, negozi di dischi, rock club, radio, riviste, fanzine e tutto quanto girava intorno al mercato alternativo che finalmente aveva un suo grosso bacino che poteva sostenerlo.

Riteniamo che la musica, attraverso i testi e le melodie di note musicali, debba servire anche per farci riflettere sul contesto sociale nel quale viviamo

Avete molti progetti futuri? Quali sono i più importanti?

Stiamo ragionando sul tema complesso della digitalizzazione del mercato sia in termini di discografia che di live, che di diritti, che di media. È un tema complesso e difficile perché siamo di fronte a vere e proprie potenze giga-capitaliste e monopoliste mondiali; se non si interviene con urgenza si rischia che il mercato globale della musica resti nelle mani di dieci persone in tutto il mondo.

Quali sono le nuove idee innovative proposte per il vostro pubblico così ampio e variegato? 

Per il pubblico l’ascolto verso le nuove proposte sconosciute, per gli artisti quello di essere sempre più preparati a un mercato che darà sempre meno spazio alle proposte alternative al mainstream piatto che passa sulle piattaforme digitali, sempre uguale e banale per massimizzare i profitti.

Che posto occupano e che ruolo giocano i giovani nel MEI? 

Sono il 90% del cartellone di musica dal vivo che proponiamo.

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Giornata della nonviolenza: è il momento di reclamare il diritto alla pace

di Laura Tussi (sito)

La nostra collaboratrice Laura Tussi, saggista e attivista, approfitta della ricorrenza di oggi, 2 ottobre, giornata internazionale della nonviolenza, per riflettere sul tema del diritto – e dovere – alla pace. Dal cambiamento personale e interiore alla legislazione internazionale, le strade che portano a questo traguardo sono diverse. Incamminiamoci, dunque.

Nel corso dell’anno sono molteplici le date e le ricorrenze dedicate alla pace e alle sue derivazioni, alla nonviolenza, al disarmo nucleare e convenzionale in tutte le sue morfogenesi e tipologie. Due quelle che ricordiamo in data odierna: il 21 settembre è stata la Giornata internazionale ONU per la pace nel mondo e oggi, 2 ottobre, si celebra la Giornata mondiale della nonviolenza. Mai come in questa congiuntura storica, sociale, economica è necessario applicare e appellarsi a questi ideali: la pace e la nonviolenza.

SUL CRINALE DEL BARATRO

Il conflitto in corso in Ucraina rischia di portare l’umanità a una terza guerra mondiale, se non al tanto temuto crinale del baratro nucleare. Questo due termini non sono stati scelti a caso: li ha citati Alex Zanotelli. Il baratro è una condizione che toglie il respiro, che fa personalmente perdere l’equilibrio, mentre il crinale che rappresenta il limite assoluto del baratro. Così è spiegata benissimo la metafora del trovarci tutti, nessuno escluso, come umanità intera in questa precaria condizione collettiva e personale. 

Foto di Didier Moïse

Riflettendo sulla metafora di “baratro” – che forse è più efficace degli epiteti biblici di “armageddon”, “apocalisse” oppure “olocausto” – tutti noi dobbiamo renderci conto che sul fronte dell’attuale guerra – così come delle tante in corso attualmente nel mondo – muoiono come sempre i più diseredati, i più deboli, i più fragili, gli ultimi: donne, vecchi, bambini e i lavoratori e gli operai costretti a combattere direttamente nello scontro fisico, equipaggiati con gli armamenti bellici con cui non hanno neanche confidenza.

DIRITTO ALLA PACE

Stiamo vivendo in un periodo di stagnazione di questo disastro armato perché non subentra nessuna volontà di negoziato. Eppure l’umanità ha il diritto e il dovere di vivere senza la minaccia e il terrore della guerra, dettata dalla deterrenza tra le nazioni e le superpotenze, con il diritto alla pace incardinato nel diritto internazionale. Diritto alla pace che prevede tra i molteplici documenti l’abolizione del nucleare come previsto esplicitamente dal trattato ONU TPAN/TPNW, che non è stato però ratificato dalle potenze belliche sotto l’egida Nato.

Il diritto alla pace rappresenta una rivoluzione etica altissima in questa nostra società globale dove prevale l’egoismo

Il diritto alla pace è la volontà, senza e oltre le barriere ideologiche, di attivare la ferma considerazione del valore e dell’aiuto e del sostegno umanitario per una svolta umanistica. Un valore alto e umanistico ancor prima che umanitario affinché il più debole, l’emarginato, l’oppresso siano redenti, salvati e valorizzati e portati in salvo con un ipotetico e virtuale, ma soprattutto un vero abbraccio che accoglie tutti, perché tutti vogliamo la pace.

Il diritto alla pace – che deve essere inserito nell’agenzia culturale scientifica dell’ONU, ossia l’UNESCO – rappresenta una rivoluzione etica altissima in questa nostra società globale dove prevale l’egoismo soprattutto e poi si declinano i sottoprodotti dell’individualismo, del suprematismo, del razzismo e della sete dissennata di potere che equivalgono alla subcultura del pensiero unico imperante veicolato dai mezzi di comunicazione di massa.

donne globali per la pace

Questa mia sentita riflessione è appunto dedicata alle due ricorrenze del 21 settembre e del 2 ottobre, in quanto la pace è una imprescindibile condizione umana e la nonviolenza è il mezzo per ottenerla. Ce lo insegnano grandi personalità che si sono fatte portatrici di questi alti ideali tra cui Gandhi, Mandela, Martin Luther King e in Italia Montessori, Aldo Capitini, Danilo Dolci e moltissimi altri che hanno contribuito ad apportare nel mondo il bene inteso come una ricerca di benessere sociale, collettivo, di giustizia etica e al contempo individuale e interioristica.

Perché ogni persona deve essere portatrice di pace e nonviolenza nel suo intimo, nella propria introspezione e interiorità. Se ognuno di noi, se ogni componente del genere umano, fosse portatore di questo bene, ossia di pace e nonviolenza, potremmo aspirare a un mondo senza conflitti armati, ossia dotato di equilibrio tra giustizia sociale e il benessere di ogni singola persona. Questo vogliono affermare le celebrazioni per la pace e la nonviolenza.

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Siamo a 90 secondi dalla mezzanotte atomica

di Laura Tussi (sito)

Ormai i potenti della terra, i lor signori della guerra, ci tengono in pugno e in ostaggio con una manciata di secondi che separa, noi, l’umanità senza distinzioni, dal crinale cruciale del baratro nucleare o, per usare metafore bibliche, dall’Armageddon, dall’apocalisse, dall’olocausto atomico.

TRANSFORM – organo della SINISTRA EUROPEA

Non passano giorni senza cui il presidente ucraino, il presidente russo e quello degli Stati Uniti non lancino al mondo intero proclami di minaccia sulla catastrofe globale, con prese di posizione fisse, paranoiche, psicotiche sul first use nucleare, di dettami basati sulla deterrenza schizoide tra le superpotenze circa la fine di tutto, ossia l’estinzione, o peggio l’annientamento dell’umanità, del genere umano nella sua interezza e delle specie animali e vegetali.

Così si chiude il pianeta dei figli delle stelle, dell’epoca planetaria terrestre secondo il gruppo di scienziati contro il nucleare che presiedono un’importante istituzione planetaria il Doomsday clock ossia l’orologio dell’apocalisse atomica.

Questo orologio scientifico ormai segna 90 secondi che ci separano dalla mezzanotte nucleare.

Un tempo mai registrato dopo Hiroshima e Nagasaki. Un tempo mai registrato in piena guerra fredda durante la congiuntura salvifica di Kennedy, Krusciov e Papa Giovanni XXIII, in cui si registravano sei minuti dalla mezzanotte atomica. Nel complesso possiamo dire che l’umanità intera ormai ha perso il diritto alla felicità; perché il genere umano ha il diritto e il dovere di vivere senza il terrore della scissione nucleare, di vivere felice, senza l’incubo nucleare, senza il rischio dell’ecatombe atomica e dell’escalation dell’atomo. L’ONU dovrebbe applicare il diritto alla pace che è già suggellato nel diritto internazionale e incardinato in esso con i documenti e i trattati internazionali come l’accordo TPAN/TPNW, per l’abolizione delle armi nucleari, le carte della terra, le cop per il clima, la dichiarazione universale dei diritti umani.

Insomma è il caso di dire proprio il bene contro il male.

Un male che l’uomo ha costruito con le sue stesse mani, con la scienza maldestramente utilizzata, con le regole della fisica distorte.

Il male della catastrofe.

Nella catastrofe che implica la distruzione dell’umanità e il suo annientamento.

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Vale a dire la scomparsa della cultura, della storia e della presenza dell’essere umano nell’universo, come figlio delle galassie e delle stelle per menzionare la grande e saggia astrofisica Margherita Hack.

Forse siamo l’unica specie pensante e raziocinante in questa infinità di universi, di galassie, di costellazioni partorite dal maestoso e incommensurabile e infinitesimale Big Bang: il principio del tutto.

Il nucleare dovrebbe distruggere tutta questa meraviglia, l’essere umano e il suo sogno, un microcosmo nel cosmo, che appunto in termini laici chiamiamo cosmo, dal greco, un ordine predefinito dalla casualità ancestrale e cadenzato dai movimenti dei pianeti, dalla ciclicità degli astri, dall’astrofisica delle galassie di costellazioni? Noi esseri umani così insignificanti, come pulviscoli infinitesimali, in questo infinito spazio e che non riusciamo nemmeno a conoscere e riconoscere e forse accogliere la presenza di altre entità extraterrestri pensanti e raziocinanti come noi stessi, come l’essere umano, nella immensità universale.

La grande colpa, il grande peccato, l’immenso sacrificio, il brutale sacrilegio è la distruzione di un pulviscolo, come l’umanità intera, di saggezza, di sapere, di storia negli archivi del passato, del tempo trapassato, delle ere glaciali e delle età dell’evoluzionismo umano e terrestre.

L’umanità sia nel bene e sia purtroppo nel male che la caratterizza con le sue guerre, i suoi massacri, le stragi, i conflitti armati e tutta la distruzione che ha apportato nella storia è però già di per sé stessa un valore grande di saggezza e di esistenza intelligente e intellettiva presente a livello planetario nell’universo. Noi ragioniamo e pensiamo e sogniamo.

