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Prevenire la guerra

Lo scopo del movimento pacifista fu sempre quello di prevenire la guerra

Prevenire la guerra

Qualche anno dopo l’avvento di Hitler, la maggioranza della sinistra continua a credere che la pace possa essere mantenuta soprattutto attraverso le politiche di sicurezza collettiva e del disarmo, fino alla regolazione internazionale delle controversie

Bertolt Brecht

Lo scopo del movimento pacifista fu sempre quello di prevenire la guerra.

Per questo motivo, la discussione si concentrò sulla questione dei mezzi migliori per realizzare tale obiettivo.

Per due, forse tre anni dopo l’avvento di Hitler, la maggioranza della sinistra continua a credere che la pace possa essere mantenuta soprattutto attraverso le politiche di sicurezza collettiva e del disarmo, fino alla regolazione internazionale delle controversie attraverso la presa di posizione e la pressione politica ed economica collettiva.

La convinzione sottesa a questa posizione era che la pressione internazionale poteva fermare i conflitti prima che raggiungessero la soglia della guerra aperta.

Ma inevitabilmente tale posizione non poteva non suscitare la domanda di fondo circa la giustezza dell’azione militare.

Nonostante tutto, esisteva la guerra giusta?

A metà degli anni ‘30 del Novecento, ci furono due risposte impressionanti a questa domanda. La prima fu la fondazione nel 1934 dell’Unione per la garanzia della pace.

L’Unione, i cui membri superarono rapidamente il numero di 200.000, chiedeva alla gente di sottoscrivere una risoluzione che diceva: “noi rinunciamo alla guerra e mai più, né direttamente né indirettamente, ne sosterremo e ne approveremo un’altra”.

Questa organizzazione traeva la sua forza dalle chiese non conformiste che ritenevano la guerra una negazione del cristianesimo, e poi dagli scrittori e dagli intellettuali orientati a sinistra, dal partito laburista, dai sindacati del movimento cooperativo. Nella realtà, l’organizzazione abbracciava una serie di posizioni, alcune delle quali vedevano nella non violenza più una tattica che un valore assoluto.

La corrente principale del pacifismo: prevenire la guerra

Ma la corrente principale rimase quella che faceva capo al bisogno di prevenire la guerra con tutti i mezzi possibili. L’opinione pubblica fu ulteriormente saggiata da quello che è divenuto noto come Sondaggio della pace. Organizzato dalla Società delle nazioni e ignorato dal partito conservatore, il sondaggio interessò più di mezzo milione di attivisti, tutti  volontari, e ricevete più di 11 milioni di risposte. La maggioranza schiacciante delle risposte si dichiarò per continuare ad appoggiare la Società delle nazioni, per il disarmo controllato, per restrizioni alla produzione privata di armi e per la riduzione della produzione di aerei militari.

Ancor più significativo fu che circa sette milioni di persone votarono a favore di immediate sanzioni economiche e non militari a carico dell’eventuale aggressore.

Sei milioni ritenevano che la forza andasse usata solo come estrema risorsa, mentre due milioni espressero la convinzione che la forza non dovesse essere mai usata in assoluto. Il sondaggio della pace mostrò che la gente era sensibile soprattutto al problema di come prevenire una guerra reale, più che alle questioni astratte sull’uso della forza o sull’esistenza della guerra giusta.

Ma anche così è chiaramente percepibile una forte, sotterranea corrente pacifista, mentre il numero di quanti si astennero dal rispondere alla domanda che toccava più direttamente la messa in atto di misure militari indica che questo era il punto sul quale in quel preciso momento molta gente era estremamente incerta.

I rapidi cambiamenti della situazione internazionale

I rapidi cambiamenti della situazione internazionale spingevano tuttavia a una continua revisione di atteggiamenti, ed è dal 1935 che molti pacifisti divennero meno convinti della loro posizione.

Dopo l’uscita del Giappone e della Germania dalla Società delle nazioni, la politica della sicurezza collettiva divenne meno convincente.

In realtà il governo britannico aveva ufficialmente abbandonato ogni pretesa di seguire una politica di sicurezza collettiva e aveva annunciato la sua intenzione di contrapporre al riarmo della Germania un proprio riarmo.

I dirigenti laburisti, che sostenevano il movimento pacifista, continuarono a apportare argomenti a favore della sicurezza collettiva perseguita attraverso la Società delle nazioni, ma evitarono ripetutamente di affrontare la questione di cosa fare se tali politiche non avessero avuto successo. In effetti, questo stava diventando il problema centrale per il movimento della pace nel suo complesso. Una persistente debolezza della posizione pacifista consisteva nel fatto che essa, come istanza politica più che come affermazione di una convinzione personale, non permetteva molte alternative.

Il pacifismo lasciava poco spazio al compromesso: la presunzione che esso dovesse avere necessariamente successo induceva molti a evitare di chiedersi che cosa avrebbero fatto se ciò non fosse avvenuto.

Guernica

Il lassismo inglese nella guerra in Spagna contro la dittatura fascista di Franco

Gli avvenimenti della seconda metà degli anni ‘30 sono troppo noti perché sia necessario soffermarsi su di essi.

Con l’Abissinia, il governo britannico si imbarcò in una strada di incertezza e di oscillazione.

Allo stesso modo la Gran Bretagna mancò di sviluppare una politica coerente rispetto alla guerra spagnola, continuando a giustificare il non intervento anche quando fu chiaro che la Germania e l’Italia stavano fornendo un aiuto considerevole a Franco e alla dittatura fascista. Con la conferenza di monaco nel 1938 Chamberlain continuava a credere che Hitler poteva essere soddisfatto e che si garantiva meglio la pace facendo concessioni piuttosto che lanciando avvertimenti collettivi internazionali.

In questi anni, l’opinione pacifista inglese dovete percorrere una strada molto difficile.

Il tema dominante della sinistra divenne l’antifascismo, e un pacifismo male inteso rischiava di essere preso per un sostegno a Hitler.

A parte ciò, molti pacifisti riconoscevano che stava diventando sempre meno realistica la possibilità di fermare il fascismo senza guerra.

E la Spagna forniva un chiaro esempio, provocando nella sinistra inglese emozioni che prima e dopo di allora raramente si sono riscontrate.

Il partito laburista, riconoscendo in che direzione portava la politica del non intervento, si accinse a un rovesciamento di linea politica, con tutto ciò che questo comportava in termini di possibile coinvolgimento militare.

Altri esponenti della sinistra abbandonarono del tutto la non violenza, sostenendo che la battaglia contro Franco e la dittatura era già la guerra contro il fascismo. I modi di sentire si fecero ancora più duri.

Un’accusa ingiusta

Il movimento per la pace degli anni ‘30 è stato accusato qualche volta di aver apparentemente indebolito la posizione del governo britannico.

Ma questa accusa sembra particolarmente infondata.

I pacifisti erano sempre stati molto decisi nella denuncia dell’aggressione.

Pochi avevano difeso una politica di pace a ogni costo se ciò significava aprire la strada agli aggressori.

Il sostegno pacifista alla Società delle nazioni, alla politica di sicurezza collettiva e al disarmo, aveva mirato proprio al controllo effettivo delle minacce e alla sicurezza internazionale.

Il pacifismo rafforza la consapevolezza sul pericolo che il fascismo costituiva per l’Europa intera

L’ostilità al fascismo era basata, in particolare, sulla minaccia che il fascismo costituiva per la pace mondiale, e i pacifisti sostennero ripetutamente la necessità di una forte azione congiunta per controllare i dittatori.

Gli errori dei politici difficilmente possono essere addebitati al movimento per la pace.

La loro origine è da ricercare nelle false opinioni su Hitler e Mussolini del tutto inadeguate.

Il pacifismo era divenuto dopo il 1940 una posizione che si era dovuta abbandonare di fronte alla cruda realtà dei fatti politici, uno dei quali fu il pericolo di una imminente invasione tedesca, una considerazione che molti avevano mancato di mettere in conto.

