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Rifondazione Comunista. La storia di Pietro Pinna, il primo obiettore di coscienza italiano

di Laura Tussi (sito)

sul sito del Partito della Rifondazione Comunista:

http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=53798

Uno dei temi più sottaciuti del conflitto ucraino è quello che riguarda l’obiezione di coscienza al servizio militare che, da una parte e dall’altra, viene soffocata dalla volontà di guerra dei potenti. In quest’ottica è dunque attuale e importante ripercorrere la storia di Pietro Pinna, il primo obiettore italiano e storico attivista per la pace, il disarmo e la nonviolenza.

Attualmente, come lo è stato sempre, molte persone motivate da veri intenti pacifisti si sono opposte all’obbligo militare. Sia in Ucraina che in Russia stiamo assistendo a un fenomeno antimilitarista di diserzione dalla guerra. Cittadini che si rifiutano di imbracciare le armi pagando però a caro prezzo le conseguenze di questa scelta. “Libertà per gli obiettori!”, scrive in proposito il Movimento Nonviolento. “L’obiettore di coscienza ucraino Vitaly Alekseyenko dovrà essere liberato dal carcere. La Corte Suprema di Kiev ha annullato il verdetto di colpevolezza per il prigioniero di coscienza, ha ordinato di scarcerarlo e ha ordinato un nuovo processo al tribunale di primo grado”.

In vista di una riedizione del libro di Aldo Capitini Le tecniche della nonviolenza, alcuni anni fa gli amici della rivista Azione Nonviolenta hanno chiesto a Pietro Pinna – scomparso nel 2016 – di scrivere un’introduzione al testo, che lui stesso considerava un “fondamentale” per chi volesse incamminarsi sulla strada della nonviolenza attiva.

Pietro Pinna

Così ha scritto dunque Pietro Pinna, attivista e considerato il primo obiettore di coscienza al servizio militare in Italia per motivi politici: “Troviamo così nei fatti, al livello del potere dominante, governi e parlamenti d’ogni Stato che pur proclamantisi pacifisti – avversi cioè per definizione alla guerra –, mantengono tuttavia zelantemente in piedi e sempre più agguerrito lo strumento portante della violenza bellica che è l’esercito. Un pacifismo puramente relativo dunque, ossia predisposto a recedervi in nome del necessario ricorso alla guerra giustificata come extrema ratio”.

Da varie fonti si evincono molte informazioni in merito alla condanna e ai vari processi subiti da Pietro Pinna. Il suo caso si presentò all’opinione pubblica mentre era imminente la discussione in Parlamento del progetto di legge sull’obiettorato di coscienza presentato da Calosso e da Giordani. È nota la risposta di De Gasperi all’appello per Pinna dopo il secondo processo e anche l’interrogazione di Calosso sulla procedura e sulla difesa avuta da Pinna dinanzi al tribunale militare di Napoli, che condannò a otto mesi il giovane per rifiuto di obbedienza continuato.

Non fu condannato per diserzione, perché sin dall’inizio in tutta quella vicenda – che ha avuto larga eco sulla stampa italiana ed estera – il giovane si era sempre presentato alla scuola di ufficiali di Lecce e a tutte le altre sedi a mano a mano assegnategli. Questo perché egli disertò per cogliere l’occasione di portare avanti la sua protesta di fronte a uno Stato che, a differenza di quasi tutti gli altri, non voleva riconoscere il diritto all’esenzione per gli individui che effettivamente hanno un’assoluta impossibilità etica e morale – quindi anche fisica – di fare la guerra.

Sant’Elmo, dove il condannato scontava la sua pena, era una cupa fortezza sul colle San Martino della città di Napoli. In una delle sue storiche celle finì anche Pietro Pinna. Per Natale il comandante del carcere fece una visita di auguri a lui come anche agli altri detenuti e lo trovò fra i suoi libri, molti dei quali testi importanti per la nonviolenza e per la costruzione di una cultura di pacifismo e disarmo.

Mentre egli scontava la sua condanna, la porta della cella si aprì e il detenuto fu chiamato al cospetto della direzione del carcere. Fu informato di essere fra i condannati che beneficiavano del condono e fu liberato. Poiché però il periodo trascorso in carcere non valeva anche per l’obbligo di leva, Pinna venne inviato per la terza volta a un corpo militare, perché facesse il suo dovere di soldato. Ma fra lo stupore dei presenti, il giovane scrisse che rinunciava al condono. Se lo Stato, riconoscendo il diritto dell’obiettore di coscienza, avesse annullato – cioè dichiarato ingiusto – il carcere inflittogli, egli avrebbe accettato, ma così non fu.

Governi e parlamenti d’ogni Stato, pur proclamantisi pacifisti, mantengono tuttavia zelantemente in piedi e sempre più agguerrito lo strumento portante della violenza bellica che è l’esercito

La procura militare a cui il caso insolito fu segnalato precisò che il condono non si può rifiutare e Pinna dovette uscire da Sant’Elmo e raggiungere il reggimento cui era stato assegnato. Tentò addirittura di farsi arrestare di nuovo, sottraendosi ancora alla coscrizione e ritornando a Napoli, dove però si sentì dire che che non basta aver commesso un reato per poter andare in carcere: senza una denuncia e un arresto regolari doveva considerarsi ancora a piede libero.

La carriera di “disertore” – per lo Stato italiano – e di attivista per l’obiezione di coscienza di Pietro Pinna proseguì per anni. Divenne colonna portante del Movimento Nonviolento e collaboratore stretto di Aldo Capitini. La sua protesta lo condusse nuovamente e per diverse volte in carcere, anche se non più per renitenza alla leva: fu infatti riformato per una infermità mentale.

Post Scriptum: Articolo realizzato anche grazie alle fonti di archivio fornite dalla biblioteca civica Giovanni Canna di Casale Monferrato

Questo articolo è anche sul sito ITALIA CHE CAMBIA

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Quali sono i ruoli di pace e giustizia nell’Agenda ONU 2030?

di Laura Tussi

Il 2030 è ormai alle porte: nell’amministrazione di un organismo sovranazionale sette anni sono poco più di un battito di ciglia. Questa data infatti richiama all’attuazione dei 17 obiettivi che dovrebbero essere raggiungibili e applicabili secondo l’Agenda ONU 2030 per l’ambiente, gli ecosistemi e la pace nella sua genesi multipla. In questa sede mi voglio concentrare su cambiamenti climatici e cooperazione per la pace, ambiti che purtroppo in seno all’Unione Europea sono fortemente rallentati.

Sviluppare, ripensare e elaborare pratiche volte a sostenere nostra Madre Terra risulta attualmente sempre più necessario e quanto mai auspicabile in una congiuntura come quella attuale. Uno strumento molto valido e un mezzo contemporaneo e attuale è stato dato. L’Agenda ONU 2030 si sviluppa in 17 obiettivi fondamentali e costituisce un punto di partenza per fare attivare e mobilitare ogni singola persona e a livello globale per una società più giusta, equa e fondamentalmente priva di guerre e di ingiustizie, di violenza in tutte le sue declinazioni e morfogenesi.

I primi quindici obiettivi di sviluppo contemplati da Agenda ONU 2030 sono tematici come gli oceani, la terra, l’acqua, le malattie, il lavoro, l’energia. Gli ultimi due obiettivi – soprattutto quello sulla pace – ci parlano anche di giustizia e istituzioni solide. Anche alla luce dell’attuale guerra tra Russia e Ucraina. E dell’arsenale nucleare di cui dispongono le superpotenze e altri membri Nato. E non è un caso, poiché tutti gli obiettivi tesi alla tutela dell’ecosistema non possono essere realizzati se non sussistono tre concetti chiave – pace, giustizia e istituzioni – tra di loro strettamente collegati, per una società e una cittadinanza planetaria fondate sulla cooperazione solidale a tutti i livelli.

I vari sotto-obiettivi trattano di come ridurre le forme di violenza o eliminare le forme di abuso, sfruttamento e tortura contro i bambini, tra cui – come sostiene Galtung – la violenza diretta, strutturale, culturale o simbolica. Si parla di accesso alla giustizia e alla pace per tutti. E quello che per noi è scontato, non lo è in molte altre parti del mondo.

Per fare questo occorrono istituzioni efficaci e solide, che possano guidare i governi in un equilibrio di armonia e pace. Si parla di coinvolgere i paesi in via di sviluppo e di rinforzare la cooperazione internazionale per applicare politiche di pace a tutti i livelli, di promuovere e far rispettare le leggi e la politica. Questo è il quadro in cui tutti gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 si devono muovere, pena non riuscire a realizzarsi interagendo reciprocamente e vicendevolmente per contrastare ogni forma di violenza e di conflitto armato.