L’umanità è un valore troppo grande per essere cancellato dalle storie di tutti i tempi e di tutte le stratosfere stellari.

I 90 secondi che ci separano dalla mezzanotte nucleare farebbero rabbrividire scienziati come Einstein e Russell e anche intellettuali come Carlo Cassola che, con il suo saggio veramente rivoluzionario dal titolo La rivoluzione disarmista, prevedeva un tempo minimo di esistenza e sopravvivenza dell’umanità dopo gli anni duemila.

Cassola per il suo saggio che prendeva una posizione netta contro il nucleare e contro l’arma atomica è stato sempre messo alla berlina, al bando dall’establishment dell’epoca durante gli anni settanta del novecento proprio per queste sue convinzioni e questo suo giusto pensiero. Si dice che per questo pensare insopportabile di morte che lo arrovellava e attanagliava, ossia l’estinzione dell’umanità per mano dell’uomo con l’arma nucleare, Cassola sia morto di decadimento cognitivo cerebrale, come se il suo cervello non fosse riuscito a concepire un dolore così immane. I nostri figli e i nostri nipoti, i nostri pronipoti e i nostri avi e trisavoli, proprio non rimarrà più niente di noi e del loro ricordo e delle rimembranze delle esistenze e della storia umana e nemmeno una traccia della nostra vita e esistenza in tutto l’universo?

Dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze e la nostra costante acribia di attivisti ecopacifisti per la pace planetaria nel non smettere mai di denunciare questa nostra condizione di guerra e di barbarie, fugace, effimera, fallace e non dobbiamo mai smettere di usare tutte le riviste per cui scriviamo per urlare con il tramite della scrittura che noi abbiamo il diritto e il dovere di continuare a vivere nella felicità di un mondo e di una madre terra liberi dall’incubo nucleare.Questo articolo è stato pubblicato qui

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Educare e non militarizzare. Dialoghi con Antonio Mazzeo

di Laura Tussi (sito)

Vogliamo intervistare Antonio Mazzeo, Insegnante, peace-researcher e giornalista impegnato nei temi della pace, della militarizzazione, dell’ambiente, dei diritti umani, della lotta alle criminalità mafiose. Ha ricevuto il “Premio G. Bassani – Italia Nostra 2010″ per il giornalismo e a Roma l’ottobre 2020 è stato premiato dall’Archivio Disarmo con la “Colomba d’oro per la Pace” quale riconoscimento “per aver interpretato per anni il giornalismo e la scrittura come una missione di difesa dei diritti umani e di denuncia delle ingiustizie”.

Educare e non militarizzare.

Dialoghi con Antonio Mazzeo

Di Laura Tussi 

Attualmente assistiamo a un fenomeno ormai sempre più dilagante nelle scuole e nelle università.

In questi istituti non vi è più spazio per i partigiani e per coloro che testimoniano la trasmissione generazionale delle idee antifasciste, ma la scuola e l’università diventano teatro sempre più emblematico e eclatante delle forze armate che impongono i disvalori più retrivi e reazionari del superego dell’eroe e della razza, del primato dell’individualismo, della violenza soprattutto, della competizione a oltranza e dell’annientamento dei più fragili del pianeta.

Tutti disvalori di una subcultura arretrata e atavica che sono accomunati alla mentalità reazionaria del ventennio più oscurantista e terrificante del novecento. Basti ricordare l’istruzione imposta ai giovani balilla all’epoca del duce e in nome di un indottrinamento di barbarie e violenza.

  • Puoi commentare queste affermazioni in quanto docente che si oppone a questi disvalori e all’attuale subcultura guerresca e militarista dominante?

Sì, fai bene a porre l’attenzione su uno degli aspetti più deleteri dell’odierno processo di militarizzazione delle scuole di ogni ordine e grado e del sistema educativo: il revisionismo storico e la riproposizione della narrazione e dei disvalori che hanno caratterizzato l’istruzione del ventennio fascista. Patria, nazione, identità e unità nazionale, sicurezza, rispetto della “legalità” e obbedienza sono tornate ad essere le parole d’ordine delle innumerevoli iniziative “formative” che le forze armate propongono alle studentesse e agli studenti. Si rispolverano presunti eroi di tutte le guerre (perfino le figure più ignobili della Repubblica sociale italiana), se ne esaltano le gesta di morte, si commemorano sanguinose battaglie coloniali e di contro si occultano i crimini commessi, le sanguinarie aggressioni contro le popolazioni, i bombardamenti con i gas sui villaggi in Africa, le inutili stragi di milioni di giovani mandati a fare da carne da macello per gli interessi del capitale e le follie dei dittatori. E intano la scuola italiana diventa sempre più autoritaria, classista e discriminante.

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La violenza diventa abitudine. Gli attivisti dei movimenti in favore della pace, del disarmo e della nonviolenza continuano a Resistere, portando avanti campagne di digiuno, per opporsi alle guerre e alla catastrofe nucleare. Queste iniziative intraprese da singole persone amiche della Nonviolenza costituiscono, tutte insieme, un modo per mettersi in gioco personalmente, per assumersi delle responsabilità e per indicare la strada concreta della nonviolenza e della pace, per uscire dalla follia, dal baratro senza fine dei conflitti bellici e dell’era nucleare. Vogliamo la pace come umanità.

La pace è un processo lungo di preparazione e meditazione dei popoli che parte dell’educazione nei luoghi preposti alla formazione delle nuove generazioni.

  • Come puoi commentare queste riflessioni alla luce di ciò che avviene nelle scuole e nelle università sempre più militarizzate e con la presenza delle forze armate?

Nelle nostre scuole è sempre più difficile proporre e sperimentare progetti di educazione alla pace e alla nonviolenza. Direi pure che è diventato quasi impossibile porre all’attenzione di dirigenti e colleghi la necessità di de-militarizzare i linguaggi e le attività curriculari. All’ultimo collegio dei docenti ho avuto l’ardire di chiedere di ridenominare un dipartimento incautamente chiamato “sicurezza e legalità”. Perché non pensiamo a un gruppo di lavoro sull’educazione nonviolenta?, ho proposto. I ragazzi devono imparare a rispettare le leggi, l’autorità e le istituzioni che le difendono come le forze armate e di polizia, mi è stato risposto. E a stramaggioranza la richiesta è stata respinta. Questo è il clima che ormai si respira in buona parte degli istituti. Siamo del resto in guerra, una guerra globale e permanente. L’economia è di guerra e pure i media, le forze politiche, gli attori sociali hanno deciso d’indossare l’elmetto. La scuola è da sempre lo specchio delle tensioni e delle contraddizioni della società. E dunque anche la scuola va alla guerra.

  • Come e in quali modalità questo processo di militarizzazione, che si sta diffondendo in maniera esponenziale, si manifesta?

Purtroppo sono innumerevoli le forme che testimoniano il processo in atto: visite guidate degli studenti (fin dalla primaria) alle caserme e ai porti e aeroporti militari; lezioni dei militari su quasi tutti i temi e gli argomenti interdisciplinari (Storia, Costituzione, salute, sport, contrasto alla droga e ai comportamenti definiti devianti e altro ancora); stage e alternanza scuola-lavoro all’interno delle infrastrutture di morte, nei depositi di missili e munizioni, a bordo di caccia e carri armati, nei poligoni inquinanti, nelle industrie belliche. Ci sono poi i tanti concorsi a premi promossi dal ministero della Difesa e dalle grandi holding delle armi e della cyber security (Leonardo, Fincantieri, Boeing), i campi estivi con gli alpini e i reparti d’élite della Marina, le lezioni in lingua inglese con i Marines Usa che operano nelle installazioni che occupano i nostri territori. In tanti istituti si celebra l’inizio dell’anno scolastico con l’alzabandiera e il canto dell’Inno di Mameli, fianco a fianco con i militari e la mano al cuore.

  • La nonviolenza e il diritto al disarmo nucleare sono ancora valori proponibili nei contesti educativi?

Dicevo che è sempre più complicato proporre la pace, la nonviolenza e il disarmo e non rischiare l’isolamento o la commiserazione. Ma dobbiamo continuare a farlo perché è in gioco il futuro stesso di tutte e tutti noi. All’orizzonte si profilano le tetre nubi dell’olocausto nucleare e siamo chiamati al diritto-dovere alla resistenza per la sopravvivenza. Dobbiamo continuare a educare alla vita e per la vita, contro vento e maree, pur consapevoli delle nostre fragilità e del clima culturale di morte imperante.Questo articolo è stato pubblicato qui

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TRANSFORM. Comunicazione sociale nell’era multimediale e dell’intelligenza artificiale

di Laura Tussi (sito)

TRANSFORM. Comunicazione sociale nell’era multimediale e dell’intelligenza artificiale

Evento – Diretta Facebook

Comunicazione sociale nell’era multimediale.-.-
In anteprima presentazione dello spot:
Salviamolo Salviamoci ! I Giovani.-.-

La necessità di essere efficaci sulle azioni sociali e pacifiste attuali.-.-

Diretta Facebook con la partecipazione di:

MAURIZIO ACERBO.-.-
ENNIO CABIDDU.-.-
GIORGIO CREMASCHI.-.-
PAOLO FERRERO.-.-
OLIVIERO SORBINI.-.-

Introduzione e conclusioni di:

LAURA TUSSI e FABRIZIO CRACOLICI.-.-

Martedì 26 Settembre 2023 ore 20.30.-.-
Diretta Facebook @MSGSV Argonauti per la Pace 

Link per collegarsi all’evento: https://fb.me/e/OuSTJ5qd

Comunicazione sociale nell’era multimediale 

di Laura Tussi 

TRANSFORM – Organo di Comunicazione della Sinistra Europea: https://transform-italia.it/comunicazione-sociale-nellera-multimediale/

La comunicazione è sempre più monopolizzata da lobby di potere e nello specifico manca di obiettività. Non è obiettiva.

Non si pone obiettivi concreti e creativi ed è sempre più di parte, ossia al servizio del potente di turno e la comunicazione risulta essere sempre più sfacciatamente e per opportunismo filogovernativa.

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È necessario creare nuovi modelli alternativi e creativi anche con modalità fantasiose per attirare un eventuale segmento di popolazione potenzialmente riluttante alla comunicazione istituzionale, come le nuove generazioni.

