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Francesco Piobbichi, il disegnatore sociale che mette la sua arte al servizio delle persone migranti

di LAURA TUSSI

Dall’Umbria a Lampedusa, la vita di Francesco Piobbichi segue un filo rosso: quello dei diritti degli “invisibili”, delle persone di cui si parla solo quando un telo bianco ne copre il corpo o la loro baracca brucia. Attraverso la sua arte, Francesco dà voce a loro, raccontando le loro storie e sostenendoli attivamente nell’affermazione dei loro diritti.

«Se fossi nato in questo periodo negli Usa, mi avrebbero dato il Ritalin per calmarmi dato che sono iperattivo, invece una maestra intelligente mi diede dei colori per disegnare mentre lei faceva lezione: aveva notato che il disegno era un modo per concentrarmi ed ascoltare le sue spiegazioni».

Francesco Piobbichi ha iniziato a disegnare alle elementari e da allora non ha più smesso. Oggi è un “disegnatore sociale” e lavora come operatore per il progetto Mediterranean Hope della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia. Fra i suoi lavori, gli ultimi sono Mediterranean Hope e Fuori dal buio (Edizioni Cronache Ribelli), testi in cui Piobbichi racconta attraverso i suoi tratti il dramma dei profughi che attraversano il Mediterraneo.

Come hai posto il disegno nel mondo dell’impegno sociale e soprattutto per salvare” gli ultimi e i più fragili del pianeta provenienti dal mare?

Il disegno è parte della mia vita e quindi lo uso come parte del mio linguaggio. In politica e nelle pratiche sociali. Nel mio percorso di vita ho capito che dovevo legare il tema del disegno alla pratica sociale, supportarla come racconto e memoria, mettendo la dimensione artistica a valore per sostenerla. L’inverso di quello che avviene oggi, che la comunicazione estrae il racconto sociale, lo saccheggia per venderlo nel mercato delle emozioni o della pornografia del dolore senza mai restituire nulla.

In che modo il lavoro in frontiera ha motivato e ispirato la tua arte?

Il lavoro in frontiera mi ha permesso di trovare uno sfondo per i miei disegni, la cornice e lo scenario dentro i quali si sono collocate le storie, storie che poi racconto in giro per l’Italia da anni, proiettando i disegni dietro le mie spalle come facevano i cantastorie dei subalterni nella Sicilia degli anni ’50. 

Lampedusa. Il luogo che ha dato vita e sfogo a questa tua ispirazione.

Lampedusa è stato il luogo che più mi ha forgiato in questo senso, perché ho cercato di mettere a disposizione la dimensione artistica per provare a costruire una pratica di racconto decolonizzato, che tenesse prima di tutto in mente il tema del rispetto delle persone che finiscono negli obbiettivi i cui volti spesso vengono esposti senza nessun riguardo. Il disegno mi ha permesso in qualche modo di proteggerli pur dovendo raccontare i segni che la frontiera gli ha lasciato sul corpo e l’anima. 

Segnare il dire dei senza voce e dei senza nome sprofondati nell’abisso: così è nato il tuo libro Disegni dalla frontiera.

È un libro che si è formato approdo dopo approdo mentre portavamo acqua e thè al molo Favaloro. Storia dopo storia ho messo insieme tavole che provano a raccontare la tensione tra i colori di un’isola tra le più belle del mediterraneo e la violenza delle frontiere occidentali, tra gli insulti razzisti che ricevevamo e i processi di solidarietà e accoglienza dal basso che vedevamo attorno a noi. 

In questi disegni ritrai molti sentimenti forti come rabbia e amore. Li stessi che porti con te nei racconti.

Ho sempre pensato che davanti al Genocidio che gli stati occidentali sviluppano con le loro politiche di morte alle frontiere, con la loro propaganda di odio con la quale avvelenano la società, che si dovesse innanzitutto opporsi in tutti i modi, senza tregua. 

Così recuperi i segni di questa violenza nelle storie altrimenti dimenticate?

È con questo spirito che ho collaborato insieme ai custodi e alle custodi del cimitero di Lampedusa alla sistemazione delle lapidi. Lapidi di persone che riposano in collera, martiri della libertà uccisi dall’indifferenza usata come arma. 

Dovevi davvero parlare di quel mare spinato che disumanizza la memoria dei morti e degrada i diritti e la dignità dei vivi

Dovevo rendere visibile quella maledizione che chi sopravvive ad esso si porta addosso per tutta la vita, come se la frontiera si attaccasse sulla pelle. Quando arrivavano i giornalisti e ci facevano le interviste davanti al molo Favaloro per costruire l’ennesima campagna per spaventare la popolazione europea, noi li abbiamo invitati spesso a vedere quale era la vera emergenza. Abbiamo proposto di  intervistare le lapidi dei morti, in mare o per effetto della violenza che avevano subito in Libia. Piume di libertà avvolte da filo spinato, persone senza nome che grazie a quelle immagini diventano simboli di martiri della libertà di movimento

Queste lapidi dicono che l’emergenza non è quando arrivano migliaia di persone vive sull’isola di Lampedusa, ma le migliaia di morti in fondo al mare e nei lager.

Alla cancellazione delle prove ci siamo opposti in pochi e poche devo dire, riuscendo però a lasciare un segno, una pratica collettiva di racconto che parla e denuncia. Una delle poche cose che son contento di aver fatto in vita mia è sicuramente quella di essere stato parte di una narrazione collettiva che ha contribuito a tutto questo e continuerà a produrre memoria viva.  

Fuori dal buio invece è l’ultimo lavoro che hai realizzato. E perde completamente i colori, quasi a voler significare che una volta entrati dentro la fortezza occidentale i migranti sono ombre che si muovono sul nero?

Un muro nero che non fa passare luce, la luce dei diritti e dell’uguaglianza. Disegnare con il bianco sul nero per me ha voluto dire mettere in chiaro le cose. Se i disegni della frontiera erano una tensione tra il colore del mediterraneo e la violenza della frontiera,  quelli in bianco e nero di Fuori dal Buio ci parlano di ombre e luce, di oblio e riscatto. Sono nati le sere d’inverno quando tornavamo dalla visita alla tendopoli di San Ferdinando, dai ghetti dei braccianti della piano di Gioia Tauro. 

Fuori dal buio è il nome del progetto che avete fatto in questi anni distribuendo giacchetti con dispositivi catarifrangenti e luci per le biciclette per i lavoratori braccianti?

Sì. Per ridurre il rischio di essere investiti in strade senza luci quando tornano da lavorare. Da quel progetto è nato Dambe so, l’ostello sociale che con l’aiuto di Sos Rosarno e la cooperativa Mani a terra riesce a dare accoglienza degna a circa 50/60 braccianti durante la stagione invernale della raccolta agrumicola. Questa era una cosa che avevo in testa di fare da una decina di anni, da quando insieme  alle Brigate della solidarietà attiva e Finis Terrae contribuimmo allo scoppio del primo sciopero autorganizzato dei braccianti di Nardò, che racconto in un altro libro di disegni: Sulla Dannata Terra.

Fuori dal Buio è un libro nato quasi per caso?

Ero a Perugia e feci vedere le mie tavole a Matteo Minelli di Cronache ribelli, che decise di montarle in un libro. La Piana di Gioia Tauro è un luogo nel quale i braccianti subiscono una violenza che nel corso del tempo ha assunto varie forme. Dagli omicidi diretti dei lavoratori, a quelli provocati dalle politiche di razializzazione della forza lavoro.

I braccianti sono morti con un colpo di fucile in testa come è successo a Soumaila Sacko, bruciati nelle baracche come Becky Moses, investiti mentre tornavano dal lavoro come Gora Gassama, di freddo come Dominic Man Addiah. Sono decine e decine. Li vediamo e parliamo di loro solo quando un telo bianco ne copre il corpo, solo quando una baracca brucia, altrimenti restano invisibili a vita. 

Mediterranean Hope, il progetto della Fcei che ti permette di fare questo lavoro, è stato un aiuto fondamentale per costruire Dambe so. So che è una sorta di piccola rivoluzione.

Sì. Perché dimostra che le cose si possono fare. Dimostra che i lavoratori braccianti possono avere una casa e non un container, che possono vivere in città e non in luoghi confinati, che possono avere la libertà e la dignità. Dimostra che l’utilizzo ecosociale della terra è possibile, che tagliando la GDO si può alimentare un processo economico di mutuo appoggio che sostiene pratiche come la nostra. 

Una delle poche cose che son contento di aver fatto in vita mia è sicuramente quella di essere stato parte di una narrazione collettiva

Oltre a tutto questo, Fuori dal buio è un libro di denuncia diretta allo strapotere della Grande Distribuzione Organizzata?

Certamente. I cui attori, dopo aver centralizzato i processi di acquisto, operano come monopolisti sui prezzi, importando da fuori Europa prodotti a bassissimo costo e ricattando gli agricoltori su prezzi al ribasso che a loro volta sfruttano i braccianti.

Assieme a diversi attori che lavorano nella Piana di Gioia Tauro state costruendo un modello di accoglienza diffuso contro il modello dei campi e state provando a costruire una proposta?

Sì. Fuori dal Buio si conclude con una frase per me molto importante: “Verrà il giorno del riscatto, per noi e le nostre terre colonizzate”. La frase è accompagnata dall’immagine di un pugno che accende luce nell’oscurità e brucia la frontiera dell’ingiustizia. È una immagine che restituisce la potenza a questi lavoratori che sfidano un lungo viaggio per porre un tema che nessuno vuole affrontare.

Quello del diritto alla mobilità per tutte e tutti. Oggi viviamo in un pianeta dove possono viaggiare solo i ricchi e chi ha la fortuna di nascere in occidente; il diritto alla mobilità globale è una rivendicazione visionaria, ma potente. Come lo era rivendicare le 8 ore nei secoli scorsi, come lo era tirar via i fanciulli dalle fabbriche.

Anche sul sito dell’Associazione Italia che cambia

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Bibliografia essenziale:

  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altr*
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Una lettera collettiva del pacifismo contro i potenti del mondo e contro chi vuole ‘dialogare’ con il sistema di guerra

di Laura Tussi

Lettera al C7 da parte di importanti Pacifisti

https://www.peacelink.it/zanotelli/a/50096.html

L’organismo pseudodialogico e non costruttivo del C7 che incontra l’economia di guerra e il sistema bellicista del vertice G7

Al fine di impostare un ‘dialogo’ non certo costruttivo, ma sedicente tale, con il G7 è stato organizzato un organismo di “rappresentanza della società civile globale”, denominato C7. In contrasto, vari rappresentanti del mondo del pacifismo e del movimento ecologista e ecopacifista hanno scritto una lettera collettiva dove sono ampliamenti criticati e contestati i metodi poco trasparenti o meglio per nulla limpidi con cui si è mosso questo organismo in confronto con il G7, ossia il C7, che propone i contenuti della “proposta costruttiva” al G7 fondato su una macabra e terrificante economia di guerra.

La necessità di un fronte ampio pacifista e anche nonviolento in opposizione alla propaganda guerresca e alla mentalità militarista

Tramite un dialogo e un confronto politico e dialettico autentico e inclusivo tra varie parti e partiti che sono in modo vero e autentico contro la guerra e contro l’invio di armi nei paesi belligeranti è necessario fare emergere e valorizzare la fondamentale ricchezza e creatività del dialogo per la pace. Una conversazione aperta a più attori sociali della cittadinanza attiva e civile per sviluppare vari contenuti di idee contro i conflitti armati e in contrasto con tutte le guerre in atto imposte dalle superpotenze e dalla Nato e dagli Stati Uniti. Un movimento pacifista unitario e anche, perché no, partitico e di ampio raggio e vasta intesa di vedute che abbia le sue fondamenta nella società civile pacifista e solidale.