L’obiettivo pace tende a promuovere società pacifiche e nonviolente per risolvere le povertà, l’origine delle migrazioni e delle guerre laddove i futuri scenari di conflitto saranno per il dominio dell’acqua e le migrazioni forzate vedranno civili inermi e innocenti fuggire da guerre, terrorismo, disastri ambientali, manovre economiche. Il significato di pace, senza scadere nella retorica, lo declina saggiamente Norberto Bobbio, il quale sosteneva che la parola pace è sempre in una posizione ancillare rispetto al concetto di guerra. Quando parliamo di pace ci soffermiamo sempre molto sul suo contrario. Ma l’etimologia di pace deriva dal verbo latino pacere – accordarsi –, da cui pactum – accordo, patto.

In questo obiettivo di Agenda ONU sussistono quindi indizi che ci consentono di pensare che si può parlare di pace senza ricorrere alla guerra. Il termine guerra non appare mai nella declaratoria dell’obiettivo Pace e nemmeno nei dieci sotto-obiettivi. I due aggettivi che definiscono la società in pace non rinviano necessariamente alla guerra; piuttosto identificano le società e le istituzioni inclusive, che richiamano a società aperte e cooperanti. E l’altro aggettivo è pacifico, che non significa solo “senza guerra”, sempre richiamando Norberto Bobbio.

Qual è dunque il messaggio? Per chiarirlo occorre partire dal concetto di conflitto, che fin dall’antichità è stato considerato un elemento ineliminabile nei rapporti umani. Il conflitto non sarebbe in contrapposizione alla pace. Il vero problema risiede nella risoluzione del conflitto che può essere violenta o pacifica. E l’espressione più alta e peggiore della risoluzione violenta del conflitto è la guerra.

Insomma la chiave per la costruzione di una società pacifica risiede nell’individuazione del mezzo con cui risolvere i conflitti. E allora riflettere sulla pace partendo dalla pace significa convincersi che si devono praticare soluzioni nonviolente dei conflitti. E qui c’è il riferimento alla giustizia, non una giustizia armata – anche la guerra è stata definita spesso una sorta di giustizia – bensì una giustizia trasparente, garantita a tutti, come recita proprio l’obiettivo di Agenda ONU 2030: “Inclusiva, cioè che utilizzi mezzi e procedimenti nonviolenti e tra questi il diritto è compreso”.

Non a caso Bobbio parlava di pacifismo giuridico. Ma potrei anche richiamare gli arbitrati, le conciliazioni, le mediazioni e le risoluzioni a livello internazionale: tutti strumenti pacifici e nonviolenti per risolvere i conflitti. Ma occorre essere consapevoli che nella soluzione dei conflitti quasi mai il torto e la ragione sono tutti da una stessa parte o dall’altra. Dobbiamo sapere che esistono più soluzioni e che tra queste alcune tengono presenti e cercano di combinare le ragioni di entrambe le parti. E sono proprio queste che vanno praticate, per non lasciare sul terreno un vinto o un vincitore.

Ritengo dunque fondamentale il contributo dell’ONU alla costituzione del diritto globale alla pace e alla giustizia in una società che dal dopoguerra ha visto susseguirsi troppi eventi bellici e sanguinosi. Le Nazioni Unite, anche se ostacolate da interessi economici, sono comunque riuscite con molti limiti a realizzare grandi momenti di giustizia e di pace come il trattato ONU per il disarmo nucleare universale varato a New York nel 2017, che ha portato per la prima volta l’umanità a munirsi di un mezzo giuridico che dichiari criminale il possesso di ordigni nucleari anche al fine della sola deterrenza. Sviluppare questi punti e obiettivi, soprattutto la Pace, può essere l’inizio di un grande riscatto e sussulto di dignità per l’umanità intera.

L’articolo originale può essere letto qui

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Il Campus del bene comune e del cambiamento

di Laura Tussi

(Foto di Campus Bene Comune)

Dal 26 al 28 maggio, si è tenuto a Roma, nel quartiere San Lorenzo, l’EireneFest, il festival del libro per la pace e la nonviolenza giunto alla seconda edizione.

L’associazione Campus Bene Comune è stata presente con uno stand molto colorato e particolare!

Campus, chi siete e che fate?

Il progetto Campus del cambiamento nasce nel 2019, come srl, quale esperimento per fondare una scuola da 0 a 100 anni, finalizzata alla promozione di percorsi online e in presenza, volti ad una trasformazione positiva a partire dal singolo.

Il Campus, nei suoi anni di attività, ha fondato una community di oltre 30 mila persone, realizzando 31 percorsi, che hanno avuto un impatto positivo nella vita e nella quotidianità dell’80 per cento dei casi, così come riportato dagli stessi partecipanti.

Nel 2022 prende il via una seconda fase del progetto.

A seguito di una call to action indetta dai soci fondatori della vecchia srl, in fase di liquidazione è stato chiesto a studenti, corsisti, operatori e collaboratori del Campus del cambiamento di prendere in mano il timone della nave, e portare avanti il progetto in una dinamica più partecipativa, che partisse appunto dal basso, che potesse coinvolgere e mettere insieme voci diverse: un percorso lungo 9 mesi, che ha portato alla fondazione dell’Associazione Campus Bene Comune.

Oggi siamo 12 soci fondatori, operatori ed ex partecipanti ai corsi del Campus, dislocati in tutta Italia.

Qual è il vostro scopo?

L’obiettivo del Campus Bene Comune è quello di creare e mantenere uno spazio di ricerca e apprendimento esperienziale, una “scuola del fare” capace di generare evoluzione e bellezza, per arrivare a costruire e vivere il cambiamento che desideriamo per le nostre vite ed è anche ISPIRARE e CONNETTERE, puntando cosi l’attenzione sulla componente umana centrale per noi. Non andiamo da soli, ci andiamo insieme.

Una delle cose più innovative che stiamo cercando di fare è quella di integrare in dinamiche fortemente relazionali gli strumenti tecnologici. Sembra quasi impossibile. Lo sappiamo, ma questa è la vera ambizione per noi!

Ci siamo resi conto che negli ambiti dove si lavora sulla consapevolezza, sulla relazione, sulla cura di sé e dell’altro, l’online trova delle resistenze, se non addirittura diventa “il nemico” che disgrega: ecco noi vogliamo promuovere l’uso di questi strumenti, sfruttandone l’altissimo potenziale e portare i benefici proprio lì dove fa più paura. Perchè crediamo che ogni strumento se utilizzato nel modo giusto possa diventare un alleato importante.

La storia del nostro gruppo ne è l’esempio. Inizialmente ci siamo conosciuti online e così abbiamo operato nei mesi precedenti la costituzione (e tuttora) per mettere le radici a questo progetto e parallelamente lavorare sul gruppo e sulle relazioni umane che si sono intensificate.

Raccontateci la vostra esperienza romana all’Eirenefest.

Molti, incuriositi, si sono avvicinati alla nostra coloratissima postazione da cui abbiamo offerto la possibilità, colta dai più ardimentosi, di mettersi in gioco con “L’insostenibile leggerezza dell’io”, una vera e propria bilancia, per riflettere sul peso delle nostre scelte, e attirato i più golosi con i dolcissimi biscotti della pace e della nonviolenza, preparati a mano dalla nostra Sandra e ad ognuno abbiamo consegnato il nostro flyer, sotto forma di una barchetta di carta da costruire, diventato simbolo di questo viaggio, sospinti dal vento del cambiamento.

Elemento principale del nostro stand, che ha suscitato particolare interesse è stato l’angolo delle dirette, a cura del nostro Fausto. A rispondere al suo microfono si sono susseguiti numerosi ospiti del festival, fra cui Annabella Coiro, Davide Tutino, Luigi De Magistris, Laura Tussi, Fabrizio Cracolici, Pasquale Pugliese e tanti altri ancora. Tutte le registrazioni delle dirette dell’EireneFest, sul nostro canale YouTube in questa playlist dedicata.

Che effetto ha avuto in voi questa totale immersione di pace e nonviolenza?

Ci ha aperto nuove finestre e offerto diverse prospettive sulle tematiche trattate.

Ci ha consentito di interrogarci e alcune domande ancora riecheggiano: Da dove nasce il conflitto? Cosa può fare ognuno di noi per contribuire al mondo di pace che desideriamo? Cosa può fare il Campus?

Torniamo dunque con una nuova spinta propulsiva, ricaricati di energia e pronti ad andare avanti e proseguire nel nostro viaggio.

Vogliamo continuare a lavorare per diffondere la conoscenza e favorire la consapevolezza, perché questa è alla base di ogni risveglio e ogni cambiamento.