Con Fabrizio Cracolici, attivista e video maker, cerchiamo nel nostro piccolo ambito di impegno sociale e culturale di usare modalità comunicative per le giovani generazioni e nel nostro ambito di interazione e azione tentiamo di interagire con i social anche attraverso video spot che trasmettono e analizzano le varie criticità e le minacce emergenti che incombono sulla vita intera del genere umano.

Abbiamo realizzato dei contest video spot intitolati Salviamolo salviamoci! Gli ultimi dedicati alle morti sul lavoro e un altro sulle nuove generazioni e sul nucleare e così via. Questo Contest di spot verrà presentato martedì 26 settembre 2023 ore 20:30 con importanti relatori da Maurizio Acerbo a Giorgio Cremaschi a Paolo Ferrero e con la speciale partecipazione di Ennio Cabiddu e Oliviero Sorbini. In diretta Facebook cercando l’evento Salviamolo Salviamoci!

Il Link per collegarsi all’evento: https://fb.me/e/OuSTJ5qd

Inoltre da anni collaboriamo con una casa editrice Mimesis Edizioni molto innovativa che punta moltissimo sulla qualità dei testi scritti e prodotti e sulla alta competenza delle autrici e degli autori. Mimesis Edizioni si distingue per la sua estensione in tutta Europa con sedi e siti all’estero e tramite collaborazioni con varie università.

Abbiamo scritto molti libri con Mimesis Edizioni e partecipato a molti e svariati e diversi progetti editoriali anche con nostre prefazioni, postfazioni e introduzioni e con la nostra cura dei testi.

Così il mio impegno pacifista si realizza anche attraverso gli articoli che scrivo personalmente in svariati siti online e ambiti editoriali svincolati dal sistema mercificatorio e gli articoli e gli studi che realizzo sono curati da piccoli editori che ancora credono e investono nell’indipendenza della comunicazione.

I video spot analizzano nello specifico delle tematiche inerenti le problematiche che affliggono il pianeta e l’intera umanità.

Tra cui uno spot contro il nucleare sia civile sia militare e che denuncia l’armamentario nucleare attivo attualmente in tutto il mondo.

Poi l’assetto climatico che va sempre più deteriorandosi a causa delle emissioni inquinanti di origine antropica nell’atmosfera. Il messaggio è: abbiamo una unica Madre Terra e dobbiamo prendercene cura e tutelarla.

Tutta questa congiuntura iniqua e di conflitto e sperequazione e di assenza di giustizia sociale dà origine a migrazioni forzate di poveri esseri umani che fuggono soprattutto dalle guerre imposte dal potere occidentale.

E ancora il problema della sanità pubblica che rischia sempre più di scomparire per i continui tagli governativi a discapito dei malati, dei sofferenti e dei più fragili. Per questo auspichiamo una sanità efficiente, efficace e soprattutto pubblica.

Il webinar con diretta Facebook di martedì 26 settembre, con l’associazione ecopacifista Argonauti per la pace, analizzerà oltre a questi temi anche argomenti di attualità come il dato di fatto che le frange della società composte di giovani molto spesso sono assenti dalla politica e in generale dalle istituzioni e dalla cultura perché non hanno risorse, anzi non diamo loro risorse e mezzi culturali per superare la violenza strutturale che attanaglia le nuove generazioni ad esempio con la piaga sociale e globale del bullismo e del cyberbullismo.

E ancora le cosiddette morti bianche che sono autentici omicidi e assassini perpetrati ai danni dei lavoratori dalle aziende appaltatrici, per cui noi parliamo di fascismo aziendale che è un’altra forma terribile di violenza che si verifica tramite lo sfruttamento e la sottomissione dell’uomo sull’uomo, del padrone sull’operaio e in generale sul lavoratore.

Quindi si potrebbe affermare che il leitmotiv, il fil rouge di questo incontro online è davvero la violenza che permea l’umanità in tutte le longitudini e le latitudini come la violenza sessista contro le donne che si determina tramite l’atavica dittatura patriarcale e maschilista e sessista e fallologocentrica.

Noi dobbiamo fermare ogni tipologia di violenza da quella che prende inizio dall’assetto della società patriarcale alla prevaricazione imposta dal fascismo e dallo squadrismo violento che non è scomparso il 25 Aprile 1945, ma continua ancora a mietere vittime tra gli ultimi della Terra.

Siete tutti invitati alla diretta Facebook di martedì 26 settembre per dialogare di tutti questi aspetti umani e per tentare tutti insieme e con l’unità delle nostre culture e estrazioni politiche e sociali di affrontare e soprattutto risolvere questi terribili problemi che attanagliano ognuno di noi nella propria vita quotidiana perché la violenza, il fascismo, il sessismo permeano i più svariati settori della popolazione e tutti i soggetti e le persone appartenenti a diverse classi sociali e soprattutto, e lo ripetiamo, i più fragili e gli ultimi esseri umani del pianeta vivente di cui tutti siamo parte nel terribile deserto della sopraffazione dove tante voci gridano per ottenere libertà, giustizia, felicità, in quanto diritto inalienabile della persona. Tante voci di innocenti che gridano inascoltati per ricevere aiuto: dai bambini di Gaza a tutti i soldati nelle trincee in Ucraina, dalle donne dell’Afghanistan e dei tanti sud del mondo violentati ai bambini sotto i bombardamenti, dalla Siria allo Yemen.

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MEI – Recensione di Alberto Bertoli figlio di Pierangelo Bertoli al libro Memoria e futuro

di Laura Tussi (sito)

Sul Bimestrale del partito della Rifondazione Comunista SU LA TESTA.

Proposto da MEI – Meeting Artisti e Etichette Indipendenti

Eppure soffia

Recensione di Alberto Bertoli figlio di Pierangelo Bertoli al libro Memoria e futuro 

Memoria e futuro Libro a cura di Laura Tussi, Fabrizio Cracolici, Alfonso Navarra

pagine 191, MIMESIS EDIZIONI

Memoria e futuro (Mimesis Edizioni), libro a cura di Laura Tussi, Fabrizio Cracolici, Alfonso Navarra, consta di due parole importantissime che riassumono probabilmente in toto la raccolta di interventi sulla “Terrestrità” presenti in questo saggio. Il concetto stesso di appartenere a una “famiglia” in quanto membro e non padrone dovrebbe essere naturale e crescere dentro di noi fin dalla prima infanzia. Se così fosse probabilmente scrivere e parlare di questi argomenti sarebbe pleonastico, invece ci troviamo davanti ad un volume necessario in questo preciso momento storico.

Una sorta di trascrizione di idee esposte “live” da pensatori dinamici e protagonisti di questo nostro tempo che si interrogano sulla possibilità di fare qualcosa di concreto per fare fronte alle minacce globali che ci stanno insidiando: tra cui la minaccia nucleare, la minaccia dell’ingiustizia sociale e infine la minaccia ambientale.

Tra gli interventi, Vittorio Agnoletto, Alex Zanotelli, Moni Ovadia, Antonia Sani un saggio di Luigi Mosca e molti altri.

Tutto il mondo sembra svegliarsi di scatto da un torpore lungo secoli dove abbiamo anteposto il profitto (spesso di pochi) alla nostra vita, al nostro prossimo, al nostro ambiente. Occuparsi dell’ambiente significa avere cura dei nostri figli, dei nostri nipoti, degli altri, insomma del nostro futuro, ma anche rivolgere uno sguardo più umanistico verso chi per un motivo o per un altro oggi non gode delle stesse nostre possibilità. Il nucleare è l’antonomasia di questo concetto che è in sostanza la realizzazione delle sovrastrutture che l’uomo ha costruito per nascondere il fatto che è ancora pienamente dominato dai propri istinti animali seppur molto più sofisticati.

Il nucleare inteso come fornitore energetico non ha ancora i crismi di sicurezza e resilienza che il pianeta e chi lo abita necessitano, ma abbiamo tecnologie per eludere questa risorsa piuttosto agilmente, basterebbe volerlo. Oggi possiamo parlare con persone a migliaia di chilometri di distanza, ma spesso, quando lo facciamo è per promulgare i nostri interessi personali e non quelli di una società evoluta. Il desiderio di avere una vita migliore passa da una spinta personale, ma se questa è realizzata in modo egoistico allora non porta mai ad una felicità concreta. Se il nostro percorso invece viene da una condivisione di intenti, le cose sono destinate a rimanere. Siamo asserragliati dietro concetti più grandi di noi che spesso ci portano a sentirci complicati e profondi, ma quando volgiamo lo sguardo sul mondo in maniera totale ci accorgiamo che la strada su cui siamo è da cambiare.

I conflitti appena scoppiati all’interno dell’evolutissima Europa ne sono una rappresentazione quasi grottesca: siamo un popolo ricco, madre della fratellanza, culla della filosofia, patria della Bellezza e l’unica cosa che riusciamo a fare davanti ad un problema nettamente politico è scatenare una guerra. Sembriamo persone in cerca di un cappello che abbiamo sulla testa. Il titolo e il concetto di quest’opera sono riassunti in due delle più belle canzoni a mio avviso scritte: “Eppure soffia” che parla della speranza che non si è arresa alla voglia di possedere anche l’ambiente ai fini personali, e “A muso duro” che parafrasando il titolo recita “…con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”.

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MEI – Conversazione di Laura Tussi con Gianfranco D’Adda, storico batterista di Franco Battiato

di Laura Tussi (sito)

Intervista per il MEI – Meeting artisti e etichette indipendenti: 

Dal libro di Laura Tussi, Fabrizio Cracolici, Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli e altri , RIACE. MUSICA PER L’UMANITA’, Mimesis Edizioni

Intervista di Laura Tussi a Gianfranco D’Adda con Renato Franchi

Un senso al “Fare Musica”

Conversazione di Laura Tussi con Gianfranco D’Adda, storico batterista di Franco Battiato.

Comporre dischi di livello e spessore non è scontato e automatico. La sperimentazione musicale svolta negli anni con Franco Battiato ti ha condotto ad avere ancora argomenti da proporre dopo 30 anni di impegno musicale e artistico. Come vivi la tua scelta?

Ottima domanda che mi porta direttamente e piacevolmente indietro nel tempo.

E qui, nel decollo di questa importante intervista, vorrei se me lo concedi prendermi un po’ di spazio.