Una lettera collettiva dei nomi più celebri del pacifismo contro il costrutto ‘diabolico’ del vertice G7

La lettera collettiva del movimento pacifista e ecopacifista si dichiara contraria ai metodi del C7 e  con preoccupazione e rammarico, si rivolge al coordinamento di associazioni C7, che ha il proposito poco trasparente di rappresentare la società civile e tutta la cittadinanza attiva per la pace al G7. Nella lettera di contrasto ai potenti del mondo e a chi è in dialogo con loro, il movimento pacifista e i suoi più fulgidi esponenti dichiarano e sostengono che questo coordinamento C7, che si confronta con il G7, non risulta affatto rappresentativo dell’impegno contro la guerra e non si fa promotore contestualmente delle idee e delle istanze ideali della società civile e della cittadinanza attiva che si impegna e si sacrifica e si spende anche con la tipica scarsità di mezzi e risorse per la pace e i diritti umani globali e universali.

La necessità di non delegittimare tutte le realtà della società civile a favore del bene e della pace

I nostri veri pacifisti nella lettera dichiarano: “Riteniamo che la sua pretesa di rappresentanza dell’intero panorama del movimento ecopacifista e solidale di fronte al raduno delle grandi potenze mondiali rischi di produrre una involontaria delegittimazione di quelle realtà che vogliono invece criticare alla radice il G7 come centro del potere economico e militare occidentale”.

Il C7 omette il forte contrasto del mondo pacifista contro l’invio di armi in Ucraina e in Israele

Infatti il movimento degli autentici pacifisti risulta fortemente perplesso e attonito rispetto e nei confronti delle dichiarazioni testuali elaborate da questo coordinamento C7 e per l’impostazione e la struttura marginale e superficiale con cui vengono trattate le tematiche del contrasto alla guerra e dell’attivismo per il disarmo, “omettendo il forte dissenso dei pacifisti contro l’invio di armi in Israele e Ucraina”.

Una lettera collettiva dei pacifisti, trasparente, onesta e limpida contro i fautori delle guerre

Questo confronto con le potenze del G7 è stato privo di un processo partecipativo aperto e trasparente e chiarificatore rispetto ai temi della pace in tutti i suoi risvolti e nella sua complessità e assolutamente non rispecchia la molteplicità di voci e le diverse istanze che compongono la società civile e la partecipazione popolare dal basso di matrice pacifista.

“Il documento del C7 è volutamente non conflittuale con il G7 e infatti auspica un ‘dialogo costruttivo'” sostengono i promotori della lettera collettiva.

Per evitare illusioni distorte della realtà imposte dai fautori della guerra

Attendersi che, consegnando un documento “costruttivo”, i G7 promuovano la pace e il disarmo è una autentica illusione distorta e non attendibile e di scarsa fiducia e sicurezza, una autentica discrasia di impostazione di pensiero e di intelletto. Queste potenze possono fomentare una situazione in cui tutta l’umanità nel suo complesso si troverà sul crinale del baratro militare e dell’escalation nucleare della terza guerra mondiale.

Una lettera per dare voce e coraggio alla sincera volontà pacifista che parte dal popolo e dagli ‘artigiani della pace’

Con questa lettera collettiva del pacifismo si vuole dare voce e coraggio e intensità alla sentita e sincera volontà popolare che vuole contestare radicalmente e risolutivamente e in modalità nonviolenta le politiche di riarmo e guerrafondaie che impongono in modo antidemocratico le guerre tramite il pensiero neoliberista che oggi incarna la volontà del suprematismo di matrice fascista e del fascismo tout court, dell’odio, della xenofobia, della violenza e sostanzialmente di un futuro irrimediabilmente prossimo di guerra, di massacri, stragi, terrorismo.

Una lettera collettiva per contrastare il clima di odio e violenza che ci vuole portare all’escalation nucleare

Con questa lettera collettiva dai contenuti dialetticamente pacifisti si vuole contestare in modo convinto e vero una escalation scellerata che spingerà l’umanità verso l’ultima guerra mondiale: la guerra nucleare che secondo il “Bulletin of Atomic Scientists” non è mai stata così vicina e prossima nella storia del genere umano, nemmeno negli anni della guerra fredda.


Il G7 è un sistema retrivo e reazionario e non può sussistere un ‘dialogo costruttivo’ con questa realtà verticistica

E’ assurdo confidare in un “dialogo costruttivo” con il G7 che è precisamente e senza mezzi termini un sistema reazionario e retrivo che vuole depistare e distogliere e dislocare l’attenzione e la concentrazione della società civile dalla pericolosa deriva militarista e bellicista e guerrafondaia di estremo riarmo, con un piano spaventoso militarista verso la rincorsa agli armamenti anche nucleari di cui si fa promotore il G7, a cui va pertanto tolto ogni affidamento e affidabilità di azione e di sostegno.

“Il G7 è la controparte, pericolosa e foriera di guerra ancora peggiore, non il partner con cui dialogare. Il G7 è sostanzialmente la Nato allargata fino al Giappone in funzione anti-Cina”.

L’organizzazione del C7 che vuole dialogare con il G7 non può e non deve rappresentare l’intera società civile

Inoltre è da respingere la posizione per cui un gruppo di associazioni possa avere la facoltà di rappresentare l’intera società civile. Riteniamo che la ricerca di un dialogo velleitario con il G7 possa mettere in ombra e persino in cattiva luce i movimenti pacifisti e nonviolenti di base che si impegnano nell’attivismo per la pace e a favore della giustizia sociale, a cui guardano tanti giovani per trovare risposte alla loro rabbia e al loro sentito e chiaro dissenso e volontà di ribellione allo status quo.

su FARO DI ROMA: https://www.farodiroma.it/?s=laura+tussi

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Bibliografia essenziale:

  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altr*
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Vittorio Agnoletto: Il disagio psichico e i tagli allo Stato Sociale. La situazione dei servizi psichiatrici. La rivoluzione disattesa nel centenario della nascita di Basaglia 

INTERVISTA E CONVERSAZIONE CON VITTORIO AGNOLETTO

I tagli alla sanità, il disagio psicologico crescente (soprattutto da dopo la pandemia), il calvario che spesso le persone con esigenze specifiche (anziani, bambini, persone con disabilità) sono costrette ad attraversare. Il tutto a cent’anni esatti dalla nascita di Franco Basaglia.

Laura Tussi ha intervistato per noi Vittorio Agnoletto, qui sotto trovate le corpose e interessanti riflessioni scaturite sulla situazione della sanità in Italia, in particolare rispetto al disagio psichico: https://shorturl.at/tuDjs

di LAURA TUSSI

Introduzione:

VITTORIO AGNOLETTO

Attualmente assistiamo a varie discrasie e sperequazioni sociali con i molteplici tagli allo Stato sociale, alla sanità, in genere ai servizi sanitari, con la riduzione del reddito di cittadinanza e la mancanza di tutele sui luoghi di lavoro, anche per gli ingenti investimenti in armi e in guerre, e ancora varie pressioni lavorative e molteplici manifestazioni di mobbing. Per non parlare dei risvolti delle guerre in atto, con i tagli al welfare per gli investimenti in armamenti, e delle varie pandemie e le loro ripercussioni sull’immaginario collettivo.

Tutti fattori che incidono oltre che sul benessere fisico delle persone anche e soprattutto sull’assetto psichico del soggetto coinvolto. Aumento di nevrosi, di psicosi, di spunti depressivi, di sintomi ansiogeni, di stati paranoici di ogni sorta. 

Come è possibile far fronte a tutto questo? Basaglia con la sua rivoluzione dettata dalla legge 180 voleva che il disagio psichico e psichiatrico venisse incanalato, accolto e curato in una serie di strutture psico-sociali sul territorio, ad esempio i Centri di salute mentale per adulti (che hanno una differente denominazione nelle varie Regioni, in Lombardia CPS Centro Psico Sociali) e le Uonpia (Unità Operativa Neuropsichiatria Psicologia Infanzia Adolescenza), i Centri Diurni e le varie tipologie di Comunità. Quale l’evoluzione della legge 180 e della riforma e rivoluzione di Basaglia che ha portato a una grande emancipazione e conquista sociale ossia alla chiusura dei manicomi? 

Come si manifesta oggi il disagio mentale? Qual è lo stato attuale delle Uonpia e dei Centri di Salute Mentale?

A quali operatori, medici e servizi è necessario rivolgersi in caso dell’insorgere di un disturbo psichico e psichiatrico e soprattutto come è possibile conoscerne i sintomi?

Vittorio Agnoletto – medico, docente e attivista – ci accompagna in un viaggio abbastanza tormentato fra i meandri della sanità italiana, in particolare quella che si occupa di disturbi psicologici e psichiatrici. L’occasione è il centenario della nascita di Franco Basaglia, fautore di una grande rivoluzione i cui frutti però rischiano di essere dispersi da una politica sanitaria che negli ultimi anni ha visto quasi solo tagli di fondi e di servizi.

Con la sua rivoluzione dettata dalla legge 180, Franco Basaglia aveva l’obiettivo di far sì che il disagio psichico e psichiatrico venisse incanalato, accolto e curato in una serie di strutture psico-sociali sul territorio, come i centri di salute mentale per adulti – che hanno una differente denominazione nelle varie Regioni –, le UONPIA – Unità Operativa Neuropsichiatria Psicologia Infanzia Adolescenza –, i Centri Diurni e le varie tipologie di Comunità.

La conversazione con Vittorio Agnoletto

Ma qual è stata negli anni l’evoluzione della legge 180, della riforma e della rivoluzione di Basaglia che ha portato alla grande emancipazione e conquista social della chiusura dei manicomi? Come si manifesta oggi il disagio mentale? Qual è lo stato attuale delle UONPIA e dei Centri di Salute Mentale? Queste e molte altre domande abbiamo rivolto a Vittorio Agnoletto, con il quale abbiamo condotto una lunga chiacchierata per capire, a un secolo dalla nascita di Basaglia, qual è la situazione attuale in Italia e quali le possibili soluzioni alle criticità presenti.

A quali operatori, medici e servizi è necessario rivolgersi in caso dell’insorgere di un disturbo psichico e psichiatrico e soprattutto come è possibile conoscerne i sintomi?

Purtroppo in questo momento stiamo assistendo a un aumento molto forte di persone che vivono condizioni di forte disagio psicologico che non raramente può evolvere in una patologia psichiatrica. Questo aumento dei disturbi psicologici potremmo anche definirlo come aumento della fatica di vivere. Di questo parliamo. È una diretta conseguenza di quello che è avvenuto e che sta avvenendo negli ultimi anni. Gli anni della pandemia con tutto quello che hanno comportato: pensiamo ai lockdown e quindi a come è cambiata completamente la vita quotidiana. Come è crollato il livello di socializzazione. Quante persone si sono trovate a vivere situazioni di solitudine o di coabitazione e coesistenza obbligata per periodi lunghi.

Per esempio, una delle conseguenze è stata la forte tensione che ha segnato in molti casi la vita di coppia, con persone che avrebbero voluto avere degli spazi propri, anche di solitudine e invece erano obbligate a convivere nella stessa casa 24 ore al giorno. Questione centrale, questa mancanza di spazi di autonomia. Così come la repentina riduzione delle relazioni e degli spazi di socializzazione ha avuto una ricaduta pesante sulla psicologia delle persone. Ma è subentrato anche un altro elemento che è stato indagato pochissimo e cioè la pandemia ci trasmetteva anche la paura del contatto con l’altro.

L’altra persona era vissuta e rappresentata come colui o colei che poteva trasmetterci un’infezione mortale; questo favoriva un senso di timore, di paura, verso gli altri. Questa condizione di vita ha avuto molte conseguenze che ovviamente sono ricadute principalmente sulle persone più deboli e più fragili. Ci sono fior di studi, per esempio uno realizzato dall’Università di Trento, che mostrano come le donne abbiano pagato pesantemente questa situazione; come siano aumentate le violenze dentro casa senza possibilità di avere vie di scampo di fronte alla degenerazione e alla rottura dei rapporti di coppia. 

Chi ha fatto maggiormente le spese di questa situazione?

Questo disagio l’hanno pagato maggiormente le persone più fragili da un punto di vista fisico e/o psicologico. Per esempio, ho visto le conseguenze nella vita di persone con disabilità che frequentavano dei centri diurni e che da un momento all’altro si sono ritrovate nel mezzo di un vuoto fisico e relazionale, rinchiuse in casa; anche i loro genitori e fratelli sono stati obbligati a loro volta a forme di coabitazione difficile da reggere sul piano psicologico e talvolta anche fisico, per l’assistenza pratica necessaria. Tutta la famiglia è diventata “caregiver” del soggetto con disabilità. 

