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Peppino Impastato vive!

In memoria di un giovane coraggioso che lottò contro la mafia

Peppino vive!

Il 9 maggio 1978 fu assassinato Peppino Impastato e nello stesso giorno venne ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro

8 maggio 2020

Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

Peppino Impastato vive nella memoria di chi lo ha amatoRicordare e narrare la meravigliosa vita di Peppino Impastato è una grande opportunità per tutti noi.

Nato da una famiglia mafiosa, diventa il simbolo della lotta alla mafia.

Chi può conoscere e capire meglio che cos’è la mafia se non chi la vede da vicino?

Qui sta la grandezza di Peppino.

Pochi hanno avuto nella storia la capacità e il coraggio di combatterla così da vicino.

Cento passi dividono casa sua da quella del boss Gaetano Badalamenti.

Peppino fonda il giornalino “L’idea socialista” e aderisce al PSIUP – Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria e successivamente partecipa col ruolo di dirigente alle attività delle nuove formazioni comuniste, come il Manifesto e Lotta Continua.

Costituisce il gruppo Musica e cultura e nel 1977 fonda Radio Aut con cui denuncia i crimini e gli affari dei mafiosi di Cinisi, Terrasini e i malavitosi della Sicilia.

Importante la sua inchiesta sulla strage di Alcamo Marittima in cui vennero uccisi due Carabinieri e della quale furono accusati cinque giovani innocenti del posto.

Una vita ben spesa quella di Peppino che con le sue azioni e denunce pubbliche ha fatto emergere nei cittadini siciliani la consapevolezza di potersi opporre alla mafia.

Peppino era un ragazzo carico di vita che con Radio Aut demoliva i soprusi dei prepotenti, il potere mafioso che ottenebrava la sua Cinisi e il mondo intero. Sì, il mondo intero poteva sentire la voce di Peppino che da Radio Aut con una risata seppelliva il male, l’odio, il dolore. Una risata dissacrante che faceva riscoprire la bellezza dell’esistente soppiantata purtroppo dall’omertà, dalla prepotenza, dalla brutalità. La bellezza salverà il mondo e tutti gli esseri umani dall’imposizione dei poteri forti, dai privilegi e dai soprusi dei potenti che schiacciano i più fragili del pianeta. Gli occhi di un ragazzo pieno di un sentimento puro di bellezza e amore per la vita: una vita meravigliosa spesa per la causa della libertà contro la mafia e la sopraffazione per innalzare una risata d’amore verso il cielo… e da lassù Peppino ancora osserva le miserie del nostro agire umano, i nostri errori e orrori, ma il suo esempio è linfa vitale per tutti noi che crediamo ancora nel bene.

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Agenda Onu 2030: pace per l’umanità

Una analisi fenomenologica

Agenda Onu 2030 – Pace per l’umanità

Pace è Resistenza, resilienza, disarmo, nonviolenza e l’Onu con l’Unesco il suo mezzo attuativo

Pace nelle tue mani

Il termine pace dal latino pactum, pacere, ossia accordo prevede un’intesa che va oltre gli schematismi imposti dal sistema neoliberista e omologante. L’accordo, la pace sono modelli e metodi di intesa e di comunicazione innanzitutto nella duplicità dell’essere umani, ossia nel genere donna e uomo, femminile e maschile e anche nei percorsi transgender, omosessuali e transessuali, dove l’accordo e la pace e l’intesa sono sempre forme di resistenza e resilienza alle difficoltà imposte dal quotidiano. E soprattutto pace e resilienza rispetto ai molteplici problemi, come emergenze e minacce, che incombono sull’umanità, dalla paura delle pandemie, al terrore delle apocalissi nucleari all’indigenza e alla povertà che colpiscono gran parte dell’umanità, nella disuguaglianza sociale globale, dove l’1% della popolazione mondiale detiene il 99% dei beni comuni dell’umanità.

Pace è la parola ecumenica che accomuna le più varie culture del pianeta, le differenti popolazioni, minoranze genti, etnie, con i rispettivi culti, credi, fedi, religioni, che da un punto di vista agnostico rappresentano un dato culturale imprescindibile più che una visione cultuale, più che una presa di posizione di credo e di culto teologicamente e teoreticamente parlando. Infatti noi osserviamo la relazione e il dialogo tra fedi e religioni da un punto di vista fenomenologico, studiando e classificando i fenomeni appunto, l’evidenza dei fatti, degli eventi come si manifestano all’esperienza nel tempo e nello spazio. L’interscambio di incontro tra culture lo consideriamo un evento fenomenologico come avviene con il modello Riace. Un modello locale che diventa globale, ossia glocale, che dal particolare si apre all’universale, come specifico fenomenologico di interazione di culti e culture nella pace, nell’armonia, nell’equilibrio e nell’accordo: un patto tra gli esseri umani e madre terra. In un’ottica universalistica, in una visione di terrestrita’ circostante e dell’esistente, Riace come sinonimo e modello di pace potrebbe rientrare in una base pratica di coosviluppo tra nord e sud del mondo per risolvere i grandi problemi, le gravi emergenze e minacce del nucleare, della disuguaglianza sociale globale e dei dissesti climatici. Questi sono i grandi i ‘virus’ che infettano l’umanità e nostra madre terra. Le lobby mortifere del nucleare detengono un sistema sociale mondiale ingiusto dove un miliardo di persone vivono con due dollari al giorno e 821 milioni soffrono la fame. Le migrazioni sono causate da tutte queste sperequazione e dalle carestie, dal terrorismo, dalla guerra, dai disastri e dissesti ecologici e climatici e dalle manovre economiche.

Riace che fa rima con pace ha saputo conciliare in un piccolo borgo tutte queste contraddizioni, e questi virus e piaghe per l’umanità intera che è figlia di un villaggio globale, di una madre terra che il genere umano deve tutelare e salvaguardare dall’estinzione.

Per questo usiamo il motto Riace è la pace. Come microcosmo e crogiolo di bellezza, dove l’immagine estetica di colori, sguardi, volti, musica, odori e sapori producono il bello estetico, non estetizzante e fine a se stesso, ma una bellezza di cromie che salverà il mondo. Riace è la pace per l’umanità.

L’Agenda ONU 2030 pone nell’obiettivo pace, giustizia e istituzioni solide, vale a dire i cardini di questo patto stabilito tra gli uomini: un patto di pace che è sancito in tutte le carte della terra e nelle costituzioni e istituzioni nate dopo il grande trauma della seconda guerra mondiale. Dopo questo grande trauma, con un sussulto positivo di speranza, dalla resistenza partigiana antifascista, sono nate le grandi dichiarazioni dei diritti umani, l’ONU e da quest’ultima le cop per il clima a partire dal grande summit di Rio de Janeiro nel 1992. E non dimentichiamo il TPAN, ossia il trattato ONU varato a New York a palazzo di vetro nel luglio 2017 da 122 nazioni e dalla società civile organizzata nella campagna per l’abolizione degli ordigni nucleari Ican. Questo trattato Onu è stato una svolta per l’umanità e per il concetto pacifista e il movimento nonviolento: un passo mondiale imprescindibile per il disarmo nucleare universale che è valso a tutti gli attivisti e alle associazioni per la pace e per il disarmo nucleare che operano in Italia e in tutto il mondo il premio Nobel per la pace 2017.

Fare pedagogia della memoria, fare pedagogia della pace è quanto mai urgente e necessario in un mondo globalizzato che annienta e annulla gli ultimi per promuovere i più forti e i potenti.

 

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La Liberazione di Mauthausen

5 maggio 1945 – 5 maggio 2020 – Mai più Lager

La Liberazione di Mauthausen

https://www.peacelink.it/editoriale/a/47615.html

75esimo della Liberazione del campo di concentramento e sterminio di Mauthausen. La Deportazione e la Liberazione va raccontata ai giovani. E’ oggi più che mai importante la Pedagogia della Memoria e della Resistenza.
Laura Tussi

Il campo di concentramento di MauthausenIl 5 maggio 1945 è una data importante perché ha messo fine all’esistenza del campo di concentramento e sterminio di Mauthausen. Un campo di concentramento strutturato in molteplici sottocampi. Come precisa Fabrizio Cracolici, Presidente ANPI “Emilio Bacio Capuzzo” di Nova Milanese, da sempre attivo nella ricerca e nella valorizzazione della memoria e nella indagine storica contemporanea: “I sottocampi di Mauthausen erano moltissimi da Gusen a Ebensee, da Grein a al Castello di Hartheim, da Linz a Melk dove fu imprigionato lo stesso Shlomo Venezia”.

Mauthausen era un Lager adibito fondamentalmente alla deportazione di tutti gli oppositori politici al regime nazifascista che nel suo sistema considerava l’essere umano uno stucke cioè un pezzo, un oggetto da sfruttare fino all’esaurimento della propria forza e linfa vitale.

Il fenomeno concentrazionario è stato un vero e proprio cortocircuito tra l’essere o non essere umani. Tutto avveniva in una modalità disumanizzante: un uomo veniva reso e trasformato in un oggetto senza capacità di opporsi. Chi ha vissuto la deportazione in realtà ha strutturato metodi di resistenza e di resilienza tali da resistere ad un orrore inenarrabile che va aldilà di ogni immaginazione umana.

Già l’arresto e il famoso Transport, ossia il viaggio verso il Lager, rappresentava per il deportato un’esperienza estremamente traumatica e indescrivibile. Il peggio arrivava dopo. Scesi dal treno donne, vecchi e bambini venivano divisi, separati nei loro legami e portati in blocchi, strutture del Lager differenti, a seconda dell’uso che gli aguzzini volevano fare dei deportati, passando per cancelli che solitamente apportavano la scritta “il lavoro rende liberi”, tradotto in tedesco Arbeit Macht Frei. Solitamente i bambini sotto i 14 anni venivano inviati direttamente nelle camere a gas. Le donne venivano sfruttate, rinchiuse e si vedevano costrette a lavori umilianti e degradanti e estenuanti. Agli uomini venivano assegnati i lavori fisicamente più duri. Il dramma del Lager partiva quando una volta entrati, ogni persona veniva spogliata e privata di ogni avere. Ad ognuno di loro veniva assegnato un numero progressivo e un triangolo di colore diverso, in base alla ragione d’arresto con all’interno la sigla della nazione di provenienza. Nel caso specifico di Mauthausen, un campo di concentramento fondamentalmente per dissidenti politici, veniva assegnato il triangolo rosso con all’interno la sigla IT per gli italiani. I deportati venivano condotti poi alle baracche e, quando andava bene, con una tuta chiamata zebrata e un paio di zoccoletti di legno. Questi erano gli unici oggetti consegnati ai deportati.

Gli orrori e gli abusi più efferati sono avvenuti proprio sia nelle baracche che nei luoghi di lavoro coatto.

Ad esempio, portare grandi massi lungo scale impervie. E Mauthausen ne aveva una molto particolare e dura e impervia con 186 gradini e chiamata “La scala della morte”: questo lavoro coatto, che toglieva ogni forma di dignità al deportato, era una pratica comune. Pur di sfinire e umiliare, queste persone spesso venivano costrette dagli aguzzini a portare massi di grandi pietre da una parte all’altra del campo per vedersi costretti poi a riportarli al loro posto. Queste erano pratiche per annientare la volontà e la dignità delle persone.