C’è un punto di riferimento su cui vi basate in particolare?

Ne abbiamo tre a cui teniamo molto.

1- Il nostro orizzonte:

Siamo una comunità di persone che si impegnano ad essere migliori con la consapevolezza che questo è il miglior modo per trasformare la realtà che ci circonda. Siamo una comunità che ha l’intento di imparare a cambiare, perché siamo la generazione che ne ha la responsabilità. Nessuno di noi qui ha delle verità.

Non abbiamo una sede fisica, ne abbiamo decine, in tutti i luoghi dove soffia forte il vento di cambiamento, dove anzi è già realtà.

Intorno a questo focolare, si stanno riunendo molti spiriti: professionisti, formatori, docenti e persone animate dal desiderio di ricerca, di conoscenza e dal bisogno di esplorare e diffondere sentieri alternativi.

Perlustriamo tematiche che sentiamo generative ed impellenti per le nostre vite. Aggreghiamo, esploriamo, ispiriamo, intorno a temi che pensiamo essere prioritari in quest’epoca di transizione.

Seminiamo ispirazioni e bellezza sicuri che questa sia una potente via rigenerativa.

2- Il bagaglio (cosa ci portiamo dietro e cosa scegliamo di abbandonare):

Noi preferiamo…

Il dubbio e l’esplorazione piuttosto che le certezze.

La speranza alla rassegnazione, per accettare il rischio che ogni cambiamento richiede.

L’empatia al giudizio, ogni volta che esprimiamo i nostri bisogni, che chiediamo e ci assumiamo la responsabilità delle nostre emozioni.

Il bene comune all’interesse egoistico.

La proposta alla lamentela, quando sperimentiamo insieme.

3- La nostra bussola:

Camminiamo lentamente per:

Sperimentare. Buono per ora e abbastanza sicuro da provare, non esistono decisioni perfette.

Diffondere conoscenze e strumenti per evolvere come individui e società.

Potenziare le relazioni con la fiducia, l’ascolto e la nonviolenza.

Seguire la via del Fare.

Ispirarci dalla natura che è la nostra più grande maestra.

Spaccare la corazza della rassegnazione.

A questo punto ci salutiamo, ma ci vediamo sui vostri social.

Trovate tutti i nostri canali sul nostro sito web: https://www.campusdelcambiamento.it/

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Dall’Agenda Onu 2030 al Coordinamento Enti Locali per la pace e i diritti umani

di Laura Tussi (sito)

Dal Trentino dell’inizio millennio, l’impegno per la pace in Medio Oriente.

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, con il suo spaventoso carico di morte e distruzioni, la politica rassicurante attualmente sostiene che non ci possiamo lamentare in quanto il mondo ha vissuto oltre settant’anni di pace, proprio grazie al cosiddetto ‘equilibrio nucleare’.

La deterrenza nucleare è sempre usata dalle superpotenze in termini ricattatori e assurdi per tutta l’umanità soprattutto nell’attuale guerra in Ucraina. Ma si dimentica di dire che dal 1945 ai giorni attuali, i conflitti armati veri e propri sono stati più di ottocento e che nel mondo permangono numerosi, endemici focolai di guerra che hanno fatto decine di milioni di morti e fanno tuttora la fortuna dei produttori di armi e del complesso militare e industriale e fossile e energetico.

Uno dei punti più caldi è rappresentato dal Medio Oriente, una regione per molti aspetti strategica, in primis per il fattore energetico, nella quale negli ultimi decenni la crisi si è ancora più aggravata con le due guerre contro l’Iraq e quella in Afghanistan, la mina dell’Iran e l’irrisolto problema israelo-palestinese e la attuale e gravissima guerra in Ucraina.

L’irrisolto problema tra Israele e Palestina rappresenta senza dubbio l’elemento più emblematico e drammatico di questa situazione geopolitica dai connotati tragici.

Lo stesso dramma della Siria va inserito in questo contesto con il rischio già attuale di un’estensione della guerra civile nell’intera regione. Pare che il nodo vero, il terreno sul quale misurare la possibilità reale di una prospettiva di pace, convivenza e cooperazione in quella terra di conflitto, resta senza dubbio alcuno quello dei rapporti tra Israele e Palestina e non è certo a caso che sin dall’ultimo decennio del secolo scorso e anche nei primi anni del nuovo millennio, proprio in quell’area mediorientale, si è manifestato un forte e prioritario impegno della regione Trentino, nelle sue componenti istituzionali e nella complessa articolazione delle associazioni e della società civile. Ecco la ragione per la quale sembra opportuno, e forse necessario, ricostruire, sia pure sommariamente, il senso e la portata di un impegno che ha visto esprimersi la generosità e la disponibilità di centinaia di donne e di uomini, di decine di istituzioni locali, di numerose associazioni che, generazione dopo generazione, hanno seminato nella terra, culla delle religioni monoteiste la cultura della pace e della convivenza. Sarebbe troppo lungo ricordare le innumerevoli iniziative lungo le quali si è dispiegato questo impegno, dal “Times for Peace” che nel Natale e capodanno del 1990 ha circondato con una catena umana di italiani, europei, israeliani e palestinesi le mura di Gerusalemme, fino ai progetti di concreta solidarietà con la comunità della cittadina di Rafha nel sud della striscia di Gaza e con la cittadina di Beit Yala alle porte di Betlemme, solo per ricordare i più significativi, oltre all’impegno di più di cinquanta comuni del Trentino sul terreno della cooperazione, nel tentativo di mettere assieme, far parlare, far interagire, far cooperare i rappresentanti di questi due popoli: Israele e Palestina.

La Provincia autonoma Trentino fa parte degli Enti locali per la pace e i diritti umani. 

Infatti domenica alla Perugia Assisi straordinaria hanno partecipato molti enti locali per la pace che dal 1986 hanno dato vita a un coordinamento nazionale. 

Un’esperienza unica in Europa e nel mondo. Dal 1986 il Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la pace e i diritti umani promuove l’impegno dei Comuni, Province e Regioni italiane per la pace, i diritti umani, la solidarietà e la cooperazione internazionale. Tra sue le principali attività ci sono: la promozione dell’educazione permanente alla pace e ai diritti umani nella scuola, l’organizzazione della Marcia per la pace Perugia-Assisi e delle Assemblee dell’Onu dei Popoli, la promozione della diplomazia delle città per la pace, il dialogo e la fratellanza tra i popoli, lo sviluppo della solidarietà internazionale e della cooperazione decentrata contro la miseria e la guerra, la promozione di un’informazione e comunicazione di pace, la campagna per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, l’impegno per la pace in Medio Oriente e nel Mediterraneo, la costruzione di un’Europa delle città e dei cittadini, strumento di pace e di giustizia nel mondo.

Ma, nello stesso tempo, sarebbe sbagliato anche non cogliere oggi i segni di una sorta di arretramento di queste tematiche nella coscienza diffusa che pure, sul piano della concreta solidarietà, scrive giorno dopo giorno pagine mirabili di tante parti del mondo, a tutela dei più poveri e dei diseredati, attraverso ad esempio la rete dei missionari che dall’Africa all’America Latina riscattano con il loro esempio di vita i ritardi e le contraddizioni di una chiesa sin troppo ingessata nella sua dimensione gerarchica. Certo, sarebbe del tutto illusorio ritenere che le dinamiche di una società orientata fondamentalmente sul feticcio del consumismo ad ogni costo possano essere invertite solo attraverso i pur necessari richiami di ordine etico, ma il perdurare dell’economia che tende, alla lunga, a mettere inesorabilmente in discussione certezze e abitudini consolidate può paradossalmente rappresentare un’occasione per stabilire, nella coscienza di ciascuno di noi e nelle politiche concrete delle istituzioni, la consapevolezza del rapporto inscindibile che esiste tra quello che sino ad alcuni anni orsono veniva definito come il nostro modello di sviluppo e le condizioni di disagio, povertà, miseria che pesano quotidianamente sull’esistenza di centinaia di milioni di essere umani e che, assieme all’egoismo di un ceto finanziario del tutto insensibile ai richiami etici e morali, sono alla base, la causa primaria delle stesse situazioni di crisi in varie regioni del mondo, del nostro pianeta.