Pensiamo cosa ha voluto dire per gli anziani non poter frequentare i loro centri di ritrovo o alle persone con Alzheimer e demenza senile che frequentavano centri diurni che da un giorno all’altro sono stati chiusi e al carico che è piombato sui loro familiari; pensiamo a quelli isolati  nelle RSA , dove per lungo tempo non hanno potuto  ricevere visite dei famigliari.

Ma le più grandi vittime di questa situazione sono stati i minori. Sono tantissimi i bambini e gli adolescenti, che alla fine della pandemia, quando è stato possibile tornare a frequentare i parchi, i giardini e le squadre sportive, avevano timore di uscire e di ritrovarsi con gli altri. Conosco diversi bambini e figli anche di amici e conoscenti, che non volevano più frequentare luoghi con tante persone e fuggivano dai luoghi affollati. 

Parliamo un attimo delle giovani generazioni: qual è la loro condizione oggi?

Questa è la generazione dei social e dei videogiochi; è inutile negare che internet durante la pandemia sia stato anche d’aiuto nel permettere ai ragazzini di socializzare a distanza coi coetanei. Ma finita la fase acuta della pandemia internet e i social sono diventati anche degli ambiti dove rifugiarsi, sfuggendo la realtà quotidiana. Non dimentichiamoci che la scuola non svolge solo un ruolo legato all’istruzione, ma è anche l’ambiente prioritario di socializzazione, di conoscenza e di contatto con l’altro. Per i bambini il contatto è assolutamente essenziale per scoprire il mondo circostante e per conoscere gli amici. 

Alla pandemia è subentrata la guerra e poi le guerre, che hanno suscitato altri immaginari di paura e di terrore. Ma anche e soprattutto immaginari di incertezza. L’incertezza del futuro spaventa tutti, ma in particolar modo coloro che hanno dentro di sé la potenzialità, ma anche il desiderio e il diritto di progettare la propria esistenza, che è ancora tutta o quasi da costruire. Dopo una pandemia e nel persistente clima di guerra e di investimenti in armi a discapito dello stato sociale, la capacità di progettare e di immaginarsi una prospettiva positiva di futuro diventa molto molto difficile. 

Che mondo è quello in cui stanno facendo il loro ingresso le nuove generazioni?

I media che ci stanno intorno continuano a mandare messaggi sintonizzati sulla relazione amico-nemico e la relazione amico-nemico significa che qualcuno ti deve difendere e che qualcuno potenzialmente ti può fare del male. La mia generazione e quella precedente hanno vissuto in un’epoca totalmente diversa: finita la Seconda Guerra mondiale, erano state fondate varie istituzioni internazionali, dall’ONU all’OMS, per evitare che il nostro futuro precipitasse nel passato verso altre guerre. Poi ci sono state le speranze degli anni ’70, le grandi conquiste sociali e l’idea che mai e poi mai avremmo potuto essere coinvolti in una guerra atomica. 

Stringiamo il cerchio e vediamo cosa sta succedendo in Italia.

In Italia oggi stiamo assistendo a un incessante taglio dei servizi, ma prima ancora delle tutele sociali. Pensiamo alla riduzione del welfare, al taglio del reddito di cittadinanza, alla riduzione della spesa pubblica mentre il costo della vita aumenta enormemente come conseguenza della pandemia e della spesa militare. I salari non aumentano come aumenta l’inflazione. Le pensioni non aumentano come aumenta il costo della vita.

Cresce il numero di persone che non riesce ad arrivare a fine mese e saltano i confini tra la povertà del disoccupato e la sicurezza dell’occupato; infatti, a causa dei bassi stipendi e della crescita dell’inflazione e del costo della vita, abbiamo un numero sempre maggiore di persone che, pur lavorando, vivono comunque una condizione di povertà.  Questa è la situazione attuale. Tu mi chiedi cosa si dovrebbe fare? Ovviamente non ho una risposta complessiva.

Riesci a immaginare qualche possibile soluzione?

Certamente sarebbe necessario un grande investimento nel sociale e nel sanitario per cercare di dare una risposta alle tante forme di disagio che sono cresciute in questi ultimi anni. Qui subentra una riflessione interessante: quanto più si investe nelle politiche sociali, verso le fasce di popolazione più deboli, tantomeno poi sarai obbligato a investire nel sanitario. Se fai funzionare i servizi, moltiplichi i luoghi di ritrovo, sviluppi lavori socialmente utili, contestualmente riduci la miseria, la sofferenza, la solitudine e quindi il disagio psico-sociale e anche la malattia. Questo è stato quello che ci hanno fatto credere quando, in risposta alla pandemia è nato il PNRR che doveva essere un grande investimento, la risposta dello Stato sociale alla pandemia. 

Su 193 miliardi che dovrebbero arrivare in Italia dal PNRR, solo 15 erano stati destinati al settore socio-sanitario! Come se non fosse già questa una presa in giro, il governo ha tagliato altri 2 miliardi tra riduzione del numero delle Case e degli Ospedali di Comunità e mancata ristrutturazione degli ospedali esistenti. Di tutti i soldi del PNRR solo il 7% sarà destinato alla sanità. Questo avviene dopo che negli ultimi due decenni sono stati tagliati 37 miliardi tra mancato finanziamento e non adeguamento del budget all’inflazione. E adesso il finanziamento pubblico alla sanità è attorno al 6,3% del PIL e le previsioni per il 2026 sono di arrivare tra 6,1 e 6,2.

Altri paesi europei arrivano al 9%. L’Italia spende in sanità per ogni persona la metà di quello che spende la Germania e poco di più della metà di quello che spende la Francia. Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito ad una penetrazione sempre più forte del privato nel Servizio Sanitario Nazionale e il privato investe solo nei settori dai quali può trarre significativi profitti; e certamente, non otterrebbe grandi profitti da interventi finalizzati a ridurre il disagio psicosociale. 

In che modo queste scelte politico-economiche si ripercuotono sulla quotidianità delle persone?

Aumenta il manifestarsi della malattia psichiatrica e del disagio sociale e contemporaneamente diminuiscono fortemente i servizi. I CPS – Centri Psico Sociali, i Centri di Salute Mentale, sono ridotti ai minimi termini. Questi servizi, come altri, dovrebbero prevedere al loro interno diverse figure professionali: medici, psichiatri, psicologi, assistenti sociali, infermieri, educatori… Al contrario ci troviamo di fronte addirittura a CPS che rimangono senza psichiatri, o che passano da otto o nove a solo due o tre.

Quando il numero di psichiatri, e più in generale del personale, è insufficiente, cambia la modalità di relazionarsi con gli utenti e si riducono in modo drammatico le opportunità terapeutiche disponibili. Se non vi è il personale per poter fornire una psicoterapia, gestire i gruppi di auto aiuto, se non si è in grado di gestire i centri diurni, la cosa più facile, e talvolta l’unica possibile, è somministrare terapie prettamente farmacologiche ansiolitiche, sedative e di contenimento. Oltretutto in ambito psichiatrico la continuità terapeutica – quindi la relazione medico-paziente – è fondamentale, direi che è più importante che in altri ambiti della medicina. 

Questa situazione diventa ancora più pesante per i minori, bambini e adolescenti. Sono stato contattato, attraverso 37e2, da famiglie che erano disperate perché non c’era un letto in un reparto dove ricoverare il figlio. Un collega, pediatra neonatologo, mi raccontava che nel suo reparto era stata ricoverata una ragazzina di 14 anni che aveva compiuto atti autolesionistici. Ricoverata in reparto insieme a bambini di uno o due anni. 

Sarebbe necessario un grande investimento nel sociale e nel sanitario per cercare di dare una risposta alle tante forme di disagio che sono cresciute

Ma sono anche stato contattato da genitori che protestavano per il figlio sedicenne ricoverato in reparti psichiatrici per adulti. Sono pochissimi i reparti di neuropsichiatria dedicati ai minori fino ai 18 anni con significative problematiche psichiatriche e/o con gravi disturbi di personalità in una fase molto delicata della loro esistenza. Tutto questo proprio mentre tra i minori sono in significativo aumento varie manifestazioni di disagio, come conseguenza della pandemia e del contesto sociale. Pensiamo all’anoressia. Qualcuno ha idea di quali sono i tempi di attesa perché un ragazzo e una ragazza, soprattutto le ragazze in questo caso, riescano a essere presi in carico da un servizio pubblico? Spesso il giovane e la famiglia sono totalmente abbandonati a sé stessi. 

Parliamo ora dei più piccoli. Posso portare esempi. Una mamma aveva bisogno che una UONPIA, che è l’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, certificasse la condizione del figlio per poter avere a scuola l’insegnante di sostegno. Questa mamma ha presentato la domanda all’UONPIA a marzo della prima media e la visita è stata fissata un anno e mezzo dopo. Solo a quel punto il ragazzo ha potuto avere l’insegnante di sostegno, ma nel frattempo erano trascorsi due anni scolastici; questo ritardo influisce sullo sviluppo di quel ragazzino, sul formarsi della sua personalità e non solo sull’ apprendimento, ma anche, per fare un esempio, sulla stima e disistima verso sé stesso. 

Un altro tema scottante è la gestione di persone, soprattutto minori, con disturbi specifici.

A questo proposito c’è un’altra cosa che trovo veramente inaccettabile e che coinvolge molte regioni italiane che si ritrovano con un alto numero di richieste di presa in carico di minori per situazioni gravi, ad esempio per l’aumento dei tanti casi che rientrano nello spettro dell’autismo, che non è più solo l’autismo così com’era definito precedentemente, ma che comprende differenti quadri clinici di diversa complessità.

Di fronte a questa situazione alcune regioni hanno stabilito che le UONPIA, a corto di personale, debbano dare la precedenza alle situazioni più gravi e che, di conseguenza, la certificazione di DSA, che sono i Disturbi Specifici dell’Apprendimento, possa essere rilasciata anche da strutture private che, per la presenza di varie figure professionali e di competenze specifiche, vengono inserite dalla regione in specifici elenchi. In una situazione di emergenza e per una fase transitoria, questa soluzione può essere anche comprensibile. Ma…

L’Uonpia e la gestione dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento

Piccolo particolare. La certificazione di DSA da parte di queste strutture private è a pagamento. Riassumiamo: la regione, attraverso i suoi servizi pubblici, non riesce a garantire la certificazione di DSA ai ragazzini perché deve dare la precedenza a patologie più gravi e delega questa attestazione sanitaria a strutture private indicate dalla stessa regione, ma le famiglie devono pagare 400 euro o più.

D’altra parte, è la certificazione di DSA che dà diritto all’alunno sia di avere tutta una serie di strumenti compensativi che facilitano l’apprendimento, per esempio il computer e la calcolatrice, sia di usufruire di programmi di studio personalizzati. Quindi una famiglia o aspetta anche due anni per poter avere la certificazione dalla UONPIA oppure deve pagare la struttura privata. Siamo di fronte a un’evidente forma di discriminazione.

Il mondo delle persone che operano nella sanità come sta reagendo?

Proprio pochi giorni fa centinaia di operatori della psichiatria hanno lanciato un grido d’allarme con un appello e una lettera pubblica rivolta al Presidente della Repubblica e quella lettera comprendeva anche un passaggio molto molto triste. Questi psichiatri, dopo aver descritto le loro condizioni diventate insostenibili per il carico di lavoro e lo stress con conseguente alto rischio di burnout, denunciano di trovarsi quasi sempre a dover decidere tra il loro benessere e quello dell’utente.

E ancora, scegliere “tra rimanere sordo all’angoscia dei pazienti e andare presto a casa (in fondo, quella guardia neanche ti toccava). Oppure ascoltarli, i pazienti, per come meritano. Ma sapendo che sacrificherai te stesso. I tuoi bisogni personali. Che uscirai di notte. E che poche ore dopo tornerai in CSM [Centro di Salute Mentale, i CPS della Lombardia, ndr]. A coprire forse un’altra guardia, che non dovresti fare. Ma che farai”, recita il testo del documento.