La guerra apparve come un male minore contro il fascismo.

Che questa sia stata per diversi aspetti una sconfitta per il movimento per la pace è ovvio. Ma da altri punti di vista il movimento aveva anche avuto un grande successo. Esso aveva dato l’avvio a un’analisi nuova sulla guerra e sui probabili beneficiari della guerra e nella sua ricerca di pace aveva enormemente contribuito a rafforzare la consapevolezza popolare sul pericolo che il fascismo costituiva per l’Europa intera.

 

Approfondimenti:

 

Elorza, Documenti e discorsi del militare ingenuo, San Sebastian

Erasmo da Rotterdam, Contro la guerra, a cura di F.Gaeta, L’Aquila

Trattato sulla tolleranza, a cura di Palmiro Togliatti, Editori Riuniti Roma

 

Bibliografia ragionata

 

AA.VV. , Bandiere di pace, Chimienti, Taranto

Aron, Pace e guerra tra le nazioni, tr.it. Comunità, Milano

Bartels, L’Europa dei movimenti per la pace, in Giano n. 4/1990

Battistelli, Sociologia e guerra. Il problema della guerra nelle origini del pensiero sociologico, Archivio Disarmo, Roma

Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna

Collotti, G. Di Febo, (a cura di), Contro la guerra. La cultura della pace in Europa (1789-1939), Dossier Storia, Giunti, Firenze

J. P. Taylor, English History 1914-45. Oxford University Press

 

Analisi:

Branson, M. Haienemann, L’Inghilterra degli anni Trenta, Laterza Bari

Ceadel, Pacifismi in Britain, Oxford University Press

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L’evoluzione del pacifismo

I movimenti pacifisti dall’Ottocento al Novecento.

L’evoluzione del pacifismo

I movimenti pacifisti sono diventati lievito di speranza e la loro attività si è intrecciata con altri movimenti: per i diritti civili, per l’emancipazione della donna, per i diritti umani, per l’autodeterminazione dei popoli e per la difesa dell’ambiente.

I movimenti per la pace

I movimenti pacifisti: origini e sviluppi

L’Ottocento pacifista

Il pacifismo come corrente di idee e movimento finalizzato a prevenire e contrastare la guerra è nato nel corso dell’Ottocento.

La questione della pace e della guerra fino all’Ottocento è stata esclusiva prerogativa dei capi di Stato, monarchi più o meno assoluti.

È nell’Ottocento che privati cittadini si cominciano ad associare per provare a dire la loro sulla questione Pace.

Non più tema esclusivo per letterati, filosofi, autori che hanno scritto contro la guerra e i suoi errori e orrori,  invocando la pace, pure presenti in ogni tempo.

Il grande contributo dei quaccheri e della borghesia illuminata

Quelle che si possono definire le prime associazioni pacifiste sorsero promosse dai quaccheri a New York, Filadelfia, Boston, nel 1815.

Il pacifismo dei quaccheri si ispirava a George Fox che nel 1651 aveva rifiutato un incarico militare e il suo diniego passò alla storia.

Le Società per la pace

Nasce quindi negli Stati Uniti la Società della pace di New York cui seguì nel 1816 in Inghilterra la Società per la promozione della pace permanente e universale, costituita perlopiù da gruppi provenienti dalla borghesia liberale e intellettuale.

Negli Stati Uniti il movimento elaborò varie proposte tra cui un collegio arbitrale sul modello del diritto privato per risolvere le controversie internazionali cioè con l’arbitrato, una metodologia alternativa e un sistema di risoluzione delle controversie.

Nell’Europa continentale la prima associazione pacifista è considerata la Società della pace nel 1830 con alla base non solo motivazioni religiose, ma anche politiche ed economiche nella sua opposizione alla guerra.

Diversi congressi si tennero negli anni successivi: a Londra, a Bruxelles, Parigi, Francoforte.

Quello di Parigi, Il Congresso degli amici della Pace, è considerato il primo congresso internazionale del pacifismo. All’ordine del giorno l’arbitrato, il disarmo, il congresso delle nazioni, circa 600 i partecipanti, celebre il discorso di Victor Hugo “verrà un giorno…” per una unione dell’Europa, appello per l’educazione alla pace.

La pace

La nascita delle Leghe per la pace

A Parigi nasce la Lega internazionale permanente della pace da gruppi liberali e borghesi che sostenevano la pace quale interesse nazionale per favorire i commerci tra i popoli. A Ginevra invece si tiene il congresso costitutivo della Lega internazionale della pace e della libertà con orientamento più radicale e con significativa presenza femminile: i fondatori sono radicali, democratici, anarchici, liberali, socialisti.

Notevole la risonanza: diecimila i partecipanti, presidenza di Giuseppe Garibaldi, presenza di Victor Hugo e Bakunin.

Il programma prevedeva la creazione degli Stati Uniti d’Europa, l’eliminazione degli eserciti permanenti da sostituire con le milizie popolari, il diritto al lavoro e all’istruzione, l’autodeterminazione dei popoli. È il filone democratico e radicale del pacifismo di quei tempi e in seguito si farà strada il pacifismo operaio e socialista.

Il termine delle Leghe che contrastavano la guerra

Le due Leghe per la pace terminano la loro esistenza con la guerra franco-prussiana del 1870, dopo aver svolto comunque un ruolo non inutile nell’Europa del tempo: voci dissonanti e di speranza nell’Europa del colonialismo e dell’imperialismo, che parlava di pace e invece, al contrario, preparava la guerra.

Negli anni successivi ci fu una notevole ripresa del pacifismo sul vecchio continente: nacquero oltre cento associazioni con migliaia di aderenti. Un ruolo particolarmente rilevante svolse la partecipazione femminile e ancora l’arbitrato il disarmo, con l’abolizione della leva obbligatoria, i temi centrali tra l’ottocento e il novecento.

La prima e la seconda guerra mondiale: tragedia per il pacifismo

Mentre già comparivano minacciose all’orizzonte le nubi della guerra, il pacifismo si preparava a una drammatica battuta d’arresto.

La guerra per il predominio in Europa che si scatenerà da lì a pochi anni. Il pacifismo è travolto assieme al resto. Sarà una dura, tragica sconfitta.

Ma proprio dalla immane carneficina e tragedia della prima guerra mondiale, la necessità dell’impegno contro la guerra avrà nuovi impulsi e sarà più urgente che mai.

Fascismo e nazismo faranno strame di qualsiasi pacifismo e saranno tempi duri per tutti i pacifisti. Infatti in Germania nel 1933 saranno messe proprio fuorilegge le associazioni pacifiste.

L’impegno pacifista dal dopoguerra all’attualità

Dal 1945 a livello internazionale varie sono state le fasi della mobilitazione dei movimenti pacifisti di massa contro l’atomica e i rischi della guerra nucleare; contro la guerra in Vietnam; contro i nuovi missili nucleari dell’est e dell’ovest; contro la prima guerra del Golfo; contro la guerra infinita del dopo 11 settembre 2001.

Così i movimenti pacifisti diventano lievito di speranza e si intrecciano con altre realtà, associazioni e con altri movimenti: per i diritti civili, per l’emancipazione della donna, per i diritti umani e per l’autodeterminazione dei popoli, contro il nucleare civile e militare e per la difesa dell’ambiente.