Non appaia quella che segue una disinvolta provocazione, ma sono profondamente convinta che l’avvio del superamento, certo su un periodo non breve, delle ingiustificate e ingiustificabili ingiustizie non passa tanto attraverso una drastica riduzione, per intenderci, del nostro e dell’altrui spread, ma su un reale orientamento degli obiettivi e delle finalità di una politica che torni, o decida di farlo per la prima volta, a rappresentare per davvero gli interessi dei nostri cittadini e con quelli connessi di tutti i cittadini del mondo. Anche l’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile, con i suoi 17 obiettivi globali, in questo quadro umanitario e planetario e geopolitico internazionale, sembra oramai del tutto disattesa. Ancora una volta una emanazione dell’Onu come Agenda 2030 che doveva essere un grande punto di riferimento umanistico e umanitario per il pianeta sembra aver perso di validità. Comunque Agenda Onu 2030 in molti istituti scolastici italiani è stata individuata come unità didattica e soprattutto come tema di riferimento per i docenti che all’interno dei 17 Obiettivi dell’Agenda hanno sviluppato il loro programma di educazione civica.

Bibliografia di approfondimento:

Bobbio Norberto, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 2009

Mastrolilli Paolo, Lo specchio del mondo. Le ragioni della crisi dell’ONU, Laterza, Roma 2005

Mini Fabio, Perché siamo così ipocriti sulla guerra? Un generale della Nato racconta, Chiarelettere, Milano 2012

Pugliese Francesco, Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 a oggi, Grafiche futura, Mattarello – Trento

Pugliese Francesco, In cammino per la pace. Persone e movimenti contro la guerra. Assessorato Istruzione Provincia autonoma di Trento, 2013

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La storia di Pietro Pinna, il primo obiettore di coscienza italiano

di Laura Tussi – Italia che Cambia

(Foto di Italia che cambia)

Uno dei temi più sottaciuti del conflitto ucraino è quello che riguarda l’obiezione di coscienza al servizio militare che, da una parte e dall’altra, viene soffocata dalla volontà di guerra dei potenti. In quest’ottica è dunque attuale e importante ripercorrere la storia di Pietro Pinna, il primo obiettore italiano e storico attivista per la pace, il disarmo e la nonviolenza.

Attualmente, come lo è stato sempre, molte persone motivate da veri intenti pacifisti si sono opposte all’obbligo militare. Sia in Ucraina che in Russia stiamo assistendo a un fenomeno antimilitarista di diserzione dalla guerra. Cittadini che si rifiutano di imbracciare le armi pagando però a caro prezzo le conseguenze di questa scelta. “Libertà per gli obiettori!”, scrive in proposito il Movimento Nonviolento. “L’obiettore di coscienza ucraino Vitaly Alekseyenko dovrà essere liberato dal carcere. La Corte Suprema di Kiev ha annullato il verdetto di colpevolezza per il prigioniero di coscienza, ha ordinato di scarcerarlo e ha ordinato un nuovo processo al tribunale di primo grado”.

In vista di una riedizione del libro di Aldo Capitini Le tecniche della nonviolenza, alcuni anni fa gli amici della rivista Azione Nonviolenta hanno chiesto a Pietro Pinna – scomparso nel 2016 – di scrivere un’introduzione al testo, che lui stesso considerava “fondamentale” per chi volesse incamminarsi sulla strada della nonviolenza attiva.

Così ha scritto dunque Pietro Pinna, attivista e considerato il primo obiettore di coscienza al servizio militare in Italia per motivi politici: “Troviamo così nei fatti, al livello del potere dominante, governi e Parlamenti d’ogni Stato che pur proclamantisi pacifisti – avversi cioè per definizione alla guerra – mantengono tuttavia zelantemente in piedi e sempre più agguerrito lo strumento portante della violenza bellica che è l’esercito. Un pacifismo puramente relativo dunque, ossia predisposto a recedervi in nome del necessario ricorso alla guerra, giustificata come extrema ratio”.

Da varie fonti si evincono molte informazioni in merito alla condanna e ai vari processi subiti da Pietro Pinna. Il suo caso si presentò all’opinione pubblica mentre era imminente la discussione in Parlamento del progetto di legge sull’obiezione di coscienza presentato da Calosso e da Giordani. È nota la risposta di De Gasperi all’appello per Pinna dopo il secondo processo e anche l’interrogazione di Calosso sulla procedura e sulla difesa avuta da Pinna dinanzi al tribunale militare di Napoli, che condannò a otto mesi il giovane per rifiuto di obbedienza continuato.

Non fu condannato per diserzione, perché sin dall’inizio in tutta quella vicenda – che ha avuto larga eco sulla stampa italiana ed estera – il giovane si era sempre presentato alla scuola di ufficiali di Lecce e a tutte le altre sedi a mano a mano assegnategli. Questo perché egli disertò per cogliere l’occasione di portare avanti la sua protesta di fronte a uno Stato che, a differenza di quasi tutti gli altri, non voleva riconoscere il diritto all’esenzione per gli individui che effettivamente hanno un’assoluta impossibilità etica e morale – quindi anche fisica – di fare la guerra.

Foto di Italia che cambia

Sant’Elmo, dove il condannato scontava la sua pena, era una cupa fortezza sul colle San Martino della città di Napoli. In una delle sue storiche celle finì anche Pietro Pinna. Per Natale il comandante del carcere fece una visita di auguri a lui come anche agli altri detenuti e lo trovò fra i suoi libri, molti dei quali testi importanti per la nonviolenza e per la costruzione di una cultura di pacifismo e disarmo.

Mentre egli scontava la sua condanna, la porta della cella si aprì e il detenuto fu chiamato al cospetto della direzione del carcere. Fu informato di essere fra i condannati che beneficiavano del condono e fu liberato. Poiché però il periodo trascorso in carcere non valeva anche per l’obbligo di leva, Pinna venne inviato per la terza volta a un corpo militare, perché facesse il suo dovere di soldato. Ma fra lo stupore dei presenti, il giovane scrisse che rinunciava al condono. Se lo Stato, riconoscendo il diritto dell’obiettore di coscienza, avesse annullato – cioè dichiarato ingiusto – il carcere inflittogli, egli avrebbe accettato, ma così non fu.

La procura militare a cui il caso insolito fu segnalato precisò che il condono non si può rifiutare e Pinna dovette uscire da Sant’Elmo e raggiungere il reggimento cui era stato assegnato. Tentò addirittura di farsi arrestare di nuovo, sottraendosi ancora alla coscrizione e ritornando a Napoli, dove però si sentì dire che non basta aver commesso un reato per poter andare in carcere: senza una denuncia e un arresto regolari doveva considerarsi ancora a piede libero.

La carriera di “disertore” – per lo Stato italiano – e di attivista per l’obiezione di coscienza di Pietro Pinna proseguì per anni. Divenne colonna portante del Movimento Nonviolento e collaboratore stretto di Aldo Capitini. La sua protesta lo condusse nuovamente e per diverse volte in carcere, anche se non più per renitenza alla leva: fu infatti riformato per un’infermità mentale.

Articolo realizzato anche grazie alle fonti di archivio fornite dalla biblioteca civica Giovanni Canna di Casale Monferrato.

L’articolo originale può essere letto qui

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Rifondazione Comunista. Da Vienna a Vilnius, il confronto a distanza fra forze di pace e di guerra

di Laura Tussi (sito)

I movimenti per la pace europei si sono ritrovati a Vienna per fare quadrato in questo delicatissimo momento storico e per analizzare la situazione e proporre una linea per contrastare la deriva bellicista. Il momento scelto non è casuale: a luglio infatti i vertici NATO si riuniranno a Vilnius per un incontro che potrebbe essere decisivo nell’ottica del conflitto ucraino.

I partecipanti al vertice per la pace di Vienna che si è svolto il 10 e 11 giugno 2023 vengono da diverse parti del mondo e hanno esperienze, agende e posizioni diverse, ma sono tutti uniti dalla lotta per la pace, per la democrazia e la giustizia sociale e per un equilibrio ecologico in un mondo senza neocolonialismo, neonuclearismo, dominazione patriarcale, razzismo e sfruttamento dell’essere umano. In sintesi: Vienna prima di Vilnius, in Lituania, sede del prossimo vertice NATO. La pace prima della guerra.

A Vilnius, sul tavolo di discussione a cui siederanno l’11 e il 12 luglio i rappresentanti dei Paesi NATO, vi saranno diverse questioni, tra cui lo status dell’Ucraina. È questo il motivo per cui lo scorso fine settimana a Vienna il Movimento internazionale per la pace si è incontrato, mentre il movimento pacifista femminile manifesterà davanti alla sede Nato a Bruxelles l’8 e il 9 luglio. Siamo tutti, come umanità e come mondo pacifista, profondamente preoccupati per la guerra tra Russia e Ucraina.