E ora torniamo al concetto di Liberazione.

Il 5 maggio 1945 il campo di concentramento di Mauthausen viene liberato e queste persone, i deportati, quelli sopravvissuti hanno potuto raccontare al mondo quello che hanno vissuto: la loro tragica e inconcepibile realtà.

Qui è l’importanza del valore della Testimonianza.

Chi ha provato tali aberrazioni ha creato in sé la capacità di indignarsi e di opporsi ad ogni ingiustizia.

Testi fondamentali sono stati scritti da ex deportati nei campi di concentramento e sterminio nazifascisti. Ricordiamo Primo Levi e anche Vincenzo Papalettera con il suo celebre libro “Tu passerai per il camino” e “Vita e morte a Mauthausen”. Persone che hanno speso la loro esistenza per raccontare e testimoniare questi avvenimenti e per costruire una Pedagogia della Memoria e della Resistenza per e stimolare la capacità dei giovani all’indignazione e opposizione all’orrore, alla guerra e all’ingiustizia.

Perché oggi è importante che nel mondo della scuola si sviluppi la consapevolezza e la conoscenza di ciò che è avvenuto in un periodo storico non troppo lontano da noi?

I deportati oramai ci stanno lasciando, per ovvie ragioni anagrafiche e biologiche, ma le loro testimonianze, il loro impegno e la loro volontà di trasmettere conoscenza e valori stimola e sprona tutti noi a riflettere su ciò che è stato, affinché non si ripeta mai più nella Storia.

Questo sta veramente avvenendo?

Assistiamo a scene atroci di orrore in Libia, dove persone vengono concentrate e imprigionate in luoghi di detenzione senza la benché minima garanzia e tutela di sicurezza, di salute e sopravvivenza e l’Europa e il mondo opulento e i poteri forti e la macchina della guerra mondiale permettono tutto ciò.

Ecco perché è importante la Pedagogia della Memoria e della Resistenza. Perché sembra proprio che l’uomo non sia in grado di imparare dalla Storia, non sia in grado di cambiare i suoi stili di vita e il metodo di imposizione delle proprie egoistiche necessità a discapito di persone che invece vengono sfruttate e umiliate: gli ultimi della terra.

 

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Agenda ONU 2030 – Moni Ovadia e la Pace

Dialoghi con Moni Ovadia – Intervista di Laura Tussi

Agenda ONU 2030 – Moni Ovadia e la Pace

Riflessioni con Moni Ovadia relative all’Obiettivo “Pace, Giustizia e Istituzioni solide” – Agenda ONU 2030

Moni Ovadia e Laura Tussi

Intervista a cura di Laura Tussi – Dialoghi con Moni Ovadia

 

Introduzione:

La dignità non è negoziabile. Non ha prezzo. Riconoscerla anche al peggiore dei carnefici, al più efferato degli aguzzini è la migliore risposta possibile alla logica dell’odio, dello sterminio, del genocidio. La dignità traccia un solco invalicabile tra la cultura della vita e il dominio della morte. Tra la cultura della pace e la subcultura della guerra.

 

Dialoghi: Moni Ovadia e la pace

 

Moni Ovadia si ricollega e riflette sul tema di Agenda Onu 2030 – Obiettivo “Pace, Giustizia e Istituzioni solide” con molteplici spunti di approfondimento nonché analizzando la vignetta dell’acuto vignettista Vauro che ritrae un padre e un figlio palestinesi a Gaza.

 

In una vignetta del mio amico Vauro, i missili israeliani piovono da tutte le parti. Il bambino dice a suo padre: “Papà ho paura” il padre risponde: “Perché hai paura? Non siamo mica a New York”. Noi abbiamo tolto a una parte dell’umanità persino il diritto alla paura. Abbiamo visto milioni di volte la ripetizione dell’efferatezza che ha portato alla distruzione delle Torri Gemelle con 2890 morti circa, ma non abbiamo visto con la stessa frequenza le immagini dei morti innocenti iracheni e afghani delle cosiddette “guerre umanitarie”.

Parto da questa considerazione perché ci sono paesi i cui governi, ma anche una parte considerevole dei cittadini, sono gravati – anche se la parola è impropria – dalla logica del privilegio, ossia che noi abbiamo diritto a essere come siamo, non è un privilegio dovuto al luogo di nascita.

Che merito abbiamo per essere nati in un posto invece di un altro? Nessuno.

 

Non esiste un merito. Infatti anche Mimmo Lucano e Alex Zanotelli dicono di non chiedere mai a una persona da dove viene: “L’ha portata il vento”…

Intervista a Moni Ovadia

Eppure la provenienza, il luogo di nascita diventano un merito. Vogliamo rivendicarli come merito che diventa merito a priori senza nessuna legittimazione che diventa, poi, privilegio e il privilegio viene confuso con il diritto.

Ci sono molti pensieri che mi si affastellano nella mente. Infatti, non parlo mai secondo uno schema preordinato; vado a braccio per mantenere maggiore vitalità di riflessione. Nella questione posta, è stato fatto cenno e riferimento alle istituzioni solide. Perché l’uso di questo termine lo trovo particolarmente appropriato? Perché noi non abbiamo istituzioni solide. Abbiamo istituzioni allo stato liquido casomai, per dirla come Zigmunt Bauman. Ma più ancora allo stato gassoso.

L’ONU dovrebbe essere l’istituzione che regola la pace, a partire da essa, ma è totalmente impotente, come si vede nelle violazioni delle risoluzioni delle Nazioni Unite: se sono praticate dai paesi privilegiati vengono imbracciate come motivazione per essere eseguite immediatamente. Ad esempio, il caso dell’Iraq; lo ricordate tutti. Ma se la violazione di una risoluzione, visto che è stato fatto il caso della Palestina – che particolarmente mi sta cuore – viene fatta a danno dei non privilegiati, allora è bellamente sfregiata e ignorata e irrisa: mi riferisco alla risoluzione 242 e 338.

La legalità internazionale è stata, da parte di ripetuti governi israeliani, calpestata con una indecenza che non ha limiti. Consideriamo che nessun governo israeliano ha fatto quello che doveva essere il dovere sacrale di un governo democratico, ossia stabilire i confini dello Stato di cui quel governo è governo. Lo Stato di Israele non ha una costituzione. Quindi non ha stabilito i suoi confini. Per cui l’arbitrio è la regola in tutte le cose che riguardano il conflitto israelo-palestinese. In particolare, il conflitto con i paesi arabi ha altre modalità ancorché si basa comunque su questa politica dello stato dei fatti compiuti. Politica del totale dispregio per le risoluzioni internazionali e, conseguentemente, per le istituzioni internazionali preposte alla pace. E tutto questo ad opera del governo e dell’autorità militare di un paese in cui il saluto comune è pace, invece di dire “Ciao”, “Buongiorno” si dice “Shalom” cioè Pace. La pace è addirittura iscritta nelle priorità della lingua.

 

Perché succede questo?

 

Perché lo stato di Israele non fa eccezioni a quella che è stata la logica imperiale romana si vis pacem para bellum “Se vuoi la pace, prepara la guerra”, cioè colpisci gli altri per avere la pace a casa tua. Perché questa è la logica. La pace spetta solo a noi e agli altri no.

I paesi che più parlano di pace, prendo a esempio lo Stato di Israele, non perchè io sia contro Israele, ma perché, pur essendo piccolo, è fra quelli più armati del mondo. Come anche gli Stati Uniti d’America. Un mio amico iracheno il professor Adel Jabbar che insegnava sociologia delle migrazioni prima a Ca’ Foscari e poi a Bolzano, mi diceva: “Hai notato questa cosa? I governanti degli Stati Uniti sono i governanti del paese che ha più armi in assoluto al mondo”. Infatti, ci sono armi degli Stati Uniti in ogni angolo del pianeta: Oceano indiano, Oceano Pacifico, Europa, Paesi arabi, Asia. Dovunque ci sono armi statunitensi e sono proprio quegli stessi USA che inveiscono contro gli arabi dicendo, come rimarcava il professor Jabar , ” Gli arabi – noi arabi – sono aggressivi”.

 

Curioso vero? gli USA e Israele sono fra i maggiori commercianti di armi e colpevoli di fomentare guerre.

 

Gli Israeliani sono armati fino ai denti, ma fanno le vittime. Mentre il primo atto di pace dovrebbe essere quello di ritirare le armi dalle terre occupate illegalmente. La Nato è stata istituita per contrastare il “nemico” di oltre cortina, l’Unione Sovietica. L’Unione Sovietica è finita morta e stramorta e la Nato invece di sciogliersi o ripiegare si è allargata, cioè ha messo i missili in tutti i paesi ex sovietici. Questi sono solo esempi, naturalmente per capire che questo sistema internazionale, questa logica non porterà mai alla pace.

Non facciamoci illusioni. Perché la logica è quella della guerra. Per esempio l’apologia del sicuritarismo, è una ideologia bellicista. All’’altro’ si attribuisce di fomentare insicurezza. Naturalmente questa è una vecchia tecnica per legittimare il proprio armarsi e la propria aggressività.

I nazisti sono stati esemplari in questo. Hanno lasciato e imposto un esempio clamoroso, ma è così ancora, questa è il background che domina la forma mentis della gran parte dei governanti. Non sono un ingenuo, ma per esempio se un paese come il nostro, che ha una costituzione repubblicana e la costituzione repubblicana è l’unico documento che fa di noi una comunità nazionale, fa riferimento a idee sacrali di patria, di “prima gli italiani” mi vengono i brividi alla schiena. Il popolo italiano, nel recente passato, ha avuto una parte che ha combattuto contro l’altra, provocando inenarrabili massacri. Italiani contro italiani. Dove è questo famoso popolo? E le guerre civili? Mostrano che i popoli intesi come unità mistico-nazionalista non esistono sono un’ipostatizzazione romantica che sta dietro all’ideologia del Blut und Boden, sangue e terra.

 

Ma quale sangue?

 

Sono termini ideologici e manipolazioni del linguaggio per mistificare la realtà. Infatti, se noi siamo uomini di pace, saremo molto più affini a uno spagnolo a un francese a un catalano a un americano a un russo che condivide i nostri ideali di quanto non siamo con il nostro presunto concittadino il quale ha nei nostri confronti sentimenti di ostilità bellica. Il nazionalista quello che continua a ripetere ‘il popolo, gli italiani’, non ama affatto il popolo di cui parla e di cui inventa l’esistenza, perché il nazionalista ama solo quelli che la pensano come lui e gli altri li odia. Considera i suoi concittadini, che non la pensano come lui, dei nemici. Dunque per arrivare alla pace, secondo me, bisogna che la smettiamo per prima cosa di concedere cittadinanza ai linguaggi dell’odio. Siamo un insieme di genti accomunate da una lingua. Ma neppure la lingua ci identifica. I ticinesi parlano la nostra stessa lingua, con una cadenza che per noi suona un po’ buffa, ma sono svizzeri: che importanza ha? Oggi gli ucraini e i russi sono ai ferri corti, eppure la gran parte degli ucraini parla quotidianamente russo non ucraino. Lo so perché io conosco il russo e ho avuto musicisti ucraini anche giovani che hanno lavorato con me e parlavamo in russo, la prima lingua che veniva loro in mente, pur conoscendo anche l’ucraino. Ma non esiste una tendenza nazionalista innata a parlare la propria lingua. Molti sono stati educati con il russo e i figli, siccome i padri parlano russo e hanno parlato loro in russo, parlano questa lingua. Non è la lingua che accomuna, non è il sangue, il sangue è rosso. Basta. Che cosa allora accomuna? Una cosa ci fa comunità nazionale: il patto costituzionale.