 

Approfondimenti sul pacifismo:

  • Pallotti V., Cinquant’anni di pace in Europa: eventi e immagini, a cura del centro di documentazione del manifesto pacifista internazionale, Bologna
  • Pallotti V., Perché? Guerra, corsa agli armamenti. Catalogo della mostra del manifesto contro… per una cultura di pace e nonviolenza, Bologna
  • Pallotti V., Camminare per la pace. Marce e cammini per la pace e la nonviolenza, Comune di Casalecchio di Reno – Casa per la pace “la filanda”, Bologna 2009

 

Approfondimenti:

  • Elorza, Documenti e discorsi del militare ingenuo, San Sebastian
  • Erasmo da Rotterdam, Contro la guerra, a cura di F.Gaeta, L’Aquila
  • Trattato sulla tolleranza, a cura di Palmiro Togliatti, Editori Riuniti Roma

 

Bibliografia ragionata:

  • AA.VV. , Bandiere di pace, Chimienti, Taranto
  • Aron, Pace e guerra tra le nazioni, tr.it. Comunità, Milano
  • Balducci E., Vinceremo noi pacifisti. Fosse anche tra mille anni, in L’Unità, 6 Marzo 1991
  • Bartels, L’Europa dei movimenti per la pace, in Giano n. 4/1990
  • Battistelli, Sociologia e guerra. Il problema della guerra nelle origini del pensiero sociologico, Archivio Disarmo, Roma
  • Bello Don Tonino, Alfabeto della vita, Paoline, Milano 2009
  • Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna
  • Collotti, G. Di Febo, (a cura di), Contro la guerra. La cultura della pace in Europa (1789-1939), Dossier Storia, Giunti, Firenze
  • Rochat G., L’Antimilitarismo oggi in Italia, Claudiana, Torino
  • Taylor, English History 1914-45. Oxford University Press

 

Riflessioni sulla contemporaneità:

  • Pugliese F., Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 a oggi, Grafiche futura, Mattarello – Trento
  • Pugliese F., I giorni dell’arcobaleno. Diario- cronologia del movimento per la pace, prefazione di Alex Zanotelli, Futura, Trento
  • Pugliese F., Per Eirene. Percorsi bibliografici su pace e guerra, diritti umani, economia sociale, Forum Trentino per la pace e i diritti umani, Trento
  • Pugliese F., Carovane per Sarajevo. Promemoria sulle guerre contro i civili, la dissoluzione della ex Jugoslavia, i pacifisti, l’ONU (1990-1999), Prefazione di Lidia Menapace, Introduzione di Alessandro Marescotti, Alfonso Navarra, Laura Tussi
  • Manifesti raccontano…Le molte vie per chiudere con la guerra,a cura di Vittorio Pallotti e Francesco Pugliese, Recensione di Laura Tussi, Prefazione di Peter Van Den Dungen, coordinatore generale della Rete Internazionale dei Musei per la Pace e Joyce Apsel, Università di New York
  • Strada G., Ma l’abolizione della guerra non è un’utopia di sinistra, in La Repubblica, 2006

 

Analisi:

  • Branson, M. Haienemann, L’Inghilterra degli anni Trenta, Laterza Bari
  • Ceadel, Pacifismi in Britain, Oxford University Press

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Pace e Illuminismo

Uno spaccato illuminista sulla pace

Pace e Illuminismo

La nostra matrice laica, basata sulla valorizzazione dell’ideale assoluto della pace, sulla critica delle religioni e del potere clericale e del Vaticano è alla base della nostra origine e radice illuminista

Dalle origini dell'Illuminismo per la pace

Uno spaccato illuminista sulla pace 

Nell’Enciclopedia degli illuministi francesi alla voce guerra si legge da sempre che gli uomini, per ambizione, per avarizia, per gelosia, per perfidia sono giunti a spogliarsi, bruciarsi e sgozzarsi gli uni con gli altri. Per farlo in modo più ingegnoso, hanno inventato regole e principi che vengono chiamati arte militare e hanno associato alla pratica di queste regole l’onore, la nobiltà, la gloria.

L’Illuminismo è la prima cultura europea moderna che si può definire pacifista per l’affermazione di un pensiero laico, razionale, contrario a fanatismi e dogmi.

È dal millesettecento in avanti che la condanna della guerra non è più soltanto morale, diventa politica e assume le caratteristiche di programma politico. Un precursore è l’Abbé Charles de Saint-Pierre con il Progetto per rendere la pace perpetua in Europa poi commentato anche da Rousseau.

Fondamentale l’opera di Kant: enorme l’influenze del suo Per la pace perpetua del 1795, la pace fondata sulla democrazia e sul diritto e da raggiungere con la sostituzione dei regimi assoluti con la Repubblica capaci di costituire una federazione di liberi Stati in grado di eliminare la guerra.

Ma era stato preceduto da Erasmo Da Rotterdam.

Di Erasmo la prima critica approfondita alla guerra e il suo appello: “la guerra cambia gli uomini in bestie feroci… io non esorto e non prego: imploro. Cercate la pace”.

Non meno solenni le parole di Voltaire: “la cosa più straordinaria di queste imprese infernali è che ciascuno di quei capi di assassini fa benedire le proprie bandiere e invoca solennemente Dio prima di andare a sterminare il suo prossimo.

Quando le persone sterminate sono almeno diecimila e per colmo di grazia qualche città è andata completamente distrutta, allora si canta a quattro voci una canzone piuttosto lunga. La stessa canzone serve per il matrimonio e per le nascite”.

Robespierre pronuncia vari discorsi contro la guerra. Afferma: “respingete i principi della falsa e deplorevole politica che finora ha fatto l’infelicità dei popoli per soddisfare l’ambizione e i capricci di alcuni uomini. Rinunciate ad uno spirito di conquista e di ambizioni: rifiutate al re e ai suoi ministri il diritto di decidere da soli della guerra e della pace.

La guerra e il flagello più grande.

La guerra nelle mani del potere esecutivo non è che un mezzo per rovesciare la costituzione.

La guerra è buona solo per uomini d’armi, per gli ambiziosi, per i profittatori, è buona per il potere esecutivo di cui aumenta l’autorità, l’ascendente.

La guerra affida l’ordine nelle nostre città di frontiera ai comandanti militari e fa tacere davanti a loro le leggi che proteggono i diritti dei cittadini”.

 

Approfondimenti:

 

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Alife, distrutto il Giardino della Pace

Giardino della Pace di Alife: distrutte targhe e rubati faretti solari

Alife, distrutto il Giardino della Pace

“Queste persone dovrebbero solo vergognarsi” afferma il sindaco Maria Luisa Di Tommaso. Ferme condanne di padre Alex Zanotelli, di Libera contro le mafie, della rete Pangea e del Professor Sergio Vellante e del vescovo emerito di Caserta Raffaele Nogaro

Atti vandalici al Giardino della Pace di Alife - Caserta

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“Queste persone dovrebbero solo vergognarsi” afferma il sindaco Maria Luisa Di Tommaso. Ferme condanne di padre Alex Zanotelli, di Libera contro le mafie, della rete Pangea e del Professor Sergio Vellante e del vescovo emerito di Caserta Raffaele Nogaro

 

Messaggio di padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, ispiratore dei Movimenti per la Pace e i diritti in Italia.

ALIFE: SFREGIO ALLA PACE

Sono rimasto profondamente amareggiato, quando mi è stata comunicata la notizia dello sfregio alla panchina, all’albero della Pace nel piccolo giardino della pace di Alife – Caserta.

Questo gesto vandalico è estremamente grave perché manifesta il disprezzo verso i grandi valori della Pace, del “ripudio della guerra”(art.11della Costituzione) e della nonviolenza attiva, i grandi valori che permetteranno di muoverci lentamente verso “un’umanità plurale”. Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano.

Messaggio di Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta:

La pace è il bene supremo da promuovere sempre, da curare sempre, da difendere sempre.

Sono amareggiato perché la volgarità di certi spiriti non solo non vuole la pace ma anche deride e calpesta i simboli della pace. Il fatto di Alife successo alla promotrice di pace Agnese Ginocchio, è motivo di provvisoria delusione perché i credenti della pace sapranno difenderla ed attuarla anche senza simboli e senza bandiere. Raffaele Nogaro

 

Distrutto ad Alife il Giardino della Pace, voluto dall’iniziativa del Movimento per la Pace, e la panchina contro la violenza sulle donne. “Gli atti vandalici e di sfregio che si stanno verificando nell’area che ospita l’Albero della Pace – ha affermato Agnese Ginocchio, presidente del Movimento – hanno distrutto i nostri simboli. Gruppetti di giovani in preda al male, sfasciano gli emblemi dedicati alla Pace e alla legalità, ma cosa ancor più grave si sono accaniti contro la panchina-simbolo contro i femminicidi. Panchina che è dedicata alla memoria di una donna uccisa“.