IL CONTESTO GEOPOLITICO

Non è affatto l’unica guerra: attualmente sono in corso molteplici conflitti armati e violenti. Ma questa guerra è violenta in modo particolare poiché sono coinvolte tutte le maggiori potenze ed è pericolosa poiché rischia di diventare una terza guerra mondiale e di conseguenza nucleare. Questo è il motivo del vertice per la pace a Vienna che si è svolto a giugno: rafforzare la cooperazione dei movimenti pacifisti e sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale per aiutare a porre fine a questa assurda e logorante guerra.

L’intervento della conferenza di Vienna è un urgente appello alla pace che rimane nella storia dei tempi. Il mondo della nonviolenza e del disarmo ritiene che l’invasione russa illegale dell’Ucraina debba essere condannata. Nessun paese ha il diritto di attaccare un altro Stato, qualsiasi sia il pretesto, né di conquistarne e annetterne il territorio o parte di esso. Questa guerra, come guerra in quanto tale, è un crimine contro l’umanità. Ma dobbiamo anche noi condannare esplicitamente i crimini di guerra commessi in questo conflitto violento, da entrambe le parti.

Queste violenze covano dal 2014 e sono state sottovalutate da un lato e dall’altro e convogliate ed esasperate fino a portare al conflitto a cui assistiamo oggi. Di pari passo va la distruzione della democrazia negli stessi paesi, che gli oppositori al regime e chi resiste alla guerra sono i primi a sentire, come gli obiettori di coscienza alle armi in Ucraina e in Russia. Non vanno dimenticate le responsabilità degli Stati Uniti, con la corresponsabilità della NATO e dell’Unione Europea, per la mancanza di soluzione dei conflitti più profondi che riguardano l’Europa – a partire dall’architettura di sicurezza dopo il 1989 – e che, in particolare con l’allargamento dei confini della Nato, stanno contribuendo all’escalation di questo conflitto a lungo termine.

guerra ucraina nato
LE CONCLUSIONI DEL VERTICE DI VIENNA

I movimenti per la pace si sono riuniti a Vienna anche per piangere i feriti e i morti e i milioni di rifugiati e per entrare in empatia con le donne che soffrono, fornendo cure vitali, lottando per il loro sostentamento e la pace, nonostante le violazioni dei diritti umani. Hanno mostrato profonda preoccupazione per questa guerra che sta distruggendo l’ambiente e le infrastrutture dell’Ucraina e causando disastri materiali, economici, ambientali e psicologici.

Sul tavolo del vertice anche gli effetti globali devastanti del conflitto, che sta causando l’aumento dei prezzi del cibo e dell’energia e una carenza di prodotti cerealicoli che sta esacerbando la povertà e innescando carestie nel sud del mondo. Le crescenti tensioni geopolitiche e la corsa agli armamenti, sulla scia di questa guerra, stanno destabilizzando la politica mondiale e prosciugando vaste e preziose risorse: vi è un disperato bisogno di alimentazione e salute e la lotta ai disastri ecologici. Il mondo pacifista ha invitato quindi l’opinione pubblica a essere consapevole della storia di questa guerra e soprattutto della sua complessità.

L’intervento della conferenza di Vienna è un urgente appello alla pace che rimane nella storia dei tempi

VERSO UNA GUERRA MONDIALE NUCLEARE?

L’analisi ha portato alla conclusione che sono tre le situazioni di conflitto a cui stiamo assistendo: la continuazione della guerra intestina in Ucraina tra il Governo e le province separatiste, sostenuto e incitato dalla Russia. La volontà della NATO di finanziare militarmente e con ogni espediente la guerra in Ucraina, atteggiamento percepito dalla Russia e anche da molti Stati del sud del mondo come una guerra per procura. Infine un contesto storico e giuridico che trascende l’Ucraina e la Russia e vede fronteggiarsi Russia e Stati Uniti per il controllo dell’Europa centro-orientale.

È a causa di tutta questa complessa costellazione di eventi drammatici – è il timore espresso dal popolo di Vienna –, che è sempre più concreta la minaccia che tutto ciò sfoci in un’escalation incontrollabile fino a portare a una guerra mondiale, addirittura con il rischio di un terribile epilogo nucleare. Per questo motivo la soglia dell’attenzione e dell’attivismo non va abbassata, a maggior ragione in vista dell’imminente e decisivo vertice NATO di Vilnius.

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Da Vienna a Vilnius, il confronto a distanza fra forze di pace e di guerra

di Laura Tussi (sito)

I movimenti per la pace europei si sono ritrovati a Vienna per fare quadrato in questo delicatissimo momento storico e per analizzare la situazione e proporre una linea per contrastare la deriva bellicista. Il momento scelto non è casuale: a luglio infatti i vertici NATO si riuniranno a Vilnius per un incontro che potrebbe essere decisivo nell’ottica del conflitto ucraino.

I partecipanti al vertice per la pace di Vienna che si è svolto il 10 e 11 giugno 2023 vengono da diverse parti del mondo e hanno esperienze, agende e posizioni diverse, ma sono tutti uniti dalla lotta per la pace, per la democrazia e la giustizia sociale e per un equilibrio ecologico in un mondo senza neocolonialismo, neonuclearismo, dominazione patriarcale, razzismo e sfruttamento dell’essere umano. In sintesi: Vienna prima di Vilnius, in Lituania, sede del prossimo vertice NATO. La pace prima della guerra.

A Vilnius, sul tavolo di discussione a cui siederanno l’11 e il 12 luglio i rappresentanti dei Paesi NATO, vi saranno diverse questioni, tra cui lo status dell’Ucraina. È questo il motivo per cui lo scorso fine settimana a Vienna il Movimento internazionale per la pace si è incontrato, mentre il movimento pacifista femminile manifesterà davanti alla sede Nato a Bruxelles l’8 e il 9 luglio. Siamo tutti, come umanità e come mondo pacifista, profondamente preoccupati per la guerra tra Russia e Ucraina.

IL CONTESTO GEOPOLITICO

Non è affatto l’unica guerra: attualmente sono in corso molteplici conflitti armati e violenti. Ma questa guerra è violenta in modo particolare poiché sono coinvolte tutte le maggiori potenze ed è pericolosa poiché rischia di diventare una terza guerra mondiale e di conseguenza nucleare. Questo è il motivo del vertice per la pace a Vienna che si è svolto a giugno: rafforzare la cooperazione dei movimenti pacifisti e sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale per aiutare a porre fine a questa assurda e logorante guerra.

L’intervento della conferenza di Vienna è un urgente appello alla pace che rimane nella storia dei tempi. Il mondo della nonviolenza e del disarmo ritiene che l’invasione russa illegale dell’Ucraina debba essere condannata. Nessun paese ha il diritto di attaccare un altro Stato, qualsiasi sia il pretesto, né di conquistarne e annetterne il territorio o parte di esso. Questa guerra, come guerra in quanto tale, è un crimine contro l’umanità. Ma dobbiamo anche noi condannare esplicitamente i crimini di guerra commessi in questo conflitto violento, da entrambe le parti.

Queste violenze covano dal 2014 e sono state sottovalutate da un lato e dall’altro e convogliate ed esasperate fino a portare al conflitto a cui assistiamo oggi. Di pari passo va la distruzione della democrazia negli stessi paesi, che gli oppositori al regime e chi resiste alla guerra sono i primi a sentire, come gli obiettori di coscienza alle armi in Ucraina e in Russia. Non vanno dimenticate le responsabilità degli Stati Uniti, con la corresponsabilità della NATO e dell’Unione Europea, per la mancanza di soluzione dei conflitti più profondi che riguardano l’Europa – a partire dall’architettura di sicurezza dopo il 1989 – e che, in particolare con l’allargamento dei confini della Nato, stanno contribuendo all’escalation di questo conflitto a lungo termine.

guerra ucraina nato
LE CONCLUSIONI DEL VERTICE DI VIENNA

I movimenti per la pace si sono riuniti a Vienna anche per piangere i feriti e i morti e i milioni di rifugiati e per entrare in empatia con le donne che soffrono, fornendo cure vitali, lottando per il loro sostentamento e la pace, nonostante le violazioni dei diritti umani. Hanno mostrato profonda preoccupazione per questa guerra che sta distruggendo l’ambiente e le infrastrutture dell’Ucraina e causando disastri materiali, economici, ambientali e psicologici.

Sul tavolo del vertice anche gli effetti globali devastanti del conflitto, che sta causando l’aumento dei prezzi del cibo e dell’energia e una carenza di prodotti cerealicoli che sta esacerbando la povertà e innescando carestie nel sud del mondo. Le crescenti tensioni geopolitiche e la corsa agli armamenti, sulla scia di questa guerra, stanno destabilizzando la politica mondiale e prosciugando vaste e preziose risorse: vi è un disperato bisogno di alimentazione e salute e la lotta ai disastri ecologici. Il mondo pacifista ha invitato quindi l’opinione pubblica a essere consapevole della storia di questa guerra e soprattutto della sua complessità.