Prima di tutto ti ringrazio, perché mi ritrovo cosi felicemente proiettato nel tempo, nei luoghi e negli spazi di bambino della mia infanzia. Mi rivedo lì, dove con la mia passione per il cinema (il parroco di Rescaldina, per questa mia attenzione mi affidò la conduzione della macchina di proiezione dei film all’oratorio, un po’ alla Nuovo Cinema Paradiso) iniziai a battere il tempo con dei legni sulle scatole di cartone di una nota marca di detersivo, con la preoccupazione dei miei genitori che aumentava velocemente, quando percuotevo assieme tutti gli oggetti che mi capitavano fra le mani e che creavano suono e ritmo.

Fu così che, dopo poco tempo, con qualche anno in più sulle spalle, con l’avvento delle onde sonore del beat con i Beatles e i Rolling Stones, all’età di 15 anni i miei genitori mi comprarono una batteria e formai il primo “complesso” denominato The New Vox, con il cantautore Renato Franchi, con cui ancora oggi continuo la mia strada nella musica con una band che viaggia nel mare del rock d’autore.

Capitò poi che a seguito della convocazione della casa discografica Aura Edizioni Fonografiche con sede in via Vitruvio a Milano, mi trovai per la prima volta per incidere un disco, misurandomi in questa nuova esperienza emozionante, con la band The New Vox, per la registrazione di un provino in uno studio in corso Sempione sempre a Milano vicino alla RAI, anche se poi del disco non se ne fece nulla. Questa è stata un’esperienza professionale che servì molto per la mia crescita personale, sia come musicista sia come persona e me la ricordo sempre come fosse ieri con grande piacere.

Da questa prima esperienza, dopo qualche anno il mio cammino di musicista a seguito dell’incontro con Franco Battiato divenne professionale: fu con lui che, nel mio ruolo di batterista nelle fila della band, suonai nei suoi dischi più famosi e in centinaia di concerti live. Mi trovai catapultato nel pieno di un movimento culturale e musicale che partiva e fondava la sua matrice sonora nel terreno della sperimentazione pura; si guardava con grande attenzione a musicisti sperimentali e fuori dagli schemi classici come Terry Riley, John Cage e Stockhausen e ovviamente alle grandi band innovative che arrivavano dal mondo del rock.

Penso agli album prodotti e promossi dalla Bla Bla di Pino Massara e dalla mente innovativa e creativa dell’Art Work Gianni Sassi della storica etichetta Cramps che ha pubblicato gli album degli Area di Demetrio Stratos, di Eugenio Finardi e altri ancora. Mi ricordo tutto il lavoro creativo e di ricerca che sta alla base di dischi come Fetus, Pollution, Clic, Sulle corde di Aries, seguiti poi da L’era del cinghiale bianco, La voce del padrone. Album storici realizzati con l’impronta di forte carattere sperimentale e di rottura sia nella musica, sia nei testi, nella comunicazione, nella proposta grafica e d’immagine (storica la copertina con la fotografia di un feto che scandalizzò i perbenisti ma che fu premiata poi dalla rivista “Bilboard”).

Sono molto orgoglioso di aver vissuto quei momenti artistici da protagonista, in quanto questa intuizione che nasce dalla creatività e dalla ricerca minuziosa di Franco Battiato, che si sviluppa nel suono e nelle ritmiche anche con la mia collaborazione al fianco di quella di Gianni Mocchetti e altri musicisti di rilievo, ha dato inizio a una fase di sperimentazione sonora unica in Italia, oggi apprezzatissima e a mio parere, tranne qualche maldestro tentativo, ancora insuperata.

Credo che il valore intrinseco e sperimentale del mio lavoro o meglio della creazione del suono, nella costruzione e registrazione di queste proposte discografiche, che restano tra gli album più importanti e ricordati dai fan di Franco Battiato e nella storia della musica italiana, mi ha nei fatti consolidato una formazione musicale e un’attenzione all’aspetto artistico, che rifugge dalle consuete caratteristiche commerciali e da mainstream fine a se stesse. E questa è una delle ragioni per cui ancora oggi dopo tanti anni di palchi, registrazioni e concerti sulle spalle, mi ritrovo, come in un ritorno al futuro, al fianco di Renato Franchi nella sua Orchestrina del Suonatore Jones, ancora in viaggio con tanta passione, emozione e argomenti da proporre nel bel cammino di una musica di qualità, che racconta storie d’amore, d’impegno e di grande sensibilità sociale, con lo stesso entusiasmo di quando io e Renato siamo partiti.

Il mare immenso della canzone e del rock d’autore è tutto da navigare, scoprire e da esplorare, tante sono le gemme e le perle nascoste fra le sue alte onde, e oggi per dirla come il titolo di una canzone di Renato… sono sempre in viaggio con entusiasmo, “Dopo le strade” con un sogno più in là.

Potresti raccontare la lunga esperienza di collaborazione con il musicista Renato Franchi e l’Orchestrina del Suonatore Jones?

E qui la storia è veramente lunga e gonfia di ricordi, che a raccontarla un po’ mi commuovo. Tanti sono i momenti e le emozioni che insieme abbiamo vissuto e ancor oggi stiamo attraversando con successo e consenso. Mettiamola così, cercherò di essere breve, senza entrare in troppi particolari per non far scorrere troppe lacrime dentro il cesto dei bei ricordi che ho nel cuore.

Eravamo ragazzini con tanti sogni e tanti problemi nella testa, ma sia io sia Renato eravamo anche testardi, il nostro primo incontro fu un’intesa fulminea sulla strada della musica che – immediatamente e come ho già detto con il reciproco amore e passione per Beatles e i Rolling Stones, The Who, Kinks, Otis Redding, Wilson Pickett e del beat italiano, dall’Equipe 84 ai Rokes sino a Lucio Battisti – formammo i The New Vox, che esordirono come tipica formazione beat al teatro La Torre di Rescaldina, spazio culturale che purtroppo oggi non esiste più, proponendo alcuni pezzi famosi dei Troggs, Rolling Stones, Spencer Davis e Beatles, Corvi e Equipe 84. Tutto partì da qui e da allora non ci siamo fermati.

Poi fu un fiorire di richieste per serate nelle sale da ballo, dancing, feste popolari e di piazza, arrivando a ottenere ingaggi anche in regioni lontane e con presenze per serate in locali importanti di Milano.

Queste esperienze ci permisero di conoscere artisti e cantanti popolari in quel periodo come Giovanna, Delfo; fu dopo l’esperienza con questo vocalist durata circa un anno, che conobbi Gianfranco “Gianni” Mocchetti e con lui all’inizio del 1970 nacquero i Cristalli Fragili e poi Genco Puro Old Company, con Riccardo Rolli, con il quale realizzammo un album oggi ricercatissimo dai collezionisti del vinile.

Musicalmente parlando, io e Renato ci separammo seguendo tutti e due strade interessanti ma diverse, io con Battiato e Renato nella musica cantautorale e d’impegno sociale, sino a ritrovarci dopo diversi anni, a suonare ancora insieme sui palchi in un viaggio che non si è ancora fermato.

Da lì l’incontro con Battiato, i dischi, i concerti, i tour, i miei incontri e collaborazioni con i grandi nomi del rock italiano e internazionale, senza mai perdere i contatti con Renato che come me proseguiva con successo e positivi riscontri nel suo viaggio e nei suoi progetti sonori, acquisendo con tenacia, talento e professionalità un meritato spazio nel mondo del rock d’autore e della canzone di qualità.

Scelte musicali che ho sempre condiviso, e quando mi fu chiesta la disponibilità a collaborare con l’Orchestrina del Suonatore Jones ancora al fianco di Renato, il mio consenso fu immediato.

Con Renato, che considero un seminatore di belle idee, un poeta, un artista vero e puro che rifiuta le regole banali e ovvie, sempre con grande rispetto, educazione e umiltà e pur se fuori dagli sfarzi delle grandi luci di scena continua il suo viaggio nel sentiero e nella bellezza della canzone d’autore.

Oggi con lui e con l’Orchestrina abbiamo realizzato dei bellissimi album che a mio giudizio meriterebbero maggiore risalto di quello che già positivamente hanno avuto; ma si sa oggi i tempi per la buona musica sono difficili e complessi e disordinati, e qui servirebbe un’attenta e profonda riflessione critica antropologica e sociologica sull’industria discografica, sul valore della cultura, sul ruolo poco felice e preparato dei media, sulla promozione di un artista di una band, sul ruolo delle etichette indie e indipendenti, e delle major, che ormai è ridotto allo squallore illusorio dei talent, e infine sulle complessità per l’assenza di spazi e visibilità per le nuove proposte e la produzione di qualità artistica della musica.

Sono aspetti, che a mio giudizio, sono peggiorati e ci vorrebbe veramente una rivoluzione, una rivolta culturale per porre le giuste basi di un cambiamento radicale e valoriale.

La politica musicale dell’Orchestrina del Suonatore Jones, con Renato Franchi, crea anche nuove comunità culturali e creative con migliaia di persone a sostegno di progetti compositivi davvero alternativi: avete rotto con il pensiero unico della produzione musicale in Italia. Il vostro gruppo musicale, diretto da Renato Franchi, ha preso nettamente le distanze da mercati e case discografiche, per comporre in modo indipendente. Come si delinea questa svolta artistica?

La politica e le scelte musicali, l’organizzazione e la professionalità dei musicisti dell’Orchestrina, sono le ragioni per cui ho accolto volentieri e senza esitazione la proposta di collaborazione che Renato mi ha fatto.

I contenuti di quello che suoniamo e cantiamo, gli arrangiamenti rock blues con cui porgiamo le nostre canzoni nei concerti e nei dischi, la bravura dei musicisti sono a mio giudizio alcune delle motivazioni che danno un senso oggi al “fare musica”, allo scrivere canzoni d’amore, intimistiche, o racconti sonori di storie di denuncia, di lotta, di vittorie e sconfitte o del vivere quotidiano.

Il percorso musicale dell’Orchestrina e di Renato, che come ho detto condivido senza se e senza ma, è volutamente indirizzato alla valorizzazione culturale della musica e della canzone, con grande e meticolosa attenzione alla qualità della proposta musicale.