Distrutto e vandalizzato il Giardino della Pace di Alife – Caserta

Vandalizzata più volte la targa di dedica della panchina su cui si legge il nome “Stefania Formicola” con tutta la fioriera. Rubati anche i faretti solari posti ai piedi degli alberi. Danneggiate le altre targhe, come quella del finanziere Antonio Sottile, vittima di mafia, caduto a Brindisi e Giuseppe Macchiarelli caduto nella strage alla Conservatoria degli uffici immobiliari di Santa Maria Capua Vetere. Inoltre, i sassi rappresentativi sono spostati e lanciati ovunque, e le piantine sono state sradicate. Oltretutto è stata vandalizzata la scultura lignea dedicata all’ultimo reduce sopravvissuto e testimone degli orrori della guerra, cavaliere Giovanni Di Franco, che era stata posta sotto l’Albero della Pace.

“Ma quel che più ci sconforta è che in quel luogo che riteniamo sacro, c’è tutto il percorso educativo avviato nel corso degli anni con le scuole, attraverso il progetto della ‘Fiaccola della Pace’, e la panchina era parte di questo percorso educativo. Di tutto questo verrà fatta una relazione, per presentare denuncia ai carabinieri, i quali sono già stati messi al corrente dei fatti accaduti“, ha concluso Agnese Ginocchio.

Le parole del sindaco di Alife

Per Maria Luisa Di Tommaso, sindaca di Alife “è grave che nell’anno 2021 succedano ancora queste cose. Sicuramente si tratta di persone incivili che, danneggiando questi simboli, dimostrano di non avere rispetto degli alti valori che tali simboli rappresentano: la pace, la solidarietà, la giustizia, la legalità. Ringrazio la presidente Ginocchio che è sempre attenta a questi sentimenti e si impegna al massimo tutto l’anno e in ogni occasione per mantenerli vivi nella nostra Comunità. Comprendo molto bene la sua amarezza e le sono vicina quando spesso si trova davanti a tali atti vandalici. Queste persone dovrebbero solo vergognarsi“.

Il Coordinamento provinciale di Libera contro le mafie ha scritto un comunicato di condanna contro questa grave azione vandalica.

La rete Pangea per la nonviolenza di Scampia e il professor Sergio Vellante, docente universitario, padre Alex Zanotelli e il vescovo emerito di Caserta Raffaele Nogaro hanno espresso condanna e manifestato solidarietà  al movimento per la Pace rappresentato da Agnese Ginocchio, cantautrice e Testimonial per la pace e la nonviolenza, che ha in cura il Giardino di Alife.

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Pacifismo: un’altra prospettiva?

Pace: alta aspirazione dell’umanità

Pacifismo: un’altra prospettiva?

“È ancora lunga la strada perché la guerra diventi un tabù come l’incesto – afferma padre Alex Zanotelli – ma vi è chi la percorre”. Il pacifismo. Un impegno da non dimenticare, per il futuro e per la storia, se la storia è selezione delle cose da ricordare, per la memoria e il futuro

Pace per l'umanità

Pace: alta aspirazione dell’umanità 

 

La pace è da sempre aspirazione centrale dell’uomo.

Con la Pace tutto è possibile, tutto si può realizzare. Con la guerra conta solo la vittoria militare. Tutti noi camminatori delle vie della pace e della nonviolenza ci incontriamo nelle marce, nelle manifestazioni e nei cortei semplicemente per dire no alla guerra.

Cosa hanno creato e animato i movimenti per la pace nei momenti e negli appuntamenti di massa? ma anche nell’impegno della quotidianità, nelle attività fuori dal clamore e dall’attenzione dei media?

Molteplici narrazioni per riportare sulla scena i protagonisti in carne e ossa, le loro motivazioni e i loro sentimenti, i loro saperi e le loro culture politiche, la loro spontaneità.

 

Un’altra prospettiva?

La pace è da sempre aspirazione centrale dell’uomo.

Con la pace tutto è possibile, tutto si può realizzare. Con la guerra conta solo la vittoria militare.

Tutto si fa per la pace, tutto ad essa si sacrifica.

“Prima di tutto la pace” era un diffuso slogan negli anni ‘80 del Novecento.

Per troppo lungo tempo, subculture e politiche prevalenti hanno pensato che la Pace è raggiungibile solo con la guerra. Che la pace altro non fosse che assenza di guerra e il luogo di preparazione della prossima inevitabile guerra.

Solo in tempi recenti si comincia a pensare la pace diversamente: molto di più che assenza di guerra e certo indiscutibilmente assenza di conflitti armati. Solo in tempi recenti si comincia a pensare la pace per via alternativa a quella classica delle armi, come l’arbitrato, i negoziati, il diritto internazionale. E solo in tempi recenti si è pensato a elidere il potere di fare la guerra al sovrano di turno. Chi ha deciso la politica coloniale italiana? La conquista della Libia? Chi la prima guerra mondiale? Chi la seconda? Per secoli il pensiero, la politica, i miti, i riti convergevano sul fatto che la guerra fosse l’unico strumento e unica via per la pace.

 

La vera rivoluzione è quando comincia un pensiero alternativo.

Fino ad oggi l’Europa non ha ancora vissuto un periodo di pace duraturo, basti pensare ai conflitti in ex Jugoslavia e nelle nazioni dell’est Europeo, contando anche le cosiddette “missioni di pace” che altro non sono che azioni mirate a sostenere i privilegi predatori di alcune nazioni su altre.

E non molti sanno che il progetto  dell’unione dell’Europa nella pace non con le armi, ma come soluzione per niente guerrafondaia fu propugnata in primis dal pensiero pacifista.

Si pensi al congresso della pace di Parigi del 1849 quello presieduto da Vittorio Hugo, quello che pose l’accento sulla necessità dell’educazione alla pace. Non fu il mondo pacifista a rivendicare che decisioni sulla guerra fossero assunte dai parlamenti e non già dai sovrani e dai governi? E chi pensò al diritto e alle organizzazioni internazionali adeguate per costruire la pace?

Fu un pioniere del pacifismo quale Immanuel Kant.

Poteva nascere l’ONU senza questo pensiero? Il termine pacifismo è stato introdotto tra l’ottocento e il novecento.

 

Il pacifismo ha una sua storia.

Il pacifismo ha una sua storia e questo deve essere continuamente precisato.

Esso assume il significato di pensiero e pratiche, teorie e movimenti tesi a prevenire e contrastare la guerra, le culture guerresche e violente e i guerrafondai. E a elaborare e sostenere vie alternative per la soluzione di conflitti e di controversie internazionali.

Un movimento plurale.

Più forte e incisivo quando è stato capace di essere autonomo e coerente e quando ha coltivato e prodotto idee forti, illuminanti, alterità di pensiero, pratiche coerenti.

È un arcipelago.

Un pacifismo di teorici, un pacifismo politico e non di partito, un pacifismo dei movimenti, un pacifismo spontaneo delle persone, un pacifismo delle classi sociali. È però poco studiato nella sua pluralità e complessità. Nella sua influenza, nelle sue contraddizioni e risultati.

Forse si pensa che poi comunque le guerre ci sono state, che i pacifisti hanno sempre perso, che non hanno ottenuto nulla. Forse perché l’utopia della pace è rimasta tale? Non è esattamente così.

Si accennava alla semina del pacifismo che ha prodotto raccolti. In alcune fasi il pacifismo è riuscito a condizionare l’azione di leaders politici e governi. Durante gli anni più duri della guerra fredda è riconosciuto che la mobilitazione di massa ha contribuito ad evitare l’uso dell’atomica.