L’intervento della conferenza di Vienna è un urgente appello alla pace che rimane nella storia dei tempi

VERSO UNA GUERRA MONDIALE NUCLEARE?

L’analisi ha portato alla conclusione che sono tre le situazioni di conflitto a cui stiamo assistendo: la continuazione della guerra intestina in Ucraina tra il Governo e le province separatiste, sostenuto e incitato dalla Russia. La volontà della NATO di finanziare militarmente e con ogni espediente la guerra in Ucraina, atteggiamento percepito dalla Russia e anche da molti Stati del sud del mondo come una guerra per procura. Infine un contesto storico e giuridico che trascende l’Ucraina e la Russia e vede fronteggiarsi Russia e Stati Uniti per il controllo dell’Europa centro-orientale.

È a causa di tutta questa complessa costellazione di eventi drammatici – è il timore espresso dal popolo di Vienna –, che è sempre più concreta la minaccia che tutto ciò sfoci in un’escalation incontrollabile fino a portare a una guerra mondiale, addirittura con il rischio di un terribile epilogo nucleare. Per questo motivo la soglia dell’attenzione e dell’attivismo non va abbassata, a maggior ragione in vista dell’imminente e decisivo vertice NATO di Vilnius.

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Rifondazione Comunista. Estratti da Pamphlet ecologico, il libro postumo di Virginio Bettini

di Laura Tussi (sito)

Ad un anno dalla sua uscita su “Nuova Ecologia” Alcuni brani tratti dalla pubblicazione del primo direttore della Nuova Ecologia

sul Sito di Rifondazione Comunista
 

Prefazione di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici a Pamphlet Ecologico di Virginio Bettini

In questa prefazione al libro Pamphlet ecologico, vogliamo menzionare i rapporti di collaborazione che abbiamo con Virginio Bettini perché stimiamo la sua autorevolezza come maestro dell’ecologia politica e come europarlamentare e professore e docente di grande valore e prestigio a livello mondiale, che, tra gli altri, ha collaborato anche con il celebre ecologista Barry Commoner.

I contenuti del libro di Bettini espongono quanto abbiamo proposto, insieme all’autore, spesso anche con Alfonso Navarra, cui dobbiamo la postfazione, nelle iniziative e nelle presentazioni in pubblico di vari nostri libri.

Con Virginio Bettini, in particolare negli ambienti ANPI – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, proponiamo i moniti del grande Partigiano Deportato, Padre Costituente dell’ONU Stéphane Hessel “la nonviolenza come cammino che dobbiamo imparare a percorrere” e “Esigete un disarmo nucleare totale”, a partire da ICAN – Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, che è stata insignita Premio Nobel per la Pace 2017 e di cui tutti noi attivisti per il disarmo nucleare siamo parte attiva. Bettini, insieme a Giorgio Nebbia e Gianni Mattioli, è stato tra i più grandi e principali oppositori al progetto del nucleare in Italia. Un vero riferimento dell’ecologismo politico equiparabile ad altri maestri come Laura Conti e Alexander Langer. Tutti questi grandi ecologisti sottolineano come i temi dell’ecologia urbana, del paesaggio e del nucleare civile devono essere approfonditi così come le problematiche relative alle riemergenti tecnologie nucleari, che cercano sempre di rialzare la testa nonostante le sconfitte.

Abbiamo sempre registrato, durante le presentazioni dei nostri libri in pubblico, una grande attenzione dei giovani agli interventi orali di Virginio Bettini in queste iniziative molto partecipate; e ora invitiamo i nostri lettori in particolare a leggere il Pamphlet di Bettini, perchè, nella dispiegata ed argomentata forma scritta, l’autore inquadra sistematicamente la questione ecologica nei suoi attuali termini scientifici, e nei diversi aspetti in cui si articola.

Basta scorrere l’indice per capire che tutta la complessità dell’ecologia è scomposta e trattata da Bettini in modo semplice (non semplicistico) nei vari elementi, senza perdere le connessioni e gli intrecci delle diverse problematiche che concorrono a rappresentare il terreno di lotta per una unica, letteralmente vitale alternativa al malsviluppo dominante.

Nel cammino nonviolento che dovremo percorrere per uscire positivamente dalle emergenze che ci stanno minacciando, tra cui i dissesti climatici, il rischio della guerra nucleare e la disuguaglianza sociale globale, proponiamo il portato valoriale dell’ecologia sociale ed in essa non dimentichiamo il Pamphlet ecologico di Virginio Bettini.

Pamphlet Ecologico (Edizioni Mimesis)
a cura di Maurizio Acerbo, Fabrizio Cracolici, Laura Tussi

Introduzione di Maurizio Acerbo
Intervento di Paolo Ferrero
Prefazione di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici
Postfazione di Alfonso Navarra
Contributo di David Boldrin Weffort

“I contenuti del libro di Bettini espongono quanto abbiamo proposto, insieme all’autore, nelle iniziative e nelle presentazioni in pubblico di vari nostri libri.

Con Virginio Bettini, in particolare negli ambienti ANPI – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, proponiamo i moniti del grande Partigiano Deportato, Padre Costituente dell’ONU Stéphane Hessel “la nonviolenza come cammino che dobbiamo imparare a percorrere” e “Esigete un disarmo nucleare totale”, a partire da ICAN – Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, che è stata insignita Premio Nobel per la Pace 2017 e di cui tutti noi attivisti per il disarmo nucleare siamo parte attiva. Bettini, insieme a Giorgio Nebbia e Gianni Mattioli, è stato tra i più grandi e principali oppositori al progetto del nucleare in Italia. Un vero riferimento dell’ecologismo politico equiparabile ad altri maestri come Laura Conti e Alexander Langer. Tutti questi grandi ecologisti sottolineano come i temi dell’ecologia urbana, del paesaggio e del nucleare civile devono essere approfonditi così come le problematiche relative alle riemergenti tecnologie nucleari, che cercano sempre di rialzare la testa nonostante le sconfitte.

Abbiamo sempre registrato, durante le presentazioni dei nostri libri in pubblico, una grande attenzione dei giovani agli interventi orali di Virginio Bettini in queste iniziative molto partecipate; e ora invitiamo i nostri lettori in particolare a leggere il Pamphlet di Bettini, perchè, nella dispiegata ed argomentata forma scritta, l’autore inquadra sistematicamente la questione ecologica nei suoi attuali termini scientifici, e nei diversi aspetti in cui si articola.

Basta scorrere l’indice per capire che tutta la complessità dell’ecologia è scomposta e trattata da Bettini in modo semplice (non semplicistico) nei vari elementi, senza perdere le connessioni e gli intrecci delle diverse problematiche che concorrono a rappresentare il terreno di lotta per una unica, letteralmente vitale alternativa al malsviluppo dominante.

Nel cammino nonviolento che dovremo percorrere per uscire positivamente dalle emergenze che ci stanno minacciando, tra cui i dissesti climatici, il rischio della guerra nucleare e la disuguaglianza sociale globale, proponiamo il portato valoriale dell’ecologia sociale ed in essa non dimentichiamo il Pamphlet ecologico di Virginio Bettini…”

Intervento di Paolo Ferrero
già 
Vicepresidente del Partito della Sinistra Europea

“…Il volume che avete tra le mani, a cura di Laura Tussi, Maurizio Acerbo, Fabrizio Cracolici, è quindi un omaggio a Bettini ma un favore a noi: la sua qualità non è facilmente riscontrabile nel panorama editoriale odierno. La proposta scientifica dell’Ecologia del paesaggio, come punto di incontro delle relazioni sociali con quelle naturali, è una pietra miliare imprescindibile per la trasformazione sociale. Questo libro giustamente la ripropone e aprirà nuove prospettive a chi non ne ha mai sentito parlare.

Da ultimo, questo è un libro che fa pensare su noi stessi. E’ un libro postumo di Bettini, che nell’introduzione ricorda Alex Langer e Laura Conti ed è dedicato a Giorgio Nebbia, altro padre fondatore dell’ecologia politica italiana. Questo libro segnala come la schiera degli scienziati rossi ed esperti, capaci di analizzare la realtà e di progettare percorsi di trasformazione, si stia molto assottigliando e sottolinea la difficoltà che abbiamo a riprodurre la cultura critica di alto livello. Per questo è una testimonianza – una rammemorazione come avrebbe detto Walter Benjamin – è un libro sul che fare, ma è anche un invito a studiare, perché la trasformazione chiede lotta e passione ma anche intelligenza e preparazione”.