 

Siamo italiani perché ci riconosciamo nella Costituzione repubblicana. È vero?

 

No. Una parte del nostro popolo la ignora completamente. Non sanno neanche l’articolo uno. Soprattutto non sanno questa parte dell’articolo uno: “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Traduzione: secondo la Costituzione in Italia è sovrana la Costituzione. Non il popolo.

 

Quanti sanno questa cosa?

 

Addirittura primi ministri l’hanno ignorata, ammesso che la sapessero. Allora, ecco: ciò che ci rende una comunità nazionale; dovrebbe essere la forza dell’istituzione generata da un patto, ma non è così. Ecco perché siamo così lontani dal nostro dettato costituzionale. L’articolo undici parla di ripudio della guerra; eppure noi abbiamo partecipato a guerre aggressive e ci siamo solamente limitati a cambiarne il nome. Abbiamo acquistato armi di aggressione, perché i famosi F35 sono tutto fuorché armi da difesa. Allora, invece di spendere tutta quella montagna di soldi per armi di aggressione, avremmo potuto farci costruire il famoso Dome: sono quelle strutture antimissile che sono difensive, puramente difensive. Faremmo già un piccolo passo verso lo smantellamento dell’idea di guerra, se avessimo un puro esercito di difesa come quello svizzero.

Quindi, noi siamo molto lontani dalla pace.

La solidificazione delle istituzioni già esistenti sarebbe un passo importante, ma questo implicherebbe che le nazioni aderenti all’istituzione riconoscessero all’istituzione la primazia nelle questioni di pace. Siamo lontani anni luce. Cioè, non siamo ancora scesi dalle piante. Però, qualcosa dobbiamo fare. E non lo stiamo facendo. Per esempio: l’Italia ha sottoscritto e ratificato la dichiarazione dei diritti universali dell’uomo. E come è possibile che un magistrato del TAR abbia detto “Basta parlare di diritti universali! Parliamo dei diritti degli italiani”. Questo nel 2019!  Significa regredire alla seconda guerra mondiale. Contrapporre i presunti diritti nazionali ai diritti universali, ovvero dire ‘noi siamo più degli altri’ e rivendicare il funesto slogan ‘padroni a casa nostra’ è una perversione. Noi abbiamo avuto un ammaestramento dal lungo cammino dell’uomo. A un certo punto dello sviluppo, il cammino dell’uomo, aldilà delle formazioni delle civiltà, approda a una consapevolezza di senso: il senso dell’esistenza di un’identità dell’essere umano, unica ed universale. Oggi lo sappiamo scientificamente. Il più grande genetista italiano, il professor Cavalli Sforza lo ha acclarato su base scientifica: esiste un solo uomo su questa terra ed è il Sapiens Sapiens Africanus. Noi veniamo tutti dal cuore dell’Africa. Nessuno escluso. Anche se alcuni gruppi umani

portano piccolissime parti del patrimonio genetico del Neanderthal che indicano l’occorrenza di relazioni risalenti a oltre 40.000 anni fa. Successivamente i Neanderthal si estinsero.

Ora. Invece di riconoscere questa evidenza etica e scientifica, si regredisce a rivendicare differenze. Attenzione! A tremila anni dal riconoscimento etico, rivelato dal canone biblico, scritto nel Genesi che c’è un uomo. Non sono credente. Ma affermare che tutti gli uomini discendono da Adamo è un’affermazione sconvolgente, azzardata ai limiti dell’impossibile, ma ha aperto un orizzonte rivoluzionario.

 

Uno dei libri del Talmud, il pirkei’Avot uno dei più grandi libri talmudici domanda: “Ma perchè è stato detto ‘tutti gli uomini discendono da un uomo solo’? un solo esemplare? cioè Adamo il primo?

 

I maestri rispondono: “E’ stato fatto per la pace”. Perché nessun uomo possa dire al suo simile “il mio progenitore era migliore del tuo”. E noi vorremmo regredire a più di tremila anni fa, in un paese che si dichiara cristiano? Il vero problema della pace a mio parere è la questione del senso. Noi oggi siamo affidati a una deriva di significati. Un singolo si può definire cristiano nel momento in cui vive e pensa come il più convinto dei “pagani”, o degli idolatri e nessuno lo chiama a rispondere al senso di ciò che dice? Abbiamo avuto un ministro della repubblica che ha agitato il Vangelo, libro di pace e di amore, in un comizio politico per pervertirne il senso intimo. Continuamente nel Vangelo si trova la parola pace, eppure qualcuno lo agita come un’arma ed è un Ministro della Repubblica che ha giurato sulla Costituzione e fa carta straccia del libro sacro del paese, laico ma sacro, senza che ci sia una reazione significativa.

Allora vuol dire che il problema dell’istituzione solida si pone nei confronti della pace e l’istituzione non dovrebbe tanto agire nelle questioni politiche o geopolitiche quanto agire sul senso. Un’istituzione solida che tutelasse la pace, si sarebbe dovuta opporre migliaia di volte per impedire lo sfregio dell’idea, a partire dall’uso del linguaggio dell’odio. Perché la prima manifestazione della guerra sono le parole dell’odio. Fin quando noi non affermiamo la questione del senso come priorità, non cammineremo di un centimetro verso la pace autentica, ma ci troveremo in tregue e pacificazioni. Ricordiamoci la frase di Tacito: “hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace.”

Dunque per me oggi la questione più cogente è la questione del senso.

 

Cosa vuol dire essere un cristiano?

 

A mio parere non significa praticare una religione formale, ma essere entrato nel solco del cammino che ha tracciato Gesù; ha tracciato un solco dicendo:”Se mi seguite troverete verità, pace, amore, libertà, perdono”. Il mio amico Don Andrea Gallo, sacerdote cattolico di benedetta memoria, una volta, in Liguria, in occasione del conferimento di un premio, col suo linguaggio sapido e colorito – relata refero – si espresse così:”Gesù non ha istituito una religione, ha tracciato un cammino e ha detto seguimi e troverai:”pace, uguaglianza, fratellanza, amore”. E se non vuoi seguirmi ‘Vai un po’ a quel paese!!!’. Cosa voleva dire Don Gallo? Che non può esserci coazione in una fede: c’è una scelta. Perché l’idea stessa di coazione è inaccettabile. E’ una contraddizione in termini e anche il Corano nel versetto 99 della decima Sura lo rileva. Recita così:”Se Allah avesse voluto fare di tutti gli uomini una sola comunità di fede, l’avrebbe fatto lui”. Evidente che non l’ha fatto e il versetto prosegue “e chi sei tu per costringere un uomo a credere contro la sua volontà?” cioè il Corano riconosce la piena dignità dei non credenti e dei diversamente credenti. Però questa semplice evidenza non importa assolutamente ai fanatici islamisti, come ai fanatici cristiani, come ai fanatici ebrei, perché nessuno li richiama mai a rendere conto del senso. Noi abbiamo abbandonato il senso per affidarci a una deriva di significati veicolati ad usum di un potere autoreferenziale che pretende impunità. Ho scritto il libro “Madre Dignità” perché mi sono interrogato sul fatto che la nostra Costituzione, così straordinaria, fosse progressivamente diventata un guscio vuoto. Articolo 3 “Lo Stato deve rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza dei cittadini”. Ora, il dettato non chiede che tutti vivano nello stesso loculo vestiti con la divisa di Mao Tse Tung, bensì, per fare un esempio, di parificare il salario delle donne a quello degli uomini per lo stesso lavoro. Un simile provvedimento si sarebbe dovuto proporre ed attuare subito. Sono passati settant’anni e siamo qui ancora a discuterne. E delle quote rosa e di tutte queste stupidaggini…perché il senso della Costituzione sembra non interessare a nessuno. E naturalmente l’operazione di linguaggio, cioè destituire di forza il senso e invece rilanciare la molteplicità dei significati, uno vale l’altro, è quello che crea le condizioni che poi ingenerano conflitti e che legittima la liceità di disattendere i fondamenti etici del nostro vivere a favore di bellicismi, privilegi, di violenze e di ogni sorta di arbitrio: però ci si dice noi viviamo in una democrazia! Ma sulla base di quale ‘film’ noi viviamo in una democrazia?  I nostri regimi, come è stato detto da Predrag Matvejević, professore di letteratura russa all’università di Roma e grande intellettuale croato: “si chiamano democrature e non democrazie”. Una vera democrazia non può che costruire la pace, perché la democrazia si fonda sull’uguaglianza degli uomini. Se tu riconosci al tuo concittadino l’uguaglianza, non ti viene da negarla all’altro, che non è tuo concittadino per pure ragioni di evoluzione storica. Gli Stati Uniti sono una testimonianza. Lì sono venuti da ogni angolo del mondo: l’economia del Grande Paese ne aveva bisogno e li hanno importati. Nel corso di alcuni anni sono diventati cittadini statunitensi che vengono citati addirittura come paradigma dello spirito statunitense.

Se noi sentiamo una canzone di George Gershwin, immediatamente pensiamo a New York, Broadway, agli Stati Uniti, eppure George Gershwin non si chiamava così, il suo vero nome era Jacob Gershowitz, era un ebreo russo che non era neanche nato negli Stati Uniti e che ha dato agli Stati Uniti, per quello che concerne la musica dei bianchi, diciamo così, la sua identità più specifica. Quindi, come vediamo, l’altro può diventare come noi e persino “più di noi”. E di esempi così se ne potrebbero trovare a centinaia, oggi anche in Italia.

Mi sono domandato come mai la nostra Costituzione può essere così facilmente disattesa pur essendo una Costituzione straordinaria. Perché, a mio parere, non è stata posta con la necessaria forza la questione della dignità che è pure rubricata nella nostra Costituzione. Ma, per esempio, nella costituzione tedesca, nella sua primissima parte che si chiama Grundgesetz, parte fondamentale, al primo articolo comma uno, recita così “La dignità umana è intangibile”, non la dignità del cittadino tedesco, ma la dignità umana e  dichiara assiomaticamente che la dignità non è a disposizione di alcuna autorità. Un potere statuale, anche il più democratico, può sospendere un diritto nell’occorrenza di un crimine. Un ladro viene messo in galera: lo si priva del diritto alla libertà e dei diritti connessi. Ma non lo si può privare della dignità. La dignità si sfarina se un potere cerca di condizionarla. La dignità precede i diritti ed è la consapevolezza della dignità che ha potuto dare vita alle legislazioni che l’hanno poi declinata nei diritti. La dignità è la condizione assoluta che appartiene alla vita e a ogni essere umano dalla sua nascita. Non la si può mettere in discussione. Se togli la dignità, vuol dire che distruggi la vita. E’ come se uccidessi la persona. I nazisti lo hanno capito molto bene e hanno tolto a coloro che hanno dichiarato nemici la dignità, dopodichè assassinarli per essi non era un crimine, ma una procedura legittima.