Renato Franchi e l’Orchestrina del Suonatore Jones, producono in totale autonomia, dalla creazione alla scrittura, agli arrangiamenti, alla registrazione, sino alla masterizzazione e alla grafica dei loro album. Tutto in piena libertà e senza i condizionamenti tipici delle produzioni discografiche delle major; i dischi o cd, vengono poi distribuiti e diffusi con l’etichetta L’Atlantide che non pone nessun elemento di condizionamento artistico sul lavoro della band.

Questo vale anche per i concerti e le attività live del gruppo; sono sostanzialmente scelte derivate in parte dalle difficoltà oggi presenti nel mondo della discografia, di cui ho già accennato, e in parte per la costante ricerca del massimo d’autonomia creativa e propositiva che nel tempo pur nelle complessità ha dato i suoi risultati.

Oggi Renato e la band riscontrano una buona credibilità e un seguito di amici e fan che sostengono con la loro presenza e affetto le nostre iniziative, i concerti e i progetti.

Inoltre la collaborazione con figure e persone importanti del mondo musicale, artistico e letterario è oggi una parte importante e una caratteristica culturale del nostro percorso musicale, che ha dato valore aggiunto alla creatività delle proposte che Renato & l’Orchestrina sono in grado di porgere al “mercato”.

Ritengo straordinarie queste scelte di autonomia operativa e di creatività: ritrovo senza la retorica della nostalgia in una nuova fase creativa, le belle esperienze vissute con Battiato, la Bla Bla e la Cramps.

Mi appassiona totalmente questo percorso, che è una delle caratteristiche artistiche di Renato; la valorizzazione della cultura e della bellezza del nostro immenso patrimonio musicale, queste scelte valoriali e d’autonomia creativa ci permettono di viaggiare sulle alte onde del proporre e far conoscere al fianco di nostre canzoni originali e di band e personaggi del momento che noi amiamo come i fratelli Severini, Massimo Bubola, De Gregori e altri, anche artisti a volte dimenticati o poco conosciuti dalle nuove generazioni, come Tenco, Bertoli, Endrigo, Della Mea, Jannacci per citarne alcuni.

Come per Renato anche per me è importante oltre che bellissimo suonare e cantare le loro canzoni, far conoscere e comprendere il valore immenso della canzone d’autore e della cultura popolare, dai canti del lavoro e Resistenza partigiana a quelli che raccontano la memoria storica del nostro Paese e del mondo.

Tutto questo patrimonio artistico, è ciò che mi appassiona e con Renato & l’Orchestrina lo proponiamo nei nostri concerti e nei nostri dischi, per la semplice ragione che questo crossover artistico di culture, che passa dalle canzoni dei Gang, di De Gregori, Bubola, Battiato, Fossati e De André, e si sposa con Dylan, i Beatles, Rolling Stones, Choen, il soul, il blues, ha il profumo di un fiore culturale fuggito dalle serre dello show business del mercato.

Questo è per me e per Renato il vero rock d’autore, ovvero la ragione per cui vale la pena, anzi diventa un piacevole dovere, rivendicare il diritto di suonare, per vivere intensamente, come dice la bella canzone di Renato i nostri Giorni Cantati

Giorni cantati (di Renato Franchi)

In questo mondo di volti e parole, giorni cantati splendenti nel sole

Ho incontrato angeli e fango, uragani tempeste, diavoli e lampo

In questo tempo, di lacrime e spari, cadute e ferite, sangue e sicari

Ho trovato, finestre e ripari, fiori e chitarre, rifugi e sentieri

Ho rallentato e accelerato, come un treno sulla ferrovia

Ho camminato e aspettato i tuoi occhi al centro della via

In questo mondo, di sorrisi e di vento, di nuvole e polvere, scintille e spavento

Ho trovato, pane rose e catene, campi di grano, ruggine e spine

In questa storia, di valigie e partenze, di nuovi indirizzi, programmi e sentenze

Ho trovato amori e bandiere, sorrisi diamanti e primavere

Ho rallentato… e accelerato, come un treno sulla ferrovia

Ho camminato e aspettato e il mio cuore è volato via

Molte vostre canzoni recuperano i valori e l’etica della Resistenza partigiana antifascista, che era stata recepita nel dopoguerra, a livello letterario, da personaggi straordinari, tra cui Calvino, Fenoglio, Pavese e molti altri, nei più svariati campi artistici: un grande fenomeno di letteratura, cinematografia e arte. Poi è subentrato un vuoto politico e istituzionale, ma proprio da questo baratro artistico è emerso un nuovo attuale movimento culturale sulla Resistenza. Come vi ponete rispetto a questi temi?

L’attenzione di Renato ai temi della storia del nostro Paese – dalla Resistenza alla memoria, fino alle storie d’amore e di guerra che per dirla alla De Gregori “abbiamo letto da milioni di libri o ci hanno raccontato quelli che non sanno nemmeno parlare” – è l’essenza e la base fondante di questa band che, a partire da De André di cui portiamo il nome tratto dal titolo di una sua canzone “Il Suonatore Jones”, sia io sia gli altri musicisti della band condividiamo pienamente.

Il rock d’autore del gruppo è fortemente connotato da sempre da un percorso musicale di forte sensibilità sociale che vede come persone e come musicisti “suonatori contro” tutte le logiche guerrafondaie e al fianco della costruzione di una “cultura della pace”.

Non è un caso che uno dei nostri album, Dopo le strade, Renato ha scelto di dedicarlo alla figura di un pacifista come Vittorio Arrigoni, che ha perso e dato la sua vita per questo valore universale, essendo stato ucciso a Gaza per il suo impegno concreto di aiuto e di pacifismo.

La nostra “funzione”, come già anticipato e come dici tu, è proprio quella di scrivere e proporre canzoni nostre, della canzone italiana d’autore e non solo, della tradizione e cultura popolare, a volte attualizzandole con sonorità attuali e con una veste rock, formula e miscela sonora, che oltre a rispondere ai notri gusti musicali, vuole essere anche un momento d’appeal per i giovani che non conoscono queste canzoni.

La riteniamo altresì necessaria per colmare e respingere, per quanto possibile, il tentativo sempre presente di revisionismo e di cancellazione della memoria, e per il recupero della giusta dignità e il giusto valore di un patrimonio artistico musicale che nell’immaginario collettivo viene considerato superato e vecchio, commettendo così un grave errore e affronto e forse, non a caso, un voluto boicottaggio culturale, deviando così gli elementi di necessaria conoscenza della storia e della memoria dei fatti, delle ingiustizie e delle vicende tragiche di questo Paese.

A testimonianza di quanto dichiaro si pensi alle canzoni di Renato come I passi nel mattino, che recupera la triste vicenda del massacro da parte dei nazisti e dei fascisti di 15 partigiani il 10 agosto del ’44 in piazzale Loreto a Milano, o Genova 2001 sui fatti del G8 e della morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda: sono passati pochi anni e già questa canzone ha il compito importante di salvaguardare la memoria.

Ecco ci poniamo di fronte a un orizzonte tutto da scoprire, da ricordare e da proporre; come dice Renato: “si canta la storia per non dimenticare il futuro” e per dare una piccola ma importante luce nel panorama oggi svilito e squallido della canzone e della musica in generale.

Pensiamo che i ragazzi e le nuove generazioni abbiano il diritto di conoscere e non solo subire, solo così potranno democraticamente e consapevolmente decidere che musica ascoltare, scegliere cosa leggere, che film o che programma televisivo guardare.

La penso esattamente come Renato, che in più occasioni ha affermato che solo così sarà possibile invertire il nichilismo culturale che ci sta travolgendo in questi tempi confusi e disordinati.

Potresti attribuire un giudizio e dare una spiegazione alle motivazioni dell’involuzione psicologica del ceto politico e al conseguente livello di degrado anche culturale dell’attuale classe dirigente? L’istituzione scuola dovrebbe avere una missione formativa, ma soprattutto informativa, inerente ai processi di coscientizzazione e conoscenza del presente, dei conflitti contemporanei, delle cosiddette “guerre umanitarie” sdoganate per “missioni di pace”, in contrasto con l’articolo 11 della Costituzione. Quali strumenti dare ai giovani per comprendere il presente, tramite scelte scolastiche orientate a comprendere la Storia, come strumento di lettura dell’attualità, oltre le prevaricazioni neofasciste dei revisionismi e dei negazionismi?

Questa è una domanda difficile, articolata e complessa, per cui faccio i miei complimenti per avermela posta. Chiaramente mi viene difficile trovare una sola chiave di lettura, una risposta univoca, ci provo, la tento in modo sintetico, senza la presunzione di avere la chiave giusta per aprire la porta della verità.

Esprimo semplicemente il mio modesto pensiero, che è anche il risultato delle mie esperienze di vita quotidiana, del mio essere musicista e cittadino, che suona, che va a fare la spesa, fa la fila alla posta, che vota e spera, che ascolta, critica, giudica.

Esprimo un’idea anche sulla base di quanto ho appreso dalla spiritualità e la profondità di pensiero di Battiato e oggi dall’impegno sociale e culturale che vivo nel suonare le canzoni di Renato, di De André e gli altri autori che in parte ho già citato.

La politica e la sua involuzione, il suo degrado bella domanda! Se mi è possibile, visto i miei trascorsi musicali con lui, rispondo citando una canzone che racchiude a mio giudizio molte verità, si tratta di Povera Patria di Franco Battiato

Povera Patria (di Franco Battiato)

Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame, che non sa cos’è il pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno; e tutto gli appartiene.

Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni! Questo paese è devastato dal dolore, ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore?

Non cambierà, non cambierà, no cambierà, forse cambierà.

Ma come scusare le iene negli stadi e quelle dei giornali? Nel fango affonda lo stivale dei maiali.

Me ne vergogno un poco, e mi fa male vedere un uomo come un animale.

Non cambierà, non cambierà, sì che cambierà, vedrai che cambierà.

Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali che possa contemplare il cielo e i fiori, che non si parli più di dittature se avremo ancora un po’ da vivere… La primavera intanto tarda ad arrivare…

Ecco in questo testo, cantato su una melodia che è un’armonia altrettanto bella e struggente, ritrovo molte delle motivazioni del degrado politico e culturale, come la sete e l’arroganza del potere, l’assassinio della nobiltà della politica con la pratica dell’affarismo infame e senza pudore per scopo e arrichimento personale, l’arrivismo a tutti i costi, l’incompetenza e la spocchia di quello che io chiamo, parafrasando una definizione di Leonardo Sciascia, “il cretinismo intelligente”, ovvero perché hai un diploma o una laurea in tasca ti permetti un cinismo e un’assenza totale di umanità… e poi la violenza, le stragi, i manganelli, le guerre, gli armamenti, il terrorismo, i morti nelle piazze e sul lavoro, le vittime innocenti delle stragi.