Introduzione di Maurizio Acerbo, Segretario Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

“…E’ impossibile riassumere il suo enorme contributo di studioso e attivista, come militante politico e di movimento, come rappresentante istituzionale. Il suo ruolo nei Verdi e poi l’avvicinamento e la candidatura con Rifondazione Comunista. Il movimento antinucleare gli deve tantissimo e ogni volta che in una lotta prepariamo le osservazioni per la VIA dovremmo rendergli omaggio. Da Virginio abbiamo sicuramente da tenere ferma la lezione che l’impegno ambientalista non può essere solo enunciazione di principi o trasformarsi in ideologia, ma deve utilizzare in maniera critica i saperi scientifici confrontandosi con la complessità della realtà. Non è mai diventato un politicante e ci ha lasciato una miniera che va custodita e esplorata, un patrimonio di passione e ricerca che chi non rinuncia a un impegno rossoverde non può che considerare essenziale. Questo pamphlet ce lo ricorda come compagno “commoneriano” (sia nel senso di Commoner che di commons, beni comuni) appassionato e ironico che fino all’ultimo ha cercato di cercare di interpretare il mondo e di cambiarlo”.

La lezione di Virginio Bettini
Contributo di David Boldrin Weffort

“…Per troppo tempo la maggioranza degli scienziati ha idealizzato una posizione di osservatori estranei e neutrali ai processi storici, relegando il loro ruolo a semplici consiglieri tecnici al servizio del potere. Nicholas Maxwell, filosofo della scienza, ha recentemente definito l’attuale impresa scientifica un tradimento della ragione e dell’umanità, poiché incapace d’influenzare e migliorare il presente nel suo miope accumulo di conoscenza. Ora, “suonato l’allarme” per la crisi climatica, la scienza può ritirasi nella torre d’avorio o agire coerentemente con azioni di disobbedienza civile come recentemente esortato da Charlie J. Gardner e Claire F. R. Wordley sulla rivista Nature Ecology and Evolution. L’impresa scientifica ha, dunque, l’opportunità di riassumere quel carattere liberatorio che ne ha caratterizzato gli albori, quando la rivoluzione copernicana ha sovvertito l’oscurantismo medioevale. In particolare, l’ecologia, come ha affermato Murray Bookchin, ha un carattere intrinsecamente rivoluzionario perché studiando le relazioni tra organismi e il loro ambiente, non può sottrarsi dalla critica dei sistemi sociali che determinano le relazioni tra la specie umana e l’ambiente. Virginio Bettini lo aveva capito prima di molti altri muovendosi disinvolto dalle cattedre accademiche alle assemblee dei tanti comitati per la difesa del territorio. E oggi, più che mai, dobbiamo seguire il suo esempio”.

Postfazione di Alfonso Navarra

Questo prezioso manualetto di Virginio Bettini va inquadrato in un contesto pre-pandemico: nella cronologia di scrittura, appartiene ad un “prima” della crisi da coronavirus. Allora non era così chiaro come adesso che il “dopo” la catastrofe sanitaria in corso pone in modo evidente e pressante un “cambiamento di rotta” della barca comune dell’Umanità che la porti in via definitiva fuori dal mare delle tempeste in cui rischia di naufragare.

Questo porto sicuro del “dopo” si potrebbe chiamare Green New Deal mondiale ed esso può essere raggiunto solo se si segue la bussola culturale della terrestrità, un concetto che in qualità di portavoce dei Disarmisti esigenti ho elaborato partendo dalle intuizioni base di Morin-Hessel (la coscienza planetaria), dalla visione dei popoli indigeni (l’umanità e’ figlia della Madre Terra) e dalla consapevolezza gandhiana che “la nonviolenza efficace sono i progressi nel diritto internazionale”.

La rete di educazione alla terrestrità promossa dai Disarmisti esigenti, connessa all’iniziativa della Carta della Terra, vuole creare le premesse culturali per l’armonizzazione di campagne e strategie politiche, a partire da ICAN (Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari) – Premio Nobel per la Pace 2017, che concretizzino i diritti dell’Umanità e della Natura cui deve essere subordinata la legittimità degli Stati: la terrestrità è, a conti fatti, il necessario antagonista culturale del sovranismo militarista, la deriva in cui rischiamo invece di inabissarci.

Il libro di Virginio Bettini, con la prefazione dei giornalisti e attivisti Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, è ricco di informazioni concentrate, attendibili, essenziali, una miniera di idee e di indicazioni per la costruzione del Green New Deal globale e delle sue varie articolazioni continentali, nazionali, locali, persino di comportamenti personali.

Appartiene ad un “prima” la crisi pandemica che prepara un “dopo” di reale svolta, di reale trasformazione: cioè un dopo, in cui l’Umanità fa la pace con la Natura violentata ed in questo percorso fa la pace anche con sé stessa.

Da questo punto di vista, per tutti i movimenti alternativi, mi sento di consigliarlo come strumento imprescindibile di dati e di riflessioni, capace di lasciare un segno di crescita intellettuale, ma anche morale ed emotiva, a disposizione delle persone che stanno maturando ed approfondendo una conversione ecologica.

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A Cagliari il 2 giugno la marcia per dire no alla militarizzazione della Sardegna

di Laura Tussi (sito)

Lo scorso venerdì 2 giugno si è tenuta a Cagliari una manifestazione indetta da A Foras a cui hanno partecipato decine di sigle del pacifismo e del disarmo italiani. L’obiettivo era denunciare la drammatica situazione della Sardegna, il cui territorio è ampiamente militarizzato e ostaggio di azioni ed esercitazioni che hanno un impatto devastante sull’isola e sulla sua popolazione. Ecco com’è andata.

Scritto da: LAURA TUSSI

CagliariSardegna – «Questa manifestazione è stata indetta da A Foras e hanno aderito una quarantina di associazioni. Il giorno della Festa della Repubblica non c’è niente da festeggiare, specialmente per noi sardi, che siamo una colonia dello Stato italiano. Il 65% delle servitù militari dell’Italia è concentrato in Sardegna, l’isola di Teulada viene continuamente bombardata da eserciti della NATO. Quest’anno abbiamo deciso di fare una manifestazione a Cagliari perché è una città militarizzata; il percorso scelto è stato agevole per avere un partecipazione il più alta possibile».

Così Salvatore Drago, dell’USB e del Cagliari Social Forum, ha presentato la manifestazione di venerdì 2 giugno a Cagliari. Perché in Sardegna e perché in questo giorno? Da decenni l’isola e il suo popolo sono ostaggio di interessi politici e militari che sfruttano il territorio impoverendolo, facendo ammalare e fuggire chi lo abita, inquinando e alimentando la cultura della guerra. Tuttavia l’isola ha saputo reagire e sono innumerevoli le iniziative di contrasto a questi abusi, per conquistare l’autodeterminazione e diffondere i valori della pace e della nonviolenza.

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È stata citata la zona di Teulada, un territorio che dal 1950 è teatro di guerre chiamate “simulate”, dove si muore per il cosiddetto inquinamento bellico. Si spara e si bombarda, dal mare, da terra e dall’aria. Un affronto, una ingiuria atroce alla Sardegna e alla salute di chi è costretto a respirare le polveri cancerogene della guerra, nelle zone militari e non solo, in un nefasto odore di morte.

La manifestazione del 2 giugno ha denunciato e portato una testimonianza che vorrebbe aiutare i sardi e tutti gli attivisti per la pace a prendere coscienza di quel che accade.

Il rischio non è solo quello di depositi di scorie nucleari in Sardegna – a questo proposito, fra le altre cose A Foras ha rinnovato la richiesta affinché venga fatta chiarezza in merito alla classificazione di Cagliari come porto “a rischio nucleare” per la possibilità che navi e sommergibili a propulsione nucleare siano ormeggiati nel Golfo degli Angeli, senza che la popolazione sia neppure messa al corrente dell’esistenza o meno di un piano di evacuazione in caso di incidente. Il timore – rafforzato da esempi come il caso di Quirra – è che i poligoni militari siano stati solo il primo passo.