Allora i presupposti della pace sono riconoscimento della piena totale integrità dell’essere umano e aggiungerei dell’essere vivente. Per cui le istituzioni solide dovrebbero richiamare instancabilmente e inesorabilmente, a mio parere, a questo concetto. A partire dal linguaggio. Perché la trasformazione del linguaggio crea una consuetudine a lasciar perdere. Certo linguaggio che si usa oggi, dieci anni fa, vent’anni fa sarebbe stato impossibile. Sarebbe successo il finimondo. Invece, adesso è diventato corrente. Per esempio, la parola più schifosa, le due parole più schifose che si sono ingenerate negli ultimi anni in questa cloaca mediatica che domina le comunicazioni nel nostro paese: buonismo e giustizialismo. Sono parole che stanno in bocca a furfanti di ogni risma. Bisognerebbe reagire alla perversione del linguaggio che passa da un linguaggio di civiltà del rispetto reciproco a una inciviltà dell’insulto, della calunnia, della disgregazione del senso della piena dignità dell’essere umano chiunque egli sia. Si passa a un linguaggio di guerra. Perché la guerra non nasce semplicemente; la guerra intesa come lo spirito della guerra, non nasce solo da ragioni improvvise di conflitto, ma nasce da una sottocultura che si invera costantemente e ripetutamente. Per esempio, l’uso della parola terrorista nei confronti di qualcuno di cui non vuoi riconoscere la dignità. Ho sentito dire da molti ultras sionisti: “I palestinesi sono tutti terroristi”. Se tu lasci passare questo linguaggio, puoi bombardare Gaza e ammazzare civili e bambini perchè tanto sono tutti terroristi. “Cosa volete da noi? Perché ce l’avete con noi? Siete amici dei terroristi?” Dicono gli ultras del  sedicente sionismo.

Per queste ragioni il nostro lavoro richiede un impegno immenso da cui non ci possiamo sottrarre. Francamente vorrei anche andare in pensione dalla militanza, ma non posso perché ho un dovere al quale non mi posso sottrarre verso le prossime generazioni.

 

E Greta Thunberg, la ragazzina svedese?

 

Greta, la ragazzina svedese ci ha ricordato una cosa particolarmente significativa fra le altre. E’ andata, a 16 anni, a dire ai potenti della terra “Voi state condizionando lo sviluppo del pianeta con politiche predatorie e scellerate di cui non sarete voi a pagare le conseguenze”. Perchè se un sessantenne prende una decisione che poi creerà catastrofi, le pagheranno le generazioni  future, non lui. Dovrebbe essergli impedito. Questa attitudine a ritenersi i padroni del pianeta è fare la guerra alle generazioni future e le classi dirigenti, in questo senso sono impregnate di uno spirito bellicista, per un solo scopo: difendere e garantire i propri privilegi. Primo Levi in riferimento alla shoà ci ha lasciato questa eredità: “Se volete che non si ripeta ciò che  è stato e che si può ripetere, lottate con tutte le vostre forze contro la logica dei privilegi!” Il monito di Primo Levi si sta avverando: immigrati mandati a morire nei lager libici di botte, di torture, di violenze. Che differenza c’è fra gli ebrei che venivano respinti?

Mi piacerebbe, in una delle prossime ricorrenze del Giorno della Memoria, inviare una lettera al Presidente della Repubblica, chiedendo che in occasione delle celebrazioni venga interdetta la presenza di coloro che respingono i migranti verso la morte. Perché la pace si fa contrastando gli uomini di guerra. Un essere umano non può dirsi tale se non riconosce se stesso nel suo simile emarginato, oppresso, in pericolo di vita. E la condizione dell’esilio, della paura, dello smarrimento è la condizione più specifica dell’uomo e della sua fragilità: l’uomo è creatura fragile. Grazia Deledda diceva:”Canne al vento”. Una mia amica cardiologa ha parafrasato:”Noi siamo carne al vento”. Questo siamo noi esseri umani. Per costruire la pace, dobbiamo riconoscere la nostra fragilità e la nostra fragilità la riconosciamo nell’ultimo degli uomini. In quel nostro simile, noi vediamo chi siamo realmente. Se non siamo in grado di riconoscerci negli ultimi, non usciremo dal bellicismo e andremo incontro a guerre ancora peggiori per la questione dell’acqua, delle, risorse,  della siccità. In conclusione il problema della pace non è tema per anime belle.

Il problema della pace è per persone che amano l’umanità.

E coloro invece che non sentono questo amore non ne sono degne: L’amore non è un sentimento sdolcinato per innamorati. Ma è il riconoscimento di impegno personale verso l’altro, perchè la questione dell’alterità è la madre di tutte le questioni dell’umanità. Se non la riconosceremo, continueremo a fomentare guerre e conflitti. L’altro non è il nemico da combattere e da eliminare per sentirci sicuri, ma è il nostro simile da incontrare e riconoscere per incontrare e riconoscere noi stessi.

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Premio Ponti di Memoria per l’azione civile al Progetto Riace. Musica per l’Umanità

Nel 75esimo anniversario della Liberazione

Premio Ponti di Memoria per l’azione civile al Progetto Riace. Musica per l’Umanità

I promotori: Associazione Arci Ponti di Memoria, Casa della Memoria, Anpi Milano, MEI – Meeting Etichette Indipendenti

Premio al Progetto Riace. Musica per l'Umanità

In diretta streaming dalla pagina Facebook dell’Associazione Ponti di memoria

https://www.facebook.com/AssociazioneArciPontiDiMemoria/

In condivisione e in cross-posting su centinaia tra pagine e profili privati

 

Nel 75esimo anniversario della Liberazione

Premio Ponti di Memoria per l’azione civile al Progetto “Riace. Musica per l’Umanità”

I promotori: Associazione Arci Ponti di Memoria, Casa della Memoria, Anpi Milano, MEI – Meeting Etichette Indipendenti

L’Associazione Arci Ponti di memoria, in collaborazione con Casa della memoria e Anpi Milano, presentano la terza edizione del “Premio Ponti di memoria per l’impegno civile”

Il 22 aprile alle ore 21, in diretta live streaming dalla pagina Facebook dell’Associazione Arci Ponti di memoria, in cross-posting e in condivisione su centinaia di pagine e profili, andrà in scena la terza edizione del premio all’impegno civile nell’arte e nella cultura, destinato a personaggi o entità che si sono distinti nel recupero della memoria e nella sua trasmissione alle nuove generazioni. Accanto a nomi conosciuti della musica, del teatro, del cinema, della cultura e dell’informazione, saranno premiate persone che hanno rappresentato un punto di riferimento nella memoria di Milano.
La memoria che si propone di riscoprire non è solo passato, ma si trasforma in un ponte tra generazioni che condividono identici valori.

Come fosse un passaggio di testimone.
La cerimonia di premiazione si sarebbe dovuta tenere alla Casa della memoria di Milano, ma a causa dell’emergenza Coronavirus si trasferisce su internet, in forma virtuale e partecipata.

 

PROGRAMMA
Premio “Ponti di memoria” alla memoria

Claudia e Silvia Pinelli (in memoria di Pino Pinelli)

Tiziana Pesce (in memoria di Giovanni Pesce e Onorina Brambilla)

Rossella Traversa (in memoria di Libero Traversa)

 

Premio “Ponti di memoria” musica di impegno civile e ricerca 

Marino Severini Gang

Gianluca Spirito Modena City Ramblers

Massimo Priviero

Gaetano Liguori

Renato Franchi e Orchestrina del suonatore Jones

Luca Taddia

Andrea Sigona

Banda Popolare dell’Emilia Rossa
Premio “Ponti di memoria” teatro 

Gabriele Vacis (per il lavoro di ricerca e sperimentazione in campo teatrale)

Renato Sarti (per lo spettacolo “Il rumore del silenzio” su Piazza Fontana)

Tiziana Di Masi (per lo spettacolo “Io siamo” sul concetto di Bene comune)

 

Premio “Ponti di memoria” letteratura e saggistica

Gino Marchitelli (per i libri “Il covo di Lambrate” e (Campi fascisti, la vergogna italiana”)

Adele Marini (per il libro “L’altra faccia di Milano”)

 

Premio “Ponti di memoria” azione civile 

Vittorio Agnoletto (per l’impegno civile nel lavoro di medico e per il programma “37,2” a Radio Popolare)

Laura Tussi e Fabrizio Cracolici (per il progetto Riace, musica per l’umanità)

 

Presenta Daniele Biacchessi, giornalista, scrittore, presidente dell’Associazione Arci Ponti di memoria.
Regia e Coordinamento: Daniele Biacchessi Presidente di Ponti di Memoria

Contatti:

E-mail:
biacchessi@gmail.com
Siti:
www.pontidimemoria.it

 

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Danilo Minisini: insegnante in pensione, è stato ed è impegnato in movimenti e gruppi di base come comitati di quartiere, comunità di base, movimento per la pace e presidente della Cooperativa Tempi di fraternità, che pubblica l’omonima rivista mensile

 

“Una porta aperta” è un punto di incontro e di accoglienza laico aperto alle persone in situazione di disagio e di esclusione sociale. Come nasce questa esperienza?

 

Nella città di Rivoli sono presenti molte associazioni di volontariato. Per quanto riguarda il sostegno a persone in difficoltà le parrocchie, attraverso le Caritas e il Centro di ascolto, tra le altre, svolgono un ruolo importante di aiuto per le famiglie più fragili. Nell’inverno del 2015, grazie alla collaborazione tra istituzioni comunali, associazioni e persone singole è stato aperto un dormitorio che ha dato, per alcuni mesi, ospitalità notturna a una decina di persone. Persone fragili, quasi tutte senza lavoro, con situazioni familiari pesanti e spesso con alle spalle situazioni di dipendenza. Si sono create delle relazioni con queste persone che sono proseguite, in maniera più o meno continuativa, negli anni successivi. Nei nostri limiti di disponibilità abbiamo seguito alcuni di loro nei percorsi di vita che sembrano normali per noi ma che rappresentano spesso, per chi vive in maniera precaria, grandi fatiche. Pratiche burocratiche, accesso ai dormitori e alle cure sanitarie e così via. Forti del sostegno dell’Associazione Opportunanda di Torino, e facendo riferimento alla loro esperienza, abbiamo deciso di creare, nell’autunno del 2016, un’associazione che si occupasse principalmente di queste persone. Il primo obiettivo era aprire un centro diurno che ospitasse, tutte le mattine, chi passava la notte in strada o nei dormitori. Offrendo la colazione e una parola amica.

I volontari che fanno parte dell’associazione, una quindicina, arrivano da esperienze diverse, quasi tutte legate alla solidarietà sociale. La scelta della laicità dell’associazione è stata unanime, pur nella diversità delle provenienze. Tutti abbiamo sottolineato come questa scelta qualificante fosse importante e rappresentasse un valore fondamentale di inclusione.

 

 

Accogliere in modo amichevole e promuovere relazioni personali e di gruppo positive: parlaci del tuo ruolo nel punto di incontro “Una porta aperta”.