Lo scenario è allarmante, che se non modificato ci porta dritti alla deriva sociale, il fascismo sdoganato dalla destra berlusconiana, i recenti attacchi alla Costituzione democraticamente respinti con il voto e certamente la mancanza di un ruolo più incisivo, democratico, attualizzante e formativo della scuola sono alla base di questo degrado, e non sono variabili indipendenti di quanto stiamo vivendo da diverso tempo.

La formazione e la conoscenza come dicevo per la musica sono la base di una vera costruzione della coscienza democratica… se sai scegli, se non sai subisci…credo e penso come dice la canzone che “se la primavera tarda ad arrivare” noi dobbiamo andarle incontro senza aspettare, seminando i fiori del diritto con la speranza che le cose debbano e possano cambiare, che le ingiustizie, i razzismi, le prevaricazioni e le diseguaglianze sociali non possano essere parte di una società che si dichiara civile.

Su quali presupposti basare il cambiamento della società, a partire dall’attuazione autentica della Costituzione, troppo spesso travisata?

Personalmente con Renato e l’Orchestrina attraverso la nostra passione per la musica, per quanto ci è concesso, a volte a strappi, in altri momenti con continuità, con le nostre canzoni, i nostri dischi, i nostri concerti, cerchiamo senza presunzione di dare un piccolo contributo al processo per la costruzione di una cultura di pace e del rispetto, che passa dall’applicazione vera e concreta della nostra Costituzione.

È un compito ambizioso che va ampliato e allargato a più soggetti della cultura, musicisti, scrittori, pittori, del mondo del lavoro, della società civile e anche della politica, artisti in generale, forse o solo in questo modo, con una flotta di sognatori di questo tipo sarà possibile vedere arrivare la primavera meno in ritardo di quanto oggi pensiamo.

Latouche con il pensiero della “decrescita felice” apre orizzonti a un sistema basato sull’ecosostenibilità, sull’utilizzo delle energie alternative, contro le lobby del nucleare, dell’acciaio e delle armi, aprendo a prospettive di “conversione ecologica”, per citare Alex Langer. Qual è il tuo contributo a questo pensiero?

Come per una canzone l’uso del computer deve servire ad aiutare la costruzione e la composizione e la registrazione di un arrangiamento musicale e quindi deve essere al servizio del musicista per realizzare un “prodotto” di qualità e non il contrario.

Questo principio penso e immagino debba valere anche per i bisogni del nostro vivere quotidiano, lo sviluppo deve essere sostenibile e le tecnologie devono essere al servizio dell’uomo.

Mi è difficile dire qual è o come può essere il mio contributo di coerenza al pensiero di Langer per attuare il processo di “una conversione ecologica della società, dell’economia e degli stili di vita”.

Per un cambiamento verso un modello equo e giusto di sostanziale controllo della crescita desueta e dissipativa, ribadisco quello che già ho detto nel percorso legato alla musica, credo sia necessaria una coerenza soggettiva, come raccomandarsi di porre attenzione al rispetto dell’ambiente e della natura che ci circonda, esercitare un auto-controllo sui consumi necessari come quello energetico o l’aspetto del consumismo fine a stesso, dell’alimentazione, insomma quei modesti e piccoli comportamenti legati al nostro vivere e alle faccende quotidiane, che se attuati da tutti potrebbero dare qualche positiva risposta al sistema distorto dello sviluppo dissipativo oggi in atto e sostenuto con arroganza (ecco che entra in gioco la politica) dal capitalismo vorace e feroce.

Questi principi soggettivi chiaramente vanno affiancati a momenti di grande presenza di massa, per contrastare i poteri forti e le forze occulte e palesi che hanno interessi economici nell’alimentare guerre per vendere gli armamenti, nello sfruttamento e nella speculazione e inquinamento dell’ambiente per vantaggi economici, in contrasto a un modello di sviluppo democratico e sostenibile.

Per concludere questa intervista e in coerenza con questa tematica, mi viene in mente una straordinaria canzone di Pierangelo Bertoli, sempre presente nei nostri concerti, che ci ricorda che se teniamo gli occhi aperti e non ci facciamo abbindolare dalle falsità del parolaio di turno seduto al talk show televisivo, mettendoci una piccola fetta d’impegno in più, come la storia dell’uomo, della nostra Resistenza partigiana ci insegna, le cose possono cambiare, perché nonostante tutto… il vento soffia ancora…

Eppure soffia (di Pierangelo Bertoli)

E l’acqua si riempie di schiuma il cielo di fumi, la chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi

Uccelli che volano a stento malati di morte, il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porte

Un’isola intera ha trovato nel mare una tomba, il falso progresso ha voluto provare una bomba

Poi pioggia che toglie la sete alla terra che è viva, invece le porta la morte perché è radioattiva

Eppure il vento soffia ancora, spruzza l’acqua alle navi sulla prora

e sussurra canzoni tra le foglie, bacia i fiori li bacia e non li coglie

Un giorno il denaro ha scoperto la guerra mondiale, ha dato il suo putrido segno all’istinto bestiale

Ha ucciso, bruciato, distrutto in un triste rosario, e tutta la terra si è avvolta di un nero sudario

E presto la chiave nascosta di nuovi segreti, così copriranno di fango persino i pianeti

Vorranno inquinare le stelle la guerra tra i soli, i crimini contro la vita li chiamano errori

Eppure il vento soffia ancora, spruzza l’acqua alle navi sulla prora

E sussurra canzoni tra le foglie, bacia i fiori li bacia e non li coglie

Eppure sfiora le campagne, accarezza sui fianchi le montagne

E scompiglia le donne fra i capelli, corre a gara in volo con gli uccelli.

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MEI – Marino Severini e I GANG. Intervista di Laura Tussi

di Laura Tussi (sito)

Per un Nuovo Umanesimo. Intervista per il MEI – Meeting artisti e etichette indipendenti.

MEI

Intervista tratta dal libro di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Riace: musica per l’umanità, Mimesis Edizioni

1-La politica musicale dei Gang crea anche nuove comunità culturali e creative con migliaia di persone a sostegno di progetti compositivi davvero alternativi: avete rotto con il pensiero unico della produzione musicale in Italia. I Gang hanno preso nettamente le distanze da mercati e case discografiche, per comporre in modo indipendente. Come si delinea questa svolta etica e artistica?

Se Bob Dylan dice di sentirsi un cow boy, per quel che mi riguarda posso dire che mi considero un “pastore”, e tutta l’esperienza con i Gang la ritengo un’eterna transumanza. E le pecore, che cerco di condurre verso i pascoli più verdi e i corsi dei fiumi più limpidi, sono le mie canzoni. Credo che il senso di tutto il mio lavoro e il mio stato d’animo rispetto a esso sia contenuto in questa sorta di metafora o paragone. Per produrre i nostri due ultimi lavori, Sangue e Cenere e Calibro 77 abbiamo fatto ricorso allo strumento del crowdfunding, che di fatto è la “cassa comune”, il mutuo soccorso.

Per noi è stata una sorta di benedizione! E per ben due volte il risultato ottenuto dal punto di vista delle risorse economiche, che ci sono state messe a disposizione, è stato addirittura più del doppio di qualsiasi altro crowdfunding fatto in Italia per la realizzazione di un progetto di musica “popolare”.

Una grande vittoria, non dei Gang, ma di una comunità che sbaraglia tutti i luoghi comuni, l’indifferenza, i piagnistei a proposito della produzione della musica indipendente italiana.

Tutto questo lo valuto positivamente, non solo per le risorse economiche che ci vengono messe a disposizione per realizzare un disco, ma perché per me significa che posso affrontare un lavoro con una dose enorme di stima, di fiducia, che mi rende libero, sereno, fiducioso, che mi fa sentire parte di una comunità, appartenente! E questo credo sia indispensabile per fare bene, per il bene comune.

Al nostro crowdfunding ho cercato di dare una valenza politica.

2-Perché, qual è l’essenza della politica?

Creare comunità, dare a essa slancio e ispirazione affinché si possano realizzare insieme gli obiettivi prefissi, vincere in sostanza e da ultimo creare economie. Con l’uso di questo strumento siamo riusciti a realizzare insieme tutti e tre questi obiettivi che costituiscono l’essenza della politica.

Questa vittoria, ripeto, non è dei Gang, ma di una comunità reale che da tanto tempo si ritrova, si riconosce, si abbraccia e canta attorno al fuoco le canzoni nostre, quelle dei Gang.

È una comunità che noi conosciamo bene da anni ed è la stessa che si è fatta e si fa carico dell’esistenza dei Gang e ora anche della produzione dei nostri lavori, ma soprattutto della nostra autonomia, indipendenza e libertà nel realizzarli. È un mondo che ci ha sempre dimostrato una smisurata gratitudine anche regalandoci il vino, l’olio, i libri, le cioccolate… e nei confronti di questa comunità io mi sono sentito sempre in debito e a essa dico grazie! Questo mi restituisce, oggi più di ieri, una cosa che conta moltissimo per me, cioè l’appartenenza!

3-Comporre dischi di livello e spessore non è scontato e automatico, ma significa avere ancora argomenti da proporre dopo 30 anni di impegno musicale e artistico. Come vivete la vostra scelta?

Noi in sostanza facciamo canzoni, questo è il nostro lavoro.

Nel farlo io tengo sempre in mente un principio fondamentale che penso si sia perso completamente in questo Paese. Secondo me occorre innanzitutto distinguere fra merce e bene. Chi produce la merce ha come riferimento il mercato, chi produce il bene ha come riferimento la politica. Per molti anni in questo Paese si è cercato di confondere questi due territori e la principale causa di tutti i mali sta qui, in questa confusione. La ragione principale di quanto è accaduto, o meglio la responsabilità di ciò, storicamente, è da imputare alla sinistra istituzionale che, fino a metà circa degli anni Settanta, si era fatta carico di un circuito in cui si producevano e si diffondevano i beni culturali, poi con la fine dell’Arci in particolare, tutte queste energie creative (tranne i vassalli, valvassori e valvassini e giullari vari alla corte di partito) venivano cedute e date in pasto al mercato. Questa è una denuncia aperta che fa già lo stesso Pasolini… Da questo periodo storico in poi abbiamo assistito alla fine della produzione libera e creativa di beni culturali realmente autonomi.