 

Il pacifismo oggi.

E il premio Nobel per la pace del 2017 alla campagna Ican per il trattato di proibizione delle armi nucleari? Autentico e imprescindibile e grande contributo per il disarmo nucleare mondiale che ha coinvolto migliaia di attivisti e centinaia di associazioni in tutto il mondo. Di recente ai movimenti pacifisti è anche ascrivibile in Italia la legge 185/1990 che finalmente ha posto qualche vincolo alla esportazione di armi e è dei pacifisti il merito alla campagna internazionale per la messa al bando delle mine Nobel per la pace del 1997.

E senza l’imponente movimento del 2003 il governo italiano non avrebbe coinvolto pienamente e ancora maggiormente il nostro paese nella guerra di Bush all’Iraq dell’ex amico Saddam? Si possono cancellare gli enormi contributi del pacifismo per controbattere alla glorificazione della guerra, per smentire la convinzione della sua fatalità, per un sapere di Pace? Cenni per dire che l’influenza del pacifismo è ancora tutta da studiare.

Perché quanti si sono opposti alla prima guerra mondiale, con prezzi salatissimi non devono essere considerati soggetti di storia? Il cammino è lungo e tortuoso ma è frequentato.

“È ancora lunga la strada perché la guerra diventi un tabù come l’incesto – afferma padre Alex Zanotelli – ma vi è chi la percorre”. Se pensiamo alle numerose guerre in corso nel mondo dal dopo guerra fredda non rimane altro che prendere atto della sconfitta del pacifismo. Ma sarebbero conclusioni affrettate e errate oltretutto perché non tengono conto dell’enorme sproporzione di mezzi tra pacifismo e guerrafondai. Il pacifismo. Un impegno da non dimenticare, per il futuro e per la storia, se la storia è selezione delle cose da ricordare, per la memoria e il futuro.

 

Approfondimenti:

 

Elorza, Documenti e discorsi del militare ingenuo, San Sebastian

Erasmo da Rotterdam, Contro la guerra, a cura di F.Gaeta, L’Aquila

Trattato sulla tolleranza, a cura di Palmiro Togliatti, Editori Riuniti Roma

 

Bibliografia ragionata:

 

AA.VV. , Bandiere di pace, Chimienti, Taranto

Aron, Pace e guerra tra le nazioni, tr.it. Comunità, Milano

Bartels, L’Europa dei movimenti per la pace, in Giano n. 4/1990

Battistelli, Sociologia e guerra. Il problema della guerra nelle origini del pensiero sociologico, Archivio Disarmo, Roma

Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna

Collotti, G. Di Febo, (a cura di), Contro la guerra. La cultura della pace in Europa (1789-1939), Dossier Storia, Giunti, Firenze

Taylor, English History 1914-45. Oxford University Press

 

Riflessioni sulla contemporaneità:

 

Pugliese F., Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 a oggi, Grafiche futura, Mattarello – Trento

Pugliese F., I giorni dell’arcobaleno. Diario- cronologia del movimento per la pace, prefazione di Alex Zanotelli, Futura, Trento

Pugliese F., Per Eirene. Percorsi bibliografici su pace e guerra, diritti umani, economia sociale, Forum Trentino per la pace e i diritti umani, Trento

Pugliese F., Carovane per Sarajevo. Promemoria sulle guerre contro i civili, la dissoluzione della ex Jugoslavia, i pacifisti, l’ONU (1990-1999), Prefazione di Lidia Menapace, Introduzione di Alessandro Marescotti, Alfonso Navarra, Laura Tussi

Manifesti raccontano…Le molte vie per chiudere con la guerra,a cura di Vittorio Pallotti e Francesco Pugliese, Recensione di Laura Tussi, Prefazione di Peter Van Den Dungen, coordinatore generale della Rete Internazionale dei Musei per la Pace e Joyce Apsel, Università di New York

Strada G., Ma l’abolizione della guerra non è un’utopia di sinistra, in La Repubblica, 2006

 

Analisi:

Branson, M. Haienemann, L’Inghilterra degli anni Trenta, Laterza Bari

Ceadel, Pacifismi in Britain, Oxford University Press

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Messaggio di Alex Zanotelli in solidarietà con il Maestro Giampiero Monaca per sostenere il diritto al metodo pedagogico “Bimbisvegli”

Messaggio di Alex Zanotelli

Bimbisvegli: scuola aperta e all’aperto

Messaggio di Alex Zanotelli in solidarietà con il Maestro Giampiero Monaca per sostenere il diritto al metodo pedagogico “Bimbisvegli”

A cura di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

Vorrei esprimere la mia totale solidarietà al maestro Giampiero Monaca, che adesso sta facendo lo sciopero della fame e della sete.

Totale solidarietà perché è un maestro come Don Milani.

Il suo metodo di fare scuola in maniera molto semplice, all’aperto, facendo stare i ragazzi insieme tutti attorno in cerchio, assomiglia molto alla pedagogia di Don Milani, della scuola di Barbiana.

Assomiglia al metodo di Freire.

È davvero un metodo pedagogico democratico che ha provocato tante difficoltà a Giampiero prima ad Asti e poi esiliato, come Don Milani esiliato a Barbiana, Giampiero Monaca è stato esiliato a Serravalle, una piccolissima frazione dove sta portando avanti questo tipo e metodo di fare scuola sostenuto dai genitori tra l’altro.

I genitori dei ragazzi sostengono questo suo metodo di fare scuola.

Ma Giampiero è sotto il tiro dell’autorità.

È minacciato anche di sanzioni disciplinari.

Alex Zanotelli sostiene il metodo pedagogico "Bimbisvegli"

Trovo tutto questo assurdo. Dovrebbe essere la scuola pubblica, la scuola di Stato a imparare che forse è meglio e più vicino a quello che la Costituzione vuole il metodo di Giampiero Monaca e non quello che abbiamo nelle scuole ufficiali che sono diventate purtroppo delle aule dove prepariamo i ragazzi a diventare quelle rotelline di un ingranaggio per fare andare avanti e perpetuare il sistema: un sistema che porta tutta l’umanità alla morte. Per cui la mia totale solidarietà a Giampiero Monaca in questo momento difficile.

E sono molto grato anche perché, non lo conoscevo prima, e ha aderito al digiuno che facciamo ogni mese a Roma davanti al parlamento: il Digiuno di Giustizia a favore e in solidarietà con i migranti. Grazie Giampiero Monaca che ti sei ricordato di noi.

Non mi dimenticherò più di te. E ti sarò a fianco in questo tuo impegno, in questa tua lotta per una scuola che sia molto più democratica e aiuti i ragazzi a imparare i veri valori che servono a vivere e a vivere bene.

Grazie di cuore,

Alex Zanotelli

Note: In seguito alle illuminanti parole di padre Alex Zanotelli, alcuni attivisti si sono mobilitati per avviare un digiuno a staffetta in solidarietà con il maestro Giampiero Monaca e il metodo educativo “Bimbisvegli”.
I primi aderenti al digiuno: Fabrizio Cracolici, Marinella Correggia, Marco Chiavistrelli, Linda Maggiori.
Per chi volesse sostenere questa lotta di giustizia con il digiuno scrivere a lauratussi.pace@gmail.com

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Il pacifismo inglese e non solo attinse forza dal ricordo degli orrori della prima guerra mondiale

La pace, impossibile?

“Mai più guerre” fu lo slogan con il quale molti si identificarono per lo stretto rapporto intrattenuto di persona con la sofferenza e la morte provocata dalla guerra

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Il pacifismo inglese e non solo attinse forza dal ricordo degli orrori della prima guerra mondiale

 

Negli anni fra le due guerre, il pacifismo inglese e non solo attinse indubbiamente forza dal ricordo degli orrori della prima guerra mondiale. A ricordo dei morti e delle vittime furono eretti monumenti in tutto il paese, ma gli invalidi costituirono, almeno per tutti gli anni ‘20 del Novecento, un ricordo ancora più impressionante delle conseguenze della guerra.