 

All’interno dell’Associazione svolgiamo diverse attività. Quella nata per prima è, come detto, l’apertura del centro diurno. Ogni mattina due o tre volontari accolgono le persone che ci avvicinano. Quasi sempre non si tratta solamente di offrire un caffè, ma, più importante, è ascoltare esperienze di vita, racconti di relazioni familiari interrotte, percorsi di vita accidentati e faticosi. Ascoltare senza la pretesa di dare risposte. Un ascolto che raramente i nostri ospiti trovano in altre realtà, anche perché, come sottolineato nel nostro statuto, è un ascolto senza pregiudizio e senza giudizio. Personalmente il mio turno è il mercoledì mattina. Un lavoro a volte faticoso anche perché può capitare che tra gli ospiti ci sono situazioni di conflitto e di pregiudizio. A volte pare che proprio tra le persone più fragili non ci sia quella solidarietà che ci si aspetterebbe.

In seguito abbiamo intrapreso altre attività: accompagnamento ai servizi del territorio, gestione di due convivenze finanziate dalle istituzioni ma gestite da noi, sostegno anche economico per sopperire alle necessità più urgenti degli ospiti. Oltre a questo la gestione di tutta la parte burocratica dell’associazione: in particolare sono il cosiddetto tesoriere che si occupa della gestione economica.

 

 

Questa realtà a Rivoli vuole sostenere chi prova a superare il disagio e la sofferenza. È un punto d’incontro paragonabile alla comunità di Don Gallo a Genova?

 

Il nostro è un punto d’incontro di una piccola realtà, che vuole rimanere tale. Agisce su un territorio limitato e per un numero limitato di persone. Siamo consci dei nostri limiti e in particolare un limite importante è legato all’età media, alta, dei volontari.

Due particolarità ci paiono particolarmente interessanti e qualificanti. Nella nostra associazione non esiste la figura del/la leader carismatico/a: tutti, indipendentemente dalle esperienze personali, ha uguale “voce in capitolo”. Inoltre ci incontriamo tutti i martedì per discutere, oltre alle questioni pratiche legate alla vita quotidiana dell’associazione, anche le situazioni personali degli ospiti che ciascun volontario conosce in maniera più approfondita nell’ambito dell’attività settimanale. Tutti, quindi, abbiamo presente, almeno a grandi linee i problemi e i tentativi di soluzione di ciascun ospite. Un lavoro faticoso, questo, ma che ci sembra originale e particolarmente utile.

 

 

Quante altre realtà laiche come “Una porta aperta” operano nel nostro paese e quali similitudini hanno tra loro?

 

Siamo una realtà giovane e quindi non conosciamo a fondo le realtà simili alle nostre sul territorio nazionale. La nostra esperienza, come detto, fa riferimento, nelle linee di lavoro essenziali, alla realtà di Opportunanda, un’associazione storica di Torino, nata più di vent’anni fa, una realtà laica, che ha un campo di azione più vasto del nostro ma che lavora con la stessa nostra ottica. E’ un’associazione che ha anche alcuni dipendenti e che, oltre al centro diurno, gestisce alcune convivenze e si occupa anche di tematiche legate alla ricerca di lavoro e, come noi, ritiene essenziale il rapporto con tutte le realtà del territorio che si occupano di marginalità sociale.

Ci confrontiamo con una certa regolarità e quattro nostri volontari preparano una cena che mensilmente viene offerta agli ospiti di Opportunanda.

 

Con quale spirito e forza di volontà affronti questa difficile realtà quotidiana di impegno sociale? E come hai maturato questa scelta laica di volontariato?

 

E’ un impegno particolarmente impegnativo, sia a livello fisico che psicologico. Una realtà nuova per me, che mi sono sempre impegnato nel campo del volontariato nel movimento per la pace (esiste a Rivoli l’Associazione per la pace), nel movimento notav che non è solo una lotta contro un treno ma anche un impegno per muoverci verso un modello di vita più attento ai bisogni fondamentali delle persone e meno consumista e soprattutto, come insegnante in pensione, al sostegno di ragazze e ragazzi, la maggioranza migranti, nel lavoro scolastico. Sono volontario dell’associazione ASAI che, tra le altre attività, segue allieve e allievi con un doposcuola.

Una caratteristica che sento particolarmente è che spesso, non sempre per fortuna, ho la sensazione di svolgere un lavoro che non dà i risultati che mi aspetto. Le persone che incontriamo spesso sembrano non riuscire a far fronte, nonostante la nostra vicinanza, alle difficoltà che hanno segnato la loro vita. Un passo avanti e un passo indietro, molto spesso. A volte mi prende un senso di frustrazione, di inadeguatezza, se non di inutilità.

Forse perché, nelle altre esperienze di volontariato, qualche risultato l’abbiamo intravisto. E’ come se avessimo bisogno, almeno a me capita, di verificare subito l’efficacia del nostro lavoro. Mi sembra di essere poco allenato all’attesa, alla semina, al fatto che spesso occorrono tempi lunghi per i cambiamenti, al fatto che non sono adeguatamente preparato a gestire gli insuccessi. Condividendo all’interno dell’associazione anche queste nostre difficoltà quotidiane come volontari, il confronto ci consente trovare energia e stimoli per continuare con serenità e spesso con gioia il nostro lavoro.

Note: Intervista a Danilo Minisini: insegnante in pensione, è stato ed è impegnato in movimenti e gruppi di base come comitati di quartiere, comunità di base, movimento per la pace e presidente della Cooperativa Tempi di fraternità, che pubblica l’omonima rivista mensile

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Medicina Democratica – Riace. Musica per l’Umanita’

Recensione di Maurizio Marchi

Medicina Democratica – Riace. Musica per l’Umanita’

Maurizio Marchi – Medicina Democratica Livorno scrive sul sito nazionale una recensione a un libro di attivismo per la pace come Riace. Musica per l’Umanità
Medicina Democratica

Riace. Musica per l'Umanità

Mettiamo a disposizione una recensione al libro

“Riace, musica per l’umanità” Autori vari,

a cura di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici
Mimesis Edizioni