Il mercato, da parte sua, non ha fatto altro che prendere in ostaggio tutte queste ricchezze e risorse e le ha schiavizzate alle sue logiche, ai suoi valori, ai suoi metodi, soprattutto le ha asservite a quella divinità che lo anima e lo tiene in vita, cioè il profitto!

4-Molte vostre canzoni recuperano i valori e l’etica della Resistenza partigiana antifascista, che era stata recepita nel dopoguerra, a livello letterario, da personaggi straordinari, tra cui Calvino, Fenoglio, Pavese e molti altri, nei più svariati campi artistici: un grande fenomeno di letteratura, cinematografia e arte. Poi è subentrato un vuoto politico e istituzionale, ma proprio da questo baratro artistico è emerso un nuovo attuale movimento culturale sulla Resistenza. Come vi ponete rispetto a questi temi?

Per non dimenticare! Per tenere viva la memoria.

Io non sono mai stato d’accordo con quella sorta di “manifesto” che per anni e anni ha campeggiato su di noi: “La memoria siamo noi”. Mi dispiace per Minoli e De Gregori ma io sono sempre più convinto che la Storia appartiene ai vincitori. Chi vince ha la Storia e ne impone la propria versione con i mezzi che ha a disposizione, quelli del potere. Allora noi che abbiamo avuto nei secoli dei secoli? Noi abbiamo avuto, anzi noi siamo, le storie, al plurale. Come scrive Leslie Silko, scrittrice indiana d’America: “Se hai le storie hai tutto, se non hai le storie non hai niente”. E queste storie nostre fanno una Storia diversa da quella dei vincitori, fanno la Storia nostra, quella dei vinti. Tenere vive, ricordare, anche cantando, queste nostre storie significa che non abbiamo dimenticato il nostro cammino, le strade fatte che ci hanno portato fino a qui, significa quindi che non abbiamo dimenticato l’esclusione, l’emarginazione, lo sfruttamento, le violenze subite. E così teniamo viva la memoria che è l’unico mezzo, l’unico strumento che da vinti ci rende invincibili! In questa cornice cantiamo la Resistenza.

5-Potresti raccontare la lunga esperienza di collaborazione dei Gang con il giornalista d’inchiesta e scrittore Daniele Biacchessi, presidente dell’Associazione Arci Ponti di memoria?

Con Daniele abbiamo fatto tante strade insieme e, ovunque siamo stati, abbiamo incontrato una bella umanità. Nei suoi confronti nutro tanta stima ma soprattutto un grande affetto che è maturato nel corso del tempo; per me è un fratello. Insieme a lui abbiamo realizzato molti spettacoli di teatro canzone, Il Paese della Vergogna, Storie dell’Altra Italia, Passione reporter, Giovanni e Nori, tutti tratti dai suoi libri.

Noi siamo stati sempre disponibili alle collaborazioni, quello che facciamo nasce sempre da incontri, contaminazioni, confronti sia dal punto di vista musicale sia da quello della parola cantata. Abbiamo fatto in modo che le nostre canzoni nascessero dall’incontro con linguaggi diversi dal nostro. Fra questi c’è stato quello del giornalismo, in particolare quello d’inchiesta. Canzoni come 200 giorni a Palermo o Chi ha ucciso Ilaria Alpi? sono nate seguendo le inchieste giornalistiche di Michele Gambino pubblicate sulla rivista “Avvenimenti”. Quando abbiamo conosciuto Daniele, nel 1991, lui aveva già condotto l’inchiesta su Seveso e stava lavorando a quella sull’assassinio di Fausto e Iaio… Non ci siamo mai persi di vista e dalla collaborazione con lui sono nate molte canzoni: Prendere e partire dedicata al reporter Enzo Baldoni, Musi neri e Sai com’è ispirate alla storia di Giovanni Pesce e sua moglie Onorina Brambilla, Perché Fausto e Iaio… Quello con Daniele è comunque un incontro che continua e molte altre storie, molte altre strade ci aspettano.

6-Potresti attribuire un giudizio e dare una spiegazione alle motivazioni dell’involuzione psicologica del ceto politico e al conseguente livello di degrado anche culturale dell’attuale classe dirigente?

Questo è un argomento abbastanza complesso e delicato che non credo si possa affrontare degnamente nell’ambito di un’intervista. Mi limiterò a fornire degli spunti per un dibattito più ampio da svolgersi nei luoghi e con i tempi e gli spazi che esso richiede.

Per prima cosa io non credo che in questo Paese ci sia stata anche in passato una classe politica all’altezza delle circostanze storiche. Se volgiamo le spalle al passato vedremo la passerella dei cosiddetti statisti “de’ noantri”, quelli della prima e seconda Repubblica, le accoppiate De Gasperi-Togliatti e poi Berlinguer-Moro per non parlare di Craxi e Berlusconi. Noi italiani non abbiamo mai goduto di chissà che fior fiore di politici, magari abbiamo avuto una grande scuola di filosofia della politica, da Machiavelli a Mario Tronti.

È anche vero che le doti di un politico dipendono molto dalle qualità politiche del suo o dei suoi avversari.

Il confronto è il metodo migliore per crescere e maturare anche politicamente, quindi molto dipende da colui col quale si è costretti a confrontarsi, non solo con le circostanze storiche e il proprio tempo. Ma a differenza della passate stagioni quella che oggi la politica è costretta ad attraversare ha delle peculiarità. Innanzitutto lo scenario è cambiato. I cosiddetti politici non sono portavoce o rappresentanti di partito, né sono organici a realtà sociali, sono frutto di investimenti da parte dei loro sponsor e il più delle volte sono a capo di clan, bande che si sono sviluppate sulle ceneri dei vecchi partiti. Quindi i politici odierni devono rispondere soprattutto e in primis a questi loro sponsor. E in secondo piano la novità vera è il prevalere dello spettacolo sulla politica. I leader che vengono scelti e che godono di consenso sono quelli che “vengono bene in televisione” o negli ultimi tempi quelli che ci sanno fare con i social.

Quindi le regole dello spettacolo prevalgono su quelle della politica e infatti oggi assistiamo a un’operetta, o meglio, a una rappresentazione tragicomica (per dirla con Calvino) della politica, né più né meno.

Questo vale anche per gli intellettuali in genere. Si assiste a una degenerazione complessiva della “rappresentanza”, in quanto la spettacolarizzazione ha favorito il protagonismo opportunistico, che di solito anticipa in via mediatica quello che poi accade anche nelle piazze. E a ben vedere, sul piano politico, l’estrema semplificazione del linguaggio (vedi Twitter) e la schematizzazione delle alternative nel confronto che giocano sempre su degli slogan senza alcun contenuto. Come scrive Pietro Barcellona in Alzata con pugno, si è diffuso nel corpo sociale una specie di virus psicologico che ha reso la maggioranza degli italiani, in pari tempo, singolarizzati nel proprio interesse egoistico e disponibili a un “gregarismo” passivo che li spinge a subire la prima fascinazione del momento. Se questa non è la fine della politica di sicuro è una crisi a tratti irreversibile in quanto svela un dato certo e cioè che la vera malattia del nostro Paese è l’irresponsabilità di élites di ogni genere verso le aspettative di un popolo usato come massa di manovra e mai come forza produttiva di un effettivo cambiamento.

7-L’istituzione scuola dovrebbe avere una missione formativa, ma soprattutto informativa, inerente ai processi di coscientizzazione e conoscenza del presente, dei conflitti contemporanei, delle cosiddette “guerre umanitarie” sdoganate per “missioni di pace”, in contrasto con l’articolo 11 della Costituzione. Quali strumenti dare ai giovani per comprendere il presente, tramite scelte scolastiche orientate a comprendere la Storia, come strumento di lettura dell’attualità, oltre le prevaricazioni neofasciste dei revisionismi e dei negazionismi?

Credo che il compito della scuola in genere sia la formazione di buoni cittadini. Detta così può sembrare una sciocca ovvietà, ma questo è il fine della scuola pubblica di ieri, di oggi e di domani.

Come fare? Rendere consapevoli sia studenti sia insegnanti che ciò che fanno non è altro che una preparazione alla civiltà, affinché siano loro i protagonisti di un cammino inarrestabile che è quello della civiltà, che passa attraverso un processo di emancipazione. Conoscere, sapere è indispensabile per partecipare alla rifondazione della civiltà.

Il problema centrale è che questa scuola, se non viene riformata, non può fornire tale “apprendimento e apprendistato” poiché è essa stessa incivile.

Mi spiego meglio. A volte mi capita di incontrare delle classi medie o superiori e dico loro cosa intendo per civiltà, e uso la metafora del treno e delle sue rotaie.

La civiltà è come un treno che non si può fermare, questo treno cammina sopra due binari che sono quelli della religione e della legge. Se questi binari si avvicinano troppo o si allontanano troppo l’uno dall’altro il treno deraglia. Se noi guardiamo sotto i nostri occhi, nel tempo presente, vedremo che i binari sono equidistanti e separati ma se li osserviamo da lontano, sia davanti che indietro, vedremo che si incontrano in un punto all’infinito. Ebbene questo punto che è comune a entrambi i binari è il punto su cui si basa la civiltà e rende religione e legge una cosa sola. Questo punto è il principio di tutti i principi, sia delle religioni sia delle leggi che fanno correre il treno della civiltà. E questo principio tradotto storicamente afferma: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Se tu togliessi questo principio crollerebbero tutte le religioni e tutte le leggi e la civiltà deraglierebbe.

8-Su quali presupposti basare il cambiamento della società, a partire dall’attuazione autentica della Costituzione, troppo spesso travisata?

Ciò di cui oggi, più di ieri, abbiamo bisogno è il futuro!

E il futuro si fa e si è sempre fatto con le tradizioni, con le nostre tradizioni.

Il futuro che io auspico per me e per il mio Paese, in particolare, è l’avvento di un nuovo umanesimo.