Questa è una lettera importantissima che è stata ignorata dalla maggioranza dei media. Un grido d’aiuto consapevole e disperato. Una richiesta che proviene da un ambito della medicina che richiede interventi continuativi nel tempo e spesso di lunga durata. Mettersi in cura da uno psichiatra privato, seguire una psicoterapia, rivolgersi in fase di acuzie a una clinica privata comporta ingenti spese che moltissime famiglie non possono proprio sostenere e a costoro non rimangono che i lunghissimi tempi di attesa prima che un CPS si prenda in carico il paziente, ma nel frattempo la vita scorre, la patologia si manifesta e talvolta precipita in tragedia. 

Chiudiamo tornando al tema con cui abbiamo aperto: il centenario della nascita di Basaglia.

L’aspetto più triste è che tutto questo si verifica nel centenario della nascita di Franco Basaglia, lo psichiatra che ha cambiato la storia della psichiatria in Italia e probabilmente in tutto il mondo occidentale e che ha posto la parola fine alle istituzioni totali come i manicomi. L’ondata lunga dell’azione di Basaglia ha prodotto, più recentemente, anche la chiusura degli OPG, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.  Attenzione, non è vero che non rimane nulla di tutta l’elaborazione di Basaglia. Non rimane nulla nelle scelte che vengono compiute quotidianamente dalle istituzioni. Rimane invece molto nella testa, nel cuore e nell’esperienza di tantissimi operatori. 

Accanto a Franco Basaglia anche Cesare Beccaria per i diritti umani nel nostro Paese

Anche se la nostra conversazione oggi non è mirata a questo aspetto specifico, ritengo doveroso ricordare che quando parliamo di disturbi psichiatrici, di disagio mentale e di disturbi di personalità non possiamo dimenticarci quello che avviene nelle carceri, sia quelle per adulti che quelle minorili – pensiamo a quanto accaduto recentemente all’Istituto Beccaria di Milano – e nei CPR, i Centri di Permanenza per il Rimpatrio, dove le persone rinchiuse sono abbandonate totalmente a sé stesse e i suicidi e i tentati suicidi sono una testimonianza atroce di quello che sta avvenendo.

E non è un caso che nei Cpr, come nelle carceri, i farmaci più utilizzati siano gli psicofarmaci, usati in questo caso per sedare una persona. Sono i luoghi dimenticati della nostra società. E allora a fianco di Franco Basaglia dobbiamo ricordare Cesare Beccaria due figure fondamentali per la storia dei diritti umani nel nostro Paese.

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Bibliografia essenziale:

  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altr*
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Quelle attiviste della nonviolenza e del disarmo attive in tutto il mondo (Laura Tussi)

di LAURA TUSSI da FARO DI ROMA

Il movimento delle Donne Globali per la Pace unisce centinaia di attiviste della nonviolenza e del disarmo di tutto il mondo. Cercando di incarnare i valori della sorellanza, della solidarietà e della sostenibilità ambientale, il movimento si oppone alle politiche di molti paesi e organismi sovranazionali che, soprattutto in questo momento storico, hanno preso una decisa e preoccupante deriva bellicista.

Il potere è l’ombra oscura opposta all’amore universale e al femminile.
Il femminile è creatività universale contro la violenza.

Per dire NO all’invio di armi in guerra
Nella cittadinanza planetaria, le donne costituiscono la parte più fragile, ma attiva, dei tanti sud del mondo, dove vi è un pensiero al femminile con la coscienza della terrestrità umana e della solidarietà universale contro ogni guerra e conflitto armato.

A Bruxelles l’anno scorso, in contrapposizione e netto contrasto con il summit e vertice Nato di Vilnius in Lituania, si è tenuta una importante conferenza di donne impegnate per la pace e che provengono da tutto il mondo e hanno soprattutto come comune denominatore l’amore per madre terra, per il pianeta e l’assetto ecosistemico planetario e universale.

Un movimento femminile contro la Nato e per la pace universale
Nella loro Dichiarazione comune dal titolo: “Donne Globali per la Pace, Unite contro la Nato” le donne del movimento per la pace affermano:”Abbiamo a cuore i principi universali di uguaglianza giustizia e pace affermati dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani”.

Finalmente le donne unite per l’affermazione dei diritti umani e dei popoli tutti, delle genti e delle minoranze contro ogni forma di violenza, in tutta la sua morfogenesi e i suoi livelli e sviluppi
Questo movimento femminile per la pace a livello planetario lotta per l’affermazione dei diritti delle donne e dei popoli, delle genti e delle minoranze contro ogni forma di violenza, in tutta la sua morfogenesi e i suoi livelli e sviluppi e in quanto genere femminile si professano contro ogni tipo di sfruttamento e modalità di discriminazione.

Le donne contro la violenza strutturale e contro il male a livello planetario: dalle guerre ai genocidi al nucleare
Le donne di pace da molti anni si impegnano contro ogni brutale manifestazione di violenza che trova la sua massima espressione nell’attività militare e nel suo tragico e inevitabile epilogo: la guerra nucleare.

Il neoliberismo e il capitalismo che fomentano le guerre derivano dal maschilismo e dalle strutture patriarcali che sono trasversali a ogni spazio e tempo
Le donne per la pace contrastano nettamente il capitalismo che è padre del patriarcato, della mercificazione del corpo delle donne e soprattutto del militarismo e di tutte le attività belliche e dimostrazioni guerresche che hanno come stampo il maschilismo patriarcale e il machismo.
“Lottiamo per affermare una nuova sicurezza non militarizzata, che garantisca la vita e la salute delle generazioni presenti e future su questo pianeta, oltre che del pianeta stesso”.

L’aspirazione alla pace ha un carattere femminile e ha il volto sofferente di tutte le donne del sud del mondo che vedono i propri figli morire di fame e malnutrizione
L’aspirazione alla pace di carattere femminile è oggi minacciata da una escalation della corsa al riarmo, dell’incremento delle spese militari in tutto il mondo che provocano miserie e gravi pericoli per l’umanità intera come il rischio della terza guerra mondiale e dell’apocalisse nucleare, “dalla riproposizione di alleanze militari contrapposte e dalla militarizzazione crescente delle relazioni internazionali”.

La Nato e le decisioni verbali tra Bush senior e Gorbaciov totalmente disattese e non rispettate fino al vertice di Madrid
Tutto questo rischia di portare l’umanità alla catastrofe e soprattutto all’estinzione totale della storia e del passato, presente e futuro del genere umano nella sua totalità e nelle sue istanze valoriali. “Responsabili del crescente pericolo di scontro globale sono state in gran parte le decisioni assunte dalla Nato fin dal 1991, il cui ultimo approdo è il cosiddetto “Nuovo Concetto Strategico” concordato all’ultimo vertice dei capi di stato e di governo dei paesi Nato a Madrid nel 2022”.

La Nato a Madrid ha approvato un forte contingente di riarmo bellico, il più ingente da dopo la guerra fredda
Al vertice di Madrid, la Nato approva il più importante rafforzamento delle proprie capacità dalla fine della guerra fredda e porterà le forze militari a oltre 300 mila unità, come affermato dal segretario generale Nato Jens Stoltenberg nella conferenza stampa di presentazione del vertice di Madrid.

Dopo il vertice Nato di Madrid, il nuovo summit di Vilnius in Lituania per ribadire uno spaventoso piano di riarmo a discapito dei popoli e dell’intera umanità
Così la Nato vuole sostituirsi a funzioni e compiti che sono di esclusiva responsabilità delle Nazioni Unite. “Questa Nato globale, che agisce nell’interesse dei paesi ricchi dell’Occidente, ha esteso le sue attività fino al Pacifico e pretende di imporre un “modello di civiltà” ben oltre l’area euroatlantica del Trattato originario”.

Vertice Nato di Vilnius: incremento delle spese belliche e degli investimenti militari oltre il 2 per cento del Prodotto Interno Lordo di ogni nazione membro Nato
Al vertice di Vilnius in Lituania, la Nato ribadirà agli stati membri di imporre la condizione di incrementare le spese belliche e in generale gli investimenti militari oltre il 2 per cento del Prodotto Interno Lordo e devolverle alla guerra e all’assetto guerrafondaio, mentre le popolazioni devono affrontare crisi economiche e aumenti del costo della vita davvero insopportabili e non sostenibili da una qualità dell’ esistenza che si vorrebbe felice e edificante.

La diffusione del militarismo nella cultura e la colpevolizzazione di ogni forma di pacifismo e azione nonviolenta per contrastare lo status quo
Tutto questo spettro di situazioni insostenibili, perché disumane e fuori dalla sopportazione umana, si accompagna a processi politici contrassegnati da crescente autoritarismo e dal riemergere di ideologie neofasciste, nazionaliste, xenofobe e sessiste, incoraggiate dal preoccupante diffondersi del militarismo nella cultura e della colpevolizzazione di ogni forma di pacifismo e azione nonviolenta per contrastare lo status quo.

Il potere della Nato e degli Stati Uniti impone di incoraggiare e attuare dei piani strategici per la militarizzazione dell’educazione, delle scuole e delle università
Nel successivo vertice dei capi di stato e di governo della Nato che si è svolto a Vilnius, in Lituania l’anno scorso, il Nuovo Concetto Strategico sarà ulteriormente elaborato, accrescendo il pericolo globale, a livello planetario. Verrà anche istituito un fondo speciale di investimento, finanziato con fondi pubblici, per start-up e rinnovamento tecnologico, con il quale si intende “incoraggiare esplicitamente la commistione dell’educazione scientifica e della formazione dei giovani con la ricerca militare”.

Noi pacifiste e pacifisti contrapponiamo a queste perversità militaresche il riproporsi del femminile come creatività per la pace, il disarmo, la nonviolenza
Le donne di pace e soprattutto a favore della pace, rifiutano la Nato e una visione del mondo di stampo militarista, patriarcale e maschilista, che inasprisce i conflitti internazionali, ed è inconciliabile con il principio della tutela e salvaguardia dell’intero ecosistema planetario e di madre terra a livello globale. In un afflato femminile che vuole da sempre la fine della discordia del genere maschile e al contrario afferma il riproporsi del femminile come creatività per la pace, il disarmo, la nonviolenza.

Le donne e il pacifismo femminile e in generale i movimenti per la nonviolenza contro l’oscurantismo del male assoluto
Come donne di pace, le donne contro la Nato, nella tragica congiuntura attuale danno una possibilità alla pace e credono a un barlume di speranza contro l’oscurantismo del male assoluto. Le donne credono a “un nuovo ordine mondiale multicentrico e multipolare basato su decisioni condivise, sulla giustizia sociale e ambientale, sulla condivisione di risorse e tecnologie, sulla transizione all’azzeramento degli arsenali militari”.

E’ necessario nella tragica congiuntura attuale di guerra e escalation nucleare promuovere il ruolo delle donne nei processi di pace
Questo è quanto il movimento delle donne per la pace ha sostenuto al Vertice di Madrid l’anno scorso. Vogliono promuovere il ruolo delle donne nei processi di pace. Tramite il rispetto delle intenzioni autentiche della risoluzione 1325 delle Nazioni Unite sulla partecipazione delle donne ai negoziati di pace.

Le donne della pace provenienti da tutto il mondo
“Abbiamo in programma di parlare di tutto questo a Bruxelles. E inviteremo le donne di tutto il mondo a unirsi a noi, siano esse dei paesi membri della Nato o meno. Sono benvenute/i tutte e tutti coloro che condividono con noi questi obiettivi: parlare a favore della pace, della vita e della liberazione delle donne”.

Laura Tussi
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  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altr*
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“Educare e non militarizzare. L’economia è di guerra e pure i media, le forze politiche, gli attori sociali hanno deciso d’indossare l’elmetto”. Dialogo con Antonio Mazzeo (Laura Tussi) 

di LAURA TUSSI da FARO DI ROMA

Vogliamo intervistare Antonio Mazzeo, Insegnante, peace-researcher e giornalista impegnato nei temi della pace, della militarizzazione, dell’ambiente, dei diritti umani, della lotta alle criminalità mafiose. Ha ricevuto il “Premio G. Bassani – Italia Nostra 2010″ per il giornalismo e a Roma nell’ottobre 2020 è stato premiato dall’Archivio Disarmo con la “Colomba d’oro per la Pace” quale riconoscimento “per aver interpretato per anni il giornalismo e la scrittura come una missione di difesa dei diritti umani e di denuncia delle ingiustizie”.