Lo slogan “Mai più guerre”

“Mai più guerre” fu lo slogan con il quale molti si identificarono per lo stretto rapporto intrattenuto di persona con la sofferenza e la morte provocata dalla guerra.

Per molto tempo prevalse la convinzione che una nuova guerra sarebbe stata una mera ripetizione dell’ultima, con l’aggiunta assai temuta dei bombardamenti aerei. Ma l’origine dei sentimenti pacifisti non va ricercata solo nei ricordi del passato.

La crescita del pensiero pacifista fu strettamente connessa e correlata con i mutamenti sociali e politici verificatisi in Gran Bretagna e con gli sviluppi esterni.

Il contesto nel quale il pacifismo emerse e con il quale esso fu intimamente legato fu costituito dal declino industriale, dalla disoccupazione di massa, dalla povertà e dalla fame, all’interno, e dai problemi connessi con il perdurare, all’esterno, del dominio coloniale, prima che fossero tutti messi in ombra dalla grande minaccia del fascismo.

Il decennio dell’illusione e della delusione

Le opinioni riguardo la guerra cominciarono a cambiare in modo significativo nel corso degli anni ‘20, un periodo che potrebbe essere definito il decennio dell’illusione e della delusione.

Gli anni immediatamente seguenti al conflitto avevano visto poco trionfalismo militarista e non erano sorte battagliere e violenti organizzazioni di ex combattenti, come ce ne erano in altre parti d’Europa.

Lo stato d’animo diffuso era la stanchezza e l’idea comune fra la gente vedeva nella guerra una tragedia terribile, ma necessaria per salvare la democrazia e che quella appena combattuta poteva essere la guerra per mettere fine a tutte le altre guerre.

Il radicalismo sociale

Tali sentimenti si combinavano con nuove speranze per il futuro, in parte legate alle promesse fatte alle truppe, in parte a un nuovo radicalismo sociale che si era sviluppato fra i soldati nel corso della guerra.

Ma la realtà venne subito a disingannare la gente da queste aspettative: disoccupazione, carenza di case e di cibo, l’insuccesso del governo laburista, il fallimento dello sciopero generale, tutto contribuì ad accentuare le divisioni sociali e servì a rivelare la distanza profonda che ancora separava i ricchi dai poveri e il governo dalla popolazione.

L’interpretazione di sinistra sulla guerra

Delusione e risentimento portarono a un aumento delle opinioni circa la guerra. Ora la gente era più disposta ad accogliere l’interpretazione di sinistra sulla guerra, vista come lotta fra imperialismi, combattuta per difendere gli interessi inglesi e a vedere la retorica patriottica del sacrificio come poco più che un espediente ipocrita per dissimulare questa realtà.

La sensazione della classe lavorativa, che la guerra l’aveva combattuta, fu forse stata tradita da chi non l’aveva fatta e provocò a sua volta una crescita della solidarietà internazionalista della classe lavoratrice stessa.

Questa mentalità fu dominante nei circoli della classe lavoratrice e nelle classi medie orientate a sinistra. Accadeva di frequente di imbattersi in risoluzioni approvate dalle associazioni dei lavoratori e dei sindacati, che invitavano il governo a rinunciare alla guerra come strumento di azione politica.

La guerra è sempre inutile

Si trattava di una sorta di pacifismo diffuso, fondato sul presupposto che la guerra è sempre inutile, ed è dichiarata da governi incompetenti per farla combattere a generali ancora più incompetenti. Tale visione procurò un forte sostegno alla Società delle nazioni a favore del disarmo generale.

Un contributo piuttosto sorprendente al movimento per la pace si ebbe agli inizi degli anni ‘30 del Novecento quando nel corso di un dibattito la Lega degli studenti all’Università di Oxford, fra la contestazione dell’establishment britannico votò una mozione per cui “questa istituzione in nessun caso combatterà per il suo re e per il suo paese”.

Il pacifismo persino tra gli studenti

Tale voto significava infatti che ora il pacifismo penetrava persino tra gli studenti privilegiati della classe media quella da cui tradizionalmente provenivano gli ufficiali. Ovviamente le cose non stavano proprio così. Molti non erano pacifisti avevano semplicemente cominciato a pensare di avere il diritto di scegliere il tipo di guerra che volevano combattere.

Ciò era tuttavia indicativo del sentimento generale che permeava i giovani e la sinistra.

Era un sentimento di mancanza di fiducia nei governi politici al potere, considerati inefficienti nella retorica del patriottismo. Di contro vi era la convinzione che l’azione e la testimonianza personali a sostegno della pace potevano in qualche modo compensare le manchevolezze dei governi.

Naturalmente, la situazione mutò radicalmente con l’avvento di Hitler al potere, che conferiva al problema della guerra e della pace un’urgenza del tutto nuova e emergente.

Lo slogan “fascismo significa guerra”

All’inizio, la sinistra fu alquanto incerta sulla linea da seguire nei confronti di Hitler: essa respingeva come ovvio le intenzioni del fascismo e i metodi della dittatura. L’instabilità della situazione portò l’opinione pubblica pacifista ad accentuare molte tematiche degli anni precedenti.

Furono rinnovati gli appelli a puntare sulla Società delle nazioni per la sicurezza, per una riduzione pianificata degli armamenti e per la messa in atto di sanzioni economiche e politiche contro gli aggressori. La prevenzione della guerra attraverso un’azione concentrata di carattere internazionale rimase la grande speranza della sinistra pacifista.

Ci si trovava invece alle prese con un governo nazionale in realtà largamente conservatore che in pratica sembrava non far nulla a sostegno degli sforzi che venivano compiuti per raggiungere la sicurezza collettiva.

I segnali di disastri incombenti erano fortemente aumentati durante il primo anno di governo di Hitler, e cominciò a essere più largamente accettato a sinistra lo slogan “fascismo significa guerra”.

Note: Bibliografia ragionata:

R. Aron, Pace e guerra tra le nazioni, Milano

M. Ceadel, Pacifismi in Britain, Oxford University Press

N. Branson, M. Haienemann, L’Inghilterra degli anni Trenta, Laterza Bari

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Pace a colori

Illustrazioni, manifesti e disegni di dossier che trattano di conflitti e pace

Pace a colori

Proprio nel poter confrontare le innumerevoli soluzioni grafiche proposte nei vari dossier che trattano di conflitti e pace e guerre nel mondo è facile osservare subito alcuni fattori dominanti come il ricorso massiccio a simboli universalmente riconosciuti

Pace a colori

Illustrazioni, manifesti e disegni di dossier che trattano di conflitti e pace. 

La presente è una panoramica descrittiva di illustrazioni, manifesti e disegni e fumetti di vari dossier che trattano di pace e conflitti e guerre nel mondo e che ho avuto modo di visionare e consultare e studiare nel tempo in vari archivi e biblioteche.

La quantità di immagini e disegni proposti nella pubblicistica riguardante conflitti e pace consente soltanto qualche considerazione di insieme su un settore della cartellonistica per la pace estremamente problematico e che funziona come cartina di tornasole non sono delle contraddizioni sociali riposte nei messaggi delle campagne per la pace, ma anche nelle tecniche e nei linguaggi espressivi del manifesto in genere.

Proprio nel poter confrontare le innumerevoli soluzioni grafiche proposte nei vari dossier che trattano di conflitti e pace e guerre nel mondo, è facile osservare subito alcuni fattori dominanti: il ricorso massiccio a simboli di pace universalmente riconosciuti, dalle figure della colomba o della farfalla, i colori dell’arcobaleno e di una natura idealizzata, immagini di minaccia bellica, ad esempio il nero dei missili, l’uso di modalità infantili, come illustrazioni favolistiche e fumetti. La contrapposizione tra il realismo tragico della fotografia e la metabolizzazione fantastica del disegno, rivela il punto di forza e allo stesso tempo di debolezza per una tradizione grafica costretta a lavorare sulla univocità del discorso retorico, in questo non diversamente dalla cartellonistica bellica, anzi forse ancora più radicalmente, piuttosto che sull’universo in atto, per una molteplicità effettiva di esperienze, di soggetti, di scelte.