Davanti a uno scenario internazionale sempre più allarmante e al conseguente arrivo in Sardegna di migliaia di militari e mezzi da guerra – tanto da far definire la Sardegna “la regione più militarizzata d’Europa” – si è deciso di riportare l’attenzione su Cagliari, dove il 2 giugno si è svolta appunto una massiccia manifestazione. Vogliamo denunciare che la guerra non viene fatta solo all’interno dei poligoni e non solo quando subentra l’attenzione di tutti i media: una grandissima percentuale del territorio della Sardegna, anche cittadino, è occupata militarmente per tutto l’anno.

cagliari
Installazione militare ex POL NATO a Cagliari

Per tutte queste ragioni centinaia di persone hanno marciato il 2 giugno, partendo alle 16 da Marina Piccola chiedendo a gran voce una Repubblica pacifista e fondata sul disarmo. Questa volta A Foras, invece di uno dei tanti luoghi della Sardegna che “ospitano” basi e poligoni militari, ha scelto Cagliari e i suoi luoghi militarizzati per convocare il variegato, ma abbastanza unito arcipelago pacifista e per ricordare, come ogni 2 giugno, che anche in Sardegna esiste una parte della popolazione contraria al fatto che l’isola sia da tempo una sorta di laboratorio a cielo aperto in cui si sperimenta la guerra.

Con la partecipazione di due partiti sempre in prima linea soprattutto contro la guerra e per le politiche di pace: Rifondazione Comunista e Potere al Popolo.

Non mancava quasi nessuna delle sigle pacifiste e indipendentiste e i loro rappresentanti si sono succeduti negli interventi prima della partenza del corteo da Marina Piccola, snodatosi in un lungo serpentone colorato di almeno 1500 partecipanti animato da musica e canti. La militarizzazione del territorio sottratto agli usi civili e la pesante eredità di suoli e spiagge inquinate hanno suscitato la proposta di utilizzare i fondi del PNRR per dar luogo a delle vere opere di bonifica ovviamente dopo che i territori sono stati liberati dalla servitù.

La manifestazione del 2 giugno ha denunciato e portato una testimonianza che vorrebbe aiutare i sardi e tutti gli attivisti per la pace a prendere coscienza di quel che accade

La militarizzazione dell’economia è stata più volte condannata facendo riferimento soprattutto alla fabbrica di materiale bellico della RWM e a come la presenza delle servitù militari soffochi sul nascere qualunque speranza di emancipazione economica e sociale di una Sardegna che avrebbe ben altri punti di forza su cui basare il suo sviluppo. La militarizzazione delle coscienze è stata allo stesso modo denunciata, a cominciare dalle sempre più invasiva presenza della cultura militare e guerresca all’interno delle scuole; fino al punto di chiamare “scuola” un centro di formazione e addestramento sorto nella base di Decimomannu – alle porte di Cagliari –, per sfornare giovani di tutta Europa capaci di bombardare a bordo dei caccia.

Non sono mancati gli interventi, orgogliosamente indipendentisti, con l’ennesimo appello ai sardi a scoprirsi consapevoli di essere asserviti a uno Stato italiano che della Sardegna ha fatto da sempre solo terra di predazione. La manifestazione si è conclusa senza alcun incidente, con il concerto che ha raggiunto Piazza S. Bartolomeo, altro luogo simbolo di una Cagliari militarizzata.

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Chiara Castellani, l’”angelo senza un’ala” che si batte per la pace e l’autodeterminazione in Congo

di Laura Tussi (sito)

Chiara Castellani, medica e chirurga, vive e opera da anni in Congo. Oggi si occupa di formazione, poiché un incidente l’ha privata del braccio destro. Con lei parliamo della situazione di questa terra martoriata dai conflitti interni e dall’ingerenza dei poteri occidentali, interessati alle abbondanti risorse del paese e insensibili alle drammatiche conseguenze che la loro politica predatoria genera sul territorio.

Chiara Castellani è un medico e chirurgo di guerra che opera in un piccolo villaggio del Congo. In seguito a un incidente, che ha visto la Jeep che la trasportava cadere in una grossa buca nel terreno provocata da una mina antiuomo ha perso un braccio. Chiara è come un angelo senza un’ala. Prima di questo tragico evento lavorava nell’ospedale del piccolo villaggio di Kimbau, nella provincia di Kenge, una grande città capoluogo di regione: operava e faceva nascere i bambini, soprattutto quelli di donne stuprate e violentate durante gli episodi di guerra tra le varie faide e i molteplici gruppi etnici che si contendono il territorio in quella zona.

La guerra in Congo è causata soprattutto da gruppi politici nemici e antagonisti che si contendono le miniere di coltan, litio e diamanti e i territori minerari, manovrati dai poteri forti. Chiara Castellani è l’angelo senza un’ala che continua comunque e imperterrita la sua missione in quella terra insanguinata. Adesso si occupa della formazione medica e chirurgica delle ostetriche, appunto perché con un solo braccio non può più operare direttamente.

Chiara Castellani al Policlinico Gemelli (foto di Reply Studio)
Tu hai creato dal basso la fondazione di volontariato Insieme a Chiara Castellani. Quali sono gli obiettivi che vi ponete?

La formazione è la chiave dello sviluppo economico e sociale, ma soprattutto dello sviluppo umano integrale. Me lo ha insegnato la mia grande maestra e amica, Rita Levi Montalcini. Lei avrebbe aggiunto “delle donne” e ne sono convinta anche io. Benché nei primi anni dopo l’amputazione abbia dovuto imparare a operare con la sinistra appoggiandomi alla mano destra dei miei infermieri, avere finalmente al mio fianco giovani medici laureati anche con il mio aiuto, mi ha permesso di cedere il testimone.

Fra quei giovani medici, i due posti di maggior responsabilità – la direzione dell’ospedale di riferimento di zona, equivalente al nostro distretto sanitario, di Kimbau dove come unico medico avevo lavorato per vent’anni, e la direzione dell’ospedale di riferimento Provinciale di Kenge – sono occupati da donne. Entrambe hanno fatto il primo triennio di studi all’università di Bandundu, alla facoltà di medicina che oggi abbiamo reso finalmente autonoma e capace di laureare medici anche per il triennio clinico, il più importante.

Quali sono i principi a cui ti ispiri?

Formazione per “volare tenendosi abbracciati”: è questo il sunto della poesia-preghiera del compianto Tonino Bello, apostolo della nonviolenza, presidente di Pax Christi, colui che scrisse che Dio creò gli uomini come “angeli con un’ala soltanto”. Poesia che ho fatto da tempo mia.

chiara castellani2
Il Congo è una terra molto difficile e resa sanguinaria perché sempre oggetto di manovre economiche, azioni belliciste e atti militareschi. Quanto l’Occidente cosiddetto civilizzato è responsabile di questa terribile situazione?

Molto: nella misura in cui i nostri telefoni cellulari hanno bisogno del coltan del Congo che costa meno se frutto di un sanguinoso contrabbando e dello sfruttamento di bambini minatori schiavi. Ai bambini viene oggi chiesto di estrarre a mani nude il cobalto indispensabile per le batterie delle auto elettriche, ecologiche per noi, letali a breve o lungo termine per loro. È una guerra economica e non tribale. Planetaria, delle transnazionali e non civile locale. Al centro ci sono il cobalto e il coltan, per non citare l’uranio utilizzato per le bombe di Hiroshima e Nagasaki.

Tu eri molto legata all’ambasciatore in Congo Luca Attanasio, recentemente vittima di un attentato che gli è costato la vita. Puoi raccontarci l’accaduto e le ragioni di questo terribile omicidio?

A mio avviso è riconducibile proprio a chi finanzia questa guerra di sfruttamento economico – una catena lunga di interessi strategici –, che ha individuato in Luca Attanasio un testimone scomodo. Luca sapeva troppo e soprattutto voleva sapere la verità. Troppi elementi poco chiari nella sua fine, ultimo in ordine di tempo il rifiuto del governo italiano di costituirsi parte civile.

La formazione è la chiave dello sviluppo economico e sociale, ma soprattutto dello sviluppo umano integrale

Hai avuto un colloquio privato con Papa Francesco. Cosa vi siete detti in quell’incontro?

“Giù le mani dall’Africa”, ha giustamente intimato Papa Francesco durante la sua visita in Congo. È questa visione chiara su ciò che realmente ostacola il decollo di un continente che unisce il nostro comune impegno per una pace mondiale basata sulla giustizia e su uno sviluppo umano integrale. Per tutto ciò ho chiesto e ottenuto il suo supporto incondizionato.

Secondo te, come afferma Alex Zanotelli, siamo davvero sul crinale del baratro nucleare? A cosa è servito il premio Nobel per la pace alla rete internazionale Ican per il disarmo nucleare universale e per la proibizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari?

Rispondo ricordando l’amore incondizionato per la vita dei congolesi, che si esprime in un indelebile sorriso sulle labbra pur di fronte a enormi difficoltà e diventa anche rispetto per la vita altrui e impegno politico basato sulla partecipazione e sulla costruzione di uno stato di diritto attraverso le strategie della nonviolenza.

Intervista pubblicata sul sito ITALIA CHE CAMBIA