Attualmente assistiamo a un fenomeno ormai sempre più dilagante nelle scuole e nelle università; una sorta di militarizzazione dell’educazione
In questi istituti non vi è più spazio per i partigiani e per coloro che testimoniano la trasmissione generazionale delle idee antifasciste, ma la scuola e l’università diventano teatro sempre più emblematico e eclatante delle Forze Armate che impongono i disvalori più retrivi e reazionari del superego dell’eroe e della razza, del primato dell’individualismo, della violenza soprattutto, della competizione a oltranza e dell’annientamento dei più fragili del pianeta.
Tutti disvalori di una subcultura arretrata e atavica che sono accomunati alla mentalità reazionaria del ventennio più oscurantista e terrificante del novecento. Basti ricordare l’istruzione imposta ai giovani balilla all’epoca del Duce e in nome di un indottrinamento di barbarie e violenza.

Puoi commentare queste affermazioni in quanto docente che si oppone a questi disvalori e all’attuale subcultura guerresca e militarista dominante?
Sì, fai bene a porre l’attenzione su uno degli aspetti più deleteri dell’odierno processo di militarizzazione delle scuole di ogni ordine e grado e del sistema educativo: il revisionismo storico e la riproposizione della narrazione e dei disvalori che hanno caratterizzato l’istruzione del ventennio fascista. Patria, nazione, identità e unità nazionale, sicurezza, rispetto della “legalità” e obbedienza sono tornate ad essere le parole d’ordine delle innumerevoli iniziative “formative” che le Forze Armate propongono alle studentesse e agli studenti. Si rispolverano presunti eroi di tutte le guerre (perfino le figure più ignobili della Repubblica Sociale Italiana), se ne esaltano le gesta di morte, si commemorano sanguinose battaglie coloniali e di contro si occultano i crimini commessi, le sanguinarie aggressioni contro le popolazioni, i bombardamenti con i gas sui villaggi in Africa, le inutili stragi di milioni di giovani mandati a fare da carne da macello per gli interessi del capitale e le follie dei dittatori. E intanto la scuola italiana diventa sempre più autoritaria, classista e discriminante.

Ma quale è il risultato di queste campagne sui nostri ragazzi?
La violenza diventa abitudine. Mentre si perseguono gli attivisti dei movimenti in favore della pace, del disarmo e della nonviolenza. Ragazzi che continuano a Resistere, portando avanti campagne di digiuno, per opporsi alle guerre e alla catastrofe nucleare. Queste iniziative intraprese da singole persone amiche della Nonviolenza costituiscono, tutte insieme, un modo per mettersi in gioco personalmente, per assumersi delle responsabilità e per indicare la strada concreta della nonviolenza e della pace, per uscire dalla follia, dal baratro senza fine dei conflitti bellici e dell’era nucleare. Vogliamo la pace come umanità.
La pace è un processo lungo di preparazione e meditazione dei popoli che parte dell’educazione nei luoghi preposti alla formazione delle nuove generazioni.

Come puoi commentare queste riflessioni alla luce di ciò che avviene nelle scuole e nelle università sempre più militarizzate e con la presenza delle Forze Armate Armate?
Nelle nostre scuole è sempre più difficile proporre e sperimentare progetti di educazione alla pace e alla nonviolenza. Direi pure che è diventato quasi impossibile porre all’attenzione di dirigenti e colleghi la necessità di de-militarizzare i linguaggi e le attività curriculari. All’ultimo collegio dei docenti ho avuto l’ardire di chiedere di ridenominare un dipartimento incautamente chiamato “sicurezza e legalità”. “Perché non pensiamo a un gruppo di lavoro sull’educazione nonviolenta?”, ho proposto. I ragazzi devono imparare a rispettare le leggi, l’autorità e le istituzioni che le difendono come le forze armate e di polizia, mi è stato risposto. E a stragrande maggioranza la richiesta è stata respinta.

Come ti spieghi questa sconfitta?
Questo è il clima che ormai si respira in buona parte degli istituti. Siamo del resto in guerra, una guerra globale e permanente. L’economia è di guerra e pure i media, le forze politiche, gli attori sociali hanno deciso d’indossare l’elmetto. La scuola è da sempre lo specchio delle tensioni e delle contraddizioni della società. E dunque anche la scuola va alla guerra.

Come e in quali modalità si manifesta questo processo di militarizzazione, che si sta diffondendo in maniera esponenziale?
Purtroppo sono innumerevoli le forme che testimoniano il processo in atto: visite guidate degli studenti (fin dalla primaria) alle caserme e ai porti e aeroporti militari; lezioni dei militari su quasi tutti i temi e gli argomenti interdisciplinari (Storia, Costituzione, salute, sport, contrasto alla droga e ai comportamenti definiti devianti e altro ancora); stage e alternanza scuola-lavoro all’interno delle infrastrutture di morte, nei depositi di missili e munizioni, a bordo di caccia e carri armati, nei poligoni inquinanti, nelle industrie belliche. Ci sono poi i tanti concorsi a premi promossi dal ministero della Difesa e dalle grandi holding delle armi e della cyber security (Leonardo, Fincantieri, Boeing), i campi estivi con gli alpini e i reparti d’élite della Marina, le lezioni in lingua inglese con i Marines Usa che operano nelle installazioni che occupano i nostri territori. In tanti istituti si celebra l’inizio dell’anno scolastico con l’alzabandiera e il canto dell’Inno di Mameli, fianco a fianco con i militari e la mano al cuore.

La nonviolenza e il diritto al disarmo nucleare sono ancora valori proponibili nei contesti educativi?
Dicevo che è sempre più complicato proporre la pace, la nonviolenza e il disarmo e non rischiare l’isolamento o la commiserazione. Ma dobbiamo continuare a farlo perché è in gioco il futuro stesso di tutte e tutti noi. All’orizzonte si profilano le tetre nubi dell’olocausto nucleare e siamo chiamati al diritto-dovere alla resistenza per la sopravvivenza. Dobbiamo continuare a educare alla vita e per la vita, contro vento e maree, pur consapevoli delle nostre fragilità e del clima culturale di morte imperante.

Laura Tussi

Nella foto: la premier Giorgia Meloni in mimetica in occasione di una visita al contingente di pace italiano in Iraq nel dicembre 2022

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  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
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“Il racconto di Jadib”. Il libro di Oliviero Sorbini descrive l’umanità in pericolo, per le minacce planetarie impellenti, e i sogni che ci fanno sopravvivere (Laura Tussi)

di LAURA TUSSI da FARO DI ROMA

Jadib, il protagonista del racconto, è un eroe, ma anche un uomo come il suo autore, Oliviero Sorbini, e come tutti noi, poliedrici, pluridimensionali, fragili e meravigliosi ecopacifisti.
Oliviero Sorbini opera nel settore della comunicazione sociale e istituzionale e culturale. È un autore televisivo e ha realizzato reportage in Italia e nel mondo.

Per la Televisione, Sorbini attualizza diversi format importanti e di ampio respiro e prestigio. Jadib, l’alter ego di Oliviero Sorbini, è così lontano nella storia, ma anche così vicino con le sue vicissitudini, che vive con forza e debolezza esattamente come noi tutti.
Noi, grande umanità in pericolo, per le minacce planetarie impellenti, ancora siamo in attesa di un altro Jadib che ci accompagni nelle tenebre e nelle burrascose notti della storia con le impellenti minacce e emergenze, per fuggire dalla morte, ieri con i sogni narrati dal protagonista, oggi forse con immagini video per sopravvivere al nulla esistenziale della contemporaneità.

Jadib è impersonificazione di una storia antecedente la Storia, in un racconto che prevede e pervade qualsiasi narrazione fantastica e psichedelica, ma anche minacciosamente vera.

Dopo Jadib è subentrata la storia e poi il video, nella contemporaneità dell’Autore intriso di vivacità creativa e di passioni impellenti e inquietanti, proprio come il personaggio. Molti di noi cercano le radici della propria esistenza. Forse perché pensiamo che le radici offrano all’umanità intera e a ogni singolo Jadib un incantevole e meraviglioso racconto, in un colorato caleidoscopio che ci permetta di analizzare e osservare non solo il presente, ma in modo preveggente, anche il futuro.

Le radici scoperte dall’Autore attraverso la sua ipnosi onirica intermittente e ripetitiva e ossessiva – quasi da impianto freudiano –  non sono forse radicate nella psiche inconscia e consapevole?

Le radici di Jadib/Sorbini sono parte del grande “inconscio collettivo” ampiamente ideato e analizzato dal sommo psicanalista Carl Gustav Jung. In un profondo viaggio di iniziazione quasi dantesco, Jadib è naturalmente il Virgilio del nostro Oliviero Sorbini, raccontando sogni e ipnosi allegoriche.

E così permette all’Autore – e al lettore – di scoprire il suo ego e alter ego, con la licenza di riportare al presente le sue paure, le ansie e le angosce oniriche e la stanchezza di sogni ripetuti e preveggenti fino all’atto paranoico.

Jadib è al contempo un fantasma inconscio molto remoto della psiche e profondamente anche un amico immaginario, fantastico, evanescente giusto rimedio e guida perspicace e coraggiosa di tribù e carovane in rotta contro il caos e il torpore psichedelico del quotidiano nel silenzio immane di una civiltà sconvolta, mostrando anche l’esperienza primigenia che si cela dietro il parallelo paravento tecnologico dell’attualità e della storia contemporanea.

Come menziona nella significativa e intuitiva prefazione Vittorio Ginzburg, i dormiveglia del protouomo Jadib sono allucinazioni ipnagogiche che attribuiscono forza e volontà per affrontare un evento pauroso e difficile. Questo è il sogno scritto di Jadib che si trova in un profondo passato remoto proiettato in un prossimo futuro allucinante come passaggio dall’imprevedibile e dall’impensabile all’oralità della scrittura che proviene dal pensiero.

I sogni dei racconti di Jadib sono proprio il linguaggio dell’anima e dell’inconscio umano più reconditi e imperscrutabili. Un inconscio a volte disperso, depresso, travagliato, disperato, a volte ricomposto e gioioso che diviene sempre parte imprescindibile dell’immenso inconscio collettivo e dell’esperienza umana universale.

Molte volte, come nel caso di questa opera di Sorbini, quando si osserva un dipinto di un pittore sconosciuto, può capitare che non si percepiscano i dettagli di cui l’artista non si è reso mai conto nel dipingere.

Spesso le annotazioni dei dettagli delle opere d’arte conducono la nostra anima, la psiche, il pensiero, i sensi per tanti tortuosi passaggi imperscrutabili e imprevedibili, verso impreviste fascinazioni e significazioni dell’intelletto e scorci e improvvise e mirabili “agnizioni” dell’animo umano attraverso mondi nuovi di cui lo stesso creatore non conosce il percorso.

Così sono i riconoscimenti e i particolari dell’ultima scena del dramma, il reperimento di rapporti, di lingua e di stile in autori diversi e bipolari e  lontani in sede di varie letture critiche e catartiche, nel riconoscimento di uno o più personaggi che scoprono la loro identità fino ad allora sconosciuta. Queste “agnizioni” ad esempio nel teatro greco sono elementi della tragedia e della commedia nuova, riprese nelle forme drammatiche di varie mimesis e quindi imitazioni classiche trasposte in età contemporanea. Anche questo è il racconto di Jadib di Oliviero Sorbini.