http://mimesisedizioni.it/

Sono onorato di scrivere questa recensione, io umile eco-pacifista di provincia . Non una provincia qualsiasi, ma quella di Livorno, che concentra quasi tutte le contraddizioni denunciate dagli autorevoli autori del libro, dalla base USA di Camp Darby, al porto militarizzato di Livorno, alle grandi fabbriche inquinanti e climalteranti di Livorno, Rosignano e Piombino. Il libro “Riace” è agile e profondo allo stesso tempo: ruota intorno alla straordinaria esperienza di accoglienza e integrazione dei migranti a Riace, un paesino della Calabria orientale, già celebre per i famosi “Bronzi”, che testimoniano di antichi rapporti interculturali. Paesino spopolato dall’emigrazione verso nord dei calabresi, e fatto rivivere dai migranti, prevalentemente profughi di guerra, accolti dal sindaco Domenico “Mimmo” Lucano: un’esperienza straordinaria descritta nell’intervista a Mimmo, e proposta dagli altri autori del libro a ricevere il premio Nobel per la pace.
Scrive padre Alex Zanotelli nel suo pezzo “per un’utopia possibile”:
“Ho gioito quando ICAN 1ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace, per il suo impegno contro le armi nucleari. Come credente nel Dio della vita, non posso che essere contrario a questi strumenti di morte che minacciano oggi l’umanità. Lo sono anche come missionario che ha toccato con mano la sofferenza degli impoveriti. Infatti le armi nucleari proteggono un sistema profondamente ingiusto, proteggono il 10% della popolazione mondiale che consuma da sola il 90% dei beni prodotti.
Penso sia significativo legare il Premio Nobel dato a ICAN per la campagna contro le armi nucleari e la campagna per dare il Premio Nobel a Domenico Lucano, sindaco di Riace, il paese dell’accoglienza.
L’umanità ha oggi davanti a sé due gravi minacce,
Mentre l’abolizione delle armi nucleari e una nuova politica di accoglienza, come è stata fatta a Riace, permetterebbero all’umanità di rifiorire.
Per me è chiaro che il primo passo è quello dell’abolizione delle armi nucleari, perché servono a proteggere privilegi.
Le armi atomiche servono a proteggere un sistema mondiale ingiusto che forza 3 miliardi di persone a vivere con due dollari al giorno e 821 milioni a patire la fame. Per cui gli impoveriti sono costretti a migrare.
Le migrazioni oggi non sono un’emergenza, sono strutturali a questo sistema.
Per questo mi auguro che la campagna per il Premio Nobel per la Pace a Lucano abbia successo e che Riace diventi un esempio per tutti, dimostrando che le migrazioni non sono un problema, ma una risorsa per far rivivere questa vecchia Europa.”
Notiamo il termine “Impoveriti” che usa Alex: non poveri, ma impoveriti dalla rapina pluri-secolare da parte dei paesi predatori, essenzialmente l’Europa.
Vittorio Agnoletto, con la consueta lucidità documenta, dopo aver citato Virgilio e Ulisse:” Il diritto di emigrare, afferma il giurista Luigi Ferrajoli, dovrebbe diventare un nuovo principio costituente nell’architettura istituzionale a livello mondiale.
Il diritto di emigrare, il diritto alla libertà di movimento oltre qualunque confine, è antico come la storia dell’umanità; non a caso è stato riaffermato con forza il 10 dicembre del 1948, nella Dichiarazione universale dei diritti umani, che nell’articolo 13 recita: “1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. 2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”. Per poi proseguire con l’articolo 14: “1. Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni…”.
Nel 1966 la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici ribadisce tale diritto nell’art. 12 comma 2: “Ogni individuo è libero di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio”.
Principi ripresi dalla Costituzione italiana all’art. 35, dove afferma che la Repubblica: “Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero”.
Il riferimento al lavoro non è certo casuale; la ricerca di un’occupazione in grado di garantire il proprio mantenimento e quello di tutta la famiglia è la ragione prima che da sempre spinge ad abbandonare la propria terra, innescando fenomeni collettivi destinati a produrre profondi cambiamenti sociali.”
Fabrizio Cracolici e Laura Tussi scrivono: “ Dov’è finita la voglia di contribuire alla realizzazione di un mondo giusto, equo e solidale? Oggi i nostri fratelli fuggono da guerre e da luoghi martoriati dalla nostra sete di potere, dico nostra perché è il ricco e opulento Nord del mondo che sempre più sta sfruttando un Sud del mondo che è in una situazione insostenibile (a dire il vero, anche per la complicità di élites locali succubi e vendute).
Si sta giocando con la vita di esseri umani che l’Occidente tratta come invasori, quando i veri invasori siamo noi, con i nostri eserciti, i nostri capitali, le nostre merci.
Il “cattivismo” di chi dileggia i presunti “buonisti” dilaga continuamente come metodo di distrazione di massa: chi detiene il potere così si garantisce nuovo e rinnovato controllo sulle popolazioni, scagliando contro gli ultimi del mondo i penultimi.”
Qui è evidente la “guerra tra poveri” voluta ed alimentata dai “sovranisti” delle due sponde atlantiche.
Cracolici e Tussi vanno al cuore dei problemi: “Le tre bombe di cui tratta anche il comboniano padre Alex Zanotelli:
– l’attività militare che trova la sua massima espressione nella guerra nucleare;
– la bomba climatica che comporta quotidiani disastri e dissesti climatici per le emissioni eccessive di gas serra;
– la bomba dell’ingiustizia sociale e della disuguaglianza globale dove l’1% dei ricchi detiene risorse pari a quelle controllate dal restante 99% dell’umanità”
E propongono, richiamando Hessel, delle soluzioni:
“Stéphane Hessel, nell’appello scritto con i resistenti francesi nel 1944 e pubblicato nel saggio Indignatevi!, suggerisce delle soluzioni alla crisi economica e di valori che attualmente sta stritolando e destrutturando il pianeta. La soluzione prevede la nazionalizzazione delle banche e delle industrie strategiche con un’economia al servizio delle persone, tramite investimenti pubblici per creare lavoro e per livellare la disuguaglianza globale e sociale per evitare la miseria dei ceti più deboli che ingenera risposte razziste e capri espiatori.”
Oggi la “resistenza” si fa con nuovi strumenti:
“ la rete ICAN e le COP ONU per il clima costituiscono un impegno globale tramite cui costruire una nuova internazionale dei diritti, delle persone, dei popoli, dell’umanità. Infatti la dipendenza dai combustibili fossili e dal nucleare è alla base di un modello sociale predatorio di accumulazione insostenibile che è causa principale di guerre e conflitti nel mondo. Per questo motivo il nostro attivismo, l’impegno di noi “alter-glocalisti” è volto a salvare il clima e la pace, per costruire una conversione ecologica fondata su un nuovo e alternativo modello energetico, decarbonizzato, denuclearizzato, rinnovabile al 100%, ossia pulito, democratico e socialmente giusto.”
Alessandro Marescotti , presidente di Peacelink con sede a Taranto, aggiunge nuove riflessioni e richiami storici fondamentali, ma scende anche in particolari “concreti” su che cosa significhi l’immigrazione sull’economia italiana e europea.
“Anche Mimmo Lucano ha deciso di violare le leggi ingiuste per un principio superiore. È accusato di favoreggiamento e di aver celebrato matrimoni per favorire l’immigrazione clandestina. Anche Valentino 2 era di fatto accusato di favoreggiamento.
A qualcuno non piacerà l’accostamento, ma siamo disobbedienti. Sia san Valentino sia Mimmo Lucano hanno compiuto un gravissimo reato: il “reato di umanità”. Di questo reato noi ci dichiariamo corresponsabili con san Valentino e con Mimmo Lucano. ……
Leggiamo i dati della Banca d’Italia riportati sul report Il contributo della demografia alla crescita economica.
Secondo la Banca d’Italia, senza migranti l’Italia sarebbe in gravissima crisi demografica ed economica, lo dicono i dati, i numeri del report che si trovano in questo mio brano, che a qualcuno risulterà un po’ indigesto.
Gli sviluppi demografici sarebbero stati estremamente penalizzanti per l’Italia se non fosse intervenuto negli ultimi 25 anni un significativo flusso migratorio in entrata. Scrive Enrico Cicchetti: “Particolarmente importante è risultato il contributo dei migranti alla crescita del PIL nel decennio 2001-2011: la crescita cumulata del PIL è stata positiva per il 2,3% mentre sarebbe risultata negativa e pari a -4,4% senza l’immigrazione. Il PIL pro capite senza la componente straniera avrebbe subito nel decennio 2001-2011 un calo del 3%”.
La demografia è centrale nel ragionamento della Banca d’Italia: si calcola che entro il 2041 nemmeno i flussi migratori previsti saranno in grado di invertire la tendenza demografica negativa in corso, per cui avremo molti anziani e pochi giovani, con uno sbilanciamento che sarà letale per l’economia se non arriveranno in nostro soccorso proprio loro: gli immigrati.
Se queste sono le conclusioni a cui sono arrivati i ricercatori della Banca d’Italia, viene da pensare che Mimmo Lucano a Riace abbia fatto esattamente quello che un sensato economista dovrebbe sostenere: l’accoglienza. Per contrastare non solo la disumanità, ma anche il declino economico.”
Anche Moni Ovadia richiama la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “Tutti gli uomini nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. “Questo enunciato – scrive – dovrebbe essere per ogni cittadino democratico il mantra di una fede laica e secolare che abbia al centro l’umanità in quanto tale prima di ogni successiva connotazione. Mimmo Lucano pratica questo mantra come un irrinunciabile strumento di relazione e di amministrazione di una comunità, per questo è riuscito a creare un’integrazione giusta eticamente e funzionalmente. È riuscito a creare un capolavoro di giustizia, mostrando che un altro mondo è possibile hic et nunc (qui ed ora, ndr).
Qual è stata la forza – prosegue Ovadia – che ha permesso a Mimmo Lucano di dare vita a un progetto così importante e vincente? A mio parere una cultura profonda e una consapevolezza che nasce dall’essersi formati al grande pensiero dell’umanesimo marxista e illuminista che ha forgiato le lotte per l’emancipazione e la liberazione degli ultimi, degli oppressi.
Gli uomini come Lucano sono il raggio di luce che fende le nebbie della sottocultura del disprezzo e dell’odio il cui esito ultimo è quello di condurre l’Italia nel marasma del discredito e dell’infamia.”
Parole pesanti quanto misurate ed appropriate che usa Ovadia. Sottolineo che è l’unico che richiama il “grande pensiero dell’umanesimo marxista e illuminista”, nel libro, in un’epoca in cui il pensiero marxista è messo di fatto all’indice.
L’intervista a Mimmo Lucano, il sindaco sospeso di Riace, è un piccolo capolavoro, che vale da solo la lettura del libro:
“Mi sono trovato per una casualità ad accogliere una nave sulle coste di Riace, con dei profughi: da quello sbarco mi sono avvicinato a questi esseri umani. Tanti elementi hanno fatto breccia nella mia sensibilità, per esempio la questione curda e le rivendicazioni politiche, che durano da più di un secolo, di questo popolo senza uno Stato, a cui viene impedito persino di parlare il proprio idioma. …………..
I nostri luoghi sono stati crocevia di scambi, di incontri, di contaminazioni tra culture, tra popoli, tra etnie e questo ci permette di incontrare con soddisfazione e orgoglio e senza pregiudizi le altre persone. …..
Avevo capito che meno le realtà sono contaminate dalla società dei consumi, che tende a far prevalere gli aspetti della materialità, della competizione e dell’egoismo, più sopravvive questo spontaneismo dell’animo. E questo è stato un elemento fondamentale. Nessuno ha mai detto “sono arrivati, ci rubano il lavoro”. L’apertura ci ripagava e nasceva il turismo solidale e nascevano queste attività di artigianato nelle cantine abbandonate dove lavoravano insieme persone del luogo e rifugiati.
…….. se è stato possibile in quel luogo dove si vivono queste condizioni e dimensioni di fortissima precarietà con le emigrazioni, con il latifondismo agrario, con l’emarginazione e la rassegnazione sociale, con le mafie, allora è possibile ovunque. Se è possibile nei luoghi dove si emigra, è possibile ovunque. Allora non ci sono alibi. Perché Riace non è una teoria, è una storia vera. Fatta di persone, uomini, donne, bambini. Di persone che hanno cercato di creare una comunità globale e che hanno dimostrato che la convivenza tra esseri umani che provengono da luoghi diversi e con diverse etnie e religioni è possibile. E che insieme è meglio. È possibile quasi connettere le varie identità e il riscatto dello stato sociale e dello stato umano. Riace ha dimostrato questo. Quindi anche per il futuro bisogna ripartire da quest’idea. È una speranza per l’umanità.
Le conclusioni sono di Alfonso Navarra, sotto il titolo “Il nuovo umanesimo è la nonviolenza efficace”.
“La nonviolenza di cui parlava il partigiano Hessel, e da me condivisa, non era e non è l’ideologia passiva e moraleggiante del “sopportate le ingiustizie e sforzatevi di perdonare i prepotenti”, ma l’intelligenza strategica fondata sulla forza dell’unione popolare.
Il fascismo dei nostri giorni è attrattivo non perché leva il braccio nel saluto romano e nemmeno perché offre ai suoi adepti l’adrenalina di un nuovo squadrismo; bensì perché propone assistenza sociale agli uomini dimenticati, promettendo alle vittime della globalizzazione neoliberista l’illusione dell’appartenenza a comunità omogenee, “identitarie”, frammentate, l’una contro l’altra, armate nella concorrenza reciproca.” Qui Navarra rilancia il rigetto della guerra tra poveri. E propone:
“Dobbiamo costruire una nuova Internazionale dei movimenti alternativi che sospinga le enormi opportunità di liberazione e trasformazione delle campagne ecopacifiste, a partire da quella per la proibizione giuridica delle armi nucleari, primo passo per la loro eliminazione effettiva.
La nonviolenza efficace: questa via in cui i mezzi sono omogenei ai fini è quanto mi permetto ancora di suggerire a chi, alla ricerca di un nuovo umanesimo, ha fame di verità e sete di giustizia.”
Scritto a Livorno, la città dei Quattro mori incatenati dai Medici, banchieri e schiavisti, nel primo giorno di una primavera dimezzata dal Coronavirus 21 marzo 2020

Maurizio Marchi – Medicina Democratica Livorno

1) ICAN International Campaign to Abolish Nuclear Weapons, Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, che raccoglie 541 organizzazioni in 103 paesi, e ha ottenuto il premio Nobel per la pace nel 2017.
2) Valentino, cristiano martirizzato nel 270 d.c.

Note: Anche su http://www.medicinademocraticalivorno.it/

Articolo pubblicato da Laura Tussi

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Agenda ONU 2030 – Pace, giustizia e istituzioni solide

Agenda Onu 2030: gli obiettivi del terzo millennio

Pace, giustizia e istituzioni solide

L’Agenda Onu per conservare un mondo come luogo vivibile e cercare di migliorarlo

Agenda ONU 2030, il sedicesimo obiettivo è quello della paceSviluppare, ripensare e elaborare pratiche volte a sostenere un modello più sostenibile per nostra madre terra risulta attualmente sempre più necessario.

Un mezzo è stato dato: Agenda ONU 2030 che si sviluppa in 17 obiettivi fondamentali e che costituisce un punto di partenza affinché ognuno di noi si attivi a livello globale per una società più giusta, equa, sostenibile e fondamentalmente priva di guerre e di ingiustizie.

I primi quindici obiettivi di sviluppo contemplati da Agenda Onu 2030 sono tematici come gli oceani, la terra, l’acqua, le malattie, il lavoro, l’energia.

Gli ultimi due obiettivi, e soprattutto quello sulla pace, ci parlano anche di giustizia e istituzioni solide.

E non è un caso. Perché tutti gli obiettivi che ci impegnano per salvare il pianeta, non possono essere realizzati se non sussistono questi tre concetti chiave: pace, giustizia e istituzioni, tra di loro molto collegati.

I vari sottoobiettivi trattano di ridurre le forme di violenza, di eliminare l’abuso, lo sfruttamento, la tortura contro i bambini. Si parla di accesso alla giustizia per tutti. E quello che per noi è scontato non è scontato in molte altre parti del mondo. Per fare questo, occorrono istituzioni efficaci, istituzioni solide, che possono guidare un governo in un equilibrio di armonia e pace. Si parla di coinvolgere i paesi in via di sviluppo; si parla di rinforzare la cooperazione internazionale, di promuovere e far rispettare le leggi e la politica. Questo è il quadro in cui tutti gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile si devono muovere, a pena di non riuscire a realizzarsi e avvicinarsi.