Il mondo della pace è ancora povero di immaginazione rispetto, purtroppo, alla ricchezza del mondo della guerra: ed è quest’ultimo ad essere più vicino, contiguo, integrato ai tempi di stasi bellica, alla vita sociale, al vivere quotidiano.

Inoltre la dimensione internazionalistica e molto spesso intellettuale di questi manifesti rende inevitabilmente astratto l’interlocutore dal persuadere e sul piano politico non si emancipa dalle tradizioni movimentistiche e classiche.

Questo meccanismo, in cui la grandezza utopica del tema schiaccia ogni articolazione quotidiana, in cui gli effetti della guerra riconducono fatalmente ad una sola immagine di morte, si riflette anche nella costruzione degli slogan.

Il messaggio verbale è essenziale, semplice, solo perché è vittima di se stesso, è agli antipodi della letteratura, che soccorre il copy writer dei messaggi merceologici, è in parte l’ambiguità della pubblicità progresso.

Per quanto riguarda il piano iconico, l’intelligenza grafica, e quindi abbiamo molti buoni esempi riconducibili a varie tradizioni della pittura nella cartellonistica d’autore, finisce spesso per costituire anche un’insidia. La pulizia del segno e del ragionamento prescrittivo raffredda il tema quando non cade addirittura in forme di parassitismo estetico sull’immagine di un dolore e di una violenza che sono apprezzabili solo nella loro più autentica oscenità, nella loro irriducibilità, perché in nessun modo stilizzabili, componibili.

Il problema cruciale infatti è come ri-dire la civiltà, come dire ciò che non andrebbe detto, perché non dovrebbe essere stato mai detto: nel senso di mai desiderato, mai accaduto. Dal canto suo, la bellezza grafica lasciata a se stessa e alla pura estetica delle cose può spingersi a rendere emotivamente appetibile, ipnotico, sublime, persino il fungo atomico: la fantasmagoria della materia, espulsa con forza dall’orizzonte tematico del pacifismo, riemerge nella sua forma più autenticamente artificiale e catastrofica.

Pura fascinazione del consumo. Del parassitismo. Del mercato. Del potere.

Altro meccanismo, rivelatore della tragica contraddizione umana, che sta alla base della guerra come tradizione storica, forma culturale, psicologia sociale e anche memoria narratologica, può essere visto nel recupero di soluzioni violente, orrorifiche, esplosive, che vengono usate e rappresentate per rendere l’idea e la volontà di distruggere la guerra, i sui simboli, i suoi dispositivi, i suoi responsabili. Metafore contro realtà, ma comunque guerra contro guerra. Sullo sfondo di tali insidie, si articolano approcci e proposte più o meno originali, più o meno conformi alla tradizione. La scelta immateriale, ovvero materia solo nel colore, senza alcun altro riferimento leggibile, è quella che corre meno rischi sul piano ideologico.

Eppure, a mio parere, si tratta di nuovo di un compimento dell’uomo nell’artificialità, anche se, questa volta in quella dello spirito invece che in quella del materiale. A questo proposito qualcosa andrebbe detto sull’ideologismo tradizionalista che può celarsi nei casi in cui il manifesto fa riferimento a opere d’arte e ad artisti come testimoni ritenuti immediatamente riconoscibili di una cultura della pace. Formalmente è presente di tutto: avanguardie fantastiche e razionaliste. Marcando più le reminiscenze di Escher, che non quelle volutamente picassiane o quelle inevitabilmente di Magritte, mi pare interessante e frequente il riferimento alla visibilità delle metamorfosi, al gioco ecosistemico tra ordine e disordine: attenzione a una pace che si fa nel divenire conflittuale del mondo, di civiltà e di un bisogno che è mostruoso, emergenze di mutamenti controllabili.

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I giorni della libertà: l’Aprile del 1945. E l’Afghanistan?

Un parallelismo tra i totalitarismi

I giorni della libertà: l’Aprile del 1945. E l’Afghanistan?

Una sentita riflessione va alle vicende attuali che si svolgono in Afghanistan e al dramma di un popolo perennemente occupato dagli Stati Uniti e da altri invasori e che lotta per l’emancipazione, l’indipendenza e l’autodeterminazione.

... E l'Afghanistan?

Un parallelismo tra i totalitarismi.

Il nostro pensiero e una sentita riflessione vanno alle vicende attuali che si svolgono in Afghanistan e al dramma di un popolo perennemente occupato dagli Stati Uniti e da altri invasori e che lotta per l’emancipazione, l’indipendenza e l’autodeterminazione. Perché il tiranno, il dittatore, l’invasore, l’aguzzino nella Storia si manifestano sempre sotto diverse sembianze: un tempo i nazifascisti e ora, in maniera preponderante, l’impero statunitense che pur ebbe un ruolo importante nella lotta resistenziale contro il nemico nazifascista.

Il totalitarismo può manifestarsi sempre sotto diverse spoglie e bandiere.

E’ sufficiente pensare all’assedio di Gaza in Palestina da parte del governo israeliano, con le complicità USA e Europa.

Così l’Afghanistan per le sue risorse naturali è sempre stato depredato, sottomesso e massacrato da Stati Uniti, Unione Sovietica con le connivenze di molti altri stati.

 

I giorni della libertà: dopo cinque anni di guerra, dopo anni di dittatura, dopo due anni di oppressione nazista, i partigiani italiani, prima dell’arrivo delle truppe degli alleati, riconquistano le città e le campagne, mettono in fuga i tedeschi e i fascisti.

Sono centinaia di migliaia, hanno lottato in silenzio per un anno e mezzo, hanno sfidato divisioni corazzate e SS, hanno lasciato sul campo migliaia di eroi, ora scendono a valle tra l’entusiasmo della gente, tra gli applausi del popolo. È la prima volta nella storia d’Italia che il popolo ha fatto la guerra per cacciare i tedeschi, ma anche per dare alla sua nazione un volto democratico.

Per la prima volta sono insieme i comunisti, i socialisti, i democristiani, gli intellettuali del partito d’azione. Per la prima volta la gente che produce e che lavora ha in mano il potere, e gli alleati, pur vincitori in tutto il mondo, devono fare i conti con loro.

l’Italia non è una terra occupata, l’Italia non è divisa, ma il suo popolo si esprime nei comitati di liberazione nazionale che sono il nuovo governo e vogliono essere il nuovo Stato.

Così il futuro dell’Italia nasce in quelle tumultuose giornate dell’Aprile 1945, quando tutti si sentirono giovani, quando tutti ebbero in cuore la speranza di grandi novità, di un mondo e di un’Italia migliori e diversi, di un avvenire fatto ingenuamente di giustizia e libertà.

Bisogna tornare a quei giorni per capirli a fondo, fuor di celebrazioni retoriche, per comprendere il furore democratico che vi era in coloro che combattevano: volevano, finalmente, dare a questo nostro paese un volto popolare, il volto di milioni che hanno sofferto per secoli, che nella guerra avevano sofferto ancora di più, e che cercavano ora la redenzione finale.

Quella redenzione non è venuta, e probabilmente non poteva venire, ma tornare a quei giorni di autentica gloria, significa potersi riunire a quelle speranze, vuol dire avere fiducia ancora: la libertà, la giustizia, la democrazia ci possono essere. Basta conquistarle uniti.

Uniti difenderle.