Laura Tussi

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Il MUOS(tro) di Niscemi e l’impegno dei siciliani contro un fattore incontrollabile di degrado ambientale e di accelerazione delle guerre. Intervista a Antonio Mazzeo (Laura Tussi)

di LAURA TUSSI da FARO DI ROMA

Giornalista free lance, insegnante, attivista di tante battaglie pacifiste, contro la guerra e la militarizzazione, fra cui quella NO MUOS, Antonio Mazzeo è finito a processo con l’accusa di “diffamazione a mezzo stampa” per aver contestato la decisione della dirigente di un istituto scolastico, di chiedere l’intervento di militari della Brigata Meccanizzata “Aosta”, armati di tutto punto, per impedire “pericolosi” assembramenti davanti la scuola.

I fatti si sono svolti il 21 ottobre del 2020 a Messina; la presenza dei militari, oltre tutto, creò il panico fra i bambini e provocò anche le proteste di alcuni genitori.

Il MUOS (Mobile User Objective System) è un nuovo sistema militare di telecomunicazioni satellitari che consente la trasmissione di informazioni, video, dati, a tutti gli “utenti mobili”: centri di comando e controllo, reparti e mezzi terrestri, unità navali, sottomarini, cacciabombardieri, droni d’attacco, batterie missilistiche, e altro ancora.

Il  MUOS è un sistema adottato  dalle forze armate degli Stati Uniti d’America, perché possano affermare la propria superiorità universale, tramite una rete di mega-antenne e satelliti per telecomunicazioni ad alta velocità, affinché sull’infinito domini l’oscurità della violenza, della guerra, della morte.

Il MUOS è un sistema atto a propagare, dilatare, moltiplicare gli ordini di attacco militare di tipo convenzionale, chimico, batteriologico e nucleare, per bombardamenti sempre più virtuali, computerizzati, disumanizzati e disumanizzanti perché la coscienza degli assassini non possa mai incrociare gli occhi di chi soffre e la disperazione delle vittime innocenti.

Il MUOS incarna le molteplici contraddizioni della globalizzazione neoliberista e capitalista, in quanto uccide in nome della pace e dell’Ordine sovranazionale, devastando il clima, l’ambiente e il territorio.

Come hanno reagito i pacifisti e gli attivisti nonviolenti all’installazione di questo sistema d’arma?
L’ Eco MUOStro à stato installato a Niscemi, nei pressi di Caltanissetta, in Sicilia, nel cuore di un’importante riserva naturale. L’impianto verte su tre grandi antenne paraboliche che emettono onde elettromagnetiche in grado di penetrare la ionosfera e i tessuti di ogni essere vivente. La popolazione locale si è mobilitata per oltre dieci anni contro questo dissennato progetto bellico dagli enormi impatti di tipo ambientale e sulla salute.

In Sicilia, donne e uomini si sono indignati per essere stati ignorati, traditi, svenduti e così sono scesi in piazza a protestare e a manifestare il proprio dissenso, costringendo sindaci, consigli comunali e provinciali a votare delibere contro il MUOS. Sono state presentate numerose interrogazioni parlamentari; sono stati sottoscritti moltissimi appelli e firmate innumerevoli petizioni per revocare le autorizzazioni ai lavori, insieme a dibattiti, convegni, marce, digiuni e altre forme di contestazione nonviolenta e pacifica.

Ci sono stati scioperi generali indetti dal basso a Niscemi e per la prima volta nella storia una base ad uso esclusivo delle forze armate statunitensi è stata occupata per ore da migliaia di manifestanti. Purtroppo alla fine è prevalsa la logica di distruzione e morte dell’apparato militare-industriale transnazionale.

Avete vissuto l’EcoMUOStro come una grande sconfitta? vi siete sentiti impotenti di fronte a questo sistema di potere imposto dall’alto?
Il Movimento No Muos è stato sempre consapevole della sproporzione delle forze in campo: da una parte migliaia di cittadini, giovani, donne che hanno sentito il diritto-dovere di rimettersi in gioco in prima persona in difesa del loro territorio e dei valori della pace, del disarmo e della cooperazione tra i popoli; dall’altra, la prima potenza militare e nucleare del pianeta, aggressiva e arrogante come sempre, in campo per affermare la piena supremazia sulle risorse della terra e la sempre più iniqua ridistribuzione della ricchezza. Ciononostante il Pentagono e i suoi più stretti alleati politici e militari in Italia e in Sicilia sono stati messi più di una volta sotto scacco.

I lavori d’installazione del terminale terrestre del MUOS sono stati bloccati e ritardati per anni e le ragioni dei No MUOS sono state riconosciute dai Tribunali penali e amministrativi (si pensi alla recente sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa che ha dichiarato del tutto illegittime le autorizzazioni al progetto rilasciate dalla Regione Sicilia).

Certo se dovessimo limitarci a vedere che l’esito finale di queste straordinarie mobilitazioni è stata la messa in opera del Muostro, dovremmo dire che tutto è stato inutile. Ma quelle campagne di opposizione hanno rappresentato per intere generazioni di siciliani fondamentali momenti di crescita individuale e collettiva e una presa di coscienza dei propri diritti e degli effetti nefasti dei processi di militarizzazione e stupro dei territori. Ciò non potrà non avere rilevanti conseguenze sociali e culturali a medio e lungo termine. E ciò concorrerà, ne sono certo, a sviluppare nuovi percorsi di lotta per la pace, la giustizia e la difesa dell’ambiente.

I governi nazionali che si sono succeduti e l’attuale governo dei banchieri dell’alta finanza sono sempre favorevoli alla costruzione del MUOS. Il libro di Antonio Mazzeo vuole denunciare, attraverso le tante voci della gente di Niscemi, la prepotenza ottusa e la protervia ostinata dei vertici del potere, favorevoli all’Eco MUOStro, un sistema-business per i mercanti di morte, che comporta soprattutto la proliferazione della grande industria bellica, ma anche un intenso inquinamento elettromagnetico, proveniente dai trasmettitori del sistema, con devastanti microonde ad altissimo impatto ambientale. L’industria della morte si impone ancora, famelica, insaziabile, inesorabile.

Con questo tuo libro sul MUOS sei riuscito a smuovere le coscienze di molti fino ad arrivare a un processo. Puoi parlarcene?
No, davvero, non credo che un libro, da solo, possa riuscire a smuovere coscienze e generale proteste, mobilitazioni, opposizioni.

Il MUOStro di Niscemi è stato solo un lavoro di analisi, sintesi e sistematizzazioni per rendere il più possibile chiare a tante e tanti siciliani le tantissime contraddizioni, anzi i crimini, di tipo sociale e ambientale, geostrategico, perfino mafiosi, di questo progetto di rafforzamento della presenza militare statunitense nell’Isola. Spero di esserci riuscito in parte ma non è più di quello che può essere chiesto a un impegno di controinformazione. In fondo è poco, davvero poco, rispetto alla portata educativa e formativa e generatrice di dissenso delle azioni dirette e delle pratiche di disobbedienza civile dei No MUOS.

Cosa ti aspetti per il nostro futuro prossimo anche dal momento che siamo sul crinale del baratro difg una terza guerra mondiale e potenzialmente nucleare con l’attuale guerra tra Russia e Ucraina e con le tante guerre imposte nel mondo dai poteri forti?
Sì, da quel maledetto 24 febbraio 2022 avverto profondamente il timore dell’ennesimo rapido balzo dell’umanità verso l’olocausto globale.

L’inarrestabile escalation di questo conflitto fratricida ha rafforzato la mia convinzione degli immani pericoli che potranno derivare a breve per la popolazione mondiale. E del resto sono già tantissime le persone in tutto il pianeta che stanno pagando un prezzo enorme in termini di sofferenza, fame, salute, accesso alle risorse energetiche, e via dicendo.

Mi addolora poi la scarsissima opposizione generale, alla guerra e alla cultura di morte imperante. Mai come adesso siamo a un passo dalla guerra nucleare totale eppure le piazze sono vuote come non mai e il pacifismo si presenta fragilissimo.

Sì, gli scenari futuri appaiono tragici. Ma forse proprio per questo dobbiamo provare ad esserci con tutte le nostre energie. Dobbiamo resistere all’uragano della morte, coscienti dei rapporti di forza, ma decisi e intransigenti. Siamo certamente stanchi, delusi e avvertiamo il peso delle tante, troppe sconfitte. Ma siamo ancora vivi. Noi e i nostri figli. Per noi e i nostri figli.

Laura Tussi

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Bibliografia essenziale:

  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altr*
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Il G7 in Puglia. Uno spaventoso piano di riarmo a discapito della sicurezza di tutti i popoli e dell’umanità nel suo complesso. Il Controforum (Laura Tussi)

di LAURA TUSSI

I potenti del mondo hanno deciso di incontrarsi in Puglia, esclusa naturalmente la Russia, che è a pieno titolo nei Brics come cofondatrice di questa nuova potenza multipolare.
Il G7 in Puglia discute il più oneroso piano di riarmo dell’ovest in seguito alla seconda guerra mondiale e dopo la guerra fredda. Un progetto militare già avviato e consolidato da tempo dagli Stati Uniti e dai Paesi alleati del G7. Ottemperando alla espansione di una pericolosa politica e deriva neoliberista e capitalista. Che è del resto negli obiettivi neoliberisti dei potenti del mondo e del potere supremo, ossia il G7 in questo caso.

Se 10mila miliardi di dollari vi sembrano pochi…

Sul tavolo del G7 sussiste un piano di riarmo da 10mila miliardi di dollari. Un quadro pluriennale come si evince da una notizia apparsa nell’agenzia Ansa.

Una narrazione tossica e una propaganda nociva: fattori inquietanti

Tutti hanno capito che lor signori governanti si vantano di una narrazione che non ha nulla a che vedere con le questioni umanitarie: ossia vogliono attivare un immane piano di riarmo a discapito della popolazione civile. Tutto questo minaccia di prosciugare i fondi delle nazioni coinvolte nel G7 e così ipotecare il futuro della nostra umanità.

I potenti del mondo si riuniscono come una comunità neocoloniale per ipotecare il futuro del mondo

Utilizzare una cifra così abominevole da impiegare a scopo militare riporta a profonde questioni etiche e sociali che affliggono da sempre e sempre più le nostre società e i popoli tutti. Quindi 10mila miliardi di dollari impiegati in armamenti sia convenzionali che nucleari e per fomentare e imporre guerre e genocidi sono una questione crudele e cinica rispetto ai problemi veri della sicurezza e dello stato sociale nel suo complesso, e delle aperte ferite delle varie questioni umanitarie.

Si disprezzano i problemi veri e impellenti. Come lo stato sociale e la fame nel mondo

Così sono messi in secondo piano gli impellenti problemi dell’umanità intera. Basterebbe una cifra molto minore a quella impiegata per il riarmo al fine di sradicare l’estrema povertà e evitare l’eccesso di mortalità infantile che affligge soprattutto le nazioni meridionali del mondo: il cosiddetto sud del pianeta.

Il G7 contro il resto del pianeta con l’impiego di mezzi militari e nucleari

Il gruppo delle nazioni G7 si sta preparando a un attacco, a un dissidio militare permanente con il resto del mondo, piuttosto che affrontare e risolvere concretamente e in modo basilare e risolutivo le questioni e le problematiche universali che affliggono l’umanità.

Noi società civile vogliamo risolvere i problemi drammatici che affliggono l’umanità

I leader del G7 conoscono benissimo quello che si stanno apprestando a compiere. E sanno che sarebbe sufficiente una minima quota degli investimenti militari per risolvere completamente le problematiche collegate alla fame nel mondo, a eradicare le malattie endemiche e ridurre in modo molto significativo la mortalità infantile. Secondo l’Unicef ogni tre secondi nel mondo un bambino con meno di cinque anni muore. Quindi vengono uccisi per malnutrizione e per malattia 9 milioni di bambini ogni anno. Ma al G7 evidentemente non interessa tutto questo. Preferisce non salvare i bambini del pianeta e al contrario i governanti del G7 si armano fino a denti come un comitato di affari neocoloniale e fascista.

Il riarmo a discapito e contro le popolazioni vulnerabili e più fragili

La disparità tra investimenti militari e le problematiche urgentemente imminenti delle popolazioni vulnerabili e più fragili sottolinea un dissidio etico, ancor prima che morale, che la comunità internazionale deve assolutamente affrontare.

Si attui finalmente l’Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile!