L’obiettivo pace è promuovere società pacifiche e nonviolente per risolvere le povertà, l’origine delle migrazioni e delle guerre dove i futuri scenari di conflitto saranno per il dominio dell’acqua.

Il significato di pace, senza scadere nella retorica, lo declina saggiamente Norberto Bobbio, il quale sosteneva che la parola pace è sempre in una posizione ancillare rispetto al concetto di guerra. La parola pace è sempre in contrapposizione alla parola guerra. Quando parliamo di pace ci soffermiamo sempre molto sul suo contrario. Quindi l’etimologia di pace deriva dal verbo latino pacere e significa accordarsi, da cui pactum, accordo, patto. In questo obiettivo di Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile sussistono indizi che ci consentono di pensare che si può parlare di pace senza ricorrere alla guerra.

Il termine guerra non appare mai nella declaratoria dell’obiettivo Pace e nemmeno nei dieci sottoobiettivi. I due aggettivi che definiscono la società in pace non rinviano necessariamente alla guerra. I due aggettivi sono le società ‘inclusive’, le istituzioni inclusive che richiamano a società aperte e cooperanti. E l’altro aggettivo è ‘pacifico’ che non significa solo senza guerra, richiamando Norberto Bobbio.

Cosa significa tutto questo? Per chiarire occorre partire dal concetto di conflitto, che fin dall’antichità e da sempre è stato considerato un elemento ineliminabile nei rapporti umani. Il conflitto non sarebbe in contrapposizione alla pace. Il vero problema risiede nella risoluzione del conflitto che può essere violenta o pacifica. La risoluzione violenta: di cui l’espressione più alta e peggiore è la guerra.

Insomma la chiave per la costruzione di una società pacifica si risolverebbe nell’individuazione del mezzo con cui risolvere i conflitti e allora riflettere sulla pace partendo dalla pace, significa convincersi che si devono praticare soluzioni nonviolente dei conflitti. E qui cade il riferimento alla giustizia. Non una giustizia armata – anche la guerra è stata definita spesso una sorta di giustizia – bensì una giustizia trasparente, garantita a tutti, come recita l’obiettivo di Agenda Onu 2030, ossia ‘inclusiva’, cioè che utilizzi mezzi e procedimenti nonviolenti e tra questi il diritto è compreso. Bobbio non a caso parlava di pacifismo giuridico. Ma potrei anche richiamare gli arbitrati, le conciliazioni, le mediazioni e risoluzioni a livello internazionale: tutti strumenti pacifici e nonviolenti per risolvere i conflitti. Occorre essere consapevoli che nella soluzione dei conflitti, quasi mai il torto e la ragione sono tutti da una stessa parte o dall’altra. Dobbiamo sapere che esistono più soluzioni e che tra queste alcune tengono presenti e cercano di combinare le ragioni di entrambe le parti. E sono proprio queste che vanno praticate, per non lasciare sul terreno un vinto o un vincitore.

Fondamentale il contributo delle Nazioni Unite alla costituzione a livello mondiale del diritto alla pace e alla giustizia che dal dopoguerra ha visto ancora un susseguirsi di eventi bellici e sanguinosi.

Le Nazioni Unite, anche se troppo ostacolate da interessi economici di nazioni e potenze, sono comunque riuscite con molti limiti a realizzare grandi momenti di giustizia e di pace come il trattato ONU per il disarmo nucleare universale varato a palazzo di vetro a New York nel 2017 che ha portato per la prima volta l’umanità a munirsi di un mezzo giuridico che dichiari criminale il possesso di ordigni nucleari anche al fine della sola deterrenza.

Sviluppare questi punti e obiettivi per il Terzo Millennio può essere l’inizio di un grande riscatto e sussulto di dignità per l’umanità intera.

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Che fare per fronteggiare l’emergenza sanitaria Covid-19?

Coronavirus: emergenza effetto del riscaldamento globale e delle guerre

Che fare per fronteggiare l’emergenza sanitaria Covid-19?

La proposta di realtà e personalità ispirate dalla cultura della Terrestrità e della pace: convertire le spese militari in investimenti per la salute
Laura Tussi19 marzo 2020

Emergenza Coronavirus

Coronavirus: emergenza collegata alla distruzione degli habitat, effetto del riscaldamento globale e delle guerre

Promossa da Alfonso Navarra, Fabrizio Cracolici, Laura Tussi

Con invito ad aderire, sostenere, diffondere

 

Emergenza coronavirus: è chiaro che “dopo” la crisi in cui siamo tragicamente immersi ben poco resterà come “prima”. E noi, i promotori del presente appello, siamo tra quelli che vorremmo un “dopo” di grande cambiamento in direzione positiva, in cui il “prima” – il malsviluppo dell’accumulazione per il profitto e per la potenza che ci ha condotto alla catastrofe – sia consapevolmente abbandonato.
Questo “dopo” dovrebbe incorporare i valori che, praticati “durante”, ci permetteranno di superare nel miglior modo possibile questo difficile momento: dopo anni di chiusure nazionalistiche, di razzismi, di odi e conflitti armati, un senso di solidarietà tra le persone e tra i popoli; dopo l’attacco a tutto ciò che è statale e le privatizzazioni selvagge, una rivalutazione della sfera pubblica e degli interventi programmati da parte governativa; e soprattutto un inizio di consapevolezza della dipendenza e fragilità umana rispetto alle forze della Natura, che deve tradursi in comportamenti individuali e collettivi sobri e prudenti, di rispetto per tutta la comunità dei viventi. L’ecosistema globale sconvolto reagisce e ci attacca con nuovi virus, in attesa di colpi ancora più tremendi che verranno da tempeste, alluvioni, siccità, desertificazione, carestie…
Potremmo ora, edotti dalla drammatica esperienza che stiamo affrontando, finalmente percepire che tutti gli esseri umani, articolati nei vari popoli, sono una unica famiglia che appartiene alla Madre Terra e che, come consigliava Martin Luther King: “Dobbiamo imparare a vivere tutti insieme come fratelli, altrimenti periremo tutti insieme come idioti”.

La componente ecopacifista dell’arcipelago nonviolento, ispirata dai Disarmisti esigenti, membri della Rete ICAN (Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari), premio Nobel per la pace 2017, sulla base di questi presupposti di convivenza e collaborazione pacifica universale, propone che si inizi la conversione del sistema militare anche per sostenere le spese sanitarie urgenti necessarie per sconfiggere l’epidemia in corso, evitando la catastrofe.
L’apparato militare-industriale-fossile-nucleare è la principale causa delle minacce che incombono sull’umanità tutta; minacce tra le quali, aggiungendosi alla disuguaglianza economica e all’oppressione delle donne e dei diversi, si staglia in primo piano l’intreccio pericolosissimo tra minaccia climatica e minaccia nucleare.
E’ necessario, allora, che le risorse pubbliche ad esso destinate comincino a essere dirottate verso un serio “Green New Deal”, una conversione ecologica dell’economia, uno stop all’accumulazione illimitata e un focus sui bisogni umani e di salvaguardia dell’ambiente, realizzante la piena occupazione; un ecosviluppo che vede tra i suoi pilastri anche una sanità pubblica messa in grado di fronteggiare emergenze come quella terribile da coronavirus.

Come richiesta urgente per l’Italia, proponiamo in particolare che le spese militari, a partire da quelle incostituzionali degli F35 e dei sistemi d’arma offensivi, siano dirottate subito verso misure sanitarie a beneficio della vita e della salute dei cittadini.

Reiteriamo la richiesta che l’Italia ratifichi il Trattato di proibizione delle armi nucleari, contribuendo alla sua entrata in vigore. E’ mai possibile – non possiamo non chiederci – che una maggioranza al governo che vota per questo Trattato in Europa poi si sottragga a questo impegno in Italia e permette che si continuino a buttare soldi per mantenere le bombe atomiche americane in Europa (e sul nostro territorio)?

Nel mondo sono in corso varie guerre violente, di cui tre proprio di fronte al nostro balcone mediterraneo: Siria, Yemen e Libia, questa ultima che vede più direttamente implicata l’Italia, a difesa dell’ENI, in intricatissime partite geopolitiche con il petrolio e le altre risorse energetiche come posta principale.
Dal punto di vista dell’epidemia queste guerre potrebbero essere devastanti, come a suo tempo lo fu la famigerata influenza “spagnola”.
Qui citiamo le parole dell’illustre infettivologo Aldo Morrone, direttore del San Gallicano:
“Se ci fosse una vera volontà di contrasto dell’epidemia bisognerebbe partire da un immediato stop alle guerre, da un immediato riconoscimento del diritto alla mobilità dei migranti e dei rifugiati, in sicurezza. Non è una fissazione pacifista ma una necessità scientifica”.

Ascoltiamo queste parole e decidiamo di ritirarci unilateralmente da queste guerre e di revocare le missioni militari all’estero.
Sosteniamo l’alternativa della difesa civile non armata e nonviolenta promuovendo in particolare i corpi civili e le ambasciate di pace.
Orientiamo fondi pubblici verso la riconversione produttiva della industria bellica verso il settore civile: non bombe e cannoni ma, ad esempio, i ventilatori e le attrezzature mediche di cui abbiamo tutti bisogno.
Ricordiamo il celebre adagio del mai dimenticato Presidente partigiano Sandro Pertini: “Si svuotino gli arsenali di guerra portatori di morte, si colmino i granai sorgenti di vita per milioni di persone che soffrono”.

 

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Riflessioni e azioni per nostra Madre Terra

Intervista per un progetto:

Riflessioni e azioni per nostra Madre Terra

L’internazionale della Educazione alla Terrestrità a partire dalla Campagna per l’abolizione delle armi nucleari ICAN
Laura Tussi18 marzo 2020

Progetto Rete Educazione alla Terrestrità

di Fabrizio Cracolici e Laura Tussi,

ANPI sezione Emilio Bacio Capuzzo Nova Milanese (Monza e Brianza)

con l’approvazione di padre Alex Zanotelli

 

La Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari:

ICAN – ha una sua rete in Italia. I Disarmisti Esigenti (www.disarmistiesigenti.org) sono membri di questa rete internazionale che comprende 500 organizzazioni in 100 paesi. La coalizione ha lanciato una proposta in Italia per approfondire ed estendere l’adesione di questa campagna che può ottenere a livello mondiale l’abolizione giuridica delle armi nucleari: un canale video YouTube dal titolo “Siamo tutti premi Nobel per la pace con Ican”.

Si vada su:

https://www.youtube.com/channel/UCFWikKgRr7k21bXHX3GzE9A

 

Una intervista di Alfonso Navarra, portavoce dei Disarmisti esigenti, lancia ora la proposta all’interno di questo canale video dedicato a promuovere ICAN, di una iniziativa molto collegata agli obiettivi e alle finalità della nostra campagna disarmista.

 

Qui trascriviamo il parlato di questa intervista registrata, rinvenibile alla URL:  https://www.youtube.com/watch?v=x1SxjoRDOGc&t=84s

 

“Vogliamo proporre (in questo canale video – ndr) una sezione dedicata all’educazione alla Terrestrità.