Quindi per costruire una stagione di un nuovo umanesimo a noi italiani non manca niente poiché abbiamo quelle tradizioni necessarie a costruirlo. Basterebbe farle incontrare, conoscere, dialogare e tradurre poi anche politicamente. Un lavoro che oggi possono compiere solo i pontefici, i costruttori di ponti e non i cosiddetti politici, questi ultimi, bene che vada, arriveranno dopo il lavoro di pontificato… come dire prima i pastori poi più tardi, una dozzina di giorni dopo, verranno anche i re.

Quali sono queste tradizioni?

La tradizione cristiana, senza dubbio, se vogliamo fare dei nomi: Balducci, Zanotelli, Bianchi, Gallo, Milani, ecc.

La tradizione socialista o comunista, ma gramsciana: quindi no allo Stato partito, ma sì allo Stato etico.

(Inoltre entrambe queste tradizioni oggi sono alla ricerca della differenza, quindi un pezzo di strada insieme si può e si deve fare).

E terza tradizione, quella delle minoranze. Le sinistre eretiche, il movimento delle donne, i migranti, le subculture…

Dall’incontro di questa trinità può nascere il nuovo umanesimo e un futuro nella civiltà per questo Paese.

9-Latouche con il pensiero della “decrescita felice” apre orizzonti a un sistema basato sull’ecosostenibilità, sull’utilizzo delle energie alternative, contro le lobby del nucleare, dell’acciaio e delle armi, aprendo a prospettive di “conversione ecologica”, per citare Alex Langer. Qual è il tuo contributo a questo pensiero?

Al di là del pensiero di Latouche e di Langer, io credo che le risposte a tutto ciò stiano maturando e agendo soprattutto là dove le contraddizioni e i conflitti sono più violenti.

Per fare alcuni esempi penso a José “Pepe” Mujica, ex presidente dell’Uruguay, e alle sue parole tradotte in fatti per tutta la sua vita: “Lo sviluppo deve essere a favore della felicità umana, della Terra, delle relazioni umane. Perché questo è il tesoro più importante che abbiamo”.

Oppure a “Madre Terra” e alla sua portavoce Vandana Shiva: “Noi possiamo sopravvivere come specie solo se viviamo in accordo alle leggi della biosfera. La biosfera può soddisfare i bisogni di tutti se l’economia globale rispetta i limiti imposti dalla sostenibilità e dalla giustizia. Come ci ha ricordato Gandhi: ‘La Terra ha abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di alcune persone’”.

Da ogni parte della Terra si sta formando l’altro governo del pianeta, l’altra umanità e non dovremmo far altro che unirci a questo cammino, a queste carovane che vanno verso il nuovo orizzonte, verso quel “Sol dell’avvenir”. Per questo dovremmo pensare non più a noi stessi per quello che siamo stati o che siamo oggi, ma immaginarci come vorremmo essere, come vorremmo che sia.

Per concludere, vorrei riportare le parole di Peppo Castelvecchio che ho letto in un libro Terra, pane, pace edito da Gli orti del Pellicano, una comunità agricola di Lodi. Me lo ha inviato oggi un caro amico e grande rocker, Marco Denti, che fa parte di questa comunità.

Don Giovanni Franzoni, abate di San Paolo, fuori le mura di Roma, dopo che era stato indetto l’anno santo straordinario da Paolo VI per il 1975, ha scritto un piccolo volume dal titolo La Terra è di Dio.

Si rifaceva all’Antico Testamento e agli ebrei che avevano trovato un’idea che io ritengo geniale e che sarebbe attualissima ancora oggi perché nella loro storia c’era questo: dato che tutto è di Dio, l’uomo praticamente deve usufruire, valorizzare, sfruttare, non contro gli altri, ma per dare da mangiare alle persone. Nel Deuteronomio c’è questa legge che, nell’antichità delle tradizioni ebraiche, diceva che ogni 49 anni (ovvero ogni 7 anni per 7) tutto quello che era stato acquisito dalle persone doveva essere ridato a tutto il popolo, e si ricominciava daccapo. Chi era diventato schiavo, chi aveva perso la libertà, chi aveva debiti, veniva tutto condonato per poter ripartire a vita nuova e questo proprio per rispetto della Terra, che era, che è, di Dio.

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Riace, musica per l’umanità: un nuovo mondo possibile fra sogno e realtà

Di STEFANO GALIENI

Un viaggio attraverso l’arte, la politica, l’attivismo, il pacifismo seguendo un filo rosso: quello di Riace, di Mimmo Lucano e dell’utopia concreta di un nuovo mondo più inclusivo, giusto e accogliente. Un viaggio reso possibile dall’impegno di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici – autori di “Riace, musica per l’umanità” – e delle persone da loro intervistate, da Alex Zanotelli a Moni Ovadia.

Reggio Calabria – Gli uomini e le donne intervistati da Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, per comporre un mosaico che prende forma di libro col titolo Riace, musica per l’umanità riescono nel miracolo letterario e politico di dare sostanza, forma e musicalità a una storia immensa, di cui, speriamo presto, questo Paese sia totalmente orgogliosa.

Chi scrive parte da un pregiudizio radicalmente positivo, quello di chi ha vissuto, molto da vicino, la storia dell’utopia concreta di Riace come convivenza realizzata sin dalle sue origini, da quando un veliero attraccò – era il 1998 – sulle coste calabresi, carico di un’umanità che chiedeva unicamente di essere ascoltata e rispettata. E se è vero che, prima con un’associazione e poi come sindaco, per tre mandati, del paese, Mimmo Lucano è riuscito a scardinare una modalità consolidata di affrontare il tema dell’accoglienza mantenendo chi arriva in condizioni di subalternità, i riflessi prodotti, come i cerchi di un sasso lanciato in uno stagno, hanno avuto e hanno ancora un’ampiezza che nessun provvedimento repressivo è riuscito a spezzare.

riace

Oggi Mimmo Lucano rischia con un processo che siamo in tante e tanti a ritenere ingiusto e mirato unicamente a isolarlo e a rimuovere la semplice idea che simili esperienze si possano riprodurre. Le parole delle tante persone intervistate in questo piccolo ma prezioso libro, restituiscono appieno la potenza del meccanismo che si è innescato. Uomini e donne con storie diverse, attività e vite lontane, sensibilità articolate, stimolate dalle ottime domande loro rivolte, sono riuscite ad andare oltre, a raccontare quello che la cronaca non potrà fare.

Adelmo Cervi si appella alla libertà di movimento e alla Costituzione, Vittorio Agnoletto, nella sua magnifica introduzione si rifà a Virgilio per poi tuffarsi nell’articolo 12 di quello splendido testo che è la “Convenzione internazionale dei diritti civili e politici” del 1966. E poi ancora fulminante Moni Ovadia nel definire Mimmo Lucano come mentsch, difficilmente traducibile dallo yiddish se non con il concetto “un vero essere umano”.

Riace. Musica Per L’umanità

Una sintesi perfetta, non apologetica e contemporaneamente elevata. E poi le parole di musicisti e intellettuali che si ritrovano nelle azioni dell’ex sindaco del borgo calabrese e riescono a farlo proprio. Le riflessioni ad esempio di Marino Severini, front man dei Gang, autore, fra le altre, di una preghiera laica come Mare nostro, un’invocazione alla pietà del Mediterraneo affinché si imponga sulle infami leggi degli uomini, o quelle di Gianfranco D’Adda e Renato Franchi, anche loro musicisti, chiamano ad un nuovo umanesimo partendo dalla musica come strumento liberatore e rivelatore, dalle parole come capaci di ricostruire una nuova umanità di cui il pianeta intero avrebbe estremo ed urgente bisogno.

Alex Zanotelli entra nel cuore della vicenda di Riace partendo da lontano, dal Premio Nobel per la Pace del 2017, assegnato ad ICAN, la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari, mai importante quanto oggi e considera questa un continuum con la proposta, lanciata anni fa, di assegnare lo stesso premio a Mimmo Lucano. Un tratto unisce le due vicende, il valore delle utopie da realizzare.

Le donne e gli uomini intellettuali che si misurano con la straordinaria vicenda di Riace, scelgono di schierarsi non solo dalla parte di Mimmo Lucano, ma da quella di un altro mondo possibile

Ma più forti risuonano le parole sentite e ancestrali di Mimmo: il suo non è un grido di dolore per i torti subiti – quando l’intervista è stata realizzata ancora non erano giunte le pesanti richieste di condanna nei suoi confronti – ma la volontà di riaffermare il riscatto collettivo, la predisposizione a un mondo di pace, umanità, fratellanza, come vero e unico antidoto alle ingiustizie globali.

Ci sarebbe molto e molto altro da dire su questo piccolo grande volume, sulle sfumature che ognuna delle persone che prende la parola riesce a far emergere, come dimenticare le suggestioni di Agnese Ginocchio ad esempio o i rimandi continui a una storia musicale nostrana che è anche una storia profondamente politica. Sì perché questo testo, nelle sue caleidoscopiche sfaccettature, è anche un testo profondamente e radicalmente politico.

Mimmo Lucano 1

Capace col proprio linguaggio e in maniera netta di rivolgersi a chi la stessa parola polis non è più in grado di renderla azione per il bene comune, come alle tante e ai tanti che, con mille modalità e forme diversi, continuano ad opporsi alla disumanizzazione e all’indifferenza imperanti. Politico perché è un richiamo a una missione comune, perché le donne e gli uomini intellettuali che si misurano con la straordinaria vicenda di Riace, scelgono, con le loro parole, di schierarsi senza tema di essere smentita, non solo dalla parte di Mimmo Lucano, ma da quella di un altro mondo possibile.

A Riace questo mondo si è per anni realizzato, perché non estendere qualcosa che ha il sapore del sogno ma i risultati visibili della realtà? Dipende anche da chi legge. Grazie ai curatori e soprattutto sempre grazie a Mimmo Lucano, che ci riporta alle possibilità infinite che abbiamo di “restare umani”.

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Stefano Galieni: vivo a Roma, sono giornalista pubblicista e dirigente nazionale di Rifondazione Comunista come responsabile immigrazione. Da quasi 35 anni impegnato come attivista antirazzista in movimenti e associazioni. Coautore nel 2002 di Frontiera Italia (Ed, Città Aperta) con Antonella Patete, di “Mai più” (Left edizioni, 2019) con Yasmine Accardo e sempre per lo stesso editore di “Sconfinate”, settembre 2023. Collaboro attualmente con Left e Transform Italia, sono Presidente di ADIF (Associazione Diritti e Frontiere).