Troppe sono le nostre esigenze come società civile e la loro risoluzione che vengono disattese. L’Agenda ONU 2030 è un elenco di promesse disattese e quindi non mantenute che servivano a calmierare l’inquietudine dell’opinione pubblica che pretende al contrario solidarietà e giustizia sociale.

Ormai l’Agenda ONU 2030 sembra carta straccia

Piuttosto che realizzare i 17 obiettivi di Agenda ONU, i governanti del G7 si riuniscono in Puglia per concordare un vasto piano di riarmo.

Pretendiamo un futuro a misura di persona privo di armi, guerre e genocidi

Dobbiamo pretendere giustamente un futuro a misura di persona prendendo come esempio e realizzando gli obiettivi di Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. È necessariamente impellente affrontare le cause profonde delle guerre, dei conflitti armati e delle questioni umanitarie globali.

La propaganda dei potenti minaccia l’intera umanità con il rischio dell’escalation militare e dell’apocalisse nucleare

È una violenza inaudita nei confronti dell’intera umanità parlare così spesso in modo disinvolto e spudorato e inquietante di guerra nucleare. In queste ultime settimane sta prendendo forma il programma di eventi con cui la popolazione e la cittadinanza attiva globale risponde al piano di riarmo del G7.

Un Contro Forum G7 per affrontare le emergenze umanitarie

Il G7 si svolgerà in Puglia dal 13 al 15 giugno 2024. E il Contro Forum G7, al contrario e in tutta risposta al potere, prevede al centro la trattazione delle tematiche e della complessità delle sfide globali universali: dalla pace alla tutela ambientale al disarmo alle migrazioni forzate alle guerre e a tutti i conflitti armati fino ad arrivare alla più importante: il nucleare.

Il Contro Forum G7 rifiuta l’economia di guerra

Il Contro Forum G7 vuole evidenziare le costanti preoccupazioni della società civile rispetto all’incombenza di una rigida militarizzazione dell’intera economia, quindi di un’economia di guerra. E si prende in considerazione la corsa al riarmo che sempre più prevarica nelle decisioni governative delle nazioni che coinvolgono il G7.

I protagonisti del Contro Forum G7 sono gli ecopacifisti e attivisti per la pace

Come ecopacifisti e attivisti per la pace sottolineiamo l’importanza degli obiettivi di Agenda 2030 e la quantomai impellente necessità, insieme all’urgente bisogno di una risoluzione, e di una lotta globale e universale contro la povertà, la fame, e le disuguaglianze nel loro complesso, affrontando i problemi della sostenibilità, della giustizia ambientale e sociale e del disarmo nucleare in questa malefica e terribile congiuntura di riarmo e di escalation bellicista e militare.

Laura Tussi da FARO DI ROMA

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Bibliografia essenziale:

  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
  • Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altr*
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Olga Karatch, pacifista, candidata al Premio Nobel per la Pace: “Contro la guerra patriarcale, dobbiamo dare voce alle donne per la pace”

di LAURA TUSSI

La pacifista e dissidente politica bielorussa Olga Karatch incoraggia tutti i giovani, sia russi che ucraini, a non andare in guerra, a rifiutarsi di combattere e all’obiezione di coscienza alla leva militare. In occasione di una visita in Italia, dove ha potuto parlare pubblicamente, ha portato la propria esperienza. Olga infatti, candidata al premio Nobel per la pace, attualmente ha un visto come rifugiata politica e si trova in Lituania con la sua famiglia.
Una delle considerazioni più laconiche quando, ormai più di due anni fa, le armi hanno cominciato a ruggire in Ucraina era: “Incredibile che nel 2022 la guerra sia tornata nel cuore dell’Europa”.

Che non fosse una frase fatta lo conferma anche Olga Karatch, secondo cui “non molto tempo fa sembrava che la guerra come metodo di risoluzione dei conflitti si fosse esaurita e fosse semplicemente impossibile nella nostra regione”.
Con lei – giornalista e attivista bielorussa per i diritti umani, da mesi sostenuta dalla mobilitazione internazionale #Protection4Olga – abbiamo parlato di guerra, sia come congiuntura storica che come mindset culturale, partendo dall’inscindibile legame che da sempre la lega agli uomini: “Il 2022 ha dimostrato non solo che la guerra è possibile, ma anche che la guerra ha portato a una rivalutazione dei valori e degli approcci, in primo luogo il ritorno al dominio delle narrazioni patriarcali”, ha confermato la Karatch.

La mascolinità e la guerra dunque sono fattori correlati? La guerra è anche dominazione patriarcale?
La guerra in Ucraina, così come i processi strettamente correlati di romanticizzazione della guerra e la rapida crescita della militarizzazione nella nostra regione, hanno portato a un aumento della percezione della mascolinità tossica/brutale – in sostanza, un abusatore che risolve un conflitto attraverso l’uso della forza – come unico modello corretto per gli uomini.

La società approva l’uomo che vuole e che fa la guerra?

L’unico modello di ruolo corretto è ora un uomo con le armi in pugno che va in guerra. Questo modello di ruolo maschile è incoraggiato e approvato dalla società. Di conseguenza, l’identità maschile sta attraversando una grave crisi che colpisce un gran numero di uomini.

Derivano da qui le molteplici narrazioni del militarismo?
La crisi dell’identità maschile e dei modelli di ruolo ha portato anche a uno squilibrio in interi segmenti sociali, con conseguente drammatico aumento e popolarità di narrazioni e atteggiamenti patriarcali e militaristi nella nostra regione, anche negli ambiti più inaspettati, tra cui, ad esempio, i media indipendenti bielorussi.

Sono davvero scomparse le voci pacifiche?
Le voci pacifiche che sollevano temi importanti legati alla guerra, ma che non incoraggiano la propaganda bellica, sono praticamente scomparse dalla sfera pubblica e sono state emarginate. Ad esempio, quelle degli uomini che si rifiutano di prendere le armi e di arruolarsi nell’esercito, o coloro che hanno già prestato servizio nell’esercito e vogliono evitare di partecipare alla guerra per vari motivi. Tra questi vi sono gli obiettori di coscienza, i disertori e coloro che hanno lasciato l’esercito perché non desiderano più farne parte.
O ancora, gli ex combattenti che sono stati feriti e non possono più continuare a combattere. Questo vale sia per gli ucraini che per i bielorussi che prestano servizio in varie unità delle Forze Armate ucraine, compreso il Reggimento Kalinovsky, un’unità di bielorussi che combatte a fianco dell’Ucraina. Questo gruppo di uomini deve affrontare problemi di integrazione sociale e di adattamento alla vita civile pacifica, soprattutto perché la guerra continua. Per varie ragioni, provano sensi di colpa, risentimento e frustrazione, e alcuni di loro soffrono di disturbi mentali. Tuttavia, questo argomento è estremamente tabù e doloroso per la società. Un uomo che non può più tenere un’arma in mano diventa poco interessante per la società.

Senza dimenticare gli uomini che sono ex prigionieri politici bielorussi e che hanno lasciato la Bielorussia a causa della repressione subiscono le pressioni della comunità di protesta, che si aspetta che partecipino alle azioni militari in Ucraina, compreso il servizio militare nel reggimento Kastus Kalinowski. Tuttavia, non tutti vogliono andare in guerra. Ci sono poi le voci delle persone LGBTQ+ che ancora una volta non sono all’altezza del tradizionale ruolo di protettori della famiglia e delle “loro donne”.

Le donne dovrebbero incitare alla diserzione e creare la pace.
Ma il rafforzamento della mascolinità tossica come unico modello di ruolo corretto per gli uomini ha colpito anche le donne, poiché la società ora si aspetta che anche le donne siano l’unico modello di ruolo corretto per ispirare i “loro uomini” a combattere. L’oggettivazione pervasiva delle donne e l’esclusione sistematica delle donne dai processi decisionali sono fonte di grave preoccupazione.

E le voci del femminismo pacifista?

Le voci delle femministe pacifiche non vengono ascoltate oppure vengono distorte o manipolate a fini politici. In Russia, ad esempio, non è raro che le donne siano state influenzate dalla propaganda militarista patriarcale per costringere i loro uomini ad andare in guerra, anche se gli uomini non volevano.
Il concetto di pace è diventato tossico nella nostra regione e gli attivisti per la pace sono sottoposti a vari tipi di attacchi e a campagne di discredito

È necessario rinforzare le istanze delle comunità delle femministe che professano e incitano alla pace?

È quindi molto importante amplificare le voci delle donne che lavorano da una prospettiva femminista e sono sensibili alle questioni di genere, pur rimanendo nell’ambito dell’agenda di pace. Occorre distinguere tra femministe e donne in generale e cercare di rafforzare le comunità femministe di pace.

Le donne si sentono “alienate” dalla società bellicista e militarista ossia maschilista?
Le donne affrontano nuove sfide che rimangono invisibili al grande pubblico e cercano di affrontare i loro problemi da sole, tormentate dalla vergogna, dal senso di colpa e dal senso di “alterità” per non essersi conformate alle aspettative della società. I problemi invisibili delle donne sono molti. Ad esempio, osserviamo un aumento della violenza domestica nelle famiglie in cui gli uomini sono percepiti dalla società come eroi – per l’Ucraina si tratta di ex combattenti, per la Bielorussia di prigionieri politici e combattenti dalla parte dell’Ucraina. Di conseguenza, il problema della violenza domestica viene messo a tacere perché le famiglie non sanno cosa fare e come affrontarlo.

È estremamente difficile per una donna ammettere che un uomo, riconosciuto dalla società come un eroe, la maltratta in casa a causa del suo stress post-traumatico e non sa cosa fare o come fermarlo. Teme il giudizio sociale e la stigmatizzazione di se stessa per aver “diffamato” l’eroe. Allo stesso modo, in Russia, gli uomini che sono tornati come “eroi” molto spesso commettono crimini violenti, ma la società li mette a tacere perché non corrispondono alle loro aspettative di comportamento da “eroe di guerra”.

Mancano anche gli spazi sicuri per le donne migranti provenienti da Bielorussia, Russia e Ucraina, anche nei Paesi dell’UE confinanti con la Russia e la Bielorussia, sono praticamente scomparsi. Gli uomini della destra radicale sono costantemente aggressivi e ostili nei confronti delle donne migranti.
Purtroppo, dobbiamo anche affrontare il problema dello spionaggio da parte del KGB e dell’FSB anche all’interno dell’Unione europea contro le donne migranti che operano per la pace, i difensori dei diritti umani e gli attivisti. Abbiamo bisogno del sostegno e dell’empowerment delle donne leader nelle comunità locali a livello di base. Ma finora abbiamo assistito solo alla riduzione di questi spazi e all’esodo delle donne dalla società civile perché non si sentono più al sicuro da nessuna parte.

In che modo questi vuoti incidono sulla realtà?

Abbiamo perso l’attenzione per il livello più importante, quello di base, che è tradizionalmente dominato dalle donne che si sono fatte carico di questioni sociali ignorate dallo Stato. A causa della mancanza di attenzione e di sostegno, le donne si esauriscono lentamente e smettono di essere attive a causa della stanchezza cronica e degli attacchi della società. Tuttavia, le donne si fanno carico di una quantità significativa di lavoro e si assumono persino alcune responsabilità che lo Stato dovrebbe assolvere ma non lo fa, ad esempio, in Lituania.
Abbiamo urgente bisogno di sostegno sul campo, soprattutto per le attiviste che lavorano con persone gravemente traumatizzate, poiché sono a rischio di traumatizzazione e di attacchi da parte dei servizi di sicurezza bielorussi e russi. Le donne traumatizzate dalla guerra in Ucraina o dal terrore in Bielorussia sono state emarginate dalla mancanza di attenzione pubblica ai loro problemi sociali, economici, psicologici e di altro tipo. Questo ha portato a depressione collettiva, disperazione, burnout, frustrazione e perdita di energia per essere agenti di cambiamento nelle loro comunità. Di conseguenza, le questioni irrisolte continuano ad accumularsi, impedendo alle donne di affrontarle all’interno delle loro comunità e portando a una serie di problemi prevedibili in futuro.