Cosa c’entra l’abolizione delle armi nucleari con l’educazione alla terrestrità? Nell’abolizione giuridica delle armi nucleari abbiamo due concetti fondamentali: un rivolgersi a una sfida comune dell’umanità che deve costruire una società di pace attraverso il disarmo; e anche la necessità che questo obiettivo sia riconosciuto all’interno della cornice giuridica internazionale: il diritto internazionale. Quello che Papa Francesco propone come ‘nonviolenza efficace’. La frase di Papa Francesco è “la nonviolenza efficace sono i progressi del diritto internazionale”. Quindi noi eliminiamo una delle principali minacce che pesano sulla testa dell’umanità, cioè la minaccia della guerra nucleare che può scoppiare anche per caso e per errore, attraverso una codificazione del diritto internazionale. Una istanza che libera tutta l’umanità, intesa come insieme, da una minaccia comune. E la libera anche tenendo presente che la minaccia nucleare si intreccia con l’emergenza climatica. L’educazione alla Terrestrità è un nuovo concetto che diamo a questa umanità come famiglia unica. Questa umanità come famiglia unica la vediamo come collegata a un’interconnessione organica con la natura e la madre terra. Quindi Terrestrità. Noi siamo figlie e figli della terra e dell’evoluzione naturale. Da qui lo slogan positivo “Non è la terra, il pianeta, che appartiene all’umanità ma è l’umanità che appartiene alla terra”. E’ un internazionalismo ecologico di tipo nuovo quello che proponiamo che è implicito in quello che porta avanti la campagna per l’abolizione delle armi nucleari. Cioè l’umanità come unica famiglia e parte della natura.

Il fatto che vogliamo che questo concetto sia codificato nel diritto internazionale, che la terra è nostra madre e noi apparteniamo a essa, e non il contrario, significa che anche l’umanità non può essere padrona della terra come bene comune, come proprietà comune e privata, obbliga e impone un diritto, una responsabilità, un dovere all’umanità: il dovere di rispettare l’ecosistema globale e gli ecosistemi particolari. Avere il concetto della Terrestrità, cioè dell’umanità che appartiene alla terra, ha conseguenze pratiche. Ossia fonda culturalmente il dovere dell’umanità di rispettare equilibri ed ecosistemi che hanno una consistenza indipendente e autonoma. È un nostro dovere non alterare questi cicli e equilibri.

Il diritto internazionale deve codificare tutto questo.

Già questo è in nuce. Perché quest’idea non nasce dal nulla, ma è un’idea che cogliamo nello spirito del tempo, nelle lotte di tutti i movimenti alternativi di questi anni: i movimenti ecologisti e ambientalisti, i nuovi movimenti che stanno nascendo sull’onda dell’emergenza climatica. Ma è anche un’idea in nuce in quelle che sono le concezioni, le carte e i trattati che la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite ha approvato.

Vogliamo incardinare nel diritto internazionale un nuovo trattato: il trattato per la proibizione delle armi nucleari che entrerà in vigore quando 50 Stati lo ratificheranno, attualmente siamo a 30 ratifiche.

Ma ci sono tanti altri trattati: la carta della terra, l’agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile, il diritto alla pace, che rientrano in questo spirito che nasce da come la stessa ONU – Organizzazione delle Nazioni Unite ha avuto origine. Figlia del trauma della seconda guerra mondiale, un trauma sanguinosissimo in cui abbiamo visto dove portano i sovranismi e i militarismi concepiti nella loro espressione e concezione più brutale. Da questo trauma, da questi 65 milioni di morti è nata una reazione, sono nati i principi come la dichiarazione universale dei diritti umani, le carte dei diritti sociali e ambientali che possono portare all’idea di un diritto internazionale che fonda una comunità degli Stati che si legittima per il rispetto dei diritti dell’umanità e della natura.

Non la sovranità assoluta degli Stati, che attualmente è un avversario culturale, come i sovranismi, i Trump, i Johnson, i Putin, gli Erdogan, con i loro slogan negativi ossia prima i russi, prima gli americani, prima gli italiani, prima i turchi eccetera. Questo rappresenta lo Stato visto come elemento fondante della regola dei rapporti internazionali che poi diventa diritto della forza degli Stati.

Noi vogliamo invece una comunità internazionale in cui la forza del diritto prevalga sul diritto della forza e che le organizzazioni politiche siano legittimate perché rispondono, devono regolare e attivare quelli che sono i diritti fondamentali e originali, appunto fondativi e istituenti, i diritti dell’uomo già stabiliti nella dichiarazione del 1948, altri diritti sociali, ambientali e quelli nuovi, i diritti delle nuove generazioni, dell’umanità in quanto unica famiglia e i diritti indipendenti della natura da cui nasce il dovere di rispettare gli equilibri: tutti questi diritti vanno codificati. Quindi la legittimità negli Stati non è assoluta. Gli Stati sono organizzazioni che devono essere al servizio dell’attuazione di queste istanze e devono costituire una comunità armonica. Questo il discorso del progetto della ‘nonviolenza efficace’.

È un progetto che significa un’idea da proporre ai popoli del mondo per combattere la visione subculturale che attualmente rischia di portarci alle esperienze vissute nella seconda guerra mondiale.

E’ proprio con le carte dei diritti, con l’idea della costituzione mondiale dell’ONU, che vogliamo perfezionare partendo da queste campagne, i tanti risultati che ha conquistato la società civile. Dunque vogliamo continuare, con l’impegno che prodighiamo in queste istituzioni.

Personalmente ero alla conferenza del 2017 dell’ONU che ha votato il trattato di proibizione delle armi nucleari e ho partecipato alle varie conferenze Cop sul clima. Quindi siamo la società civile internazionale, ma dobbiamo riuscire a mobilitare sulle emergenze nucleari e climatiche i popoli e la gente comune. Si presenta un grande risveglio di mobilitazione e di coscienza. Stanno nascendo movimenti nuovi, di respiro mondiale come Fridays For Future, Extinction Rebellion; sono movimenti che vogliono esprimere una ribellione contro un sistema che ci sta spingendo verso il baratro. Per questo motivo dobbiamo unire questa modifica, questa trasformazione democratica dell’organizzazione sovranazionale del diritto internazionale con la mobilitazione della gente, dei popoli plurali. E per far questo dobbiamo approfondire i vari elementi e argomenti della cultura della Terrestrità; uno è quello della politica, della democrazia internazionale di pace. Ma poi anche il discorso di come organizzare la conversione ecologica del mondo e come l’economia dobbiamo subordinarla alla conversione ecologica. Un’idea è il Green New Deal. Occorre dare concretezza alla conversione ecologica. Sul sole 24 ore: titoloni sui finanzieri che stanno studiando la svolta dell’economia e del capitalismo verde.

Dobbiamo discutere sull’organizzazione dell’economia, subordinata all’ecologia su bisogni e meccanismi completamente diversi. Poi dobbiamo intervenire sul discorso della cultura, nel senso del rapporto dell’oppressione della donna, e come la donna si collega con la rivoluzione culturale della Terrestrità: il femminismo e l’ecofemminismo.

Infine il discorso sulla pedagogia della Terrestrità, della democrazia cognitiva; come andiamo a controllare gli aspetti critici e problematici dello sviluppo scientifico e tecnologico che possono portare a sbocchi negativi. Si parla di transumano e postumano, cioè di schiavizzazione dell’uomo rispetto a logiche meccaniche e macchiniche e agli algoritmi dell’intelligenza artificiale. Quindi non abbiamo soluzioni, vogliamo costruire una rete in cui queste problematiche siano proposte globali e siano discusse e in cui i vari soggetti costituenti che si occupano dalla memoria del passato fino alla nonviolenza, facciano un salto di qualità e discutano di queste problematiche in tale orizzonte globale che è l’unica alternativa all’egemonia culturale del sovranismo militarista che è organizzato e ha slogan negativi e quindi tutti noi dobbiamo rispondere con la forza delle idee”.

***

Noi dell’ANPI di Nova Milanese, tra i costituenti della coalizione dei Disarmisti esigenti, abbiamo deciso di collaborare con entusiasmo e con un apporto autonomo di competenze e di idee a questo progetto cosi’ bene espresso dall’intevista di Alfonso Navarra, che ne è l’ideatore originario ed il primo sviluppatore.

Ricordiamo che tra i Disarmisti esigenti è stato concordato che  la Rete di Educazione alla Terrestrità intende, come primo passo, contrapponendo valori e idee alla deriva sovranista, militarista e “cattivista”, e coordinandosi con la “Carta della Terra UNESCO”, promuovere e valorizzare esperienze formative ed educative riconducibili al valore di una cittadinanza universale in simbiosi con la Natura.

Dopo aver visionato la nostra presentazione video (vedi link sopra indicato https://www.youtube.com/channel/UCFWikKgRr7k21bXHX3GzE9A) e dopo aver dato l’adesione al nostro progetto, possibilmente con un intervento video registrato da parte vostra, proponiamo che il primo atto in cui voi date corpo alla Rete sia, appunto, quello di collaborare alla sezione TV che, come Disarmisti esigenti, abbiamo aperto su YouTube .

Potreste, in aggiunta al vostro breve intervento motivato di adesione, spedirci del materiale video che avete già pronto sulle problematiche che abbiamo tratteggiato (vedi lettera su www.disarmistiesigenti.org); materiale che, a vostro giudizio, ritenete possa rispondere con taglio didattico alla domanda su come oggi si può essere cittadini del mondo per la pace nella società umana e tra la società umana e la Terra.

In seguito, possiamo e dobbiamo pensare insieme altri passi successivi. Nella consapevolezza che abbiamo da rimboccarci le maniche per aprire il confronto, per offrire varie e plurali declinazioni del progetto della terrestrità e dei percorsi culturali che possano farla crescere: visione comune in grado di orientare la convergenza dei movimenti alternativi al sistema antropocida ed ecocida che ci sta conducendo alla barbarie e verso il baratro.

 

Il nostro contributo originale e specifico di “partigiani dell’ANPI” alla elaborazione culturale implicata dal progetto intende svolgersi lungo due direttrici:

  • la memoria dei movimenti storici che hanno creato le basi culturali in nuce della terrestrità (basterebbe citare Edgar Morin e Stéphane Hessel ed il loro ruolo nella resistenza europea antifascista)
  • L’impegno pedagogico di tipo nuovo che deve rispondere alla domanda: come formare i “cittadini della Terra”?

Vale a dire: come concretizzare la terrestrità in istituzioni e pratiche didattiche nuove? E come influenzare le istituzioni educative attuali perché siano contagiate (in senso buono!) dalla cultura della pace del XXI secolo?

Non abbiamo le risposte gia’ belle e pronte e per questo motivo contatteremo i centri culturali che sentiamo affini e sensibili in questo nostro desiderio di ricerca, di approfondimento, di sperimentazione.

Contattare: coordinamentodisarmisti@gmail.com cell. 340-0736871 www.disarmistiesigenti.org

Note: Nota: Abbiamo telefonato a padre Alex Zanotelli e ci ha riferito la sua totale adesione ai contenuti di questa presentazione ufficiale del Progetto Educazione alla Terrestrità