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Rivista.eco: Raccontarsi è bello

Rivista.eco, diretta dal professor Mario Salomone, presenta:

Rivista.eco: Raccontarsi è bello

Scrivere per sé, di sé e per gli altri è un atto bello che apre la mente. È un’azione liberatoria che comporta un’analisi interiore e introspettiva attenta a far emergere dall’interiorità i nostri traumi, i tasti dolenti, le difficoltà, ma soprattutto la scrittura fa emergere il bello dell’esistenza

Scrivere per sé, di sé e per gli altri è un atto di Resistenza e Amore

Scrivere per sé, di sé e per gli altri è un atto bello che apre la mente. «Un tema che mi sta a cuore è la pace, perché da piccola sentivo in famiglia la storia di mio nonno che ha contribuito alla Resistenza antifascista, come personalità libertaria, come resistente, compiendo sabotaggi e partecipando in qualità di operaio della Breda di Sesto San Giovanni agli scioperi del 1943 e 44».

 

Scrivere per sé, di sé e per gli altri è un atto bello che apre la mente.

È un’azione liberatoria che comporta un’analisi interiore e introspettiva attenta a far emergere dall’interiorità i nostri traumi, i tasti dolenti, le difficoltà, ma soprattutto la scrittura fa emergere il bello dell’esistenza anche quando si raccontano eventi importanti esterni a noi, ma che pur ci appartengono e ci riguardano.

Dobbiamo essere felici già per il solo fatto di vivere, di esistere e assaporare e raccontare e scrivere l’esistente e dobbiamo gioire di ciò che ci circonda e della vita in qualsiasi condizione essa ci ponga, perché anche questo è un atteggiamento nonviolento di apertura mentale.

L’analisi dell’io interiore e gli scritti di eventi e argomenti che ci stanno a cuore, possono essere condotti anche con l’animo e l’ausilio di un mentore, di un amico, di un maestro, entità maschile e femminile, che ci accompagnano nel percorso dell’esistere.

In quanto esistere non è una malattia dell’anima, un problema viscerale, ma una grande risorsa, un dono della cosmicità materna, il più bel privilegio che madre terra ci abbia concesso.

L’esistenza può essere dedicata a percorsi e ricorsi ideali e valoriali, verso principi positivi che noi vorremmo attuare nella vita come costruzione per il superamento delle disuguaglianze del tessuto sociale.

Abbattere le barriere delle disuguaglianze

Un tema che mi sta a cuore è la pace, perché da piccola sentivo in famiglia la storia di mio nonno che ha contribuito alla Resistenza partigiana antifascista, come personalità libertaria, come resistente, compiendo sabotaggi e partecipando in qualità di operaio della Breda di Sesto San Giovanni agli scioperi del 1943 e 44. In famiglia ho sempre respirato il terrore, la paura e la drammaticità della guerra di cui mi raccontavano i miei zii materni.

La pace è il bene sommo. È l’ideale altissimo per cui ciascuno di noi dovrebbe agire nel cammino del proprio esistere.

La solidarietà è l’anticamera della pace, che non si deve esplicare tramite l’assistenzialismo religioso o laico fine a sé stesso, ma deve abbattere le barriere delle disuguaglianze di ogni tipo nel tessuto sociale e agevolare prospettive per creare lavoro pulito per tutti e attivare mezzi sociali utili per prevenire, risolvere e trascendere i conflitti. Mi piace scrivere di disarmo e pace perché è importante.

Ma cosa è la pace? E l’assenza di conflitto? La pace è soprattutto disarmo. È una dimensione non solo interiore, ma terrena che comporta sia l’assenza di guerra, ma soprattutto l’accordo e l’amore tra persone, genti, popoli e minoranze. Tramite incontri pubblici è possibile creare ambiti e percorsi di pace, ossia comunità sociali in costante dialogo con persone di ogni credo politico e anche religioso che pongono agli interlocutori domande su quanto viene esplicitato, ad esempio durante la presentazione in pubblico di uno scritto e di un libro di spessore.

Nel libro, ideali e speranze

Il libro diventa un incunabolo, ossia un ricettore di ideali e speranze e diventa uno scritto collettivo appartenente a tutti: diviene un bene comune ricco di contenuti, principi, valori, quali il disarmo, la pace e l’amore tra gli esseri umani, gli esseri viventi, gli animali e la natura nella sua complessità. Certi libri contengono il portato valoriale della memoria storica contro il nazifascismo con uno sguardo rivolto a un nuovo futuro possibile, partendo dalla memoria degli eventi. Uno sguardo rivolto a un altro mondo possibile più che mai urgente e necessario.

L’amore per la pace e per la vita non sono istanze e sentimenti passivi, ma sono costantemente proiettati verso un nuovo futuro, verso la prossimità dell’altro. All’interno delle comunità sociali, dove collettivamente si attualizzano valori e ideali, insieme si raccolgono i frutti delle idee più belle, anche solo quando gli ascoltatori, i destinatari di messaggi e tutti coloro che apprezzano i contenuti di pace, ringraziano, questo è un evento importante. Perché dai libri condivisi in comunità emergono prospettive di speranza, di bellezza in quanto si creano proprio visioni di bellezza e bontà dell’esistente e si pone soprattutto il giudizio sulle nefandezze, sulla violenza, sulle ingiustizie sociali che permeano la società e di riflesso le nostre vite.

Appellarci alle “stelle della Resistenza”

Essere figlie e figli di una cosmicità femminile, di una maternità terrena, aiuta a travalicare le violenze del patriarcato, del maschile, del misogino, dell’essere divino, unico Dio creatore, maschio e onnipotente perché siamo donne accompagnate da uomini che vogliono il bene dell’universo e aborriscono ogni forma di violenza.

La guerra di cui spesso sentivo parlare in famiglia è sempre più drammatica e vicina.

Per questo esistono i coordinamenti antinucleari europei che si attivano e si spendono per bloccare gli arsenali di morte della nato, dove sono stoccate le bombe nucleari statunitensi B-61 e quelle ancora più sofisticate per la guerra del domani ossia le B 61-12.

Tutto il nostro essere di attivisti nonviolenti aborrisce la violenza e la guerra e per questo mi piace scriverne intimamente. Scrivere in questo mio diario virtuale. In questo mio diario intimo ma, al contempo plurale e condiviso. E ancora penso alle nostre stelle, le “stelle della Resistenza” da mio nonno al nostro amico partigiano deportato Emilio Bacio Capuzzo, scomparso nella data storica del 2017 per il Premio Nobel per la pace a Ican, fino ad arrivare al papà Partigiano di Alessandro Marescotti e ai grandi padri del pacifismo da Stéphane Hessel a Edgar Morin a Turoldo. Coloro che ci insegnano sempre a amare la vita, gli altri anche nei momenti più bui e oscuri dove i demoni della mente si impadroniscono dei nostri sensi. Ma appellarci alle stelle, alle “stelle della Resistenza” è una salvezza per vincere le tenebre, il nefasto, l’inimicizia, l’ostilità e la cattiveria e per far prevalere la bontà, l’amore, la bellezza.

su Rivista.eco, Direttore Mario Salomone ,Sociologo dell’ambiente, giornalista e scrittore, insegna Sociologia dell’ambiente nei Master MACSIS dell’Università di Milano Bicocca e MASRA
dell’Università di Torino ed è stato professore di Sociologia dell’ambiente all’Università di
Bergamo e di Comunicazione politica alla Università IULM di Milano. È Segretario
Generale della rete mondiale di educazione ambientale, che organizza ogni due anni i
World Environmental Education Congress (WEEC).
È autore di numerose monografie (tra cui Al verde! La sfida dell’economia ecologica,
Carocci), di saggi, capitoli di opere collettive e articoli su riviste scientifiche, quotidiani e
riviste, nonché di romanzi e racconti. È direttore di testate a carattere ambientale (la rivista
scientifica “Culture della sostenibilità” e “.eco”).
È stato presidente della FIMA (Federazione Italiana Media Ambientali) dalla fondazione al
2017 ed è membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione Aurelio Peccei,
sezione italiana del Club di Roma.

https://rivistaeco.it/raccontarsi-e-bello

Laura Tussi autrice presso Rivista.eco:

https://rivistaeco.it/author/laura-tussi/

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