Quali le competenze e le conoscenze accumulate dal movimento internazionale per la pace?
È importante riconoscere che le competenze e le conoscenze accumulate dal movimento internazionale per la pace non sono utilizzate o lo sono solo in misura limitata e che l’energia e l’ispirazione di queste persone non sono pienamente sfruttate solo a causa dei processi di militarizzazione. Il concetto di pace è diventato tossico nella nostra regione e gli attivisti per la pace sono sottoposti a vari tipi di attacchi e a campagne di discredito.

Come possono agire i movimenti per la pace?
I movimenti per la pace oggi, sfruttando la loro esperienza, possono fare molte cose: dall’assistenza agli obiettori di coscienza, al lavoro con i settori traumatizzati della società, alla messa al bando dell’uso delle armi nucleari, al sostegno agli ex combattenti e alle loro famiglie, al rafforzamento delle comunità di pace locali e altro ancora.
È davvero terribile la propaganda bellica della società nel suo complesso…
A mio avviso, è qui che il movimento internazionale per la costruzione della pace può e deve intervenire per colmare queste lacune. Ma per farlo, ovviamente, dobbiamo tutti uscire dalla sfera marginale in cui ci troviamo oggi a causa della romanticizzazione della guerra e della propaganda bellica nelle nostre società.

Laura Tussi

Anche sul sito dell’Associazione Italia che cambia

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“PER AMORE DEL MIO POPOLO NON TACERÒ”. A 30 ANNI DALL’OMICIDIO, CON L’ISPIRAZIONE DEL VESCOVO NOGARO, AGNESE GINOCCHIO RACCONTA DON PEPPE DIANA IN UN’OPERA ROCK  DI LAURA TUSSI

di LAURA TUSSI

sul Quotidiano FARO DI ROMA: 

https://www.farodiroma.it/tag/laura-tussi/

AMA IL PROSSIMO. Dedicato a Don Peppe Diana ucciso dalla camorra:

“La morale, l’onestà, la giustizia, la legalità sono come la fede. E bisogna presentare la difesa dell’uomo come si presenta la preghiera. Tu devi adorare Dio, ma se adori Dio, devi venerare anche l’uomo. E l’uomo lo veneri nelle stesse forme. Bisogna intervenire ogni qualvolta c’è l’abuso di umanità. Quando fai del male all’uomo vuol dire che offendi i comandamenti”. Racconta così la predicazione di don Peppe Diana il suo padre spirituale, mons. Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta, uno tra quelli che non hanno mai avuto dubbi sul perché il parroco di Casal di Principe sia stato ucciso. Andavano insieme nelle scuole a parlare con gli studenti della necessità di lottare contro la camorra, ed il vescovo è sempre stato tra coloro che lo hanno difeso nelle occasioni in cui è stato calunniato, compreso il vergognoso intervento nell’aula del Tribunale dell’avvocato e parlamentare Gaetano Pecorella che difendendo i mandanti dell’omicidio ripropose voce e chiacchiere sul sacerdote, ingiuriose quanto del tutto false.

“Perché dovrebbero fare santo don Diana?”, ha chiesto Repubblica a mons. Nogaro qualche anno fa. “Perché è morto da martire. Il martire un tempo era sempre considerato santo. Anche se era un povero uomo. Per principio era così. Noi dovremmo ripartire da questo. Don Diana era un sacerdote che ha sempre testimoniato la sua coerenza nella fede e nell´uomo e ha pagato con la vita l’amore per il suo popolo. I santi sono proprio questi”.
“Quando ho letto le parole dell´onorevole Gaetano Pecorella, ho rivissuto i momenti difficili degli anni passati. Ho visto tante volte i familiari soffrire per le calunnie che venivano lanciate nei confronti di don Diana. E ho rivissuto alcuni momenti del processo per la morte del sacerdote di Casal di Principe, quando fui citato come teste e interrogato proprio dall´avvocato Pecorella. Si rivolgeva a me con mille insinuazioni. Rimasi mortificato.
Mi pareva impossibile che nei tribunali si giungesse a formulare insinuazioni così cattive nei confronti delle persone. Diceva di tutto su don Diana. Mi chiese espressamente se conoscevo le donne di don Diana. ‘I preti non vanno con le donne’, gli risposi. Poi mi chiese delle armi. E allora scattai in piedi accusando di viltà gli organi di Stato che mettevano in giro voci del genere. Mi sentii umiliato. Scattai in piedi per ben due volte. Mi trattava come se fossi il complice di un criminale”.

Don Peppe, dalle parole di Nogaro, emerge come un sacerdote innamorato del Vangelo, che si prende cura del popolo che gli è affidato, fino a diventare voce dei senza voce, testimone di una denuncia irrinunciabile contro la dittatura armata della camorra. Il documento del Natale 1991, ‘Per amore del mio popolo’, è un grido di dolore e al tempo stesso un richiamo alla responsabilità dei credenti. Da quel momento don Peppe Diana diventa un punto di riferimento, “capace di testimoniare l’altra Parola” come dice don Luigi Ciotti. Il 19 marzo del 1994 cinque colpi di pistola tentano di mettere a tacere per sempre questa voce scomoda, che invece continua ancora oggi a indicare la strada del cambiamento.

E dalla testimonianza del vescovo emerito di Caserta scaturisce in definitiva l’Opera rock della cantautrice per la Pace Agnese Ginocchio, dedicata a don Peppe Diana, “Martire per la Libertà e Testimone di Pace”, per il trentesimo anniversario. Un Poema d’amore nel segno della memoria e dell’impegno.

La prima parte del brano è stata composta per il decimo anniversario (anno 2004, quando  una parte fu presentata, eseguita con voce e chitarra, durante la veglia nel decimo anniversario a Casal di Principe). Ora l’Opera rock è stata completata e pubblicata per il trentesimo anniversario (19 Marzo anno 2024).Arrangiamento (chitarre, tammorra e strumenti dal vivo) con gli arrangiamenti del Maestro Niki Saggiomo di Napoli.

Un’ “Opera rock “ per don Diana che si sviluppa su tre ritmi.

Sulle note lente della chitarra, parte l’introduzione del brano, inizia con una parte del messaggio di Don Peppe Diana tratto dal documento “Per Amore del mio popolo” diffuso nel Natale dell’anno 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe e della zona aversana da Don Peppe Diana e dai parroci della forania di Casal di Principe.
“Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Coscienti che dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco da ogni ambiguo compromesso. Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno”, afferma convinta la cantautrice e attivista di pace Agnese Ginocchio.

Quindi la seconda parte: prima della strofa, si ripete lo stesso ritmo anche nella seconda parte della seconda strofa. Sulle note incalzanti, impetuose e ritmate della tammorra, la voce recita un messaggio confuso che evoca alla guerra, al crimine, alla malavita, alla morte, che aizza a colpire il proprio fratello e a compiere ogni sorte di male nel nome del potere. Con questo messaggio, che si contrappone al messaggio iniziale e a quello che segue della strofa, l’autrice del brano spiega il volto del camorrista che vive in uno stato d’animo confuso, di irrequietezza, uno stato di guerra e di morte interiore. L’uomo che sceglie nel suo libero arbitrio, di seguire questa strada, che si rende protagonista di azioni vili, che sceglie di perseguire la strada della violenza, del crimine, dell’omertà e dell’indifferenza, l’uomo che estorce, ricatta, usura in cambio di profitti, diventa strumento del male, infrangendo il disegno del creatore, che invece è quello di essere costruttore e creatore e artigiano di Pace.

Ricollegandosi al passo del Vangelo Secondo Marco (8:36-37) che recita: “Che giova all’uomo se guadagna tutto il mondo se poi perde la propria anima?”. Il ritmo impetuoso si ferma, inizia la melodia vera e propria del brano. Il testo che si ascolta si contrappone alle parole precedenti diventando segno di contraddizione e messaggio di Pace, che richiama i passaggi salienti del documento di don Peppe Diana. L’azione contraria al male è l’azione di Pace che si applica con la pratica dei valori fondanti della Nonviolenza, il perdono, la riconciliazione; l’anima della Nonviolenza è l’Amore.

Segno di contraddizione e di condanna per chi invece pratica e impone spietatamente la violenza.
La melodia e l’arrangiamento è un continuo crescendo e culmina nell’accensione del finale, apice di tutto il documento “Per Amore del mio popolo” con la frase “Ama il prossimo!” e i due incisi: “Come te stesso!” e “AMA!”
Poiché solo nell’amare non si può che desiderare il bene dell’altro, e se si ama non si può ferire il prossimo, non si può desiderare il male, non si può uccidere il proprio fratello.

“Amerai il prossimo tuo come te stesso”(Mc 12,29-31) . Non c’è altro comandamento più importante di questo, ricorda Gesù profeta di Pace. “La Pace, la Giustizia, la Libertà sono contrari a ogni forma di violenza e di guerra”.
Con questa frase che dà il titolo a questo Poema d’Amore, l’autrice intende ricordare e rendere omaggio a questo grande Testimone di Pace e Martire per la Libertà, la Giustizia e la Verità, nel trentesimo anniversario del suo martirio.

La cantautrice Agnese Ginocchi ha voluto ringraziare il prof. Emilio Diana, fratello di don Peppe, “per averci accompagnati nel giorno del Venerdì Santo (anno 2024) sul luogo del giaciglio terreno di don Peppe, dove sull’altare è stato deposto il testo di questo brano e dove è stata portata ed accesa la ‘Fiaccola della Pace’ in memoria di Don Peppe e a seguire sul luogo dove è stata eretta la statua inaugurata per il trentesimo anniversario. Nello stesso giorno la “Bandiera della Nonviolenza” è stata portata e deposta sul luogo del Martirio, presso la Sagrestia della Chiesa di S. Nicola, dove è esposto anche il documento originale “Per Amore del mio Popolo”.

Agnese Ginocchio ringrazia inoltre le “Scuole di Pace” (aderenti alla mobilitazione della Fiaccola della Pace) IC “M. De Mare” di San Cipriano D’Aversa (Preside Antonella Cerrito), IC “Garibaldi” di Castel Volturno (Preside Elisabetta Corvino), ICAS “Francolise” (IC “Carinola-Falciano”, Preside Giuseppina Zannini) e altre scuole (leggere didascalia nei titoli di coda del video) per la realizzazione di alcune scene inserite nel video.
Nelle scene che compongono il video compare anche mons. Raffaele Nogaro. Infine alcune scene tratte dalle ultime manifestazioni delle Fiaccola della Pace, dove è stato messo a dimora l’Albero della Pace dedicato anche a don Diana per il trentesimo anniversario.

Laura Tussi

Il documento scritto e distribuito il giorno di Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe e della zona aversana da don Peppino Diana e dai parroci della foranìa di Casal di Principe,
“PER AMORE DEL MIO POPOLO non tacerò”

Il documento diffuso a natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe e della zona aversana da don Peppino Diana e dai parroci della forania di Casal di Principe

Siamo preoccupati

Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra.
Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”.
Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che é la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.

La Camorra

La Camorra oggi é una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di
diventare componente endemica nella società campana.
I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.

Precise responsabilità politiche

E’ oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche é caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi.
La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio.
Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili.

Impegno dei cristiani

Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno.
Dio ci chiama ad essere profeti.
– Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);
– Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);
– Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);
– Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5)
Coscienti che “il nostro aiuto é nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che é la fonte della nostra Speranza.

NON UNA CONCLUSIONE: MA UN INIZIO

Appello
Le nostre Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe.

Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle
occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa;
Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e
dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26).
Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso,… dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno.

29 giugno 1992, Solennità dei SS. Pietro e Paolo.
Forania di Casal di Principe
(Parrocchie: San Nicola di Bari, S.S. Salvatore, Spirito Santo – Casal di Principe.
Santa Croce e M.S.S. Annunziata – San Cipriano d’Aversa, Santa Croce – Casapesenna
M. S.S. Assunta – Villa Literno, M.S.S. Assunta – Villa di Briano, SANTUARIO DI M.SS. DI BRIANO)

Nella foto qui sotto: Agnese Ginocchio con mons. Raffaele Nogaro

Sitografia per approfondire:

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Bibliografia essenziale:
-Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
-Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni. Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero e altri